Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2022, n. 3299 - Crollo di un muro durante la ripulitura del terreno circostante con un escavatore. Responsabilità del datore di lavoro e della società
Fatto
1. La Corte d'appello di Bologna, in data 2 luglio 2020, ha confermato la sentenza emessa in data 30 gennaio 2018 dal Tribunale di Modena, con la quale L.G. era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di lesioni personali colpose in danno di N.H., contestato come commesso in data 26 novembre 2014, con violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; e la G. Costruzioni S.r.l. era stata dichiarata responsabile dell'illecito amministrativo alla stessa contestato ex artt. 5 e 25- septies del D.Lgs. n. 231/2001.
Tanto in relazione all'infortunio occorso a N.H., dipendente della predetta società, il quale - secondo l'imputazione - aveva ricevuto dal L.G. l'incarico di effettuare con un escavatore la ripulitura del terreno nei pressi di un muro fatiscente, per posizionarvi un ponteggio finalizzato all'espletamento di operazioni di demolizioni e consolidamento manuale del muro suddetto, nell'ambito di lavori edili su due unità immobiliari colpite da eventi sismici. Il crollo del muro cagionava al N.H. le lesioni descritte in atti.
Il delitto di lesioni colpose é contestato al L.G. nella sua qualità di datore di lavoro del N.H. ed amministratore della predetta società. A quest'ultima viene poi contestata la responsabilità da illecito amministrativo ai sensi del citato d.lgs. n. 231/2001.
Si contesta, in particolare, al L.G. di avere omesso la redazione di un adeguato piano operativo di sicurezza, con connessa valutazione del rischio nella specie concretizzatosi (art. 96, comma 1, lett. G d.lgs. n. 81/2008), e comunque di non avere eliminato o comunque ridotto al minimo il rischio da lavoro (art. 15, comma 1, lettera C, d.lgs. n. 81/2008).
Nel disattendere le censure proposte con gli atti d'appello, alla stregua delle prove in atti, la Corte di merito ha in primo luogo ritenuto che non sia stato chiarito dall'imputato se i lavori da eseguire sul muro fossero di demolizione, o di consolidamento, o di restauro: ciò comproverebbe la genericità del POS sul punto, non essendovi specificate le operazioni da eseguire sul muro. Ha aggiunto la Corte di merito che le operazioni di pulitura del sito con l'escavatore da parte del N.H. erano in corso di esecuzione con modalità oggettivamente pericolose, davanti allo sguardo del L.G., tant'é che il teste GH. (proprietario dell'immobile il cui muro era adiacente a quello crollato) aveva segnalato allo stesso L.G. i plurimi distacchi di pezzi di muro cagionati dall'escavatore, che colpiva il muro dal basso, venendo peraltro rassicurato dal L.G. con la frase «Sto guardando». Dopodiché il L.G. si era allontanato e, avendo il N.H. proseguito le operazioni con le stesse modalità, si verificava il crollo del muro, che cagionava a suo carico le lesioni di cui in atti. Proprio in ragione del colloquio con il GH., la Corte felsinea ritiene evidente che il L.G. fosse nelle condizioni di apprezzare la concreta pericolosità delle operazioni in corso di svolgimento; ed in più é emerso che solo il giorno dell'infortunio i responsabili della società (in specie il capocantiere geom. M.) si erano resi conto che il muro crollato non faceva corpo con quello retrostante (fino a quel momento lo ritenevano un muro di confine dello spessore di 30 centimetri), ma era un muro distinto e assai più sottile, quindi molto meno resistente. Ciò rende evidente, secondo i giudici dell'appello, la superficialità della valutazione delle reali condizioni del muro crollato.
In aggiunta a ciò, le modalità oggettivamente pericolose delle operazioni di pulitura con l'escavatore nei pressi del muro crollato (come descritte dal teste GH.) suggeriscono, secondo la Corte di merito, che il L.G. intendesse in realtà demolire il muro ed avesse scelto tali modalità operative per sveltire i lavori. Ma, quand'anche lo scopo fosse invece quello di consolidare il muro e non di demolirlo, le modalità prescelte presentavano comunque rischi di crollo che il L.G., nella sua qualità, non aveva verificato mediante i dovuti accertamenti in merito alla stabilità del manufatto.
Secondo la Corte di merito, é altresì configurabile la responsabilità della ditta appaltante (ossia la Società G. Costruzioni) in ragione del fatto che, con il suo operato, il L.G. perseguì l'intento di ottimizzare i tempi e i costi dei lavori, nell'interesse e a vantaggio della Società, atteso che, ove nell'eseguire i lavori fossero state rispettate la normativa di settore e le regole di comune esperienza, le diverse fasi di esecuzione degli stessi lavori avrebbero richiesto molto più tempo e avrebbero comportato costi maggiori.
2. Avverso la prefata sentenza ricorrono, con altrettanti atti, L.G. e la G. Costruzioni s.r.l..
3. Il ricorso del L.G. consta di un unico motivo, nel quale il deducente lamenta vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione dei fatti storici, con particolare riguardo al fatto che le operazioni di pulitura erano prodromiche all'installazione del cantiere e, dunque, nulla avevano a che vedere con la gestione della ristrutturazione degli immobili; di tal che correttamente il POS non fa cenno alle operazioni in corso di esecuzione al momento dell'incidente. Aggiunge il deducente che il muro era stato già esaminato da tecnici qualificati e dai Vigili del Fuoco e non era stato giudicato a rischio di crollo, e ipotizza che il crollo sia avvenuto, piuttosto, per il fatto che la vittima aveva urtato il muro con l'escavatore. Il ricorrente poi critica la motivazione della sentenza laddove si affida a giudizi di "verosimiglianza" o di "ragionevolezza" per ricostruire la vicenda in termini di prevedibilità del crollo e di finalità di accelerazione dei lavori perseguite dal L.G.; ed infine censura l'assenza di un giudizio controfattuale tra le omissioni contestate al L.G. - l'omessa redazione di un POS adeguato, la mancata eliminazione o riduzione dei rischi - e l'evento lesivo.
4. Anche il ricorso presentato per conto della L.G. ostruzioni s.r.l. si articola in un unico motivo, nel quale la Società ricorrente, dopo una premessa riassuntiva della vicenda processuale, lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza, per l'Ente, di un interesse e/o di un vantaggio sotteso alla condotta del legale rappresentante. La decisione della Corte di merito circa il fine di ottimizzazione dei costi dei lavori da parte del L.G. si basa sull'enunciato di due ipotesi alternative (quella della pulizia dell'area per installare i ponteggi senza accertarsi della stabilità del muro, accidentalmente toccato dall'escavatrice; e quella dell'aver tollerato che i lavori di pulitura si svolgessero con modalità pericolose, onde saggiare con l'escavatore la tenuta del muro e rimuoverne le parti più pericolanti); ciò viene criticato nel ricorso, sia per il contenuto meramente ipotetico e quindi dubbio della ricostruzione operata dalla Corte di merito, sia per l'evidente tentativo dei giudici dell'appello di cercare inesistenti motivi a supporto della tesi dell'interesse e del vantaggio per la società, in realtà inesistenti. In estrema sintesi, il percorso argomentativo della sentenza impugnata si basa su tesi affatto congetturali, che non trovano riscontro nel materiale probatorio; e, in più, si pone in contrasto con la ricostruzione operata dal Tribunale, secondo la quale il L.G., dopo la segnalazione rivoltagli dal GH. circa la pericolosità della manovra del N.H., gli aveva fatto spegnere l'escavatore ordinandogli di andare a prendere una scala: comportamento, questo, certamente incompatibile con la volontà di accelerare i lavori e, ancor più, con la tesi secondo la quale la manovra pericolosa del N.H. sarebbe stata ordinata proprio dal L.G.. I lavori di pulitura del terreno, prosegue la Società ricorrente, erano comunque necessari per l'installazione del ponteggio e dovevano comunque essere effettuati in quel modo, di tal che alcun risparmio di tempo o vantaggio era correlabile alle modalità esecutive dei lavori predetti; né, del resto, é stata indicata la modalità alternativa da seguire nei lavori di pulizia dell'area dalla quale la ditta non avrebbe conseguito l'ipotetico interesse o vantaggio.
Diritto
1. Il ricorso del L.G. é infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza.
1.1. In primo luogo, erra il ricorrente laddove egli sembra affermare che le operazioni di pulitura dell'area ove doveva essere posizionato il ponteggio non dovessero costituire materia oggetto del Piano Operativo di Sicurezza, trattandosi di operazioni prodromiche alle lavorazioni edilizie vere e proprie: l'erroneità di siffatte affermazioni emerge chiaramente dalla disamina delle disposizioni di riferimento (l'art. 96, comma 1, lettera G, del D.Lgs. n. 81/2008 e l'art. 89, comma 1, lettera H dello stesso decreto, cui il citato articolo 96 fa rinvio) e, soprattutto, dalle indicazioni provenienti dall'allegato XV al decreto legislativo suddetto, dalle quali si ricava che non solo non vi é alcuna distinzione, nell'oggetto del POS (e anche del PSC) fra i lavori da eseguirsi in cantiere e quelli propedeutici agli stessi (come, nella specie, le operazioni finalizzate alla posa in opera di ponteggi); ma, in aggiunta a ciò, all'allegato XV.2, recante Elenco indicativo e non esauriente degli elementi essenziali ai fini dell'analisi dei rischi connessi all'area di cantiere di cui al punto 2.2.1., si indicano anche i manufatti interferenti o sui quali intervenire, sì che l'analisi dei rischi connessi (considerato che le operazioni di pulitura avvenivano in prossimità di un muro destinato a essere interessato dalle lavorazioni propriamente dette) doveva certamente formare oggetto del piano operativo di sicurezza.
1.2. Fatto si é che, come emerge sia dalla lettura della sentenza impugnata, sia da quella della sentenza di primo grado, emergono alcuni elementi, di fatto non contestati dal ricorrente, ma decisivi in ordine alla tenuta argomentativa della sentenza impugnata.
In primo luogo, solo la mattina dell'incidente i responsabili della società si erano accorti, del tutto casualmente, del fatto che quello che ritenevano essere un muro unico dello spessore di 30 centimetri - e che come tale era stato considerato nel POS: vds. pag. 4 sentenza impugnata - era, invece, costituito da due muri costruiti in adiacenza (divisi, a quanto é dato comprendere, da un'intercapedine all'interno della quale il capocantiere aveva notato la presenza di un telo di cellophane). Segno evidente della carente valutazione dei rischi connessi alla presenza di un muro di spessore ben più modesto di quanto si credesse e certamente fragile, sul quale si sarebbe dovuti intervenire (non rileva se per demolirlo o per consolidarlo) previa installazione di un ponteggio e nei pressi del quale sarebbero state a tal fine eseguite operazioni di pulizia con un escavatore.
In aggiunta a ciò, appare eclatante quanto emerge circa le fasi immediatamente precedenti il crollo del muro, durante le quali il L.G. assisteva ai lavori del N.H. con l'escavatore: l'odierno ricorrente era stato sicuramente avvisato dal proprietario del muro adiacente (il GH.) della pericolosità dell'uso dell'escavatore da parte del dipendente, il quale colpiva con il braccio del macchinario la base del muro, facendone cadere alcuni pezzi. Indipendentemente dall'interpretazione del significato della risposta del L.G. («sto guardando»), risulta pacifico che l'attenzione del medesimo - che era presente e assisteva al lavoro del N.H. - era stata richiamata dal GH. proprio sul rischio derivante dalle modalità operative fino a quel momento seguite; e che quindi lo stesso L.G. fosse edotto del pericolo e nelle condizioni di sospendere l'impiego dell'escavatore, quanto meno con quelle modalità. Invece, come emerge dalle prove valorizzate nella sentenza impugnata, non risulta che l'odierno ricorrente avesse bloccato le operazioni e dato specifiche direttive al N.H. e al collega che lavorava assieme a lui; risulta di contro che egli si fosse allontanato e che, successivamente, il N.H. avesse proseguito ad usare l'escavatore con le stesse modalità, fino al momento del crollo.
1.3. A fronte di quanto precede, può affermarsi che:
In primo luogo, vi é un profilo di evidente genericità nel ricorso, laddove vi si afferma - senza fornire alcuna precisazione o alcun riferimento documentale - che la pericolosità del muro sarebbe stata esclusa da tecnici qualificati o dai Vigili del Fuoco;
In secondo luogo, non può certamente parlarsi di riferibilità causale dell'accaduto a un comportamento abnorme, eccezionale e imprevedibile del lavoratore, tale da interrompere il nesso eziologico fra le condotte omissive contestate al L.G. e l'evento lesivo: stante il fatto che le operazioni di pulitura dell'area con l'escavatore, ben note al L.G. e anzi da lui disposte, venivano espletate con le ricordate modalità pericolose alla presenza dello stesso imputato, é pertinente il richiamo alla consolidata giurisprudenza di legittimità in base alla quale può parlarsi di condotta abnorme del lavoratore, come tale interruttiva del nesso di condizionamento, in ordine alla condotta che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, non perché "eccezionale" ma perché eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; in tempi recenti vds. tra le altre Sez. 4, Sentenza n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603); ed é di tutta evidenza che ciò non può affermarsi con riferimento all'infortunio occorso al lavoratore nel caso di specie;
In terzo luogo, il giudizio di "verosimiglianza" e di "ragionevolezza" espresso dalla Corte di merito in ordine alle cause del crollo e alle finalità di accelerazione dei lavori perseguite dal L.G. non introduce elementi dubitativi nella decisione, poiché non intacca il nucleo centrale dei fatti così come oggettivamente ricostruiti: ed invero, al di là delle considerazioni dello strutturista T. (assistente ai lavori in cantiere) e di S.G. (direttore tecnico della società), secondo i quali non vi sarebbero stati motivi che facessero pensare a un pericolo di crollo, sta di fatto che erano comunque previste opere finalizzate alla messa in sicurezza del sito in prossimità di un manufatto a rischio, sia che si trattasse di demolizione dello stesso, sia che ne fosse previsto il consolidamento; e, del resto, che si trattasse di un muro in precarie condizioni (del quale, oltretutto, era stato scoperto quello stesso giorno il vero spessore, assai inferiore rispetto a quanto precedentemente valutato) emerge dai risultati dell'istruzione dibattimentale contenuti nelle due sentenze di merito (la persona offesa aveva dichiarato che erano in programma operazioni di consolidamento del muro definendolo "vecchio"; le condizioni precarie del muro erano rilevabili in base a quanto constatato e riferito dal teste GH.);
Infine, quanto al giudizio controfattuale, sfugge al ricorrente che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261103); nella specie, dalla lettura della sentenza impugnata (al pari di quella di primo grado) emerge, attraverso una completa caratterizzazione del fatto concreto sottostante, che l'individuazione nel POS dei rischi connessi all'esecuzione di lavori nei pressi di un muro a rischio (rispetto all'omissione nelle valutazioni del rischio connesso a tali lavori e alle condizioni del manufatto, nonché all'impiego - peraltro con modalità intrinsecamente pericolose - dell'escavatore nei pressi di un muro destinato a essere demolito o consolidato) e l'adozione delle necessarie contromisure per l'esecuzione in sicurezza delle operazioni di pulitura dell'area (rispetto all'assenza di interventi che impedissero ai dipendenti l'utilizzo dell'escavatore nel modo descritto dal GH. e alla sostanziale noncuranza del L.G. a fronte di tali modalità di utilizzo) costituivano certamente il comportamento alternativo doveroso che l'odierno ricorrente avrebbe dovuto tenere, osservando il quale, con elevata probabilità logica, l'evento lesivo non si sarebbe verificato.
t 2. Resta da dire del motivo di ricorso della G. Costruzioni, riguardante la sussistenza delle condizioni per l'applicazione delle sanzioni di cui al d.lgs. n. 231/2001.
Anche questo motivo é infondato.
2.1. Premesso che - per le ragioni fin qui esaminate - é nella specie configurabile il presupposto costituito dalla responsabilità penale del soggetto apicale per il reato a lui contestato, occorre verificare se egl i abbia posto in essere la condotta omissiva contestata - con particolare riguardo alla violazione dei doveri di valutazione dei rischi connessi all'operazione in corso di svolgimento al momento dell'infortunio - in vista del conseguimento di un interesse o di un vantaggio per la società ricorrente .
2.2. E' noto che, secondo la giurisprudenza in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (cfr. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261115; Sez. 4, Sentenza n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda S.c.a., Rv. 274320).
2.3. Nella specie, alla stregua delle nozioni appena richiamate, la sentenza impugnata evidenzia la finalizzazione delle condotte omissive del L.G. a realizzare in particolare un interesse della società, piuttosto che a ottenere un vantaggio per la società stessa.
Ed invero, la Corte di merito individua l'interesse perseguito dal L.G., con la sua condotta omissiva, nel risparmio di tempo, di energie lavorative e di denaro ottenuto dalla G. Costruzioni attraverso le modalità operative prescelte: risparmio di tempo, energie e spese consistente non solo nell'espletamento più celere dei lavori di pulizia dell'area in vista della posa del ponteggio, ma anche nell'evitare l'impiego del tempo e delle risorse necessari alla corretta valutazione dei rischi, alla corretta elaborazione del POS con le fasi della demolizione o del consolidamento del muro, alla pulitura dell'area su cui installare il ponteggio ecc.. Tale condizione trova riscontro nell'indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il "risparmio" in favore dell'impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione (Sez. 4, Sentenza n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, Rv. 275570; in termini conformi Sez. 4, Sentenza n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596).
3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 21 gennaio 2022.