Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2022, n. 3538 - Malfunzionamento di un macchinario e schiacciamento di un dito. Responsabilità del preposto per non aver ottemperato all'obbligo diretto e continuativo di sorveglianza sui mezzi e sulle lavorazioni
Fatto
1. Con sentenza del 14 giugno 2019 la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato, concedendo il beneficio di cui all'art. 175 cod. pen., la sentenza de Tribunale di Milano la quale G.T. è stato ritenuto responsabile, nella sua qualità di preposto della Doppei Farmaceutici s.r.l., del reato di cui all'art. 590, comma 2 cod. pen., per avere, in cooperazione colposa con A.P., nella sua qualità di responsabile della sicurezza, cagionato lesioni personali gravi a M.R., la quale operava sull'elevatore Sharp, azionato da una pulsantiera, il cui difettoso funzionamento, consentiva la correzione manuale del convogliamento della tramoggia, caricata manualmente delle compresse in lavorazione, sul tramoggino, per agevolare l'adesione dello scarico della tramoggia con l'apertura posta al di sopra, sicché a causa dell'involontario azionamento del pulsante di discesa dell'elevatore e dell'operazione manuale di correzione in corso di esecuzione da parte della lavoratrice, questa subiva lo schiacciamento del primo dito della mano destra.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione, l'imputato a mezzo del suo difensore, formulando tre motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo fa valere la violazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 590 cod. pen. ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, senza indagare sulla prevedibilità dell'evento da parte del preposto, facendo leva unicamente sulla posizione di garanzia ricoperta, così configurando una forma di responsabilità oggettiva, derivata unicamente dall'elemento materiale del reato.
Ricorda che la responsabilità oggettiva, alla luce del dettato dell'art. 27 Cost., è incompatibile con il sistema penale e che per affermarsi la sussistenza della colpa è necessario che l'evento sia prevedibile ex ante dall'agente modello. Sottolinea come sia emerso che nel caso di specie il preposto non era stato edotto del malfunzionamento del macchinario, ciò impedendo ogni proficuo intervento.
4. Con il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza e della pretermissione di prove decisive. Ricorda che l'imputato aveva prodotto in sede dibattimentale il verbale del 7 giugno 2013 relativo al sopralluogo nelle aree di lavoro (in data antecedente l'infortunio occorso il 30 agosto 2014), redatto nell'ambito del progetto sicurezza ed ambiente e sottoscritto dal Responsabile aziendale del servizio di prevenzione e protezione per la sicurezza, dal rappresentante di lavoratori per la sicurezza ed al medico competente, oltre ai verbali di manutenzione del macchinario elevatore Sherpa, redatti prima e dopo l'infortunio ed al libro infortuni, da cui emergeva che nessun infortunio si era in precedenza verificato su quella apparecchiatura. Atti questi tutti ignorati dalla Corte territoriale, che ha altresì omesso di valutare le dichiarazioni dei testi P. e B., nonostante la sollecitazione contenuta nell'atto di appello. Invero, non solo il primo ha affermato di non avere mai ritenuto pericoloso quel macchinario, ma la stessa persona offesa M.R. ha chiarito di non avere mai denunciato il malfunzionamento dell'apparecchiatura. Inoltre, B. ha precisato che mai si erano verificati infortuni di alcun genere sull'elevatore Sherpa. Il giudice di seconda cura, nondimeno, non confrontandosi con le prove da cui poteva desumersi l'impossibilità di G.T. di prevedere il sinistro, è incorso in un grave vizio argomentativo, omettendo di rendere esplicito il percorso logico-giuridico in forza del quale è possibile affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza della colpa in capo all'imputato.
5. Con il terzo motivo lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, senza alcuna valutazione critica del relativo motivo di appello, si limita a condividere il giudizio formulato dal primo giudice sul bilanciamento in regime di equivalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche con l'aggravante contestata. Il mero appiattimento sulla decisione di primo grado merita censura. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
6. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione con requisitoria scritta ex art. 23 comma 8 d.l. 137/2020 ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi .
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3. Va ricordato, innanzitutto, che il preposto, ai sensi della previsione di cui all'art. 2 lett. e) del d. lgs. 81/2008, è colui che "in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa".
Le competenze normativamente attribuitegli, che delineano l'area di rischio rispetto alla quale egli riveste la posizione di garante, derivano dalla situazione di prossimità alle lavorazioni ed all'opera svolta dai dipendenti. E' proprio in forza di detta condizione che l'art. 19 d. lgs. 81/2008 assegna al preposto il compito di controllo immediato e diretto sull'esecuzione dell'attività da parte dei lavoratori, così come quello sull'eventuale instaurarsi di prassi comportamentali incaute e quello su anomalie di funzionamento di macchinari cui gli operatori siano addetti.
Quest'ultimo obbligo, specificamente sancito dalla lett. f) della disposizione che impone di "segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta" non può risolversi nell'attesa di segnalazioni da parte di terzi -e nella specie degli lavoratori- di anomalie di funzionamento dei macchinari utilizzati o della modifica operativa da parte degli addetti di schemi lavorativi apprestati per l'utilizzo di apparecchiature, posto che ciò comporterebbe un vero e proprio svuotamento del dovere di vigilanza e di sovraintendenza delle lavorazioni, che costituisce l'essenza stessa delle sue attribuzioni.
4. In questo senso deve essere letta la sentenza impugnata.
5. La Corte, infatti, muove dalla considerazione che il malfunzionamento della macchina su cui la persona offesa si infortunò, era noto a tutti nel Reparto Confezione (pagg. 3 e 4). Ricorda che la teste C. ha riferito di conoscere il problema (ovverosia il fatto che la tramoggia non si innestasse bene nel tramoggino) e di avere sempre fatto attenzione nell'utilizzo di quell'apparecchiatura, senza avere tuttavia comunicato agli assistenti alcunché, mentre il teste P., che pure ha sostenuto l'assenza di ogni pericolo, ha, nondimeno, dichiarato di avere notato un'operatività non perfetta al momento del 'fine-corsa'. Circostanza quest'ultima -ricorda il giudice di seconda cura ricostruita, nel corso del sopralluogo successivo all'infortunio, da parte dell'ufficiale di polizia giudiziaria Giuseppe L., il quale ha spiegato che il movimento della tramoggia avveniva mediante una pulsantiera, utilizzabile con una sola mano, che ne permetteva salita e discesa e che, tuttavia, all'atto dell'innalzamento la tramoggia non si inseriva correttamente nel tramoggino. Siffatta carenza tecnologica comportava che i lavoratori -erroneamente- la accompagnassero con una mano, per evitare la dispersione delle compresse, operazione compiuta da M.R. e sfociata nello schiacciamento del primo dito della mano destra.
6. E', dunque, in relazione all'omissione di vigilanza che la Corte -così come il giudice di primo grado- ascrive la responsabilità al preposto, cui imputa di non avere verificato il mal funzionamento del macchinario ed il suo utilizzo con modalità incongrua, siffatto controllo rientrando nell'esercizio dei compiti proprii della figura di garanzia e ad esso conseguendo il dovere di segnalazione al datore di lavoro.
7. Non può, pertanto, sostenersi, come fa il ricorrente, che il fatto sia addebitato in forza dell'elemento materiale del reato, cioè del solo verificarsi dell'evento, ed a titolo di responsabilità oggettiva, in forza della posizione ricoperta, perché la condotta colposa è precisamente individuata e non viene posta in dubbio la sua natura di condizione dell'evento.
8. A fronte di queste osservazioni, anche la contestazione introdotta dall'imputato sull'imprevedibilità dell'evento, in assenza di informazioni circa il problema manifestatosi nell'uso dell'elevatore Sherpa, perde consistenza, perché essa viene formulata sulla base dell'assenza di un obbligo diretto e continuativo di sorveglianza sui mezzi e sulle lavorazioni, che invece è prescritto al preposto dall'art. 19 d. lgs. 81/2008. Invero, potrebbe configurarsi l'esenzione di responsabilità del medesimo solo ed esclusivamente se il problema verificatosi sul macchinario, e l'incauta modalità di lavoro posta in essere per ovviarvi, fossero così recenti rispetto al momento in cui l'infortunio si è verificato da potersi immaginare che entrambi avessero potuto sfuggire al controllo continuativo, proprio perché appena manifestatisi.
9. Quanto fin qui detto consente di ritenere manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la mancata valorizzazione da parte del giudice di secondo grado della produzioni relativa al verbale di sopralluogo del giugno 2013 ed a quelli di manutenzione dell'apparecchiatura, trattandosi, come implicitamente ritengono i giudici di merito, di documentazione che non può comprovare l'assolvimento concreto dell'onere di controllo e vigilanza delle lavorazioni. Né può affermarsi, diversamente da quanto si sostiene con il ricorso, che la Corte non abbia vagliato il contenuto della testimonianza del dipendente P. solo perché ha tratto dalle sue dichiarazioni una ricostruzione diversa da quella auspicata dall'imputato, valorizzando -anziché la soggettiva situazione di non pericolosità dell'elevatore, riferita dal medesimo- la descrizione della 'non perfetta operatività al momento del fine corsa', constatata, a dire del teste, anche da altri colleghi. Del pari il giudice di seconda cura non ha mancato di riprendere quanto riportato dal teste B. (RSPP dello stabilimento), circa l'assenza di altri infortuni sul macchinario e la mancata segnalazione di anomalie, ma ne ha sostanzialmente escluso il rilievo, ciò non incidendo direttamente sulla violazione dell'obbligo di vigilanza da parte del preposto.
10. Il terzo motivo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, dolendosi della carenza motivazionale in ordine al giudizio di bilanciamento delle circostanze, non specifica sulla base di quali elementi l'imputato avesse sollecitato una diversa valutazione del giudice di seconda cura, sicché non è possibile verificare l'eventuale mancata risposta del giudice di appello. D'altro canto, va ricordato che "In tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall'art. 133 cod. pen., senza che occorra un'analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati" (da ultimo: Sez. 5 - , Sentenza n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838). Nel caso di specie, la Corte dà atto che il grado di colpa e la gravità del danno cagionato alla persona offesa (la cui malattia è durata cinque mesi, residuando postumi invalidanti) non consentono un più favorevole bilanciamento. Rispetto a siffatti argomenti il ricorrente non formula critiche adeguate, lamentando solo la mancata risposta alle doglianze contenute nel gravame, di cui non riporta il contenuto, finendo per proporre una censura del tutto generica
11. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/12/2021