Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2022, n. 3541 - Meccanico in pensione schiacciato dall'assale dell'autocarro. Posizione di garanzia di fatto ex art. 299, D. Lgs. 81/08

2022

Fatto




1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha parzialmente riformato, riducendo la pena a mesi sei di reclusione, la sentenza di condanna emessa il 18/07/2017 dal Tribunale di Torino nei confronti di C.C., imputato del reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. perché, nella veste di titolare di posizione dì garanzia di fatto, amministratore della ditta Autotrasporti C.C., aveva cagionato la morte di B.C., meccanico in pensione, per negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, segnatamente l'art. 2087 cod. civ. e l'art.71 d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per aver omesso di mettere a disposizione attrezzature idonee e adeguate al lavoro da svolgere cosicché B.C., al fine di prelevare dei particolari meccanici dai veicoli della società GTT destinati alla rottamazione e in deposito presso il piazzale di pertinenza della Autotrasporti C.C., dopo aver installato sotto la parte esterna del mozzo della ruota posteriore sinistra del veicolo Iveco 480 ivi parcheggiato un sollevatore idraulico e successivamente un supporto di sicurezza al fine di mantenere il mezzo sollevato da terra, era rimasto schiacciato dall'assale posteriore sinistro del veicolo perché il punto di appoggio dello stelo del sollevatore idraulico si era sbilanciato mentre il B.C. era posizionato sotto la scocca. Commesso in Beinasco il 29 ottobre 2013.

2. C.C. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 40, comma 2, cod. pen., 41, comma 2, 43, comma 1, e 589, comma 2, cod. pen. nonché per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Con tale motivo la difesa contesta la correttezza della decisione laddove ha ritenuto sussistente in capo all'imputato una posizione di garanzia. Tale posizione di garanzia è stata desunta alternativamente dall'art.2087 cod. civ. nella veste di rappresentante dell'impresa Autotrasporti C.C., nella veste di soggetto che ha autorizzato il meccanico ad operare sul mezzo ai sensi dell'art.299 d. lgs. n.81/2008, nella veste di custode degli autobus ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., nella veste di proprietario dell'area e titolare di un potere di controllo finalizzato alla verifica dello stato di conservazione e di sicurezza del luogo al fine della sicurezza degli impianti, beni e attrezzature, nella veste di titolare della ditta ai sensi dell'art. 71 d. lgs. n.81/2008. Aver individuato in maniera non univoca la fonte normativa della posizione di garanzia, con conseguente impossibilità di individuare la norma cautelare violata, concreta vizio di motivazione. La sentenza è ritenuta, altresì, contraddittoria laddove estende l'area di rischio governabile dall'imputato all'attività di officina, pur trattandosi di attività dismessa da anni. La sentenza è contraddittoria anche nella parte in cui non individua in modo univoco il profilo omissivo contestato all'imputato e il comportamento alternativo lecito da cui poter far scaturire il rimprovero di cui all'art. 40, comma 2, cod. pen. Per altro verso, si censura il ragionamento seguito dal giudice di merito in relazione al nesso di causa in quanto la Corte non ha individuato in maniera univoca l'antecedente causalmente rilevante e ha omesso il doveroso giudizio controfattuale. La censura riguarda anche la contraddizione insita nel fatto che la Corte ha ritenuto che la vittima avesse accettato consapevolmente, nonostante la sua esperienza lavorativa, il rischio di operare sul mezzo collocato in spazi angusti e ridotti, privo di adeguato sistema frenante e instabile oltre che in assenza di idonei strumenti e attrezzature di lavoro, senza però desumerne che tale consapevole accettazione del rischio fosse interruttiva del nesso di causa tra la condotta dell'imputato e l'evento mortale.
Con un secondo motivo deduce vizio di motivazione per avere la Corte territoriale fondato il giudizio di responsabilità su dichiarazioni provenienti dalle parti offese senza sottoporle a una verifica rigorosa, travisando quanto dichiarato dal figlio dell'infortunato B.F. nell'immediatezza del fatto e dopo essersi confrontato con terzi, attribuendo rilievo allo stato di shock di quest'ultimo e negando analogo rilievo alle dichiarazioni rese dal C.C. al 118 nell'immediatezza del fatto. La testimonianza di P.E. è stata posta a fondamento della decisione nonostante il teste si fosse più volte contraddetto. La valutazione della prova dichiarativa è stata svolta in violazione della relativa normativa e la Corte, per confutare la tesi difensiva, ha sviluppato ipotesi prive di riscontro testimoniale o in contrasto con risultanze processuali, dalle quali era emerso che le visite degli operatori GTT (impresa che depositava gli autobus presso la sede della C.C.) fossero sempre concordate con l'imputato, dunque non vi fosse alcuna necessità dì autorizzare il meccanico a sostituire un pezzo in una zona nascosta onde non fare scoprire da tali operatori la sostituzione del pezzo.

3. E' pervenuta memoria datata 12 gennaio 2022 delle costituite parti civili OMISSIS.

4. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto dell'art. 16, comma 2, decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, entrato in vigore il 31 dicembre 2021, sono comparse le parti, che hanno assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.





Diritto




1. Giova esaminare, in prima battuta, il secondo motivo di ricorso in quanto inerente alla valutazione della prova. Si tratta di motivo che non può trovare accoglimento.
1.1. Il fatto è stato così ricostruito dal giudice di primo grado: B.C., pensionato di anni 60, era un meccanico che aveva continuato ad avere rapporti con vecchi clienti, tra i quali C.C. e D.A.; quest'ultimo lo consultava quando doveva provvedere alla manutenzione e riparazione degli autocarri Astra BM 40 Iveco; i primi giorni di settembre 2013 l'D.A. aveva chiesto al B.C. di procurargli la raggiera del mozzo del ponte di traino di uno degli autocarri Astra, per cui quest'ultimo si era recato nell'area di proprietà di C.C., dove erano in deposito i bus dismessi della ditta GTT, per rilevare i codici dell'asse posteriore di uno di quei veicoli e verificare la compatibilità del pezzo con l'autocarro Astra; la vittima, dopo aver allentato i bulloni della ruota, aveva sollevato l'autobus con un sollevatore idraulico, aveva estratto la ruota dal mozzo, aveva sistemato in prossimità del sollevatore idraulico di colore blu il supporto di sicurezza rosso per mantenere il mezzo sollevato da terra, aveva poi riposizionato il sollevatore idraulico blu sotto il mozzo ruota per aumentare l'altezza da terra della parte inferiore del telaio dell'autobus e spostato il supporto di sicurezza rosso per leggere la sigla identificativa del pezzo. Le circostanze che nel bagagliaio dell'auto di B.C. fosse stato trovato il pezzo da sostituire e che quel giorno egli indossasse la tuta da lavoro sono state ritenute prova del fatto che l'attività fosse programmata e che l'imputato avesse offerto la sua disponibilità a far recuperare il pezzo di ricambio da uno dei veicoli depositati. Tuttavia, posto che B.C. aveva alzato il veicolo utilizzando attrezzi inidonei in rapporto al peso e all'instabilità del mezzo, sul quale non era in uso il sistema frenante, era rimasto schiacciato dal veicolo.
1.2. La Corte ha ritenuto che l'azione della vittima non fosse stata estemporanea né imprevedibile, che l'imputato fosse a perfetta conoscenza di quanto il meccanico intendesse fare nell'officina e che rivestisse una posizione di garanzia. In particolare, la Corte ha confermato il giudizio espresso dal tribunale circa l'esistenza della prova che l'imputato avesse autorizzato B.C. a recuperare i pezzi di ricambio dei mezzi presenti nell'area di sua proprietà, cosicché si dovesse ritenere l'imputato a conoscenza dell'operazione svolta dalla vittima il giorno dell'incidente. La Corte ha ipotizzato che il meccanico avesse scelto di operare su un mezzo incastonato tra altri due bus, quindi di più difficile accesso, in quanto provvisto del pezzo di ricambio più adatto alle sue esigenze o, semplicemente, in miglior stato di manutenzione, oppure che l'imputato avesse indicato al meccanico un mezzo nascosto da altri autobus al fine di non rendere immediatamente visibile agli operatori di GTT l'eventuale asportazione di un particolare meccanico, non espressamente contemplata nel contratto di deposito. Si è ritenuta non inverosimile la scelta della vittima di utilizzare anche i propri strumenti di lavoro, essendo egli un meccanico esperto che disponeva di propri attrezzi e anche perché, come accertato in giudizio, i sollevatori presenti nel deposito erano inidonei in quanto alimentati da manichette ad aria compressa distanti dal punto in cui era parcheggiato il bus. La Corte ha ribadito che l'imputato avrebbe prestato attenzione al fatto che i pezzi meccanici venissero asportati dei mezzi più nascosti per essere meno visibili agli operatori GTT; in ogni caso, il pezzo che B.C. intendeva asportare sarebbe stato rimpiazzato con altro pezzo consegnatogli dall'D.A., rinvenuto nel vano bagagli della sua autovettura. La Corte ha anche indicato come fosse stata smentita la tesi secondo la quale la mattina dell'infortunio il C.C. avesse un appuntamento con terzi presso il bar della TotalErg e ha ritenuto inverosimile che la vittima si fosse accordata con l'imputato per incontrarsi presso tale bar per provare la vettura Fiat 600 da lui appena acquistata da un cliente del C.C., posto che l'operazione che il B.C. intendeva svolgere quella mattina sul mezzo della GTT non era eseguibile in pochi minuti e che la distanza tra l'officina e l'area di servizio in cui si trovava il bar era così minima da essere inadeguata per la prova di un veicolo appena acquistato. In sostanza, i giudici di merito hanno ritenuto inverosimile che la vittima svolgesse l'intervento sul mezzo all'insaputa dell'imputato che, per stessa ammissione della difesa, lo aveva incontrato quella mattina all'ingresso dell'officina. In assenza di valida prova che il meccanico si fosse recato presso l'officina dell'imputato per ritirare una vettura da lui appena acquistata, la Corte ha richiamato quanto già evidenziato dal giudice di primo grado in merito al fatto che B.C. indossasse la tuta da lavoro, a dimostrazione del fatto che avesse intenzione di compiere un'attività programmata; né la vittima avrebbe avuto alcuna ragione per portare con sé il pezzo meccanico consegnatogli dall'D.A., se avesse avuto intenzione di provare la nuova autovettura. I giudici di appello hanno ritenuto che il figlio della vittima non fosse effettivamente a conoscenza della ragione della presenza del padre presso l'officina di C.C. e che quanto dichiarato dai testi M. e P.E. rispetto al programmato ritiro dell'autovettura non fosse dirimente in quanto B.C., il 25 ottobre 2013, si era recato presso l'officina di C.C. per scaricare i pezzi meccanici e, d'altro canto, il venditore dell'auto M. non era stato in grado di indicare il giorno esatto in cui B.C. si sarebbe recato in officina. La Corte si è poi soffermata sulle dichiarazioni rese da B.F. in diverse riprese, esaminandone il contenuto onde verificarne l'attendibilità, svolgendo sul punto (pag. 20) articolata e non manifestamente illogica motivazione. Su tale punto il ricorso tende ad ottenere una diversa valutazione della prova, inammissibile in fase di legittimità. La valutazione della testimonianza di P.E., fidanzato della figlia della vittima, è stata indicata come attendibile in quanto confermata dal materiale probatorio acquisito in giudizio.

2. A fronte di tale, articolata, ricostruzione delle emergenze probatorie, conforme nelle pronunce di merito, la censura che attiene alla valutazione della prova dichiarativa deve ritenersi inconsistente.
2.1. Non è, in primo luogo, inutile ricordare che la qualifica di persona offesa dal reato spetti a colui che subisce il danno criminale, che si concreta nella lesione del bene giuridico protetto dalla norma, mentre il danneggiato è colui che ha subito il danno civile, patrimoniale o non patrimoniale, e che ha per tale motivo la legittimazione ad esercitare l'azione civile nel processo penale. Mentre la persona offesa gode della tutela di natura pubblicistica correlata all'interesse pubblico alla repressione del reato, il danneggiato è portatore di un interesse privato di cui il pubblico ministero non si fa carico, salva l'eccezionale ipotesi di cui all'art.77, comma 4, cod. proc. pen., ed è pertanto tenuto ad esercitare l'azione secondo le forme della domanda giudiziale civile, rimanendo soggetto ai relativi criteri dell'onere probatorio. Sebbene frequentemente persona offesa e danneggiato coincidano, la distinzione è fondamentale nella diversa ipotesi in cui persona offesa e danneggiato dal reato non coincidano; tale distinzione rileva sul piano dei criteri di valutazione della prova, giacchè, se per principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, a condizione che più rigoroso sia il controllo, opportunamente corroborato dall'indicazione di riscontri nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, al quale sottoporre tali dichiarazioni rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214), a fortiori deve ritenersi soggetto a rigoroso controllo il narrato del danneggiato dal reato costituito parte civile, quale è il congiunto della vittima nel delitto di omicidio, in ragione del precipuo interesse sotteso alla sua partecipazione al processo penale. Tale criterio vale sia in ipotesi nelle quali il danneggiato dal reato di omicidio sia testimone di dichiarazioni rese dalla vittima, sia nel caso in cui renda testimonianza su fatti oggetto di diretta percezione.
2.2. Ma la censura secondo la quale il giudice avrebbe omesso tale rigorosa verifica si scontra frontalmente con il tenore delle due decisioni di merito, fondate essenzialmente su prova dichiarativa resa da soggetti terzi (OMISSIS), su dati oggettivi (la vittima indossava una tuta da lavoro e nel portabagagli della sua autovettura è stato rivenuto un pezzo di ricambio corrispondente a quello che avrebbe voluto prelevare dal deposito degli autobus GTT), nonché sulla prova logica (se avesse avuto solo intenzione di ritirare la Fiat 600 acquistata da un cliente del C.C., Caterina B.C. non si sarebbe recato da solo con la propria autovettura presso la sede della Autotrasporti C.C.). A fronte di tali convergenti emergenze istruttorie, la prova dichiarativa resa dai congiunti della vittima ha trovato conferma, senza assurgere ad elemento dirimente, anche in ragione del fatto che la struttura argomentativa della decisione si è incentrata sulla inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dall'imputato.
2.3. Con riguardo alla deposizione di B.F., va qui ricordato che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione anche qualora le sentenze dei due gradi di merito siano conformi, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez.4, n.35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155; Sez. 5, n.48050 del 2/07/2019, S., Rv. 277758). Ma è anche necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento nell'economia della motivazione (Sez.6, n.36512 del 16/10/2020, Villari, Rv.280117). Tale decisività risulta del tutto obliterata ed è, anzi, smentita in base a quanto già esposto al par.2.2.
2.4. La censura inerente alla valutazione della testimonianza di P.E. tende ad ottenere una diversa valutazione della prova, inammissibile in fase di legittimità.
2.5. Con riguardo all'omessa valutazione delle prove addotte dalla difesa, la censura prospetta alcuni condivisibili rilievi, senza tuttavia indicare con la dovuta specificità l'idoneità delle prove difensive a minare il costrutto logico-giuridico della sentenza.

3. Il secondo motivo di ricorso critica la motivazione della sentenza impugnata per avere desunto la posizione di garanzia dell'imputato da più fonti normative. La difesa sostiene che individuare in maniera non univoca la fonte normativa dell'obbligo di protezione renda impossibile individuare la norma cautelare che si assume violata. Si tratta di assunto condivisibile.
3.1. La Corte territoriale, premesso che soggetto beneficiario della tutela antinfortunistica è anche il terzo estraneo all'organizzazione del lavoro, ha sottolineato che l'imputato era il legale rappresentante della impresa individuale di cui la sede ove si è svolto l'infortunio costituiva una unità, ritenendolo, in quanto tale, tenuto a garantire la sicurezza del luogo per tutti i soggetti che vi si trovassero ad operare, ivi comprese le persone estranee all'ambito imprenditoriale. Ha, quindi, sottolineato l'irrilevanza della circostanza che l'imputato non fosse datore di lavoro né committente, attribuendogli l'esercizio dei tipici poteri previsti dall'art. 299 d. lgs. n.81/2008 per avere autorizzato il meccanico a entrare nell'area di sua proprietà e ad operarvi con strumenti inadeguati. La Corte ha richiamato anche l'art. 2051 cod. civ. per affermare la responsabilità del proprietario dell'immobile locato, ritenendo irrilevante che l'area in cui era parcheggiato il mezzo fosse regolata da contratto di deposito senza custodia curato a favore di GTT in quanto l'imputato, in qualità di proprietario dell'area e di titolare per legge di un potere di controllo finalizzato alla verifica dello stato di conservazione e di sicurezza del medesimo luogo, rivestiva una specifica posizione di garanzia in relazione alla sicurezza degli impianti, dei beni e delle attrezzature ivi presenti, anche per tutti coloro che vi si trovavano ad operare. Peraltro, si legge nella sentenza, la ditta dell'imputato svolgeva anche attività di officina di autoriparazioni meccaniche, di carrozziere, elettrauto, gommista autovetture e veicoli industriali, all'interno vi si svolgeva attività di piccola riparazione ed erano presenti attrezzi vecchi di lavoro, secondo quanto ammesso dallo stesso imputato e dal figlio. In ragione di tale posizione, C.C. avrebbe dovuto mettere a disposizione attrezzature di lavoro conformi alle caratteristiche specifiche dell'attività svolta, anche occasionalmente, all'interno della medesima struttura con l'obbligo di vigilare sulla corretta utilizzazione di tali strumenti di lavoro.
3.2. La prima questione che la censura pone è quella di stabilire quale sia la regola cautelare alla cui violazione sia ascrivibile l'omicidio colposo imputato a C.C.; a monte della regola cautelare, la questione di quale sia la fonte della posizione di garanzia e se la condotta ascrivibile all'imputato sia commissiva ovvero omissiva; a valle, il dubbio se il delitto possa, ritenersi aggravato dalla violazione di norme per la prevenzione degli infortuni, posto che nel capo d'imputazione gli si è attribuita una posizione di garanzia «di fatto» quale amministratore dell'impresa Autotrasporti C.C. con violazione degli artt.2087 cod. pen. e 71 d. lgs. n.81/2008, nella sentenza di primo grado si è evidenziato che B.C. aveva utilizzato attrezzi inidonei in rapporto al peso e all'instabilità del mezzo, sul quale non era in uso il sistema frenante, il giudice di appello ha fondato la posizione di garanzia sull'art.2087 cod. civ. in quanto C.C. «nella sua veste di legale rappresentante della O.I. Autotrasporti C.C....aveva l'obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro per tutti i soggetti che vi si trovavano ad operare» e, al contempo, sull'art. 299 d. lgs. n.81/2008 in quanto «al momento della verificazione dell'infortunio esercitava, nei confronti di B.C., i tipici poteri previsti dall'art.299 d. lgs. n.81/2008 avendo autorizzato B.C. a entrare nell'area di sua proprietà e a operarvi con strumenti inadeguati senza vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza previste dalla legge», nonché sull'art.2051 cod. civ. in quanto «l'area in cui si verificava l'infortunio era di proprietà dell'imputato.....titolare, per legge, di un potere di controllo finalizzato anche alla verifica dello stato di conservazione e di sicurezza del medesimo luogo....una specifica posizione di garanzia in relazione alla sicurezza degli impianti, dei beni e delle attrezzature ivi presenti non solo nei confronti dei propri lavoratori subordinati ma anche nei confronti di tutti coloro che vi si trovavano ad operare», e infine sull'art.71 d. lgs. n.81/2008 nella sua veste di titolare di impresa esercente «anche attività di officina autoriparazioni meccaniche e motoristiche ».
3.3. E' fondato, ad avviso del Collegio, il rilievo difensivo secondo il quale la pluralità di fonti della posizione di garanzia elencate dal giudice di merito non consenta di comprendere in base a quale percorso logico sia stata individuata la regola cautelare violata dall'imputato, non essendo possibile per tale profilo alla Corte di legittimità verificare la correttezza del ragionamento seguito.

4. In molte pronunce della Corte di legittimità è rinvenibile il principio per il quale la responsabilità colposa per reati omissivi impropri presuppone non solo la titolarità di una posizione di garanzia ma anche la violazione di una o più regole cautelari che a quella si coordinano. Si è affermato che «la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso» (Sez. 4, n. 5404 del 08/01/2015, Corso, Rv. 262033; conforme Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv. 264128). Più recentemente, questa Sezione ha ulteriormente chiarito che «la posizione di garanzia non è concetto da solo sufficiente a definire quale comportamento si sarebbe dovuto porre in essere; l'indagine va estesa alle pertinenti regole comportamentali, che si impongono nel caso concreto per la loro riconosciuta efficacia cautelare» (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021 Castaldo, in motiv.).
4.1. Dal concetto di rischio, alla cui concretizzazione deve ricondursi la regola cautelare, la giurisprudenza della Corte dì Cassazione (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261106) ha desunto altri due concetti:
- il concetto di garante come gestore del rischio: l'obbligo di proteggere il lavoratore dai rischi spetta a colui che riveste una determinata qualifica, che ha un determinato ruolo, che deve garantire l'integrità del lavoratore dai rischi che corre nello svolgimento delle sue mansioni;
- il concetto di area di rischio: è garante è colui che ha il potere di gestire un determinato rischio e, d'altro canto, risponde a condizione che l'infortunio possa ricondursi all'area del rischio che quel soggetto ha il potere di gestire.
E, al fine di qualificare il fatto come aggravato dalle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, è necessario che l'infortunio attenga al c.d. rischio lavorativo, dovendo il giudice di merito spiegare senza ambivalenze argomentative per quale ragione si sia pervenuti a tale qualificazione. Come recentemente affermato, «la più recente giurisprudenza in tema di cause interferenti (art. 41 cod. pen.) pone in luce che anche quando si registrano importanti indicatori che farebbero concludere che l'evento è concretizzazione del rischio lavorativo (contesto lavorativo, evento in danno del lavoratore, persino violazione di regola prevenzionistica) può accadere che esso invece sia concretizzazione di altro tipo di rischio, perciò definito «eccentrico» ....è ben possibile che nell'evento si sia concretizzato il rischio lavorativo anche se avvenuto in danno del terzo, ma ciò richiede che questi si sia trovato esposto a tale rischio alla stessa stregua del lavoratore. Per tale motivo, in positivo, vengono richieste condizioni quali la presenza non occasionale sul luogo di lavoro o un contatto più o meno diretto e ravvicinato con la fonte del pericolo; e, in negativo, che non deve aver esplicato i suoi effetti un rischio diverso» (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021 Castaldo, in motiv.).
4.2. La sentenza impugnata affronta anche il tema dell'ambito soggettivo entro il quale si muove la posizione di garanzia del datore di lavoro per eventi infortunistici che si siano avverati nell'ambiente di lavoro; in tal modo sembrerebbe sposare l'impostazione secondo la quale l'infortunio in esame sia da inscrivere nel rischio lavorativo. Viene posta, in altre parole, la questione di quali siano le persone della cui integrità psico-fisica il datore di lavoro sia garante in quanto destinatari della normativa antinfortunistica ai sensi dell'art. l d. lgs. n.81/2008. E vale la pena di ricordare che una prima risposta alla domanda se i creditori di sicurezza siano individuabili attraverso una più o meno estensiva interpretazione della definizione di «lavoratore» ai sensi dell'art.2, comma 1, lett.a) d. lgs. n.81/2008 vada ricercata nel percorso seguito sul tema sia dal legislatore che dalla giurisprudenza. Se è, infatti, vero che la qualifica di lavoratore, creditore della sicurezza sul luogo di lavoro, nella disposizione dettata dall'art.2 d. lgs. 19 settembre 1994, n.626, era imperniata sull'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, è però anche vero che la giurisprudenza di legittimità aveva già evidenziato nella vigenza del d. lgs. n.626/94 (Sez.F, 21 agosto 2007, n. 34995, Nacci, n.m.) che il testo dell'art.2 modificato nel 1996 aveva posto l'accento, ai fini dell'individuazione della figura del datore di lavoro, non tanto sulla titolarità del rapporto di lavoro, quanto sulla responsabilità dell'impresa, sull'esistenza di poteri decisionali, facendo sostanzialmente leva sul parallelismo fra la titolarità di poteri di organizzazione e gestione e il dovere di predisporre le necessarie misure di sicurezza. Tale ordine concettuale è stato poi accentuato dal venir meno, nella definizione di «lavoratore» presente nell'art.2, comma 1, lett.a) d. lgs. n.81/2008, di ogni riferimento al rapporto di subordinazione; la normativa in tema di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è stata, conseguentemente, in più occasioni ritenuta operante in relazione a tutte le forme di lavoro, anche nelle ipotesi in cui non sussistesse un formale rapporto di lavoro (Sez. 4, n. 17581 del 01/04/2010, Montrasio, Rv. 247093), fino ad ampliare l'ambito di esplicazione della posizione di garanzia a favore di terzi che frequentino le strutture aziendali (Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010 , Quaglierini, Rv. 248850).
4.3. E, tuttavia, in altro passo della sentenza, la Corte territoriale sembrerebbe collegare tale rischio all'autorizzazione concessa dal C.C. alla vittima a entrare nell'area di sua proprietà e a operarvi con strumenti inadeguati. Ma la premessa imprescindibile di tale argomentazione è che, una volta che con le proprie condotte il datore di lavoro abbia determinato l'insorgenza di una fonte di pericolo, la posizione di garanzia si mantiene non solo per i danni che possono essere provocati ai propri dipendenti, ma anche ai terzi che frequentano le strutture aziendali. In proposito si richiama la giurisprudenza della Corte di legittimità laddove è stata riconosciuta la sussistenza della posizione di garanzia del datore di lavoro, che aveva omesso di adottare le misure di sicurezza necessarie previste dalla legge, per la morte della moglie di un lavoratore, addetto ad operazioni comportanti esposizioni ad amianto, che aveva provveduto alla pulizia degli indumenti del marito (Sez. 4, n. 27975 del 15/05/2003, Eva, Rv. 226011). Se il presupposto del ragionamento è questo, l'iter decisionale dovrebbe però anche affrontare il tema dall'identificazione del creditore di sicurezza in rapporto alla regola cautelare che si assume violata. Vi sono, infatti, alcune disposizioni antinfortunistiche che sono poste a presidio della sicurezza nell'ambiente di lavoro, ma presuppongono necessariamente l'esistenza di un rapporto di lavoro, come ad esempio le disposizioni concernenti l'informazione e la formazione dei lavoratori (artt.36-37 d. lgs. n.81/2008); in simili ipotesi, l'accertamento della qualificazione della persona offesa quale lavoratore in senso stretto, sia pure in difetto di un formale contratto di assunzione, diventa imprescindibile.

5. Letta alla luce dei princìpi sopra espressi, la sentenza impugnata risulta incorrere in manifesta illogicità allorquando, da un verso, conferma che al C.C. deve essere attribuita la qualità di «datore di lavoro di fatto» in relazione all'obbligo di garantire la sicurezza dell'area in cui si è svolto l'infortunio; poi collega l'esercizio dei tipici poteri di fatto previsti dall'art.299 d. lgs. n.81/2008 all'autorizzazione concessa al B.C. a entrare nell'area di sua proprietà e a operarvi con strumenti inadeguati; quindi, richiamando l'art.2051 cod. civ., fonda la posizione di garanzia dell'imputato su norma del tutto estranea alla materia antinfortunistica, affermando che egli aveva l'obbligo di garantire la sicurezza del luogo di cui è proprietario; pervenendo, infine, ad ascrivergli la violazione della specifica norma cautelare violata nell'art.71 d. lgs. n.81/2008, che non attiene alla conformazione del luogo di lavoro ma all'utilizzo di attrezzatura inidonea.

6. Tali sono le ragioni per le quali, non consentendo la motivazione di verificare la correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito, la sentenza deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Torino, altra sezione, per nuovo giudizio. Sarà il giudice del rinvio a provvedere alla regolamentazione delle spese tra le parti private.



P.Q.M.



Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Torino, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Così deciso il 18 gennaio 2022


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