Cassazione Penale, Sez. 1, 24 gennaio 2022, n. 2547 - Gravi violazioni in cantiere. Contravvenzioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e delitto di rimozione od omissione dolosa di cautela contro gli infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.)

2022

Fatto



1. Con ordinanza del 18 marzo 2021, il Tribunale del riesame di Potenza ha annullato, in accoglimento dell'appello proposto dall'indagato ex art. 310 cod. proc. pen., la misura cautelare del divieto di esercitare, per la durata di sei mesi, determinate funzioni all'interno di entità imprenditoriali, applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lagonegro nei confronti di B.P., sottoposto ad indagini preliminari per il reato sanzionato dall'art. 437 cod. pen..

2. B.P., legale rappresentante della Euroedil Costruzioni s.r.l., è stato, in tale qualità, incaricato da tale A.M. dell'esecuzione di lavori di smantellamento del tetto spiovente, composto da una struttura in legno e copertura in tegole, di un fabbricato, sito nella Piazza Sant'Anna di Lagonegro, nel quale insiste l'esercizio commerciale «Lanificio A.M. Bistrot».
A seguito di un controllo di polizia eseguito il 9 ottobre 2019, sono state accertate, sul cantiere, gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, consistenti nell'assenza diffusa di protezioni contro il rischio di caduta dall'alto, nell'utilizzo di una scala portatile non conforme, nella presenza di aperture e vuoti nei solai, nell'assenza di recinzione di cantiere e nell'incompletezza del Piano Operativo di Sicurezza.
Il Tribunale del riesame, andando in contrario avviso rispetto al Giudice per le indagini preliminari, ha escluso che tali condotte integrino, oltre alle contravvenzioni previste dalla normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, il delitto di rimozione od omissione dolosa di cautela contro gli infortuni sul lavoro.
Al riguardo, ha ritenuto che B.P., tramite i descritti comportamenti illeciti, abbia messo in pericolo l'integrità fisica di uno o, al più, due lavoratori e non anche - come richiesto dall'art. 437 cod. pen., nell'interpretazione che ne fornisce la giurisprudenza di legittimità - di una vera e propria collettività lavorativa, intesa quale numero di lavoratori (o di persone gravitanti attorno all'ambiente di lavoro) sufficiente a realizzare una condizione di indeterminata estensione del pericolo.
Ha, in proposito, segnalato che in quel cantiere non prestavano servizio altri dipendenti oltre a B.N., presente all'atto del controllo, e ad A.S., che vi aveva lavorato il giorno precedente, ed osservato che non assume rilievo, in senso contrario, il fatto che B.P., dopo il sequestro dell'area, abbia destinato alla messa in sicurezza un più consistente numero di operai, condotta determinata dall'interesse ad adempiere rapidamente all'onere, propedeutico alla revoca del blocco ed alla ripresa dei lavori.

Il Tribunale del riesame ha, ancora, stimato, con riferimento all'assunto, rappresentato da pubblico ministero e Giudice per le indagini preliminari, secondo cui nello stabile in cui era ubicata l'area di lavoro insisteva anche un'attività commerciale, che l'omessa specificazione del luogo di accesso all'esercizio, l'assenza di informazioni in ordine alla sua apertura al pubblico in concomitanza con le restrizioni dovuta all'emergenza pandemica e l'omessa indicazione di se e come eventuali utenti potessero, in astratto, trovarsi all'interno dell'ambiente di lavoro ostino alla valorizzazione di tale circostanza in funzione dimostrativa della sussistenza del delitto ipotizzato.

3. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lagonegro propone ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Addebita al Tribunale del riesame di avere ridotto il thema decidendum al profilo materiale della condotta delittuosa in contestazione senza offrire, al riguardo, un appagante percorso argomentativo e di avere, per di più, disatteso la lezione ermeneutica proveniente dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al decisivo requisito della diffusività del pericolo ed alla concreta possibilità che il reato venga configurato anche quando la platea interessata non oltrepassa la sfera dei dipendenti di un piccolo insediamento produttivo, in tal modo indebitamente propendendo per un approccio di tipo meramente quantitativo.
Eccepisce, ulteriormente, che il Tribunale del riesame ha sottovalutato la portata della condotta illecita, peraltro espressione di una vera e propria politica di impresa, per come confermato dal pregresso coinvolgimento di B.P. in analoghe vicende, ed ha arbitrariamente orientato la decisione al requisito dimensionale, per di più trascurando che i lavori in itinere concernevano un immobile di grande estensione, ubicato nel centro storico di Lagonegro, sì da rendere tangibile l'estensione del pericolo a terzi.



Diritto



1. Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.

2. L'art. 437 cod. pen., rubricato «Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro», prevede, al primo comma, che «Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni» ed a quello successivo che «Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni».

La giurisprudenza di legittimità, chiamata ad enucleare le condizioni al cui cospetto è possibile configurare il delitto de quo agitur, ha affermato che «Ai fini della configurabilità dell'ipotesi delittuosa descritta dall'art. 437 cod. pen., è necessario che l'omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l'inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l'attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all'ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo» (Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, Prunas, Rv. 276164; Sez. 1, n. 18168 del 20/01/2016, Antonini, Rv. 266881; Sez. 1, n. 6393 del 02/12/2005, dep. 2006, Strazzarino, Rv. 233826).
Tale indirizzo, che assegna centrale rilevanza al carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro, deve essere preferito - in ossequio, peraltro, alla prospettiva delineata nell'ordinanza impugnata - a quello, che pure ha trovato eco, ancora in tempi non remoti, presso la Corte di cassazione, che riconosce penale rilevanza anche alle condotte che, attraverso la violazione della normativa prevenzionale, abbiano messo a repentaglio l'incolumità di un singolo lavoratore (Sez. 4, n. 57673 del 24/11/2017, Fenotti, Rv. 271693; Sez. 1, n. 12464 del 21/02/2007, L'Episcopo, Rv. 236431).
Tanto, in ragione, tra l'altro, della dichiarata finalità cautelare ed alla collocazione sistematica della disposizione, la cui interpretazione deve essere parametrata all'astratta attitudine della condotta illecita a provocare l'esposizione a pericolo della pubblica incolumità e ad amplificare, per tale via, il rischio, non più circoscritto ad uno o più soggetti e diretto, invero, nei confronti di un'intera, ancorché, se del caso, numericamente contenuta, comunità di lavoratori.
L'indagine demandata all'ermeneuta deve essere, dunque, svolta sul piano della potenziale offensività del comportamento irrispettoso della normativa prevenzionale - in chiave, essenzialmente, di sua attitudine ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell'ambiente lavorativo - piuttosto che su quello della individuazione della platea dei soggetti materialmente coinvolti.

3. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame lucano non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto testé enunciato, perché ha escluso che il contegno dell'indagato abbia assunto il prescritto carattere di diffusività sulla scorta di elementi di fatto rappresentati e valutati in modo incompleto e, in parte, incongruo.
Ha, in particolare assegnato precipua rilevanza al riscontrato coinvolgimento, nelle opere di ristrutturazione del tetto del fabbricato di piazza Sant'Anna, di due soli lavoratori ed escluso che altri soggetti - dipendenti dell'impresa gestita da B.P. ovvero persone che, per altre ragioni, avessero avuto occasione di transitare nei pressi del cantiere - potessero restare esposti ai rischi derivanti dalla trasgressione alla normativa antinfortunistica.
Così facendo, ha trascurato, per un verso, la gravità delle riscontrate carenze, talune delle quali suscettibili di arrecare pregiudizio anche a soggetti estranei all'impresa appaltatrice.
È questo il caso, ad esempio, della scala metallica utilizzata per l'accesso al piano sottotetto, che, per la mancanza di fissaggi e di dispositivi antiscivolo, avrebbe potuto essere rovesciata all'indietro con una lieve spinta della mano, ovvero dell'assenza di parapetti, che avrebbe potuto agevolare la caduta di materiali, oggetti e persone o, ancora, dell'assenza di recinzione, tale da consentire a chiunque l'accesso al cantiere nel quale si svolgeva attività obiettivamente pericolosa.
La diffusione del pericolo nei confronti di un numero indeterminato di persone risulta, per altro verso, più concreta a cagione dell'insistenza, nella stessa struttura, di un locale aperto al pubblico, una palestra, e dell'ubicazione del fabbricato nel centro storico di Lagonegro, zona, deve logicamente presumersi, interessata da un intenso afflusso di persone.
Nella stessa direzione militano, ancora, la consistenza, tutt'altro che minimale, delle opere appaltate e la gravità ed estensione delle violazioni - anche (cfr. l'ordinanza applicativa della misura interdittiva, pagg. 7-8) in termini di omessa valutazione del rischio elettrico e carente informazione e formazione dei lavoratori occupati in cantiere - per porre rimedio alle quali furono impartite prescrizioni severe e radicali.
All'interno di tale cornice fattuale, l'attribuzione di portata decisiva, nel contesto di una delibazione orientata al riscontro di gravi indizi di colpevolezza, al numero degli operai che, il giorno dell'accesso ispettivo e quello precedente, hanno curato l'esecuzione delle opere si pone in contrasto con la sopra richiamata esegesi dell'istituto, che impone un vaglio globale ed unitario, che tenga conto di tutte le evidenze disponibili, ivi compresa la complessiva entità della forza lavoro della quale l'impresa poteva disporre ben superiore - deve ragionevolmente inferirsi, atteso l'impegno successivamente profuso, secondo quanto esposto dallo stesso Tribunale del riesame, per riportare la legalità nel cantiere ed ottenerne, nel più breve tempo possibile, il dissequestro - a quella indicata dal Tribunale del riesame.
Né, va aggiunto con riferimento alla palestra posta al primo piano dello stabile (cfr. ordinanza applicativa della misura interdittiva, pag. 8), può assegnarsi significativa rilevanza alla contingente chiusura determinata dall'emergenza pandemica, condizione eccezionale e transeunte, ovvero alla precisa individuazione del punto di accesso a quel locale ed al tragitto da compiere per entrare all'interno del cantiere, circostanze che non interferiscono con la questione di centrale importanza, che attiene alla conclamata possibilità che un numero imprecisato, e potenzialmente elevato, di terzi, quali il personale e gli utenti di una struttura sportiva sita nel centro di una cittadina come Lagonegro, restasse esposto al pericolo derivante dall'omissione di fondamentali presidi di sicurezza, tra cui la recinzione dell'area, la collocazione di parapetti, il fissaggio della scala.
Alla luce delle superiori considerazioni, deve conclusivamente ritenersi l'illegittimità dell'ordinanza impugnata, che va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Potenza in vista di un nuovo giudizio che, libero nell'esito, sia emendato dai vizi sopra ravvisati.



P.Q.M.




Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Potenza competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen..
Così deciso il 30/09/2021.


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