Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2022, n. 3293 - Caduta del carico di arance sul passante. Responsabili dell'evento letale sia il datore di lavoro che il preposto di fatto
Fatto
1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti, R.G. e M.F., con sentenza del 4/11/2020 confermava la sentenza emessa in data 14/6/2019 dal Tribunale di Pavia che li aveva condannati, con le circostanze attenuanti generiche prevalenti alla contestata aggravante, alla pena di mesi nove di reclusione ciascuno, con sospensione condizionale della pena, subordinata al pagamento della provvisionale entro 90 giorni, con condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separata sede, per i reati di cui agli artt. 110, 589 cod. pen., per avere, il R.G. in qualità di titolare della ditta "Sicildolcezze di R.G.", sito in OMISSIS, e il M.F. quale conducente utilizzato all'atto dell'incidente, cagionato la morte di V.I.. Colpa consistita in imperizia, imprudenza, negligenza e inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e in particolare per non avere previsto e adottato idonee misure di sicurezza necessarie per lo scarico del bancale di arance, che veniva effettuato mediante carrello elevatore marca Lifter modello TM condotto da M.F., cosicché, durante le operazioni di scarico, dopo aver infilato le forche del muletto negli appositi spazi del bancale, nel momento in cui effettuava manovra di sollevamento e arretramento del carrello, il carico si inclinava su di un lato, provocando la caduta dello stesso a ridosso del V.I., che al momento si era posizionato nelle vicinanze, riportando così lesioni personali gravissime e successivo decesso. Con l'aggravante di aver commesso il fatto con violazione delle norme antiinfortunistiche. In Vigevano (PV) in data 21/3/2011 (decesso avvenuto l'8/2/2012).
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, ciascuno a mezzo del proprio difensore di fiducia, R.G. e M.F., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
• R.G. deduce con un unico motivo violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all'art. 589 cod. pen. assumendo che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con il proposto motivo di appello relativo alla sussistenza dei presidi di tutela per le operazioni di scarico da parte della Sicildolcezze, presso il punto vendita.
Viene riportato il passaggio in cui i giudici di appello sostengono la mancanza di delimitazione dell'area di scarico e di divieto di avvicinamento alla stessa, per evidenziare l'incomprensibilità di tale conclusione, che sarebbe priva di motivazione e non suffragata da alcun elemento.
Inoltre, non si indicherebbe la norma che imporrebbe la presenza di delimitazioni per lo scarico di merce in un negozio di ortofrutta al dettaglio.
Si rileva che il tribunale aveva erroneamente parlato di transenne e operatività delle norme sui cantieri mobili, mentre la Corte distrettuale ha superato tale affermazione, non applicabile ai negozi al dettaglio, senza indicare però quale norma preveda le corrette operazioni di scarico della merce e come le stesse debbano eseguirsi in sicurezza, identificando, quindi, quale sia la violazione commessa dagli imputati.
Si sottolinea, tra l'altro, che gli ispettori del lavoro intervenuti hanno affermato la corretta manutenzione del muletto e la correttezza delle operazioni di scarico merci nelle attività commerciali poste sulla pubblica via.
La sentenza impugnata nulla dice - ci si duole- sulla circostanza, chiarita nei motivi di appello e documentalmente dimostrata, circa la sussistenza di delimitazione per lo scarico autorizzata dal comune.
In occasione del sinistro, mentre il M.F. scaricava i bancali di arance dal camion fermo sulle strisce gialle, nella pubblica via, segnalate da un cartello, il V.I. usciva dal negozio e si poneva sotto il carico.
Dal verbale redatto dal funzionario dell'ASL intervenuto nell'immediatezza dell'evento non sarebbero emerse irregolarità, mentre è stata accertata l'idoneità del muletto utilizzato e delle forche del muletto con le dimensioni del bancale di cassette di arance. Lo stesso verbale, oltre a dare atto che non venivano ravvisati profili di colpa, ha certificato il corretto utilizzo dell'attrezzatura e il rispetto del rapporto tra il carico massimo e l'altezza da terra delle casse.
Agli atti -prosegue il ricorso- è stata acquisita documentazione fotografica attestante la posizione del camion nell'area di scarico, segnalata con cartello verticale.
Tutte queste circostanze, evidenziate nell'atto di appello, ad avviso del ricorrente non sarebbero state valutate dalla Corte milanese, che si sarebbe limitata ad affermare l'avvenuta violazione delle norme sullo scarico della merce senza alcun riferimento normativo, ma con un generico richiamo al testo unico in materia antinfortunistica.
La sentenza impugnata - ci si duole- richiama il dato errato dell'altezza di 25 cm di ciascuna cassetta, affermato dal giudice di primo grado, per cui sarebbe stata superata la misura massima consentita e il muletto sarebbe stato sovraccaricato, ma si obietta che la misura standard delle cassette di frutta è di 8 cm di altezza. Il dato indicato dai giudici, pertanto, non corrisponderebbe alla realtà accertata dagli ispettori del lavoro.
Sostanzialmente, conclude il ricorrente l'impugnata sentenza, oltre a contraddire le emergenze processuali accertate dall'autorità competente, non chiarirebbe quali misure siano state violate e da quali norme siano previste.
Si contesta la sussistenza del nesso causale tra le presunte violazioni e l'infortunio, essendo stato il muletto utilizzato secondo le prescrizioni previste dal manuale d'uso nell'ambito di un'area di scarico delimitata e segnalata.
Il R.G. ritiene che la vittima abbia compiuto un gesto sconsiderato, entrando arbitrariamente nell'area delimitata per lo scarico, richiamando la sentenza di questa sezione n. 23147 del 17/4/2012 sull'interruzione del nesso causale per l'eccezionalità della condotta.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione.
• M.F. deduce con un primo motivo nullità assoluta della sentenza impugnata ex art. 178 lettera b) in relazione agli artt. 408 e 415 bis co. 1 cod. proc. pen.
Si ripropone l'eccezione rigettata dalla corte di appello, evidenziando ancora una volta come il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vigevano, titolare dell'indagine, richiedeva in data 14/10/2011, prima della morte della persona offesa, l'archiviazione del procedimento, ma il G.I.P., con evidente violazione delle norme procedurali, non provvedeva ad emettere il decreto di archiviazione, e nemmeno fissava l'udienza in camera di consiglio nel termine di tre mesi, come pure previsto dalla legge.
Tuttavia -prosegue il ricorrente- il P.M., a distanza di due anni, nel frattempo essendo morta la persona offesa, aveva ritenuto di esercitare l'azione penale in relazione a quella stessa notizia di reato, per la quale aveva chiesto due anni prima l'archiviazione, senza che fossero intervenuti fatti nuovi giustificativi dell'emanazione dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 cod. proc. pen.
Ritine il M.F. che il P.M. nell'avanzare la richiesta di archiviazione, sia stato privato dell'esercizio dell'azione penale e, di conseguenza, l'avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. sia un atto abnorme, affetto da nullità insanabile.
Si richiama sul punto la decisione delle Sezioni Unite n.33885/2010.
Con un secondo motivo si deduce violazione degli artt. 192 e 530 cod. proc.pen.
Si contesta la non corretta applicazione dell'art. 192 cod. proc. pen., che avrebbe determinato la pronuncia di sentenza di assoluzione.
Si richiama il principio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio e si sottolinea la contraddittorietà degli indizi posti a carico dell'imputato che avrebbero dovuto determinarne l'assoluzione non sussistendo la prova del reato contestato.
Si contesta l'erronea valutazione di importantissimi elementi probatori rappresentati dagli accertamenti compiuti dall'ASL e dalle dichiarazioni rese da M.F., dal teste C. e dal teste G.A..
In particolare, si pone l'accento sul fatto che gli accertamenti svolti dalla Polizia non avrebbero evidenziato alcun profilo di colpa a carico del M.F., in quanto le operazioni di scarico delle arance venivano effettuate correttamente e con mezzi idonei.
Si evidenzia che il V.I. era solito recarsi, con il compiacimento del titolare dell'attività, presso l'esercizio commerciale Sicildolcezze per aiutare, pur senza essere regolarmente assunto, il lavoratore M.F. nello svolgimento delle proprie mansioni.
Viene ricostruita la dinamica dell'evento per evidenziare che il V.I., nonostante fosse stato invitato più volte ad allontanarsi dal M.F., interveniva per sorreggere le casse di arance inclinatesi e veniva investito dalla caduta delle stesse.
Si sottolinea l'assenza di qualsiasi violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, da parte del M.F., con esclusione di qualsiasi responsabilità, anche a titolo di colpa.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata
3. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto dell'art. 16 co. 2 del D.L. 30/12/2021 n. 228 in vigore dal 31/12/2021, è comparso il solo Procuratore generale che ha assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
2. Ed invero, quanto al motivo di natura processuale, con cui il M.F. la menta la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 178, lett. b, in relazione agli artt. 408 e 415 bis cod. proc. pen., assumendosi, in particolare che l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero sarebbe avvenuta dopo la richiesta di archiviazione senza chiedere la riapertura delle indagini, ai sensi dell'art. 414 c.p.p., così rendendo tutti gli atti, a partire dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari, inutilizzabili, lo stesso è inammissibile.
La Corte d'appello, infatti (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata) pronunciando sull'eccezione difensiva e riconoscendo l'esistenza di un'iniziale richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero prima del decesso della persona offesa, ha però anche confermato che non vi era stato alcun provvedimento da parte del G.I.P. sulla stessa e quindi il PM non era stato privato dell'esercizio dell'azione penale ed il successivo avviso ex art. 415 cod. proc. pen. non poteva, dunque, considerarsi, né abnorme, né affetto da nullità insanabile.
Per la Corte milanese si era di fronte ad un'implicita rinuncia alla precedente richiesta di archiviazione ed in tal senso la sentenza impugnata richiama il prece dente di legittimità costituito da Sez. 6, n. 11379 del 29/01/2018, Rv. 272638, laddove si afferma che "il PM può revocare la richiesta di archiviazione, in maniera espressa o tacita, purché univoca, fino a quando il Giudice non si sia pronunciato sulla stessa e le conformi sentenze n. 26872/2006, Rv. 234812 e 18774/2007, Rv. 236405).
Ebbene, il ricorso del M.F. è inammissibile sul punto perché non si misura con tali considerazioni e reitera la censura richiamando giurisprudenza di legittimità sulla necessità della riapertura delle indagini senza contestare l'affermazione della sentenza sulla mancanza del provvedimento del GIP, presupposto indispensabile per sollecitare la sequenza imposta dall'art. 414 cod. proc. pen.
3. Passando alle censure afferenti alla ricostruzione del fatto e all'affermazione di responsabilità dei due odierni ricorrenti, in particolare quanto al secondo motivo proposto dal M.F. e alla denunciata violazione dell'art 192 cod. proc. pen. va ricordato, che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, cui il Collegio aderisce, la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606, co. 1, lett. c) cod. proc. pen., per cui non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata (così questa Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191- 01; in conformità v., già in precedenza, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294-01; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta, Rv. 195306-01; più recentemente, v. Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni s.p.a., Rv. 278196)
Quanto al secondo motivo di ricorso del M.F. ed a quello proposto dal R.G., non solo non pare sussistente alcuna violazione di legge, ma appaiono manifestamente infondate anche i dedotti vizi motivazionali.
In fatto, incontestata la riconducibilità causale dell'evento letale al ribaltamento della merce caricata sul carrello elevatore che stava manovrando l'imputato M.F., la Corte territoriale ha richiamato l'iter argomentativo del primo giudice in punto di sussistenza di normativa antinfortunistica da osservare e sulla violazione della stessa da parte di entrambi gli imputati.
In ogni caso, va evidenziato che l'imputazione pone a carico degli odierni imputati dei profili, oltre che di colpa specifica, anche di colpa generica.
Ebbene, in relazione al motivo di ricorso proposto da R.G., la Corte di Appello di Milano ha correttamente e logicamente evidenziato la naturale prevedibilità dell'evento caduta rispetto ad un lavoro da eseguirsi in elevazione con lo spostamento di un carico di notevole dimensione.
Il caso che ci occupa riguarda un incidente che ha coinvolto un soggetto terzo presente nell'attività commerciale e, come hanno correttamente evidenziato nella loro doppia conforme sentenza di condanna i giudici di merito, è certamente responsabilità degli odierni imputati impedire che durante le operazioni altri soggetti potessero intervenire nell'area di scarico e nelle operazioni stesse.
In particolare, evidentemente imprudente e negligente appare il comportamento del M.F., che durante l'esecuzione delle operazioni di scarico doveva accertarsi dell'assenza di persone nell'area di scarico e non consentire al V.I. di essere presente nell'area di manovra.
4. Con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto - e che, pertanto, si sottrae alle proposte censure di legittimità- i giudici di merito hanno ritenuto che anche l'uso del carrello elevatore e lo scarico di merci, da operarsi all'esterno dell'esercizio commerciale, andasse effettuato nel rispetto delle regole cautelari prevista dal d.lgs 81/08, diretto alla tutela non solo dei lavoratori ma anche di tutti coloro che possono entrate nello spazio di manovra.
Sulla base non di calcoli incomprensibili, come assume la difesa di R.G. ma delle indicazioni desumibili dagli atti e, segnatamente, dalle dichiarazioni dell'imputato M.F., nella sentenza di primo grado viene smentito il contenuto, invero estremamente generico della relazione della ASL di competenza, e rilevato il superamento del limite di carico consentito dal manuale delle istruzioni del carrello condotto dal M.F., in violazione, dunque, delle prescrizioni previste dall'AII. V del citato testo unico.
Secondo la concorde valutazione dei giudici di merito neppure erano stabilite, né sono state, comunque, adottate le necessarie cautele per compiere la manovra in modo da evitare l'avvicinamento di terzi, intendendosi per tali quelle di natura antinfortunistica e non quelle previste dal codice della strada evocate dal R.G. (cartello e strisce gialle), circostanze di fatto contestate nell'editto accusatorio, il cui epilogo decisorio era del tutto prevedibile e su cui la difesa ha potuto esercitare la dialettica processuale.
Nelle sentenze di merito, unitariamente considerate, viene stigmatizzata la mancanza di indicazioni sull'attività in corso, pericolosa, di delimitazione dell'area di manovra nonostante il possibile transito di passanti, di avventori dell'esercizio commerciale, la consapevole presenza della vittima di cui pure è stato rilevato il contributo colposo nella misura del 30 per cento, tutte misure non sostituibili con il mero intempestivo avvertimento orale di M.F. (pur nelle diverse versioni rese) al V.I. di allontanarsi da uno spazio che, dapprima, avrebbe dovuto essere segnalato e a cui non avrebbe dovuto e potuto avvicinarsi.
Il riconoscimento della circostanza aggravante della violazione di norme antinfortunistiche esula, del resto, come puntualmente osservato dai giudici, dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, atteso che le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa.
5. Quanto alle posizioni di garanzia, i ricorrenti non contestano il ruolo di datore di lavoro di R.G. e di preposto di fatto di M.F..
Incensurabile, quindi, appare il ragionamento dei giudici del gravame del merito, che, come quello di primo grado, attribuiscono la responsabilità dell'evento letale ad entrambi, poiché entrambi gestori del rischio poi concretizzatosi, il primo per l'assenza di qualsiasi previsione astratta sulla modalità delle operazioni di scarico merci in sicurezza, il secondo per non avere osservato alcuna cautela nella concreta manovra; peraltro, tutti e due ben consapevoli non solo della frequentazione assidua della vittima nell'esercizio commerciale (che, secondo quanto emerso in istruttoria, era solito dare un aiuto in cambio di frutta e verdura), ma della possibile intersecazione di tale manovra con soggetti terzi, dovendosi operare nello spazio esterno all'esercizio medesimo.
Immune da aporie logiche ed esente da errori di diritto appare, infine, la sentenza impugnata laddove esclude la natura abnorme della condotta posta in essere dalla vittima, pur ritenuta imprudente e inserita nella sequenza causale, attesa l'assenza di qualsiasi prescrizione da parte degli imputati, funzionale ad evitare il pericolo di eventi quale quello verificatosi.
6. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2022