Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2021, n. 46167 - Infortunio con il coltello da kebab: rimozione della protezione e mancanza di formazione
Fatto
1. La Corte d'appello di Firenze, in data 23 aprile 2021, ha confermato la sentenza con la quale, in data 8 novembre 2019, il Tribunale fiorentino aveva condannato Q.M. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di lesioni personali colpose, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di M.A., suo dipendente all'interno della ditta K. Kebab Rosticceria s.n.c., di cui il Q.M. era titolare.
L'episodio per cui é processo, avvenuto il 14 aprile 2014, si verificava allorché l'M.A. eseguiva l'operazione di pulizia ed affilatura della lama per il kebab, operazione durante la quale si produceva una grave lesione al quinto dito della mano destra, che veniva quasi completamente reciso dalla lama circolare che il lavoratore stava affilando. L'operazione veniva compiuta, secondo l'accusa, senza tenere conto delle istruzioni del manuale a corredo della macchina: ossia, in particolare, azionando il coltello elettrico, senza l'utilizzo di guanti antitaglio, utilizzando una mola (un piccolo pezzo di pietra abrasiva) diversa da quella che corredava l'attrezzo, rimuovendo indebitamente la protezione inferiore della lama. Al Q.M. si addebita, nella sua qualità di datore di lavoro e garante della sicurezza dei lavoratori, di non avere valutato il rischio nel DVR, di non avere istruito i dipendenti sulle modalità corrette di esecuzione dell'operazione di affilatura, di non avere fornito loro il libretto di istruzioni del coltello, ciò che aveva tra l'altro causato l'esecuzione della manovra a seguito della rimozione della protezione di sicurezza a corredo del coltello. L'assunto accusatorio é stato ritenuto confermato dall'istruzione dibattimentale e la Corte di merito ha ritenuto che le censure dedotte dall'imputato appellante non fossero fondate.
2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorre il Q.M., con atto articolato in un unico, ampio motivo.
In esso il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, anche con travisamento della prova: l'esponente, in particolare, contesta che il dipendente non fosse stato istruito in ordine all'esecuzione della manovra di affilatura, laddove, sotto altro profilo, é lo stesso M.A. a dichiarare che la manovra corretta veniva in realtà utilizzata, ma solo in occasione di operazioni rapide ed estemporanee: é evidente, secondo il deducente, che, se il lavoratore non fosse stato addestrato all'esecuzione di detta manovra, egli non avrebbe saputo eseguirla neppure nelle operazioni di affilatura più veloci. Nel ricorso si contesta altresì che il Q.M. non avesse posto a disposizione dei dipendenti il manuale di istruzioni, manuale che invece ( come dichiarato dal teste Ijiaz) era presente unitamente alla confezione della lama, la quale conteneva anche una specifica mola per l'operazione di affilatura del coltello. Inoltre, prosegue l'esponente, non risponde a verità che l'imputato non avesse curato la formazione dei dipendenti (tra cui l'M.A.), i quali invece avevano seguito due corsi (uno dei quali era il corso HACCP) ed erano stati addestrati all'impiego della mola originale. Che i dipendenti fossero stati regolarmente formati sull'uso corretto dell'attrezzo risulta da alcune deposizioni testimoniali (anche richieste dal P.M.), che depongono nel senso della corretta istruzione dei dipendenti da parte del Q.M.; la Corte di merito non ha poi tenuto conto delle dichiarazioni del teste G. (ispettore ASL), secondo il quale per il corretto utilizzo della macchina non era necessario l'impiego di guanti e l'unico modo per istruire il personale sull'uso della macchina era quello di mostrare come si eseguono le operazioni. Del resto, prosegue l'esponente, l'ASL non emise alcuna prescrizione nei confronti del datore di lavoro. Conclusivamente, il ricorrente evidenzia che i giudici dell'appello hanno in più passaggi travisato le prove assunte e che il comportamento del lavoratore doveva essere qualificato come abnorme.
3. Nella sua requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso é infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza.
Pur a fronte delle contestazioni del ricorrente, é dato constatare che l'impiego concreto del coltello da kebab da parte dei dipendenti dell'esercizio, anche alla luce degli stralci di testimonianza inseriti nell'atto di ricorso, deponeva per un'istruzione certamente lacunosa sulle corrette modalità d'uso dello strumento, che veniva impiegato in molti casi - e certamente anche in occasione dell'infortunio per cui é processo - secondo modalità pericolose.
Non rileva, infatti, che l'esecuzione dell'affilatura senza procedere alla rimozione della protezione di sicurezza fosse nota ai lavoratori (come intende dimostrare il ricorrente, onde provare la contraddittorietà della tesi d'accusa, ricavando la circostanza dalla distinzione descritta dai testimoni fra le operazioni di affilatura rapida e le altre operazioni di affilatura), occorrendo constatare che essi in realtà rimuovevano comunque tale protezione nelle operazioni più accurate e meno estemporanee. Che tale condotta fosse difforme rispetto alle corrette azioni di affilatura dello strumento si ricava dalle dichiarazioni del teste G., ispettore dell'ASL, secondo il quale la rimozione della protezione del coltello non era necessaria per l'esecuzione dell'operazione, essendo all'uopo sufficiente il parziale sollevamento e l'inserimento della mola.
E' chiaro che la funzione della protezione era anche quella di effettuare in sicurezza le operazioni di manutenzione dell'apparecchio, di tal che le circostanze riferite dai lavoratori e riportate nel ricorso non inficiano, ed anzi confermano, il quadro accusatorio sotto questo specifico profilo.
Del resto, anche il riferimento generico del ricorrente alla frequentazione di due corsi da parte dei dipendenti del Q.M. (uno dei quali era il corso HACCP) non fornisce prova dell'adeguata istruzione del personale dell'esercizio circa le corrette operazioni di manutenzione del macchinario.
Certamente a tali lacune formative non ha supplito la circostanza, asserita da alcuni testi, secondo la quale il manuale di istruzioni sarebbe stato presente presso il negozio: compito del datore di lavoro ai fini della prevenzione degli infortuni é, infatti, anche quello di informare comunque i lavoratori che operano sul macchinario istruendoli sulle modalità del suo utilizzo e sulle prescrizioni del manuale di funzionamento (cfr. Sez. F, Sentenza n. 45719 del 27/08/2019, Moratelli, Rv. 277306).
A fronte di ciò, risulta incontestato che il Q.M. non effettuò alcuna valutazione del rischio specifico sul DVR; di tal che la carente formazione del personale sul modo di fronteggiare i rischi derivanti dalle operazioni di affilatura assume rilievo ai fini della sua responsabilità, atteso che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all'omessa previsione anticipata (Sez. 4, Sentenza n. 4075 del 13/01/2021, Rv. 280389).
Deve, di contro, escludersi che l'M.A. abbia riportato le lesioni di cui in rubrica a causa di un suo comportamento qualificabile come abnorme, atteso che egli stava eseguendo, nell'occorso, mansioni proprie della sua attività lavorativa, secondo modalità certamente scorrette ma imputabili alle anzidette carenze formative. Si rammenta, del resto, che può parlarsi di condotta abnorme del lavoratore, come tale interruttiva del nesso di condizionamento, in ordine alla condotta che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, non perché "eccezionale" ma perché eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; in tempi recenti vds. tra le altre Sez. 4, Sentenza n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603); ed é di tutta evidenza che ciò non può affermarsi con riferimento all'infortunio occorso al lavoratore nel caso di specie.
2. E' appena il caso di osservare che il reato non é prescritto, trovando applicazione nel caso di specie il periodo di sospensione di 64 giorni di cui all'art. 83, commi 2 e 4, D.L. n. 18/2020, convertito con legge n. 27/2020: detta sospensione, che si applica fra l'altro ai casi in cui fosse prevista la decorrenza di un termine processuale nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020 (cfr. Sez. U, Sentenza n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432), operava anche nel caso di specie, atteso che nel predetto periodo, alla luce di quanto risulta agli atti, incideva il termine a disposizione delle parti per proporre appello.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2021