Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2021, n. 45596 - Rischio di ribaltamento e caduta del carrello con operatore a bordo nelle fasi di carico e scarico. Profilo della ravvisabilità della causalità della colpa
Fatto
1. Con sentenza del 30 giugno 2020 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale del 7 novembre 2017, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.M. per difetto di condizione di procedibilità, per l'effetto revocando le statuizioni civili presenti in sentenza, al contempo confermando la pronuncia di condanna ad un mese di reclusione emessa nei confronti di B.M. in ordine al reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. (in relazione all'art. 583 cod. pen.), perché in data 29 gennaio 2013, in qualità di datore di lavoro e rappresentante legale della Herbovital 2 S.r.l., aveva cagionato - per colpa generica e specifica ex art. 28, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008 - al dipendente T.C. lesioni personali (frattura scomposta del polso sinistro), da cui era derivata una malattia o comunque un'inabilità al lavoro dal 30 gennaio al 12 maggio 2013, per avere omesso di predisporre, con riguardo alle operazioni di carico e scarico della merce dalle banchine ai cassoni dei camion, una chiara e specifica procedura di valutazione di rischio di ribaltamento e caduta del carrello con operatore a bordo nella fasi di carico e scarico, in tal maniera impedendo al suddetto dipendente di poter lavorare in condizioni di sicurezza.
Il T.C., in particolare, si era infortunato perché, nel mentre si trovava a svolgere attività di carico con un carrello elevatore di un automezzo guidato da G.M., quest'ultimo aveva inavvertitamente spostato in avanti il camion, determinando la conseguente caduta del carrello condotto dalla vittima, che inutilmente tentava di aggrapparsi al telaio posto a protezione del conducente, riportando una frattura pluriframmentaria scomposta della mano sinistra.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.M., a mezzo del suo difensore, deducendo tre motivi di doglianza.
Con il primo vengono eccepiti mancanza (o apparenza) e/o contraddittorietà della motivazione ed errata applicazione della legge penale in merito alla ritenuta sussistenza della causalità della colpa in capo al B.M., con riferimento alla presunta efficacia impeditiva delle prescrizioni impartite dagli ispettori AUSL - e cioè: apposizione di un cartello sul parabrezza del camion, posizionamento di cunei o fermi davanti alle ruote, ritiro delle chiavi dell'automezzo - circa le procedure da seguire nelle operazioni di carico e scarico delle merci su autocarri eseguite mediante carrello elevatore.
A dire del ricorrente, infatti, l'esperimento di un valido giudizio controfattuale da parte dei giudici di merito avrebbe consentito di verificare che l'evento ascritto all'imputato non si sarebbe potuto, comunque, evitare, anche adottando le specifiche cautele antinfortunistiche indicate dagli ispettori AUSL.
Con il secondo motivo il ricorrente ha eccepito manifesta illogicità, mancanza e/o contraddittorietà della motivazione ed errata applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta insussistenza del comportamento aberrante dell'autotrasportare, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la violazione del dovere di diligenza e la verificazione dell'evento.
Il giudice di secondo grado, cioè, avrebbe errato nel non ritenere l'evento come la conseguenza di un'aberrante, in quanto imprevedibile ed eccezionale, condotta tenuta dal G.M. che, del tutto distrattamente, aveva deciso di muovere il camion, determinando la caduta del carrello elevatore e la conseguente frattura della mano del T.C..
Con l'ultima doglianza il B.M. ha lamentato manifesta illogicità, mancanza (o apparenza) di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione al diniego dell'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
A dire del ricorrente, infatti, la Corte di merito avrebbe escluso l'applicabilità dell'istituto ex art. 131-bis cod. pen. sulla scorta della valorizzazione di comportamenti intervenuti solo successivamente al reato - l'avvenuto risarcimento del danno e il suo effettivo intento riparatorio -, in quanto tali non adeguatamente incidenti nella valutazione della gravità del danno direttamente conseguente alla verificazione del fatto-reato, da valutare alla stregua dei parametri indicati dalla norma dell'art. 133, comma 1, cod. pen. Contesta, poi, il ricorrente il generico ed aspecifico riferimento fatto dalla Corte territoriale al grado della colpa ascrivibile all'imputato, trattandosi di motivazione non idonea a rappresentare l'iter logico seguito dal decidente per affermare la sussistenza di un grado di colpa tale da escludere la particolare tenuità dell'offesa.
3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. Il difensore ha depositato una successiva memoria con la quale, contestando le conclusioni rese dal Procuratore generale, ha ulteriormente argomentato sui motivi dedotti, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
2. In primo luogo priva di ogni fondamento è la doglianza introduttiva, con cui il ricorrente ha lamentato l'insussistenza della causalità della colpa, come accertabile in esito all'esperimento di un valido giudizio controfattuale.
Il profilo della ravvisabilità della causalità della colpa richiede, come noto, in relazione allo specifico addebito contestato, di accertare se la riscontrata violazione delle regole cautelari abbia, o meno, cagionato l'evento. L'intera struttura del reato colposo si fonda, infatti, su questo specifico rapporto intercorrente tra l'inosservanza della regola cautelare di condotta e l'evento, che viene, per l'appunto, individuato con l'espressione "causalità della colpa". Trattasi di concetto normativamente fondato sul dettato dell'art. 43 cod. pen., a tenore del quale è necessario che l'evento si verifichi "a causa" di negligenza, imprudenza, imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La causa dell'evento è, pertanto, da individuarsi sempre nella condotta materiale, che, tuttavia, nei reati colposi deve essere caratterizzata dalla violazione del dovere di diligenza. Tale è, quindi, il significato da imputare all'indicata norma, e cioè quello di richiedere che l'evento si verifichi "a causa" di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, esigendo, ai fini del rimprovero a titolo di colpa, che essa si materializzi nell'evento concretamente accaduto.
La verifica se quella specifica violazione della regola cautelare abbia, o meno, cagionato l'evento (causalità della colpa) si sostanzia, quindi, in un giudizio controfattuale compiuto in relazione alla violazione della regola di cautela. Come autorevolmente precisato dalle Sezioni Unite, il giudizio controfattuale va compiuto sia nella causalità commissiva che in quella omissiva, ipotizzando nella prima che la condotta sia stata assente e che nella seconda sia stata invece presente, verificando il grado di probabilità che l'evento si sarebbe comunque prodotto (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138-01). Lo statuto logico del rapporto di causalità rimane sempre, cioè, quello del "condizionale controfattuale", per cui l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano l'esito assolutorio del giudizio (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139-01).
Come chiarito, ancora, dal Supremo Collegio, la colpa ha, oltre ad un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, un profilo di natura squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell'agente di osservare la regola cautelare. Il rimprovero colposo riguarda, quindi, la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato attraverso l'osservanza delle norme cautelari violate (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhan, Rv. 261106-01).
Il profilo soggettivo e personale della colpa viene, di fatto, individuato nell'esigibilità del comportamento dovuto, e cioè nella possibilità soggettiva dell'agente di rispettare la regola cautelare, ovvero nella concreta possibilità di pretendere l'osservanza di tale norma.
Trattasi di aspetto, all'evidenza, afferente al rimprovero personale dell'agente, come tale a giusto titolo collocabile nell'alveo specifico della colpevolezza.
Orbene, applicando gli indicati principi al caso di specie, appare corretta la motivazione con cui la Corte territoriale ha ritenuto configurabile nei confronti dell'imputato la ricorrenza della causalità della colpa, ravvisando nella riscontrata violazione delle regole cautelari la causa di verificazione dell'evento.
Contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, infatti, il giudice di merito ha correttamente esperito il giudizio controfattuale, giungendo alla logica ed argomentata conclusione che se il B.M. avesse rispettato le necessarie prescrizioni di cautela, adottando le misure indispensabili ad evitare il rischio di cadute, l'evento infortunistico non si sarebbe verificato.
Per come diffusamente osservato dal giudice di seconde cure, nel caso in esame «il rischio di caduta e/o ribaltamento era connesso ad un uso improprio dell'allineamento delle banchine ai cassoni dei camion unito all'assenza di qualsivoglia più elementare presidio antinfortunistico», per cui «la violazione della regola basilare (ovvero assicurarsi che i magazzinieri operassero in sicurezza sulle pedane) da parte del datore di lavoro e la esigibilità della stessa (era sufficiente bloccare le ruote del camion) è il punto centrale della causalità della colpa e ciò senza disquisire sulla dinamica dell'evento perché, come evidenziato dal primo giudice, se quelle cautele antinfortunistiche fossero state adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di un ribaltamento del carrello elevatore».
Il rimprovero colposo riguarda, pertanto, proprio la realizzazione di un fatto di reato che ben poteva essere evitato mediante la puntuale osservanza delle specifiche norme cautelari violate, rendendo, di conseguenza, del tutto infondata la contraria doglianza dedotta da parte del ricorrente.
3. Stesso giudizio deve essere espresso anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, con cui il B.M. ha eccepito violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla ritenuta insussistenza del comportamento aberrante dell'autotrasportare, idoneo, per il ricorrente, ad interrompere il nesso eziologico tra la violazione del dovere di diligenza e la verificazione dell'evento lesivo.
La Corte territoriale ha, invece, correttamente affermato, con motivazione logica e congrua, nonché conforme ai parametri esegetici reiteratamente espressi da parte di questa Corte, che l'aver inavvertitamente spostato il camion durante lo svolgimento di un'operazione di carico di merci non possa configurarsi come una condotta aberrante, del tutto imprevedibile ed eccezionale.
Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è, infatti, esonerato da responsabilità unicamente quando la condotta del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (così, tra le tante, Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695-01). È, dunque, abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Deve trattarsi, in sostanza, di una condotta colposa tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748-01).
D'altro canto, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino da incidenti dovuti a sua stessa negligenza, imprudenza od imperizia. La condotta imprudente dell'infortunato non assurge, cioè, a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.
Il titolare della posizione di garanzia è tenuto ad evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni di terzi o dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv. 214499-01).
Nessun rilievo assume, infine, la circostanza che il G.M. non fosse soggetto posto alle dirette dipendenze dell'imputato, considerato che, per come correttamente osservato dalla Corte di appello, il B.M. era ben consapevole che i magazzinieri della sua ditta avessero la necessità di fare affidamento sugli autisti degli autocarri nelle operazioni di carico e scarico dei bancali, per cui costui era comunque «obbligato - in quanto datore di lavoro - al controllo di fattori di rischio anche nei riguardi di terzi non dipendenti e tenuto ad attuare le misure antinfortunistiche al fine di assicurare la corretta osservanza delle misure precauzionali da adottare (compreso il divieto per i magazzinieri di salire sul carrello elevatore in mancanza di cunei apposti alle ruote dei camion durante le operazioni di carico e scarico al fine di scongiurare il rischio di caduta e/o di investimento)».
4. Manifestamente infondata, infine, è anche l'ultima doglianza, con cui il ricorrente ha lamentato vizio di motivazione in ordine al diniego dell'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen.
Ai fini della configurabilità di tale beneficio, infatti, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (così, espressamente, Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590-01). E' necessaria, pertanto, un'equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, giacché la valutazione sulla particolare tenuità dipende dalla concreta manifestazione del reato. Ciò, in particolare, è evincibile dal riferimento contenuto nell'art. 131-bis cod. pen. alle modalità della condotta, segno che la nuova normativa non s interessa tanto della condotta tipica, ben riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, anche in considerazione delle componenti soggettive di essa, onde valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena.
La necessità di effettuare questa complessa valutazione alla stregua dei parametri indicati dall'art. 133, comma 1, cod. pen. involge anche l'intensità del dolo e il grado della colpa, per cui, essendo richiesta la ponderazione della colpevolezza in termini di esiguità (e quindi la sua graduazione), è del tutto naturale che il giudice sia chiamato ad un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze che caratterizzano ciascuna vicenda concreta, ed in specie di quelle afferenti alla condotta. Anche con riguardo alla ponderazione dell'entità del danno o del pericolo occorre, quindi, compiere una valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze, per cui l'esiguità del disvalore scaturisce da una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. Il giudizio finale di particolare tenuità dell'offesa postula necessariamente, pertanto, la positiva valutazione di tutte le componenti richieste per l'integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel comma 1 dell'art. 131-bis cod. pen. sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell'offesa, ma alternativi quanto al diniego, nel senso che l'applicazione della causa di non punibilità è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi.
Nel caso in disamina, allora, la Corte territoriale ha fatto buon governo degli anzidetti principi, in particolare valorizzando, ai fini del diniego del riconoscimento del beneficio, l'aspetto soggettivo del grado della colpa ascrivibile all'imputato. Trattasi di motivazione che - per quanto stringata - ben evidenzia le ragioni per cui il giudice di merito ha ritenuto di escludere la configurabilità, nel caso di specie, dell'ipotesi ex art. 131-bis cod. pen., atteso che, alla stregua di quanto evincibile dalla lettura delle argomentazioni espresse nelle restanti parti della sentenza, l'elevato grado di colpa imputabile al B.M., a giusto titolo condannato per l'ipotesi delittuosa ascrittagli, mal si concilia, ed anzi confligge, con la possibilità di qualificare la stessa negli invocati limiti della particolare tenuità del fatto.
5. Deve, in conclusione, essere affermata la manifesta infondatezza del proposto ricorso, anche perché esso sostanzialmente ripropone censure già dedotte con i motivi di appello, ritenute non fondate dal giudice di secondo grado con motivazione esaustiva, perciò presentando un difetto di correlazione e critica argomentativa con le ragioni esplicitate nella sentenza impugnata (così, da ultimo, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01). La Corte territoriale ha articolato, infatti, con dovizia di argomenti fattuali e logico-giuridici, una diffusa ricostruzione degli accadimenti, ricavata anche dalla dettagliata analisi del giudice di primo grado, individuando puntuali addebiti di carattere omissivo collegati causa/mente all'evento infortunio.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 16 novembre 2021