Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2021, n. 45603 - Omessa adozione di misure tecniche-organizzative al fine di ridurre al minimo i rischi connessi alla movimentazione di un fondello del peso di kg.480
Fatto
1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Cremona in data 14/12/2016 nei confronti di F.F. in relazione al reato di cui all'art.590, commi 1, 2 e 3 cod. pen. per avere cagionato lesioni personali gravi al lavoratore C.F., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della società ICE «lnternational Combustion Equipment s.r.l.» esercente l'attività di costruzione, commercio e consulenza nel campo degli impianti di combustione industriali. In particolare, all'imputato si era attribuita la colpa generica e la colpa specifica, per violazione dell'art. 71, comma 3, d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per non aver adottato idonee misure tecniche organizzative al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro, così consentendo che il lavoratore sganciasse dal carroponte un fondello di ferro del peso di kg. 480 appoggiandolo al banco di lavoro privo di solido fissaggio cosicché il manufatto, cadendo, aveva colpito il piede destro del dipendente cagionandogli lesioni da cui era derivata un'incapacità assoluta ad adempiere alle proprie ordinarie occupazioni per giorni 376 con una invalidità permanente pari al 12%. Fatto commesso in Cremosano il 24 gennaio 2013.
2. F.F. ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con un primo motivo, nullità della costituzione di parte civile per inosservanza di norme processuali in relazione agli artt. 74, 76, 78 cod. proc. pen. nonché vizio di illogicità della motivazione nella giustificazione esterna. Premesso che, dinanzi al Tribunale di Cremona, all'atto della prima costituzione delle parti, la difesa aveva eccepito ex art. 491 cod. proc. pen. la nullità della costituzione di parte civile perché avvenuta a mezzo di deposito in cancelleria senza che in quella sede venisse identificato il soggetto che vi aveva provveduto, la difesa lamenta che entrambi i giudici di merito abbiano ritenuto sanato ogni vizio grazie alla partecipazione in udienza del procuratore speciale della parte, sebbene la rinnovazione e conseguente sanatoria della costituzione di parte civile sia ammessa solo in caso di esclusione disposta all'udienza preliminare e rituale riproposizione al dibattimento. Si duole della motivazione ulteriore .espressa dalla corte di appello, che ha ritenuto che, laddove non sia stato identificato il soggetto che costituisce la parte civile, se ne debba dedurre che l'atto sia stato compiuto proprio dal procuratore speciale.
2.1. Con un secondo motivo ha dedotto mancanza di correlazione tra sentenza e imputazione ai sensi dell'art. 522 cod. pr·x. pen,. nonchè mancanza nella motivazione, in quanto solo apparente, e manifesta illogicità nella giustificazione esterna. L'imputato era stato citato a giudizio con l'accusa di aver consentito al lavoratore di sganciare dal carroponte un fondello di ferro appoggiandolo al banco di lavoro privo di solido fissaggio cosicché il manufatto, cadendo dal banco di lavoro, avrebbe colpito il dipendente. All'esito del processo è, invece, emerso che la flangia non è precipitata cadendo dal banco di lavoro ma da terra mentre si trovava appoggiata al banco di lavoro. La difesa ritiene che il fatto accertato nel processo sia diverso da quello contestato, posto che l'imputato era stato chiamato a difendersi per non aver adottato misure tecniche idonee a ridurre i rischi connessi al banco di lavoro, mentre l'istruttoria dibattimentale ha chiarito che ogni contestazione inerente ai sistemi di fissaggio dei pezzi da lavorare al banco di lavoro era inutile. La motivazione offerta dalla Corte di Brescia, che ha ritenuto che il capo d'accusa potesse essere interpretato sia nel senso che la flangia fosse caduta da terra sia che la flangia fosse caduta dal banco di lavoro, ma non necessariamente da sopra il banco, secondo la difesa è motivazione apparente, che non si concilia con il dato letterale di formulazione dell'imputazione né con la contestazione circa la mancanza di solidi di sistemi di fissaggio al banco di lavoro. Nel caso in esame, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, non si tratta di un diverso profilo di colpa specifica ma di un diverso fatto di reato.
2.2. Con un terzo motivo ha dedotto violazione dell'art. 533 in relazione all'art.187 cod. proc. pen. sull'oggetto della prova nonché vizio della motivazione. Secondo la difesa i giudici hanno omesso di considerare che l'istruttoria dibattimentale non aveva consentito di provare il fatto oltre ogni ragionevole dubbio, essendo emerse versioni differenti superate dai giudici di merito con l'affermazione che, a prescindere dalla reale dinamica del sinistro, fosse dirimente che il fondello, da una posizione instabile, era caduto sul piede del lavoratore essendo irrilevante cosa stesse facendo quest'ultimo in quel contesto, o i motivi del suo comportamento o l'eventuale incidenza di condotte di terzi. La motivazione non tiene conto del fatto che l'istruttoria ha fatto emergere prove tra loro contrastanti.
2.3. Con un quarto motivo ha dedotto difetto di motivazione in riferimento al motivo di gravame sulla mancanza di credibilità della persona offesa. La difesa aveva evidenziato come la persona offesa, portatrice di una pretesa economica in quanto costituita parte civile, fosse stata smentita dai testi, secondo i quali la lavorazione del pezzo era stata fatta e ultimata nella mattinata di quel giorno da tre persone, mentre quando si è verificato l'incidente il lavoratore infortunato era in pausa pranzo e stava facendo la pulizia del posto di lavoro spazzando per terra. Anche su altro argomento oggetto di testimonianza la persona offesa è stata sconfessata da V.A., secondo cui lavorazioni di quel tipo succedevano raramente in ICE s.r.l., nonché dall'ufficiale di polizia giudiziaria Vittorio B., in servizio all'Asl di Cremona, che aveva escluso che quello riportato dalla persona offesa fosse l'unico modo per eseguire la saldatura in questione, dato che sarebbe bastato aggiungere anche un solo golfare per consentire la rotazione del pezzo mantenendolo agganciato al carroponte. Le dichiarazioni della persona offesa, circa il fatto che il patentino da saldatore da lui conseguito sarebbe stato intestato ad altro lavoratore, sono state documentalmente smentite dalla produzione in giudizio da parte della difesa del patentino intestato al C.F.. La corte di appello nulla ha motivato in merito ai profili di attendibilità e credibilità della persona offesa, né rispetto alla doglianza difensiva circa l'uso frazionato della testimonianza operato dal primo giudice.
2.4. Con un quinto motivo ha dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione per travisamento e mancata valutazione delle prove con riguardo alla doglianza difensiva inerente all'ascrivibilità dell'infortunio alla condotta del dipendente. La difesa aveva valorizzato la deposizione di V.A., che aveva riferito come dopo le lavorazioni fosse il dipendente a dover spostare e sistemare i pezzi ,avvalendosi del carroponte laddove necessario e assicurandoli sempre in posizione orizzontale, secondo procedure esistenti da tempo in azienda, per cui doveva ritenersi errore evidente, frutto di grave superficialità, l'aver posizionato la flangia in verticale appoggiata al banco di lavoro senza alcun aggancio, tanto più che l'azienda era dotata di tutta la strumentazione necessaria ad operare in sicurezza. La Corte di appello di Brescia, si assume, ha travisato la deposizione del teste segmentandola e omettendo di considerare le spiegazioni offerte sul punto. I giudici di appello hanno omesso ogni valutazione in merito alle testimonianze di Omissis, che avevano riferito come la persona offesa avrebbe ammesso nell'immediatezza del fatto di aver cercato di spostare a mano il fondello per pulire per terra operando in modo non consono ed essendo escluso che la lavorazione di flange di tali dimensioni e peso potesse avvenire posizionandole in verticale, libere e non agganciate al carroponte; dalla testimonianza di F.Fu. era emerso che le direttive operative e tecniche ai dipendenti fossero impartite in officina dal preposto appositamente formato. Di tali emergenze istruttorie, dalle quali emergeva che l'imputato avesse fatto tutto quanto in suo potere per scongiurare ogni evento lesivo, la Corte di Brescia ha omesso ogni valutazione.
2.5. Con un sesto motivo ha dedotto mancanza di motivazione in relazione alle doglianze difensive inerenti all'asserita violazione dell'art. 71, comma 3, d. lgs. n.81/2008. La difesa aveva escluso che tale violazione fosse in rapporto causale con l'evento lesivo, esistendo in azienda un preposto, e mancando anomalie di qualsivoglia natura, come riscontrato dalla Asl appena pochi giorni prima dell'infortunio e come confermato dal fatto che, anche dopo l'infortunio, non fossero state impartite alla società prescrizioni volte ad introdurre modifiche strutturali di alcun tipo, essendovi un piano di corretta formazione dei dipendenti, la dotazione di attrezzatura necessaria e idonea, la conoscenza diretta da parte dei dipendenti della procedura di movimentazione e lavorazione dei pezzi pesanti. L'unica prescrizione impartita dall'Asl è stata nel senso di mettere per iscritto quella procedura già nota e oggetto di prassi consolidata, ossia un adempimento meramente formale che non mutava la sostanza dei fatti e che, vista la condotta del dipendente, anche qualora il documento fosse stato presente in azienda, egli avrebbe del tutto ignorato. La doglianza difensiva è stata ignorata dalla corte di appello.
2.6. Con un settimo motivo ha dedotto mancanza e contraddittorietà della motivazione sull'istanza di riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 5 cod. pen., ma la Corte nel rigettare l'istanza, escludendo la condotta dolosa del dipendente, ha omesso di valutare l'ipotizzabilità del dolo eventuale in capo alla persona offesa, che non avrebbe potuto non comprendere e rappresentare a sé la pericolosità della condotta finendo per accettarne i rischi, così come ha omesso di considerare tutte le risultanze istruttorie a supporto di tale motivo di gravame in punto di formazione, esperienza e specializzazione del dipendente oltre che in punto di non credibilità della versione dallo stesso fornita.
2.7. Con un ottavo motivo ha dedotto illogicità della motivazione e mancanza della stessa in merito al giudizio di bilanciamento delle circostanze in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti e in merito alla scelta della reclusione anziché della multa sulla base degli elementi evidenziati dalla difesa, quali il carattere virtuoso dell'azienda, il corretto comportamento tenuto nei confronti del dipendente, le condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato, il minimo grado della colpa; tali elementi sono stati condivisi dalla corte di appello che, tuttavia, non ha riformato sul punto il giudizio espresso dal tribunale.
Diritto
1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, per le ragioni che si va ad esporre.
2. Nella sentenza di primo grado si legge che l'istruttoria dibattimentale, le cui risultanze sono state analiticamente descritte dal giudice, ha permesso di appurare con assoluta certezza che la dinamica dell'infortunio è stata esattamente quella descritta nel capo di imputazione, ossia che il fondello appoggiato al banco di lavoro, ribaltandosi, aveva colpito il dipendente al piede, rimanendo divergenti le testimonianze circa il fatto che al momento dell'infortunio il pezzo fosse in lavorazione o meno, in questo secondo caso essendo il C.F. intento a pulire l'area di lavoro. Il giudice ha ritenuto tale contraddizione non incidente sulla corrispondenza del fatto emerso in istruttoria rispetto a quello descritto nel capo di imputazione. Dando atto che dal dibattimento erano emerse tre versioni della dinamica dell'infortunio, il giudice ha sottolineato che, in ogni caso, tutti i testi avevano affermato che la flangia del peso di 480 chili, di forma circolare e di spessore molto limitato era stata appoggiata al banco di lavoro in posizione verticale senza che la stabilità della stessa fosse assicurata in alcun modo. Tale posizionamento, indipendentemente dalle attività ivi svolte, avrebbe potuto determinarne il ribaltamento e non poteva attribuirsi a una scelta irrazionale e imprevedibile del lavoratore in quanto entrambi i preposti avevano avuto modo di partecipare alla lavorazione e comunque di vedere chiaramente la flangia appoggiata al banco da lavoro, avendo dichiarato inoltre V.B. che tutta la lavorazione si era svolta con il pezzo in verticale, come da prassi abituale. Il comportamento altamente rischioso così accertato era, secondo il giudice di primo grado, evitabile con l'attrezzatura presente, sia perché la flangia poteva essere lavorata in orizzontale sia perché la stabilità del pezzo avrebbe potuto essere assicurata con l'aggancio dello stesso al carroponte mediante numerosi occhielli presenti sulla stessa. Il giudice ha, infine, rilevato come prima dell'infortunio nessuna direttiva scritta fosse stata impartita ai lavoratori in ordine alla movimentazione da lavorazioni in sicurezza dei pezzi di particolari dimensioni e peso; la circostanza che l'imprudente comportamento posto in essere dal lavoratore e dal preposto fosse una prassi aziendale consolidata, la rendeva nota o doverosamente nota al datore di lavoro, ove egli avesse correttamente esercitato il suo potere-dovere di vigilanza e a fronte di dimensioni dell'impresa tali da non impedire all'imputato un effettivo controllo.
3. La Corte di appello ha evidenziato come, in seguito all'infortunio, fosse stata impartita la prescrizione di adottare una procedura idonea a differenziare le lavorazioni standard da quelle fuori standard, stabilendo in tale ultimo caso la necessaria presenza di un preposto e l'utilizzo di golfari o altri strumenti che garantissero il corretto fissaggio del pezzo da lavorare. Anche i giudici di appello hanno confermato che, a prescindere dall'esatto svolgimento dei fatti, fosse certa la mancata messa in sicurezza del pezzo.
4. Tanto premesso, il Collegio ritiene che il primo motivo di ricorso sia manifestamente infondato in quanto, correttamente, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto dirimente che il procuratore speciale. di parte civile avesse provveduto, entro il termine di cui all'art.484 cod. proc. pen., a presentare in udienza la costituzione di parte civile. Mal si comprende, a ben vedere, in che cosa consista la lamentata nullità. Ed invero, non è indicato quale lesione del diritto di difesa potrebbe determinare l'omessa identificazione della persona che provveda al deposito dell'atto in cancelleria, posto che nessuna delle norme enunciate dal ricorrente prevede una specifica sanzione di nullità in proposito. E', comunque, facoltà della parte porre rimedio alla denunciata irritualità della costituzione, nemmeno inquadrabile tra le cause di inammissibilità previste dall'art.78 cod. proc. pen., mediante rituale deposito dell'atto di costituzione in udienza entro il termine di cui all'art.484 cod. proc. pen., posto che gli artt. 79 e 484 cod. proc. pen. consentono alla parte civile di costituirsi fino a quando non siano compiuti gli adempimenti di cui all'articolo 484 cod. proc. pen., cioè prima dell'apertura del dibattimento.
5. Con riguardo al secondo motivo di ricorso, si tratta di motivo manifestamente infondato. Con riguardo al principio enunciato dall'art. 521 cod.proc.pen., in base al quale, ove il pubblico ministero non abbia provveduto a modificare l'imputazione, il giudice non può pronunciare sentenza per un fatto diverso da quello ivi descritto ma deve disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carrelli, Rv.248051), ha affermato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. In altri termini, siffatta violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza (Sez.5, n. 2074 del 25/11/2008, dep. 2009, Fioravanti, Rv. 24235101; Sez.4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata, Rv.23609901; Sez. 6, n. 34051 del 20/02/2003, Ciobanu Rv.22679601). Considerato poi che il fatto di cui agli artt. 521 e 522 cod.proc.pen. viene definito come l'accadimento di ordine naturale daile cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 20561901; Sez.1, n. 28877 del 4/06/2013, Colletti, Rv. 25678501), va escluso che il riferimento ad una normativa prevista per la disciplina della sicurezza in materia di lavoro, presente nel capo d'imputazione, incida sul fatto inteso quale episodio della vita umana. Essa attiene, piuttosto, allo schema legale entro il quale viene collocata una determinata condotta.
Risulta, peraltro, dirimente nel caso concrete l'esplicita contestazione dell'aver il ricorrente, quale legale rappresentante della I.C.E. s.r.l., omesso di adottare misure idonee ad assicurare che la movimentazione di un elemento di ingente peso avvenisse in condizioni di minimo rischio possibile. Si é prefigurata, in tal modo, la necessità per l'odierno ricorrente di approntare la difesa in merito alla non conformità delle procedure adottate alle norme antinfortunistiche. La questione viene dedotta in termini di possibile lesione del diritto di difesa per violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza l'imputato non sarebbe stato reso edotto in maniera compiuta dei termini dell'accusa formulata nei suoi confronti e sarebbe stato privato della possibilità di sviluppare la difesa in merito alla circostanza che Ia flangia fosse caduta da terra, anziché dal banco di lavoro, sul piede del lavoratore; a fronte di tale diversa descrizione del fatto, la contestazione di aver lasciato la flangia priva di solido fissaggio sul banco di lavoro avrebbe assunto un ruolo decisivo. I giudici di appello hanno ritenuto, invece, che il capo d'imputazione fosse suscettibile di diversa interpretazione letterale, precisando che, comunque, il fatto che la flangia fosse caduta dalia posizione di appoggio in verticale sul banco di lavoro aveva costituito tema ampiamente trattato e discusso in quanto oggetto di tutte le deposizioni. In linea di principio, non pub configurarsi violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza quando, fermo restando il fatto storico addebitato nei suoi tratti essenziali, in sentenza sia stata individuata una diversa dinamica dell’infortunio che non abbia comunque inciso, in concreto, sul diritto di difesa. Nel caso in esame, la condotta contestata a F.F. si sostanzia in una condotta omissiva, per avere egli omesso di adottare misure tecniche-organizzative al fine di ridurre al minimo i rischi connessi alla movimentazione di un fondello del peso di kg.480. Risulta evidente che la condotta ascritta all'imputato nelle sentenze di merito sia del tutto conforme a quella contestata, senza margini di lesione del diritto di difesa sul punto; la censura presenta anche profili di aspecificità, non avendo il ricorrente indicato quali diversi argomenti difensivi si sarebbero potuti sviluppare in relazione alla diversa posizione della flangia rispetto al banco di lavoro.
6. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili in quanto, pur deducendo in rubrica la violazione di norme in tema di valutazione della prova o un vizio di motivazione, tendono ad ottenere una diversa valutazione del fatto sulla base della generica affermazione secondo la quale l'istruttoria avrebbe fatto emergere prove tra loro discordanti, senza alcun confronto con la congrua motivazione offerta nelle conformi sentenze di merito circa l'elemento decisivo, sui quale le testimonianze convergevano, inerente al fatto che fosse prassi aziendale eseguire le lavorazioni su fondelli di tali dimensione e peso appoggiandoli al banco di lavoro senza alcun sistema di fissaggio (pagg. 15-16 sentenza di appello). Va, infatti, riaffermata l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanzino nella valutazione del significato degli elementi probatori attinenti interamente al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n.25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099). A ciò si aggiunga che, anche ai fini della valutazione circa la rilevanza da attribuire al giudizio di attendibilità della persona offesa, i giudici di merito hanno, con motivazione esente da vizi, sottolineato come la situazione di rischio accertata non sarebbe cambiata se il fondello fosse caduto perché un dipendente, accidentalmente, lo avesse toccato o urtato con un piede passando vicino alla postazione di lavoro, essendo concetto essenziale che, sia durante sia dopo la lavorazione, il fondello non potesse essere gestito o lasciato in quella posizione assolutamente precaria. Circa l'omessa motivazione in relazione al motivo di gravame concernente la credibilità della persona offesa, la motivazione offerta dalla Corte territoriale evidenzia l'implicito rigetto di tale motivi di impugnazione sulla base della pacifica circostanza, emergente da altre deposizioni testimoniali, concernente la posizione della flangia prima dell'infortunio. E' ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti, né a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorchè non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l'omesso esame critico di ogni questione sottoposta all'attenzione d I giudice di merito, qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez.1, n.46566 del 21/02/2017, M, Rv. 27122701; Sez.2, n.9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv.25498801; Sez.6, n.49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.25410701; Sez.4, n.34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv.25351201; Sez.4, n.45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv.24190701).
7. Il quarto e il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto inerenti all'elemento soggettivo del reato. Si tratta di motivi manifestamente infondati. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, i giudici di merito hanno evidenziato come la ASL avesse impartito prescrizioni affinché fosse adottata una procedura differente per le lavorazioni fuori standard, come quella in esame, stabilendo, la presenza necessaria di un preposto e l'utilizzo dei golfari o altri strumenti che garantissero il corretto fissaggio del pezzo da lavorare. La Corte ha rimarcato come le deduzioni difensive trascurassero l'importante informazione fornita dal preposto V.A. nella propria testimonianza, inerente al fatto che la lavorazione di pezzi di tali dimensioni fosse abbastanza frequente in azienda e venisse normalmente svolta con il pezzo tenuto in verticale e appoggiato al tavolo di lavoro. Con riguardo, in particolare, alle prassi adottate in una determinata impresa, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha affermato che l'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza (Sez. 4, n. 35858 del 14/09/2021, Tamellini, Rv. 281855). I giudici territoriali non hanno, pertanto, ritenuto la responsabilità dell'imputato per il sol fatto di ricoprire la relativa posizione di garanzia nei confronti della vittima, ma ne hanno compiutamente scrutinato l'obbligo di vigilanza, certamente incombente sul medesimo, concludendo per la sua inosservanza o inadeguata attuazione, avuto riguardo ai dati emersi dalla istruttoria (in particolare, l'esistenza di una prassi altamente rischiosa e l'acritico asseveramento di essa da parte del preposto quali indici di noncuranza da parte dello stesso datore di lavoro). Ciò si pone in linea di perfetta coerenza con i principi già affermati dalla Corte di legittimità, secondo cui il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 14915 del 14/2/2019, Arrigoni Giovanni, Rv. 275577), nonchè, per il caso di nomina di un preposto, in merito al fatto che il datore di lavoro deve controllare che costui, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; con la conseguenza che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
8. Il settimo e l'ottavo motivo di ricorso, inerenti al trattamento sanzionatorio, sono inammissibili. Occorre evidenziare che la Corte di appello ha confermato la pena di due mesi di reclusione irrogata dal giudice di primo grado sulla base dell'esame di tutte le circostanze del caso. Si tratta di misura prossima al minimo edittale. Ne consegue la pertinenza del principio per il quale ricorre un onere attenuato di motivazione, che può essere soddisfatto anche solo attraverso il richiamo al canone dell'adeguatezza della pena inflitta, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (ex multis, Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464; Sez. 4, n. 46412 del 05/U/2015, Scaramozzino , Rv. 265283). Nel caso in esame, a ben vedere, la Corte di appello ha esaminato la congruità del trattamento sanzionatorio fornendo specifica.
motivazione (pag.18) in merito a tutti gli elementi sottoposti al suo esame dalla difesa, reiterati nel ricorso.
9. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla refusione delle spese in favore della costituita parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla refusione a C.F. delle spese relative al presente giudizio di legittimità che liquida in euro tremila, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 18 novembre 2021