Cassazione Penale, Sez. 4, 02 febbraio 2021, n. 3924 - Infortunio del manutentore meccanico durante le operazioni di sostituzione e di manutenzione dei cilindri. Mancanza di adeguata valutazione dei rischi connessi alle specifiche lavorazioni

2021

1. Con sentenza del 14/2/2018 il Tribunale di Taranto condannava l'odierno ricorrente F.C. alla pena di nove mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile G.C., con una provvisionale di 10.000 euro, in quanto ritenutolo colpevole del delitto di cui all'art. 590 co. 1, 2 e 3 - cod. pen. perché, quale capo-area del TNA/2 dello stabilimento ILVA, per imprudenza, negligenza e imperizia e in violazione dell'art. 28 - co. 2 lett. a) del d. Lgs. 9/4/2008 n. 81, omettendo, nell'ambito delle operazioni di sostituzione dei cilindri e di manutenzione straordinaria degli stessi riguardante un impulso elettrico sulla loro aderenza in uso presso il reparto treno nastri/2, di valutare i rischi specifici della stessa attività, con consequenziale adozione di misure idonee atte a garantire la sicurezza dei lavoratori da redigere in un'apposita relazione, cagionava al lavoratore dipendente G.C. gravi lesioni personali, consistenti in "frattura chiusa del piede, trauma da schiacciamento avampiede dx con fratture multiple scomposte a tutti i raggi cui seguiva l'amputazione del 1" e del 30 dito del piede dx.", che comportavano un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a quattro mesi e la notevole compromissione funzionale dell'arto, atteso che, mentre era intento ad effettuare, in qualità ma­nutentore meccanico, lo sganciamento dei predetti cilindri, rimaneva con il piede destro incastrato tra il piano calpestio e la ribaltina corrispondente al binario ri­portando le lesioni innanzi descritte; in Taranto il 21/05/2014.
La decisione si fondava dalla documentazione prodotta dal P.M. (fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi, pratica INAIL di infortunio lavorativo, atti notarili di conferimento di procura all'attuale imputato), dalle deposizioni dei testi P.S. (ispettore del lavoro che aveva condotto le indagini), G.C. (persona offesa) e PA.S. (collega dell'infortunato), nonché dai verbali (acquisiti sull'accordo delle parti) delle sommarie informazioni rese nel corso delle indagini dai già citati G.C. e PA.S. e da altri lavoratori, quali DV.G. e C.P..
Dall'istruttoria svolta - secondo quanto si legge nella sentenza impugnata­ era emerso che quel giorno il G.C., in qualità di manutentore meccanico, si tro­vava nei pressi della ribaltina della linea "F-3" per effettuare (come di frequente accadeva) lo sganciamento manuale del pusher (Il richiamo è al verbale di s.i.t. di DV.G., deposizione G.C.); la p.o. in verità non era stata in grado di ricordare se l'operazione fosse stata totalmente esaurita o meno, ma aveva riferito di ricordare che si trovava ancora sul posto perché era in compagnia di un collega nuovo (il C.P.) al quale stava spiegando il funzionamento dei macchi­nari; a sua volta nel corso delle indagini il C.P. aveva riferito che lui e il G.C. erano stati chiamati dal capoturno (DV.G.) per risolvere un problema meccanico manifestatosi durante il cambio cilindri e che, una volta effettuato l'inter­vento, era rimasto in quella zona per assistere al cambio dei cilindri.
Sempre dagli elementi acquisiti era emerso che, all'epoca del fatto, l'apertura e la chiusura delle ribaltine veniva effettuata da un operatore - nella specie P.S. il quale aveva confermato la circostanza - posto su di un "pulpito", ossia su di una postazione sopraelevata, dal quale però aveva una visuale abbastanza limitata, tanto da non consentire di vedere tutta la zona interessata dalle lavora­ zioni in questione. In particolare proprio la zona ove era accaduto l'infortunio non era visibile da quella postazione; dunque l'operatore (PA.S.) riceveva a voce, o via radio, dal capoturno l'ordine di aprire e chiudere le ribaltine dal capoturno, ma nell'occasione quest'ultimo si trovava anch'egli ad una certa distanza, dalla parte opposta, per cui non si era accorto della persistente presenza sul posto della per­sona offesa e del collega C.P.; era accaduto quindi che il DV.G. aveva dato l'ordine di chiudere la ribaltina; ordina eseguito dal PA.S. non avvedendosi però della presenza sulla linea F-3 dello stesso G.C. il cui piede era rimasto schiacciato dalla ribaltina, con il conseguente verificarsi del grave trauma descritta nell'imputazione.
Dunque, ad avviso del primo giudice l'evento andava attribuito alla condotta omissiva dell'odierno ricorrente, connotata da colpa generica per negligenza (per aver sottovalutato i rischi specifici legati a quel tipo di lavorazioni e attività, specie in rapporto al concreto funzionamento, o malfunzionamento, nel senso sopra de­ scritto, degli impianti) e da colpa specifica (contestata nell'imputazione) per vio­lazione dell'art. 28 comma 2 lettera a) del d.Lgs n. 81/2008 in tema di DVR (Documento di Valutazione Rischi); in tal senso si era espresso anche il teste ispettore P.S..
Secondo quella pronuncia, era mancata una valutazione adeguata dei rischi connessi a quelle specifiche lavorazioni, tenuto conto delle peculiari modalità con cui esse venivano svolte in concreto (e, in particolare, delle già descritte anomalie di disallineamento dei sensori su alcune linee, che comportavano il pressoché sistematico intervento dei manutentori meccanici, come il G.C., per effettuare lo sganciamento manuale o per eseguire altri interventi tecnici). Dunque, doveva ritenersi che l'infortunio occorso non fosse affatto un evento del tutto imprevisto e imprevedibile e/o inevitabile, ma un accadimento ampiamente prevedibile alla luce delle circostanze dapprima illustrate (e per di più non del tutto avulso dalle modalità ordinarie, di produzione e di lavorazione) e che avrebbe potuto essere evitato con un'adeguata valutazione dei rischi specifici e con la conseguente adozione di pratiche operative di sicurezza adottate soltanto ex post cioè ad infortunio avvenuto. L'evento andava, quindi, addebitato alla condotta negligente e omissiva del F.C. il quale aveva la qualifica di "datore di lavoro" per quell'area produttiva, per come emerso dagli atti acquisiti, con delega di funzioni ex art 16 del D Lgs 81/2008 e con connesso potere di spesa, sicché a lui competeva l'adeguata valutazione dei rischi specifici connessi all'attività svolta e la conseguente adozione delle misure organizzative antinfortunistiche.

2. Avverso tale pronuncia proponeva appello il difensore dell'imputato il quale in primo luogo impugnava e contestava l'ordinanza del 1/3/2017 con la quale il primo giudice aveva rigettato l'eccezione di nullità del capo d'imputazione per la sua formulazione giudicata non chiara in punto di condotta colposa, sostenendo che nemmeno potrebbe sostenersi che il prosieguo del giudizio abbia chiarito i termini della contestazione.
Si sosteneva inoltre: 1. che, trattandosi di operazione di routine, per come affermato dagli stessi operai e persino dalla stessa parte civile, nonostante non vi fosse una pratica operativa riguardante espressamente le operazioni di cambio del cilindro tuttavia il modus operandi era divenuto una prassi sia pur non codificata alla quale tutti i lavoratori si erano adeguati, compresi quelli coinvolti; 2. che, peraltro l'infortunio era avvenuto ad operazione di sostituzione terminate, per cui la mancanza di una pratica operativa per la sostituzione manuale dei rulli sarebbe risultata del tutto ininfluente rispetto al sinistro; 3. che, in realtà, sarebbe stato il DV.G. a non accorgersi della presenza nei pressi del cilindro del G.C. dando l'ordine al PA.S. di chiudere le ribaltine; dal canto suo la persona offesa, distratto dal colloquio con il C.P. non aveva avuto modo di accorgersi che la ribaltina si stava chiudendo; 4. che, pertanto, se la prassi in vigore fosse stata rispettata, l'incidente non si sarebbe verificato, non essendo risultato alcun inci­ dente simile per il passato. Inoltre, anche se il rischio in questione fosse stato previsto dal DVR esso si sarebbe verificato ugualmente posto che il G.C. non si sarebbe allontanato da quel luogo nonostante avesse effettuato il lavoro.
Ricorda il difensore ricorrente come, alla luce della insussistenza di responsabilità, in sede di gravame nel merito l'imputato avesse anche chiesto che il punto relativo al risarcimento del danno e della provvisionale assegnata fosse rivisitato. Inoltre lamentava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generi­ che e la relativa quantificazione della pena e la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta.
La Corte di Appello di Lecce -sez. dist. Di Taranto- riteneva l'appello fondato soltanto in relazione al trattamento sanzionatorio e pertanto, con sentenza del 27/3/2019, in riforma della sentenza di primo grado, riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche, riduceva la pena inflittagli a due mesi di reclusione, con pena sospesa nei termini e alle condizioni di legge. Condanna il F.C. al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile in grado di appello.

3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il F.C., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si lamenta ancora una volta, sotto il duplice profilo della violazione di legge in relazione agli artt. 181 e 552 co. 1 lett. c) cod. proc. pen. e del vizio motivazionale, che il capo di imputazione sarebbe scritto in ma­ niera assolutamente generica, confusa e incomprensibile nella stessa lingua italiana,_ laddove non si non si riesce a spiegare cosa il pubblico ministero abbia voluto intendere per: " ...nell'ambito delle operazioni di sostituzione dei cilindri e di manutenzione straordinaria degli stessi riguardante un impulso elettrico sulla loro aderenza in uso presso il reparto treno nastri/2". Né potrebbe valere l'assunto - si sostiene- che poi successivamente, nel corso dell'istruttoria sia stato chiarito il senso di quanto originariamente contestato, atteso che il pubblico ministero avrebbe dovuto, sin dall'inizio, formulare il capo d'imputazione in forma chiara e precisa. In particolare, ci si duole che, di fronte ad uno specifico e dettagliato motivo di appello sul punto, che la Corte territoriale abbia ritenuto di superare lo stesso liquidandolo con una motivazione assolutamente mancante o comunque insufficiente. Si richiama l'arresto giurisprudenziale costituito da Sez. 2 n. 30151/2019 e si chiede perciò l'annullamento delle sentenze di primo e di secondo grado perché il capo di imputazione è stato formulato in modo non chiaro e nem­ meno preciso così da rendere incomprensibile la contestazione.
Con un secondo motivo, sempre sotto il duplice profilo della violazione dell'art. 590 cod. pen. e dell'art. 28 D.lgs. 81/2008 e del vizio motivazionale, si contesta la sentenza impugnata in punto di affermazione di responsabilità. Si ricorda che nell'atto di appello, dopo avere esplicitato le modalità attraverso le quali veniva svolta la manovra di sostituzione dei rulli, si era sottolineato da un lato come tale pratica operativa, anche se non codificata, fosse divenuta una prassi collaudata da più di 50 anni e che, prima di allora, non si era verificato alcun fatto da rendere necessaria la previsione di un rischio che, in effetti, non si era mai verificato. Dall'altro lato era stata sottolineata la non secondaria circostanza secondo la quale l'infortunio occorso al G.C. si fosse verificato ad intervento di manutenzione già finito. Indipendentemente dagli accorgimenti adottati successivamente all'evento - e che sicuramente hanno reso ancora più sicura l'intera procedura - la Corte territoriale avrebbe totalmente omesso di motivare in ordine al fatto (portatole all'attenzione nell'atto di appello e pacificamente emerso anche nell'istruttoria) secondo cui, l'eventuale prevenzione del rischio nel DVR non avrebbe impedito il verificarsi dell'evento proprio perché, appunto, il fatto si è verificato ad intervento manutentivo terminato e concluso.
L'infortunio, infatti, è avvenuto ad operazione compiuta, e con il concorso dello stesso infortunato G.C. il quale, imprudentemente, non solo ha omesso di allontanarsi immediatamente dal posto una volta conclusi i lavori di sostituzione dei rulli, ma si è ivi distrattamente intrattenuto con il neo-collega C.P. con il piede proprio nella ribaltina che, comunque, aveva una velocità di chiusura di ben 5 secondi. Si sostiene, dunque che, anche in presenza di una valutazione del rischio, il fatto, così come descritto, si sarebbe verificato a meno di voler sostenere che nel DUVRI si sarebbe dovuto valutare anche il rischio (imprevedibile) della estrema disattenzione del lavoratore.
Il ricorrente chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza, in accoglimento del motivo riguardante la omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato, tanto sotto il profilo della colpa generica, quanto sotto quello della colpa specifica.


Diritto


1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Ed invero, i profili di doglianza sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi e sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente va­gliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
Quanto alla genericità del capo d'imputazione la Corte territoriale ha evidenziato non esservi alcuna nullità dell'editto accusatorio, dal quale si evince chiara­ mente, anche al di là della forma adottata, che al prevenuto sia stata contestata, per un verso, la mancata - preventiva - valutazione del rischio derivante dalle operazioni di cui si è detto, e per l'altro la mancata adozione di misure adeguate a garantire la sicurezza dei lavoratori onde evitare l'accadere di infortuni quali quello per cui e processo.
La sentenza impugnata, in ciò, fa buon governo del consolidato dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di citazione a giudizio, non vi è incertezza sui fatti descritti nell'imputazione quando questa la stessa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi. (cfr, ex multis, Sez. 5, n. 16993 del 2/3/2020, Latini, Rv. 279090;

3. Anche in punto di responsabilità, la sentenza impugnata, in concreto, non si confronta con la logica motivazione della sentenza impugnata, in cui i giudici del gravame del merito, hanno delineato in maniera compiuta e logica gli elementi che li hanno indotti a ritenere sussistenti in capo all'odierno ricorrente, in ragione del ruolo ricoperto nell'organizzazione aziendale, tanto i profili di colpa generica che quelli di colpa specifica ex art. 28 co. 2 lett. a D.lgs. 81/08 (norma secondo cui il documento di valutazione dei rischi deve contenere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa) contestatigli.
La Corte territoriale ha ricordato che, così come ha affermato l'ispettore Pataleo, il sistema prevedeva che la sostituzione dei cilindri dovesse avvenire in modo del tutto automatizzato, di talché non era stata prevista la presenza di alcun operaio che svolgesse manualmente tale operazione e conseguentemente non era stato approntato alcun documento di valutazione del rischio, per come ammesso anche dalla difesa dell'imputato, in quanto alcun rischio avrebbe dovuto verificarsi. Al contrario, sin da subito, il sistema si era rivelato difettoso per cui si era reso necessario l'intervento del manutentore per effettuare manualmente lo sganciamento del cilindro usurato.
Pertanto, nel momento in cui l'opera del manutentore si era palesata tanto frequente quanto necessaria, corretto appare il rilievo operato dai giudici di merito che fosse insorto in capo al responsabile dell'area, ma anche della stessa azienda, l'obbligo di procedere alla valutazione del rischio di tali operazioni, ancora più pericolose in quanto il modus operandi prescelto, divenuto prassi, era di per sé pericoloso, laddove la chiusura delle ribaltine successiva alla sostituzione dei cilindri veniva effettuata da un operaio posto su di un pulpito, postazione dalla quale non si aveva la completa visuale del piano sottoposto e dunque non poteva valutarsi la concreta situazione di fatto. E' pur vero che l'ordine veniva impartito dal capo turno a terra, tuttavia, se per un errore di valutazione tale ordine veniva dato in modo errato nessuno aveva la possibilità di correggere la manovra.
Tant'è che la soluzione adottata dall'azienda successivamente al fatto, precisamente una settimana dopo l'infortunio, era stata quella di ".. .effettuare il cambio dei cilindri non più comandandolo dal pulpito, ma attraverso un quadro posto a piano terra con un sistema tale che chi opera su questo quadro elettrico, quindi azionando attraverso dei pulsanti... azionando questi movimenti, quindi l'agganciamento, lo sganciamento, eccetera, in modo tale da poter stare presenti lì davanti ai quadro e vedere la situazione che si verifica davanti allo spiazzo insomma, cioè è tutto visibile e quindi... non solo, ma chi opera sul quadro deve necessaria­ mente rimanere.., non è il pulsante che aziona - no? - ma è un sistema fisso, cioè tu rimani con il dito vicino al pulsante finché non finisce il movimento che avviene, quindi devi rimanere per forza lì perché se togli il dito dal pulsante si ferma, si ferma tutto, quindi questo costringe l'operatore a stare vicino al quadro elettrico e a vedere quello che avviene durante l'operazione"
Inoltre, erano state adottate anche altre precauzioni quali la previsione di pulsanti a pressione tali da consentire l'apertura e la chiusura della ribaltina soltanto una per volta, la diminuzione della velocità di apertura e chiusura delle ribaltine, con il raddoppio del tempo di apertura e chiusura delle ribaltine.
Pertanto, per un verso, è stato logicamente ritenuto non avere alcun rilievo che la pratica operativa adottata fino a quel momento si fosse trasformata in una prassi seguita da tutti coloro che partecipavano a quelle manovre, dal momento che si trattava di una procedura pericolosa dovendosi ritenere che solo per mero caso non si era mai verificato un incidente, e per l'altro è stata ritenuta infondata l'affermazione che, anche a seguito di una valutazione del rischio, il sinistro si sarebbe verificato ugualmente in quanto il sistema adottato successivamente al fatto in esame tende a permettere il pieno controllo sia dell'area interessata dall'operazione, non visibile in precedenza, sia del macchinario che apre e chiude le ribaltine da parte di un unico operatore presente al piano. Oltre ad ulteriori accorgimenti relativi alle modalità di funzionamento ed ai tempi di completamento delle operazioni.
D'altra parte, prosegue ancora la logica motivazione della sentenza impugnata, se è vero che l'incidente si sia verificato per una serie di disattenzioni ma anche di inefficienze/insufficienze strutturali, il rischio da prevenire nel caso di specie era proprio quello che ha determinato l'infortunio.
Peraltro, i giudici di merito hanno riconosciuto il concorso di ulteriori responsabilità nella causazione del sinistro in questione, quale quella del capoturno e, in minima parte, anche quella dello stesso infortunato che mai avrebbe pensato che fosse impartito l'ordine di chiusura delle ribaltine nonostante la sua presenza in quell'area, sebbene egli avrebbe dovuto abbandonarla immediatamente dopo aver concluso le operazioni affidategli.
La sentenza impugnata opera, pertanto, un buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui , in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018, Caputo, Rv. 272464; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850).
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2021


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