Cassazione Penale, Sez. 4, 02 febbraio 2021, n. 3942 - Infortunio durante il sollevamento di un carico con un carroponte. Carenze funzionali nei dispositivi di sicurezza degli accessori di sollevamento dei carichi e presenza di prassi aziendali pericolose
l. La Corte d'appello di Venezia, in data 13 dicembre 2018, ha confermato la condanna emessa dal Tribunale di Verona nei confronti di R.R., quale imputato del delitto di lesioni personali colpose con violazione di norme sulla prevenzione di infortuni sul lavoro (art. 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen.) contestato come commesso in danno di L.V. in Veronella, il 3 febbraio 2012.
Al R.R. si contesta, nella sua qualità di amministratore unico della R.R. Group s.r.l., di avere cagionato al dipendente L.V. le gravi lesioni personali meglio indicate in rubrica in esito a un infortunio occorso mentre il lavoratore stava eseguendo - mediante l'impiego di un carroponte - un'operazione di sollevamento di un carico (costituito dal basamento di una macchina utensile in acciaio) posizionato sul cassone di un camion. A tal fine, il L.V. saliva sul cassone del camion e, aiutato da altri due lavoratori, provvedeva a imbragare il carico per poterlo sollevare, utilizzando gli accessori all'uopo disponibili (fasce in fibra tessile e perni metallici). Indi provvedeva a comandare il carroponte con l'uso di apposita pulsantiera e si posizionava dietro il carico; ma quest'ultimo perdeva di stabilità e, anche a causa del distacco di una delle fasce (dovuto al fatto che la stessa era scivolata dal perno, privo di sistemi di blocco), cadeva sul piede e sulla gamba destra del L.V., provocandogli le lesioni di cui in rubrica.
La Corte di merito ha, in primo luogo, sottolineato - in risposta alle censure dell'appellante - che il sistema dei perni nell'utilizzo delle fasce per il sollevamento dei carichi non era sicuro, in quanto i perni non erano corredati da un sistema di blocco che impedisse agli stessi di sfilarsi, come accaduto nella specie; ed ha inoltre giudicato infondata la tesi difensiva, tesa a sottolineare che la ditta aveva messo a disposizione una terza corda (una catena regolabile) il cui impiego avrebbe dato stabilità al carico: si é infatti ritenuto che, diversamente dalla prospettazione difensiva, la terza corda venisse utilizzata unicamente per la movimentazione del basamento completo, e non anche per il solo grezzo, come nel caso in esame. Ne é derivata l'esclusione, secondo la Corte di merito, dell'imprevedibilità del comportamento della vittima, essendo emerso che il modus operandi nell'operazione di sollevamento del carico (ossia la mancata utilizzazione della terza corda nella movimentazione del carico non completo) faceva parte di una prassi aziendale consolidata.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il R.R., con atto articolato in tre motivi, preceduti da una breve illustrazione delle modalità di sollevamento dei pesi, a chiusura della quale si evidenzia che il L.V. era un lavoratore particolarmente esperto e che mai si era verificato un incidente durante simili operazioni presso la R.R. Group s.r. I..
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge, ritenendo inconferente il richiamo all'art. 71 del d.lgs. n. 81/2008, riferito in generale alla messa a disposizione di attrezzature prive di sistemi di sicurezza, e all'allegato VI, punto 3.1.6 al decreto legislativo, trattandosi di disciplina afferente la scelta degli accessori di sollevamento, che però nella specie erano risultati integri e conformi alle disposizioni. L'esponente intende in particolare evidenziare come le suddette prescrizioni siano richiamate nell'imputazione in modo affatto generico, atteso che da esse non si capisce a quale regola di comportamento il R.R. si sarebbe dovuto attenere; né supplisce, a tal fine, il richiamo operato dalla Corte lagunare alla pagina 5 della relazione SPISAL sull'infortunio, che non può valere a colmare la lacuna costituita dalla genericità del riferimento alle predette disposizioni extrapenali. Questo a fronte del fatto che, ben diversamente rispetto alla Corte di merito, il Tribunale aveva addebitato al R.R. di non avere predisposto idonee procedure per l'utilizzo degli accessori di imbracatura e di avere tollerato la prassi aziendale di non utilizzare la terza corda di stabilizzazione, anche per i carichi non finiti.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'abnormità del comportamento della persona offesa. Il ricorrente in particolare si riferisce alla scelta, da parte del L.V., di posizionarsi al disotto di un carico di 5.000 chilogrammi, esponendosi così a un'evidente situazione di pericolo, pur potendo movimentarlo mediante l'impiego di un apposito radiocomando: scelta di cui viene sottolineata dal ricorrente l'eccentricità e imprevedibilità. A fronte di ciò, l'esponente evidenzia come la Corte distrettuale abbia argomentato la non abnormità della condotta con motivazione affatto carente e con una illogica spiegazione delle ragioni per le quali il lavoratore sarebbe salito sul cassone del camion, riferite allo spazio angusto disponibile, laddove, una volta effettuata l'imbracatura, tutte le ulteriori operazioni potevano effettuarsi mediante il radiocomando.
2.3. Con il terzo motivo il deducente lamenta vizio di motivazione in relazione alla questione relativa alla mancanza di sistemi di bloccaggio dei perni, o al mancato uso della terza corda, nonché alla complessiva ricostruzione della dinamica del fatto e delle relative cause. In sostanza il ricorrente si duole del fatto che l'impiego della terza corda, che la Corte di merito ritiene che fosse colpevolmente rimesso alla discrezione degli operatori, doveva invece considerarsi esplicitamente prescritto, tant'é che era presente sul pezzo un apposito golfaro, che la ditta aveva fatto apporre proprio per collocare la terza corda e assicurare la necessaria stabilità al carico. Lamenta poi l'esponente che sia il Tribunale, sia la Corte distrettuale, sia lo SPISAL non abbiano tenuto conto dell'impossibilità di disporre di un sistema automatico di fuoriuscita delle fasce dai supporti metallici, o di far realizzare un sistema simile.
Diritto
1. Il ricorso é inammissibile, in quanto manifestamente infondato in tutti e tre i motivi di lagnanza, con la conseguenza che non rileva il decorso del tempo ai fini della prescrizione del reato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, le censure che muove l'esponente sembrano nell'essenziale tese ad escludere la correttezza dell'addebito nella parte in cui vi si richiamano l'art. 71 del D.Lgs. n. 81/2008 e l'allegato VI, punto 3.1.6., prescrizioni ritenute dal deducente affatto generiche e che, in primo e in secondo grado, sarebbero state declinate in modo contraddittorio e confliggente.
A fronte di ciò, però, é in primo luogo di tutta evidenza che il contenuto dell'editto imputativo é riferito alla violazione delle previsioni poste a tutela dei lavoratori in relazione al sollevamento di carichi nei cantieri. In questo senso depone, in particolare, il richiamo alle disposizioni di cui al punto 3 dell'allegato VI, riferite all"'uso delle attrezzature di lavoro che servono a sollevare e movimentare i carichi"; e in specie al punto 3.1.6, che nella prima parte letteralmente così recita: «Gli accessori di sollevamento devono essere scelti in funzione dei carichi da movimentare, dei punti di presa, del dispositivo di aggancio, delle condizioni atmosferiche nonché tenendo conto del modo e della configurazione dell'imbracatura».
Ora, ciò che si addebita al R.R. é, per l'appunto, di avere posto il suo dipendente nelle condizioni di non operare in sicurezza in relazione alle tipologie di carico da sollevare.
In primo grado, secondo l'espresso richiamo operato dalla Corte lagunare a pagina 4 della sentenza, l'addebito si é sostanziato in una duplice direttrice: ossia, in primo luogo, "nel non avere predisposto idonee procedure per l'utilizzo degli accessori di imbragatura dei basamenti" e, in secondo luogo, "nell'aver tollerato la prassi aziendale di non utilizzare la terza corda di stabilizzazione del carico non completo".
Nella sentenza impugnata, a fronte delle censure del ricorrente, la Corte di merito non si é in alcun modo discostata dalle conclusioni del primo giudice, in quanto ha semplicemente meglio specificato - richiamando la relazione SPISAL, pag. 5 - le manchevolezze già individuate in primo grado, precisando in primo luogo che "il sistema di sollevamento utilizzato prevedeva di usare, in associazione al carroponte, delle fasce di fibra tessile associate a dei perni cilindrici metallici inseriti in fori presenti nella struttura del manufatto che erano privi di idonei sistemi atti ad impedire la fuoriuscita dal corpo perno con conseguente impossibilità di garantire stabilità del carico durante le fasi di sollevamento e spostamento"; e, in secondo luogo, censurando la prassi aziendale di utilizzare la terza corda solo per il sollevamento dei manufatti completi, laddove "la valutazione circa l'opportunità dell'uso di una terza corda per ottenere una maggiore stabilità del carico (... ) non avrebbe dovuto essere rimessa alla discrezione del dipendente, ma avrebbe dovuto essere inserita in un documento procedurale chiaro e valido per ogni specifico caso" (pag. 5 sentenza impugnata).
Non é dato cogliere alcuna differenza sostanziale tra l'individuazione degli addebiti operata nella sentenza di primo grado e quella precisata dalla Corte territoriale, atteso che gli addebiti si sostanziano in ambo i casi nelle censure mosse alle carenze funzionali nei dispositivi di sicurezza degli accessori di sollevamento dei carichi, nonché nella presenza di prassi aziendali pericolose (sulla rilevanza di queste ultime vds. ad es. Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960; o Sez. 4, n. 13858 del 24/02/2015, Rota e altro, Rv. 263287).
3. Quanto alla ritenuta abnormità del comportamento del lavoratore, dedotta con il secondo motivo di doglianza, l'assunto del ricorrente nasce all'evidenza da un fraintendimento della nozione di abnormità che all'uopo rileva.
Va perciò a tal fine ribadito il principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247); ed é di tutta evidenza che nell'ambito di tale sfera di rischio rientrava certamente l'operazione di movimentazione del carico che era in corso al momento dell'infortunio, e alla quale il L.V. era stato assegnato.
Non vale, in sostanza, la mera valutazione del ricorrente circa una ritenuta avventatezza del lavoratore legata all'inutilità della sua decisione di posizionarsi sotto il carico, laddove egli poteva manovrare il carico stesso utilizzando il radiocomando messogli a disposizione: nel solco della giurisprudenza di legittimità ormai costante si é recentemente precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, é necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
4. Quanto infine al terzo motivo di lagnanza, risulta evidente che, con riguardo alla dedotta impossibilità di introdurre dispositivi di bloccaggio finalizzati alla prevenzione dello scivolamento delle fasce dai supporti metallici, la tesi del ricorrente é tesa a mettere in discussione quella, opposta, sostenuta dal servizio SPISAL e da lui apertamente confutata: ciò che, all'evidenza, non é consentito nell'ambito del presente giudizio di legittimità, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Per quanto poi riguarda l'asserzione secondo la quale l'impiego generalizzato della terza corda doveva intendersi come sempre previsto (ossia anche nel caso di sollevamento di carichi non interi, come nella specie), é del tutto ovvio che tale asserzione non può fondarsi sulla sola presenza di un golfare sul pezzo, essendo di contro necessaria l'introduzione di una espressa e specifica procedura che sottraesse al singolo lavoratore la possibilità di scelta circa l'impiego della terza corda: procedura che, come chiarito nella sentenza impugnata, non era invece prevista.
5. La manifesta infondatezza del ricorso priva di rilevanza, come si é detto, il fatto che sia decorso il termine di prescrizione del reato.
Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 gennaio 2021.