Cassazione Penale, Sez. Fer., 07 novembre 2019, n. 45316 - Assenza di estintori e di segnaletica di sicurezza nel condominio: impianto di distribuzione di "Gpl" e serbatoio di titolarità della ditta di distribuzione del gas. Nozione di luogo di lavoro

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2019

fatto

1. Con sentenza in data 16/4/2019, la Corte di appello di Firenze confermò la sentenza del Tribunale di Lucca in data 23/11/2017 con la quale P.G. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di venti giorni di arresto in quanto ritenuto colpevole, con le attenuanti generiche, della contravvenzione di cui agli artt. 46, comma 2, e 55, punto 5, lett. c), d.lgs. 9/4/2008, n. 81, per non aver adottato idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori; fatti accertati in Segromigno in Piano (Lucca), il 29/8/2014.
In seguito a un sopralluogo, eseguito in data 21/8/2014 presso un condominio sito in Segromigno in Piano, erano emerse violazioni della normativa di sicurezza (come l'assenza di estintori e di segnaletica di sicurezza) in relazione all'impianto di distribuzione del gas "Gpl" e al serbatoio interrato a monte dei contatori privati; serbatoio che, dagli accertamenti svolti, era risultato nella titolarità e in gestione della ditta di distribuzione del gas, denominata Elgas, della quale P.G. era il legale rappresentante. Gli accertatori avevano, pertanto, redatto un foglio di prescrizioni nei confronti della ditta, affinché si uniformasse alla normativa di sicurezza, ritenendo che la tubazione e il serbatoio di "Gpl" dovessero intendersi quale pertinenza aziendale della ditta Elgas.
Secondo la Corte territoriale, non poteva condividersi quanto dedotto in sede di appello dall'imputato, secondo cui l'obbligo di mantenimento di estintori efficienti, di cartelli di segnalazione, del posizionamento di idonei manufatti atti a impedire la carrabilità dell'area di installazione del serbatoio sarebbe stato a carico del proprietario dell'area, identificato con l'utilizzatore dell'impianto, non potendo il sito in cui insistevano la tubazione e il serbatoio/deposito di "Gpl" essere considerato come "luogo di lavoro", né come "pertinenza dell'azienda", essendo l'area in questione privata e in uso al proprietario dell'immobile, come tale inaccessibile all'imputato. Secondo la sentenza impugnata, infatti, la mancanza di estintori e della segnaletica di sicurezza costituivano addebiti riferibili alla società che aveva installato l'impianto e che ne rimaneva proprietaria, essendo stato concesso ai privato il mero comodato d'uso del serbatoio, come ammesso da P.G.; e non potendo condividersi la tesi difensiva dell'inaccessibilità, da parte della Elgas, all'area in cui era stato collocato l'impianto, in quanto gli inadempimenti contestati riguardavano il momento in cui erano stati collocati, ferma restando l'ovvia concessione dell'autorizzazione all'ingresso da parte del proprietario dell'area ove la Elgas lo avesse chiesto per compiere gli interventi di modifica dell'impianto o della sua manutenzione.
Quanto, poi, alla nozione di "luogo di lavoro", la Corte fiorentina osservò che, ai sensi dell'art. 62 del d.lgs. n. 81 del 2008, hanno tale qualifica "i luoghi-destinati a ospitare posti di lavoro,-ubicati all'Interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro". Ed essendo evidente che il resede in cui era stato collocato l'impianto era frequentato dai lavoratori della Elgas per ogni necessario intervento di manutenzione, riparazione e modifica dei componenti, esso doveva essere ricompreso nei luoghi per i quali erano previsti gli obblighi di sicurezza a tutela della salute dei lavoratori. Tanto più che l'impianto in questione, pur installato in un area privata, era di proprietà della Elgas, per cui l'attività di manutenzione o modifica doveva ritenersi di competenza del lavoratori della società proprietaria, che avrebbero potuto operare in un sito nel quale dovevano essere rispettate le norme per la sicurezza del lavoro.
Quanto all'elemento soggettivo, pacifica era stata ritenuta la negligenza e imprudenza, da parte dell'imputato, nella gestione dell'impianto di distribuzione, posto che P.G., quale titolare della ditta, provvedeva regolarmente ai rifornimenti, accedendo alla resede ove il serbatoio/deposito e le tubazioni di distribuzioni poste a monte dei contatori privati era stato collocato, ben potendo ogni volta verificare l'assenza del rispetto della normativa di sicurezza.
Né poteva ritenersi integrato, nella specie, il meccanismo estintivo previsto dall'art. 21, comma secondo, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758. Ciò in quanto le prescrizioni imposte dagli accertatori alla ditta dell'imputato al fine di uniformarsi alla normativa sulla sicurezza sul lavoro erano state puntualmente adempiute, con la rimozione delle situazioni di pericolo; e, tuttavia, l'imputato non-aveva provveduto al versamento dell'oblazione in via amministrativa, pagata solo a distanza di due anni, nel 2016, e non nel termine perentorio di trenta giorni.
Era, infine, stata esclusa la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., considerata la abitualità della condotta e la non lieve gravità della stessa, stante il rischio di incendio e di esplosione legato alle inosservanze contestate.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Giorni per mezzo del difensore di fiducia, avv. Gianfelice C., deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la contraddittorietà della motivazione, nella forma sia del travisamento che della omessa valutazione di prove in atti. In particolare, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che la decisione impugnata abbia erroneamente considerato come pertinenza aziendale della ditta Elgas non già il solo serbatoio, quanto piuttosto l'intero deposito del "Gpl", costituito "dal serbatoio, dalle tubazioni di distribuzione e dal vano contatori", in realtà di proprietà di tale Giovanni Mario C., secondo quanto emergerebbe dal verbale di verifica redatto dai Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Lucca, prodotto all'inizio dell'udienza dibattimentale del 13/7/2017 dal Pubblico ministero; con ciò omettendo di considerare un documento decisivo, peraltro confermato dalle dichiarazioni testimoniali di chi lo aveva redatto (ovvero l'ing. Maria Vincenza S. e il caporeparto M.B., che mai avrebbero riferito circa una disponibilità dell'area in capo alla ditta dell'imputato).
Sotto altro profilo, il ricorso lamenta l'omessa valutazione delle dichiarazioni a discolpa rese, in sede di esame dibattimentale, dallo stesso Giorni, il quale avrebbe ribadito la proprietà privata dell'area e l'assenza di disponibilità su di essa da parte della Elgas.
Pertanto, i Giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che quest'ultima potesse essere qualificata come "luogo di lavoro", non trattandosi di una pertinenza dell'azienda e non rientrando essa, proprio in quanto privata, nella disponibilità del datore di lavoro, essendo la Elgas proprietaria unicamente del serbatoio, dato in comodato d'uso all'utente privato, ma non, appunto, anche del deposito (nozione, questa, che sarebbe comprensiva: 1) del serbatoio, ovvero il contenitore che contiene il gas propano liquido; 2) dell'area recintata dove è allocato serbatoio; 3) delle strutture che sorreggono e stabilizzano il contenitore;
4) delle condutture che portano il "Gpl" dal serbatoio ai loghi in cui viene utilizzato;
5) del contatore singolo o dei contatori); deposito che sarebbe stato accessibile unicamente su disposizione del relativo proprietario e non su iniziativa della ditta.


Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.
2. L'art. 55, punto 5, lett. c), d.lgs. 9/4/2008, n. 81, punisce, con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 1.200 a 5.200 euro, la violazione, tra gli altri, dell'art. 46, comma 2, del medesimo decreto; il quale, a sua volta, prescrive che "nei luoghi di lavoro soggetti al presente decreto legislativo devono essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori". Ad onta del riferimento nel capo di imputazione, infatti, ove la disposizione asseritamente violata è indicata come quella di cui all'art. 47, comma 2, la contestazione, così come sviluppata nel testo dei due provvedimenti di merito, deve pacificamente identificarsi, anche alla luce degli stessi rilievi difensivi, in quella di cui all'art. 46, comma 2, del menzionato decreto legislativo.
3. Come in precedenza sottolineato (v. supra § 2 del "ritenuto in fatto"), la difesa dell'imputato non contesta la mancata adozione delle misure antincendio. Al contrario, il ricorso si limita a dedurre che l'area in cui insisteva l'impianto di "Gpl" non potesse essere qualificata come "luogo di lavoro", non trattandosi di una pertinenza dell'azienda e non rientrando essa, proprio in quanto privata, nella disponibilità del datore di lavoro, quanto piuttosto in quella del privato, su disposizione del quale sarebbe stato possibile l'accesso.
4. Osserva, nondimeno, il Collegio che tale prospettazione è manifestamente infondata, alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte sulla nozione di "luogo di lavoro".
In argomento, giova rilevare che la restrittiva previsione dettata dall'art. 62 del d.lgs. n. 81 del 2008, a mente del quale hanno tale qualifica "i luoghi-destinati a ospitare posti di lavoro,-ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro", è destinata a trovare applicazione soltanto in relazione alle disposizioni contenute nel Titolo II del predetto decreto (Sez. 4, n. 45808 del 27/6/2017, Catrambone, in motivazione), tra le quali non rientra l'art. 46, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008. Viceversa, ai fini dell'applicazione di tale norma generale, ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di "luogo di lavoro", a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro oppure che esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro (cfr. Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, S., Rv. 258435; Sez. 4, n. 28780 del 19/5/2011, Tessari, Rv. 250760; Sez. 4, n. 40721 del 9/9/2015, Steinwurzel, Rv. 26471501), potendo, dunque, rientrarvi ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si svolge e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa (cfr. Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, S., Rv. 258435; Sez. 4, n. 12223 del 3/2/2015, dep. 2016, Del Mastro, Rv. 266385).
5. Ne consegue che, essendo l'area nella quale era stato collocato l'impianto accessibile ai lavoratori della Elgas per ogni intervento di manutenzione/riparazione/modifica dei componenti che si fosse reso eventualmente necessario in relazione alle parti di proprietà della ditta di P.G., essa doveva essere ricompresa, alla luce della delineata cornice di principio, nella nozione di luogo di lavoro, nella quale, il responsabile della ditta, avrebbe dovuto adempiere ai prescritti obblighi di sicurezza posti a tutela della salute dei lavoratori. Né alcuna specifica situazione di inesigibilità del relativo comando avrebbe potuto configurarsi, come condivisibilmente osservato dalle due sentenze di merito, a partire dalla presenza dell'impianto in un'area privata, non potendo ragionevolmente dubitarsi che i proprietari della stessa avrebbero certamente consentito l'ingresso al personale della Elgas al fine di eseguire i necessari interventi di modifica o manutenzione dell'impianto, essendo quest'ultimo concretamente utilizzato dagli stessi proprietari; fermo restando che l'imputato non ha offerto alcuna concreta dimostrazione che detti interventi fossero stati impediti o in qualche modo ostacolati dalla descritta situazione giuridica dell'area.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro.


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 27/8/2019


ReCaptcha

Questo servizio Google viene utilizzato per proteggere i moduli Web del nostro sito Web e richiesto se si desidera contattarci. Accettandolo, accetti l'informativa sulla privacy di Google: https://policies.google.com/privacy

Google Analytics

Google Analytics è un servizio utilizzato sul nostro sito Web che tiene traccia, segnala il traffico e misura il modo in cui gli utenti interagiscono con i contenuti del nostro sito Web per consentirci di migliorarlo e fornire servizi migliori.

YouTube

I video integrati forniti da YouTube sono utilizzati sul nostro sito Web. Accettando di guardarli accetti le norme sulla privacy di Google: https://policies.google.com/privacy

Google Ad

Il nostro sito Web utilizza Google Ads per visualizzare contenuti pubblicitari. Accettandolo, si accetta l'informativa sulla privacy di Google: https://policies.google.com/technologies/ads?hl=it