Cassazione Penale, Sez. 4, 30 settembre 2021, n. 35837 - Crollo della torre civica campanaria e responsabilità

2021

Fatto



1.I ricorrenti impugnano la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la penale responsabilità di G.M. e sono stati altresì condannati, su appello del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado, M.D., B.P., M.G. e P.M., in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 449 cod. pen. perché, il M.D. in qualità di ingegnere progettista nonché di direttore dei lavori; B.P. e M.G. di architetti progettisti nonché di codirettori dei lavori; il P.M. di architetto progettista, di codirettore dei lavori e coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione; il G.M. di direttore tecnico e di legale rappresentante della ditta G. srl, appaltatrice dei lavori, cagionavano il crollo della torre civica campanaria del Comune di Noie Canavese, provocato dall'esecuzione di 8 fori orizzontali, due per ogni lato, praticati su una muratura eterogenea, di scarsa resistenza, con presenza di vuoti e soprattutto di diffusa fessurazione della muratura. Non era stata infatti disposta l'iniezione di ciascun foro una volta inserita l'armatura e prima di procedere alla perforazione successiva. G.M. era stato dunque accusato di aver omesso di procedere, in fase di esecuzione dei lavori e in presenza di una situazione critica rispetto alla stabilità della torre, all'immediata iniezione delle barre in ciascuno degli otto fori, una volta realizzati. M.D. e B.P. erano stati accusati di aver omesso di dare precise disposizioni riguardo a tali ultime operazioni.
2. G.M. deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prova del nesso di causalità tra la condotta di non aver proceduto all'iniezione dell'apposita malta cementizia, prescritta dal progetto, all'interno delle perforazioni radicate sulla struttura muraria della torre campanaria, e il crollo. Secondo il perito nominato dal giudice di primo grado, le perforazioni sulle murature della torre campanaria e la mancata sigillatura sono le cause dirette del crollo. Non vi è però alcuna prova certa che la condotta omissiva contestata al G.M., ove fosse stata tenuta, avrebbe sicuramente impedito il verificarsi dell'evento, non essendo stato dimostrato che, iniettando ciascuno dei fori eseguiti, la torre non sarebbe crollata, poiché il perito non ha fornito alcuna argomentazione tecnica a supporto del proprio assunto, secondo cui è stata l'omessa sigillatura la causa del crollo. Il perito si è infatti limitato ad affermare che è buona prassi sigillare, se non ad ogni foro, quantomeno terminate le perforazioni ad una determinata quota e si è poi limitato a criticare la decisione di G.M. di posticipare le operazioni di sigillatura, affermando che la malta iniettata, se anche si fosse dispersa a causa della presenza di buchi della struttura muraria, avrebbe comunque riempito le parti vuote. Ma la sigillatura con la malta serve solo a rendere le barre stesse aderenti alla muratura. Inoltre per ogni iniezione della singola perforazione l'impresa esecutrice stabilisce a priori un ben preciso quantitativo di malta cementizia da iniettare, che il ricorrente ha precisato corrispondere al doppio del volume tecnico del foro. Il consulente tecnico Siniscalco ha precisato che il documento progettuale non specificava il quantitativo di malta che doveva essere iniettato per realizzare il consolidamento, non conoscendosi a priori la capacità di assorbimento della muratura e soprattutto il quantitativo complessivo di malta necessario per consolidare tutta la muratura. Dunque non si può essere sicuri che, iniettando la malta, che sarebbe andata a disperdersi nei vuoti della muratura, il crollo non si sarebbe ugualmente verificato. E comunque lo stesso perito ha affermato che la conclusione che la causa del crollo sia la perforazione a quote diverse senza procedere alla sigillatura costituisce null'altro che una sua opinione. In sostanza, ciò che la Corte d'appello evidenzia sono le negligenze del G.M. nel non aver iniettato dopo le singole perforazioni, nell'aver perforato in punti troppo ravvicinati tra loro e nell'avere posticipato le operazioni di iniezione ma non viene affrontata la problematica del giudizio controfattuale, consistente nella prova. che, iniettando un ben determinato quantitativo di malta, la torre non sarebbe ugualmente crollata.

3. B.P. e M.G. deducono violazione di legge e vizio di motivazione, poiché nell'ambito dell'istruttoria dibattimentale è stato accertato che l'impresa esecutrice dei lavori, contravvenendo a quanto indicato dai progettisti, sia verbalmente che per iscritto, all'interno del giornale lavori, effettuò le perforazioni di secondo livello senza avere prima provveduto alla sigillatura delle prime. Il perito d'ufficio e i consulenti di parte sono stati concordi nell'individuare la causa del crollo nell'avere la ditta esecutrice effettuato, verosimilmente per velocizzare i lavori, le predette ulteriori perforazioni a quota inferiore, in spregio delle inequivocabili indicazioni progettuali e della direzione lavori. Il perito d'ufficio ha infatti dichiarato che le cause dirette del crollo sono attribuibili all'esecuzione di fori a diverse quote senza procedere ad alcuna sigillatura, donde la responsabilità del personale dell'impresa. Non sono attribuibili responsabilità alla direzione lavori, in quanto il 10 novembre 2006 l'architetto P.M., recatosi in cantiere con l'arch. M.G., diede l'ordine di sigillare i fori. Dunque, secondo le valutazioni espresse dal perito, non era censurabile la scelta progettuale ed esecutiva dei progettisti e dei direttori dei lavori di procedere prima all'esecuzione di tutti i fori previsti a un determinato livello di altezza e poi alla sigillatura dei medesimi. Quindi il perito di ufficio non ha mai sostenuto, come invece ha fatto il giudice di appello, che si sarebbe dovuto procedere di volta in volta alla sigillatura di ciascun foro prima di procedere alla successiva foratura. Ne deriva la regolarità della condotta della Direzione lavori. L'appaltatore, a partire dal giorno 13/11/2006, decise consapevolmente, senza preavviso né motivazione, di violare le indicazioni tecniche espressamente ricevute e cioè di non procedere all'effettuazione di ulteriori fori se non dopo avere riempito i precedenti, poiché questa ulteriore attività materiale avrebbe compromesso, come in effetti è stato, la staticità della torre. Di qui l'assoluzione in primo grado, poiché i direttori dei lavori del tutto ragionevolmente non si erano recati in cantiere dal 10 novembre 2006 sino al giorno del crollo, avvenuto il mercoledì 15 novembre 2006, perché in cantiere non erano presenti né i distanziali né la malta, ragion per cui le lavorazioni non avrebbero potuto riprendere prima del martedì. Onde non vi era alcun motivo per ritenere che tali giornate sarebbero state dedicate a lavori diversi dei fori, non essendovi alcun segnale premonitore che l'appaltatore, dopo una settimana di regolare adempimento delle disposizioni ricevute, avrebbe ordinato espressamente ai suoi sottoposti di violare le prescrizioni della direzione lavori. Incongruamente la Corte d'appello ha ritenuto che si sarebbe dovuta applicare la regola tecnica della sigillatura dei fori volta per volta effettuati, sostenendo, senza alcun supporto fattuale o logico, che i professionisti incaricati della direzione lavori, al contrario di quanto emerso in sede di istruttoria dibattimentale, avrebbero da sempre concordato sulla necessità di procedere in tal senso. Né la Corte d'appello solleva alcuna contestazione in relazione al giudizio di congruità formulato dal giudice di primo grado circa i sopralluoghi effettuati, numericamente e qualitativamente adeguati al tipo di lavorazione. Non solo infatti non vi era alcuna situazione di pericolo ma non vi era stato alcun segno di allarme, come attestato anche nel Giornale lavori, che non riporta alcuna annotazione sul punto, circa un rischio di crollo a seguito delle perforazioni, che sarebbe stato insussistente se si fosse proceduto secondo le normali prassi di cantiere e cioè eseguendo la sigillatura dei fori praticati a una certa quota prima di proseguire a quote diverse, secondo quanto dichiarato dal perito d'ufficio. Quest'ultimo ha anche aggiunto che è normale che in un cantiere edile la direzione lavori faccia visite con cadenza settimanale. Né vi erano indizi relativi all'inaffidabilità dell'appaltatore, ragion per cui non vi era alcun obbligo particolare di vigilanza.
3.1. La responsabilità era comunque ripartita in funzione delle rispettive competenze tra i tre architetti (B.P., M.G. e P.M.) e l'ingegner M.D.. Già in fase di progettazione il contributo di B.P. e M.G. era stato particolarmente ridotto, in quanto essi non avevano alcuna competenza ingegneristica di tipo statico- strutturale e si erano limitati a redigere la sola parte di progetto esecutivo attinente alla sicurezza e al coordinamento, come risulta anche dalle fatture pagate dal Comune ai professionisti. L'intera fase statico-strutturale della progettazione era stata curata esclusivamente da M.D. e infatti i risultati della perizia statica sono stati sottoscritti da lui solo, come confermato anche dal perito d'ufficio. Dunque le operazioni di competenza degli architetti B.P. e M.G. al momento del crollo non erano neppure iniziate e quindi ad essi non è ascrivibile alcuna responsabilità. Il B.P. avrebbe infatti dovuto subentrare a M.D., sulla base della suddivisione dei compiti concordata, solo una volta terminati gli interventi di competenza di quest'ultimo e dunque B.P. non aveva alcun ruolo effettivo di direzione al momento del crollo, non avendo progettato alcuno degli interventi che hanno determinato lo stesso. Risulta, d'altronde, irrilevante la circostanza dell'avvenuta condivisione del progetto in forza della sottoscrizione del medesimo da parte di tutti i membri dell'associazione temporanea d'imprese. Né sono significative, al riguardo, le visite in cantiere effettuate da B.P. il 7/11/2006 e da M.G. il 10- 11- 2006, dettate da un mero scrupolo di diligenza.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.




Diritto



1.Il primo motivo del ricorso è infondato. Secondo la giurisprudenza assolutamente dominante, infatti, è "causa" di un evento quell'antecedente senza il quale l'evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l'evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se anche in mancanza di tale comportamento l'evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa). Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale ("contro i fatti"), che è l'operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell'imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell'imputato non costituisce causa dell'evento. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica. Naturalmente, il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento, richiede preliminarmente l'accertamento di ciò che è effettivamente accaduto e cioè la formulazione del c.d. giudizio esplicativo (Cass., Sez. 4, n. 23339 del 31-1-2013, Rv. 256941). L'importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica è stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si è affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento, non si può prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla "causa" dell'evento stesso, giacchè solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della sequenza eziologica è possibile analizzare la condotta colposa ed effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto (Cass., Sez. 4, 25.5.2005, Lucarelli). Per effettuare il giudizio contrattuale, è quindi necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall'agente, l'evento tipico sarebbe stato o meno evitato o posticipato o si sarebbe verificato con una minore lesività (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4-10-2012, Rv. 255008).
1.1.Nel caso in esame, il giudice a quo ha evidenziato che il perito nominato dal giudice di primo grado aveva individuato le cause dirette del crollo nelle perforazioni effettuate sulle murature della torre campanaria tra il 6 e il 15 novembre 2006, tutte eseguite, a tre diverse quote, senza procedere a sigillatura. Infatti, secondo le normali consuetudini di cantiere, dettate dalla prudenza, oltre che dall'esperienza, si sarebbe dovuto procedere tempestivamente alla sigillatura di ogni foro o quantomeno alla sigillatura dei fori eseguiti a una certa quota, prima di procedere all'esecuzione di fori ad altre quote. L'esistenza di tale prassi operativa era stata confermata dallo stesso imputato G.M., nel corso del suo esame dibattimentale. Il perito aveva dunque sottolineato come, sotto le direttive dell'imputato, l'impresa esecutrice avesse proceduto alle perforazioni a tre diversi livelli, senza rispettare né le previsioni progettuali né le consuetudini di cantiere e le buone prassi operative, disattendendo oltretutto le indicazioni ricevute il 10 novembre 2006, allorquando la Direzione lavori, nella persona dell'architetto P.M., presente anche l'architetto M.G., una volta constatata l'esecuzione di ben quattro fori a quota 10,28 senza completare la procedura mediante l'applicazione dei distanziali e la sigillatura attraverso l'iniezione della malta, aveva annotato sul Giornale lavori la richiesta scritta, diretta all'impresa, di provvedervi. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.

2. Il primo motivo del ricorso di B.P. e M.G. non può trovare accoglimento. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6- 6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr, ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv . 223469; Sez. fer. , n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli) .

2.1. Nel caso in esame, il Giudice a quo ha posto in rilievo come, all'esito del sopralluogo effettuato il 10 novembre 2006, fosse stato acclarato che nessuno dei 4 fori eseguiti nel corso della prima settimana di lavorazione era stato adeguatamente sigillato, come previsto dal progetto, dato che non risultavano inseriti i distanziali e non erano state effettuate le iniezioni di malta. Inoltre l'architetto P.M., come da lui stesso dichiarato, aveva notato che non erano presenti in cantiere non solo i distanziali e la malta ma nemmeno il macchinario necessario per procedere alle sigillature. In quell'occasione, era stata formulata per iscritto la richiesta di attenersi alla procedura esecutiva, annotata sul Giornale lavori. A fronte di questa situazione i componenti della Direzione lavori avrebbero dovuto controllare, sin dal lunedì successivo, che i fori eseguiti venissero adeguatamente sigillati prima di procedere ad ulteriori perforazioni, accertando altresì che fossero presenti in cantiere i materiali necessari per procedere alla sigillatura delle cuciture. Tenuto infatti conto della delicatezza dell'intervento, correlata ai gravi problemi di stabilità del manufatto, era impensabile e gravemente imprudente - sottolinea il giudice a quo - limitarsi a fare affidamento sul fatto che l'appaltatore, che già si era reso inottemperante alle previsioni del progetto, si sarebbe conformato spontaneamente a quanto indicato nell'ordine scritto, provvedendo alle sigillature, prima di procedere ad ulteriori perforazioni a quel livello o a livelli inferiori. Di fatto venne consentita la prosecuzione dei lavori senza un adeguato ed incisivo monitoraggio, pur avendo riscontrato l'architetto P.M. la situazione di pericolo determinata dalla mancata sigillatura delle cuciture dopo ogni singola perforazione o almeno dopo l'esecuzione delle perforazioni effettuate fino a quel momento a quota 10,28 m, situazione che lo aveva allarmato e indotto a formulare il richiamo scritto, annotato sul Giornale lavori. Le perforazioni, sotto le direttive di G.M., proseguirono indiscriminatamente, senza che nessuno dei componenti della Direzione lavori si premurasse di visitare il cantiere, risultando così omessa ogni forma di controllo sull'adeguamento dell'impresa al richiamo formulato per iscritto. Il monitoraggio delle attività di cantiere avrebbe viceversa potuto certamente impedire all'impresa esecutrice di proseguire nelle perforazioni anche ad altre quote senza aver prima proceduto alle sigillature: condotta avventata che gli stessi imputati e i loro consulenti censurano vivamente, attribuendo ad essa la causa principale del disastro, e che avrebbe giustificato quantomeno la sospensione dei lavori.

Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale esperito dal giudice di merito. D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod proc. pen., legittima il ricorso per cassazione implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul terreno della razionalità. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione , munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, 27-9-1995, Mannino, Rv. 202903). La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacchè esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano della razionalità, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subìto il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767 ). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione ( Sez. U, 19-6- 1996, Di Francesco, Rv 205621).

3. Nemmeno l'ultimo motivo del ricorso di B.P. e M.G. può essere accolto. La Corte d'appello ha infatti evidenziato che, come si evince per tabulas dalle annotazioni del Giornale dei lavori, nella prima settimana di lavoro i componenti della Direzione lavori, fungibili tra di loro in relazione a questa specifica attività di controllo, si erano organizzati alternandosi nei sopralluoghi funzionali all'esercizio della doverosa vigilanza sull'andamento dei lavori: tutti e tre gli architetti, singolarmente o congiuntamente, risultano infatti essersi recati in cantiere nel corso della settimana dal 6 al 10 novembre 2006. Per garantire l'effettività del controllo - argomenta il giudice a quo - all'alternanza dei vari componenti della Direzione lavori avrebbe dovuto seguire l'informativa agli altri professionisti da parte di colui che aveva personalmente eseguito il sopralluogo, allo scopo di renderli edotti, di volta in volta, della situazione riscontrata, soprattutto se, come nel caso di specie, fossero state accertate delle inottemperanze dell'impresa esecutrice nonché una difformità fra il progetto e la sua realizzazione. Specularmente, chi non si fosse recato in cantiere non sarebbe stato certamente esonerato dal tenersi diligentemente al corrente circa l'andamento dei lavori in corso. Risulta dunque evidente il deficit del meccanismo di controllo, che si è rivelato del tutto inefficace, stante la totale latitanza della Direzione lavori alla ripresa delle opere, la settimana del crollo. Motivazione del tutto congrua ed esente da vizi logico-giuridici a cui si può aggiungere in questa sede che, in linea di diritto, allorquando più soggetti siano investiti di una posizione di garanzia, la mera ripartizione di compiti, concordata tra di essi, non vale ad elidere la posizione di garanzia in capo ad ognuno di tali soggetti relativamente agli incombenti inerenti alle attribuzioni assegnate agli altri, sulla base della predetta ripartizione, che esaurisce la propria rilevanza nell'ambito dei rapporti fra i contitolari della posizione di garanzia, senza assumere alcuna rilevanza esterna e senza escludere l'obbligo di ciascun garante di attivarsi a tutela dell'interesse protetto, in special modo qualora ci si trovi di fronte a situazioni di pericolo.

4. I ricorsi vanno dunque rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, Parrocchia S. Vincenzo Martire e T.B., che liquida in complessivi euro 4000, oltre accessori, come per legge.





P.Q.M.



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, Parrocchia S. Vincenzo Martire e T.B., che liquida in complessivi euro 4000, oltre accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, il 15-6-2021.


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