Cassazione Penale, Sez. 4, 29 ottobre 2020, n. 29947 - Uso del camion con cassone ribaltabile e folgorazione da contatto con linee elettriche aeree. Mancata formazione
1. La Corte di Appello di Bologna, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente F.P., con sentenza del 24/5/2019 confermava la sentenza emessa in data 10/5/2015 dal Tribunale di Ferrara che lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in sede civile, per il reato dì cui all'art. 589 cod. pen. perché, nella propria qualità di legale rappresentante della ditta "GRUPPO F.P. SRL" di Casapesenna (CE) e datore di lavoro del lavoratore deceduto R.A., per negligenza, imprudenza ed imperizia e per colpa specifica consistita nella violazione dell'art. 71 Co. 7 lett. a) del D. L.vo 81/08, per non aver preso le misure necessarie affinché l'uso del camion con cassone ribaltabile in dotazione, quale attrezzatura di lavoro per la quale era stato individuato, nel documento di valutazione dei rischi, il rischio specifico di folgorazione da contatto con linee elettriche aeree, venisse riservato a lavoratori che avessero ricevuto un'informazione, formazione ed addestramento adeguati; cagionava il decesso del lavoratore R.A., che rimaneva folgorato per essere il cassone ribaltabile del camion in dotazione venuto in contatto con una linea elettrica ad alta tensione dell'ENEL. In Cologna di Bena (FE) il 25/10/2011.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, F.P., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 41 cod. pen.
Il ricorrente contesta la sussistenza delle condizioni legittimanti ex art. 192 cod. proc. pen., la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta ascritta all'imputato e l'evento e impugna le statuizioni relative alla rifusione delle spese in favore della parte civile.
Si assume che la Corte distrettuale, ripercorrendo le risultanze istruttorie ricostruite dal primo giudice, non si sarebbe confrontata con i proposti motivi di appello circa l'effettiva sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva ascritta all'imprenditore e l'evento e circa l'eventuale rilevanza della condotta del lavoratore ai sensi dell'art. 41 comma 2 cod. pen.
Vengono richiamati i principi giurisprudenziali in tema di responsabilità del datore di lavoro in caso di condotta abnorme del lavoratore, riportando la sentenza di questa sezione n.31679 del 11/8/2010, assumendo che, nel caso che ci occupa, tali principi sarebbero stati disattesi dai giudici di merito.
Evidente dall'esame degli atti risulterebbe che l'iniziativa di alzare il cassone, prima di caricare i cereali, sarebbe stata presa autonomamente dal lavoratore e non sarebbe stata assolutamente necessaria per la mansione affidatagli che riguardava unicamente il carico della merce.
Entrambe le sentenze di merito avrebbero trascurato tale punto, definito decisivo al fine di escludere la responsabilità del F.P..
Né, aggiunge il ricorrente, sarebbero emersi elementi dai quali desumere che l'autista avesse ricevuto l'ordine di effettuare la manovra che determinava l'incidente.
Il ricorso alla logica, operato dal giudicante, nel ritenere sensata la decisione di smaltire l'acqua piovana prima di effettuare il carico, non risolverebbe il vulnus dell'impianto accusatorio. Il ricorrente precisa che l'acqua ben poteva venire smaltita diversamente.
Pertanto, ribadisce il ricorrente che la condotta abnorme del lavoratore, incaricato esclusivamente del carico della merce, costituirebbe causa autonoma e rilevante a sensi dell'art. 41, comma 2, cod. pen.
Inoltre, il F.P. assume che l'impugnata sentenza non spiegherebbe per quale motivo, ove il lavoratore fosse stato edotto del rischio correlato all'utilizzo del cassone, l'evento mortale non si sarebbe verificato.
Sostanzialmente non sarebbe stata svolta la doverosa analisi del nesso di causalità applicando una sorta di automatismo tra la ritenuta condotta omissiva e l'incidente.
Si evidenzia, poi, che il rischio di folgorazione era espressamente previsto dal manuale di uso del veicolo, pertanto la responsabilità della mancata acquisizione delle informazioni graverebbe sul lavoratore essendo le stesse rilevabili dalla documentazione in suo possesso.
Inoltre, lo stesso lavoratore doveva essere a conoscenza di tutti rischi di manovra, in quanto titolare di specifica patente di guida.
Infine, si contesta la liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile, avvenuta sia in primo che in secondo grado, in quanto la liquidazione delle stesse è avvenuta forfettariamente senza alcuna indicazione delle voci concorrenti a formare l'importo cospicuo delle stesse.
Con un secondo motivo si deduce vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis, 133 e 175 cod. proc. pen., assumendo che la corte di appello, pur ritenendo il F.P. meritevole delle attenuanti generiche, in considerazione della personalità e corretto comportamento processuale, non avrebbe, poi, del tutto contraddittoriamente, rideterminato la pena nel minimo edittale, come richiesto nell'atto di appello.
Chiede, pertanto, annullarsi il provvedimento impugnato.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Il ricorrente ripropone, sostanzialmente, gli stessi motivi di appello, sui quali la sentenza impugnata si è pronunciata con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto.
Come osservato la Corte territoriale la persona offesa, lavoratore straniero, era stato assunto da poco più di un mese e possedeva scarse competenze linguistiche, pertanto non è certamente condivisibile la tesi difensiva della mancata colpevole acquisizione da parte dello stesso delle informazioni riportate nel manuale d'uso del veicolo.
E' indubbio l'obbligo di informazione e formazione del lavoratore che andava certamente sensibilizzato sull'esistenza del rischio di folgorazione.
La sentenza impugnata si colloca nell'alveo del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità che individua nell'obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori, uno dei principali gravanti sul datore di lavoro, ed in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro (Sez. 4, n. 41707 del 23 settembre 2004, Bonari, Rv. 230257; Sez. 4, n. 6486 del 3 marzo 1995, Grassi, Rv. 201706). La violazione degli obblighi inerenti la formazione e l'informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l'incolumità dei lavoratori permane nel tempo e l'obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 26271 del 7/5/2019, Roscio, Rv. 276043)
Il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (cfr. Sez. 4, n. 27787 del 8/5/2019, Rv. 276241 relativa alla confermata responsabilità del datore di lavoro, che aveva colposamente cagionato la morte di un lavoratore impiegato in attività di taglio di piante in assenza di adeguata formazione, nonostante l'inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del lavoratore nel settore di riferimento).
Si afferma pacificamente in giurisprudenza, infatti, che il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079). È infatti tramite l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti (Sez. 4, n. 11112 del 29 novembre 2011, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729). Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, laddove l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento.
Non può infatti venire in soccorso del datore di lavoro come pretenderebbe il ricorrente il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi (Sez. 4, n. 39765 del 19 maggio 2015, 11 Vallani, Rv. 265178).
Si è poi ulteriormente specificato che l'obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016, Morini, Rv. 266860). Ciò in quanto l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro (Sez. 4, n. 21242 del 12 febbraio 2014, Nogherot, Rv. 259219).
Ancora, di recente, è stato ribadito che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, e l'adempimento di tali obblighi non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. (Sez. 4, Sentenza n. 49593 del 14/06/2018 Ud. (dep. 30/10/2018 ) T., Rv. 274042, in un caso in cui la Corte ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per la morte di tre operai in un cantiere autostradale, precipitati nel vuoto da un'altezza di circa 40 metri a seguito dello sganciamento della pedana sulla quale si trovavano, causato dall'errato montaggio del sistema di ancoraggio, effettuato utilizzando, per il serraggio del cono, una vite di dimensioni inferiori, sia per lunghezza sia per diametro, a quelle prescritte, rilevando che, proprio perché tale errore era frutto delle riscontrate suddette omissioni, esso non era idoneo ad escludere il nesso causale tra esse e l'evento).
L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro va ribadito non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge (Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014, Nogherot, Rv. 259219).
Più in generale, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (così Sez. 4, n. 27787 del 08/05/2019, Rossi, Rv. 276241 in un caso relativo a responsabilità del datore di lavoro, che aveva colposamente cagionato la morte di un lavoratore impiegato in attività di taglio di piante in assenza di adeguata formazione, nonostante l'inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del lavoratore nel settore di riferimento) .
In tema di sicurezza sul lavoro, ai sensi dell'art. 73, commi 1 e 2, lett. b), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore dei rischi propri dell'attività cui è preposto e di quelli che possono derivare dall'esecuzione di operazioni da parte di altri, ove interferenti, ed è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori, per ciascuna attrezzatura, ogni informazione e istruzione d'uso necessaria alla salvaguardia dell'incolumità, anche se relative a strumenti non usati normalmente (Così Sez. 3, n. 16498 dell'8/11/2018 dep. il 2019, Di Cataldo, Rv. 275560, nella cui motivazione la Corte ha precisato che può essere ritenuta eccezionale o abnorme e come tale in grado di escludere la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso solo la condotta del lavoratore che decida di agire impropriamente, pur disponendo delle informazioni necessarie e di adeguate competenze per la valutazione dei rischi cui si espone).
3. Tanto premesso, è evidentemente necessario che tale omessa formazione ed informazione risulti causalmente rilevante per la verificazione dell'evento lesivo, secondo il ben noto paradigma enucleabile dalla sentenza delle SSUU Franzese del 2002.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ormai univoca sul punto, ritiene infatti che, in tema di causalità omissiva, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non possa ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma debba essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (ex multis, Sez. Un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222138).
Orbene, i giudici di merito hanno condivisibilmente affermato, con una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, attraverso una attenta e logica valutazione del materiale probatorio acquisito, la inequivocabile sussistenza del nesso causale fra la mancata informazione e formazione del lavoratore e l'evento occorsogli. Come si legge in sentenza, i giudici del gravame del merito condividono integralmente l'assunto logico del tribunale secondo cui "ove l'attenzione del R.A. fosse stata specificamente richiamata al riguardo, vi è infatti una probabilità logica verosimilmente prossima all'assoluta certezza, che lo stesso avrebbe bene provveduto a verificare, prima di effettuare la manovra, di non trovarsi sotto una linea elettrica e, successivamente, di entrare in contatto con le parti metalliche del proprio mezzo".
Quanto ai lavoratori, come già si ricordava in precedenza e da qui la mani festa infondatezza del motivo di ricorso sul punto occorre ricordare come costituisca ius receptum che la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (cfr. ex multis: Sez. 4, n. 16397 del 5 marzo 2015, Guida, Rv. 263386 che ha escluso l'abnormità della condotta del lavoratore, il quale, impegnato nell'installazione di un ascensore, era caduto mettendo il piede in fallo, così battendo la testa e decedendo, dopo essersi sganciato dall'imbracatura di sicurezza per meglio eseguire i lavori di sua competenza, atteso che le modalità esecutive da lui adottate rientravano nel novero delle violazioni comportamentali che i lavoratori perpetrano quanto ritengono di aver acquisito competenza ed abilità nelle proprie mansioni; Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere; Sez. 4, n. 23292 del 28/4/2011, Milio ed altri, Rv. 250710 che ha precisato essere abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli).
Infondato appare anche l'assunto difensivo secondo cui il lavoratore sarebbe& l'unico responsabile della propria morte avendo posto in essere una manovra qualificabile come abnorme.
In realtà, la decisione di smaltire l'acqua piovana prima di caricare il cereale come ricordano i giudici del gravame del merito appare una manovra in tutto sensata, verosimilmente richiesta proprio dall' azienda, essendo notorio che a contatto con l'acqua possano rapidamente verificarsi fenomeni di fermentazione e marcescenza del cereale.
L'impugnata sentenza ha adeguatamente motivato anche sull'impugnazione relativa alla liquidazione delle spese già proposta in sede di appello per quelle liquidate in primo grado.
Le spese processuali sono state liquidate in primo grado sulla base della nota depositata dalla difesa delle parti civili redatta sulla scorta dei parametri, mentre anche la liquidazione operata in secondo grado appare perfettamente in linea con i parametri, né il ricorrente ha dedotto diversamente al di là della generica impugnativa per liquidazione forfettaria senza indicazione delle singole voci.
4. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Il fatto che siano state riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche in relazione alle quali la sentenza impugnata ha rigettato la richiesta di riforma del giudizio di bilanciamento operato dal primo giudice non imponeva alcun collegamento con la pena da irrogarsi. Pena (mesi sei di reclusione) che in ogni caso, come rileva la sentenza impugnata, appare mite e non suscettibile di riduzioni, dovendosi considerare anche la capacità a delinquere dell'imputato desunta dai numerosi precedenti penali dai quali risulta gravato.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle am mende.
Così deciso in Roma il 14 ottobre 2020