Cassazione Penale, Sez. 4, 29 ottobre 2020, n. 29956 - Infortunio mortale durante l'operazione di scarico di lastre di marmo: sequestro del mezzo di sollevamento

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2020

1. Con ordinanza del 21/4/2020 il Tribunale di Campobasso, pronunciando, nei confronti di B.V., in sede di appello reale avverso il decreto del 14/2/2020 di rigetto della revoca del sequestro preventivo del mezzo di sollevamento marca Galizia Gru, modello Multis 636 emesso, in data 28/11/2019, dal GIP del Tribunale di Campobasso, ha rigettato l'appello confermando il decreto impugnato.
L'incolpazione provvisoria nei confronti dell'odierno ricorrente gli vede contestati i reati di cui agli artt. 40, 589cod. pen. e 114 D.L.vo 81/2008, per l'omicidio colposo di un lavoratore, avvenuto durante l'operazione di scarico di lastre di marmo, attraverso l'utilizzo del mezzo di sollevamento sequestrato.

2. Ricorre B.V., a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Il ricorrente ripercorre in premessa tutte le fasi del procedimento che ha portato al sequestro del mezzo di sollevamento di proprietà della ditta Edilforniture di B.V. e riporta i motivi di appello avverso il rigetto dell'istanza di revoca, nonché i punti salienti della motivazione dell'ordinanza oggi impugnata.
Con un unico motivo deduce violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. e correlato vizio motivazionale in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora ed alla individuazione del nesso di pertinenzialità stabile e strutturale tra la res sottoposta a sequestro ed il reato oggetto di imputazione provvisoria.
Ci si duole della sostanziale mancanza di motivazione in relazione all'elemento costitutivo della fattispecie che legittima l'adozione della misura, ovvero all'esistenza del nesso di pertinenzialità diretta e strutturale, non soltanto occasionale, tra il bene in sequestro e il reato ipotizzato nonché in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti.
Viene quindi richiamato il principio sul necessario requisito della pertinenzialità stabilito da questa Corte con la sentenza 10996/2020.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Campobasso avrebbe aderito ad un orientamento giurisprudenziale risalente ed ormai superato, secondo cui, per l'adozione di un provvedimento di sequestro preventivo, sarebbe sufficiente la sola verifica, alla luce delle acquisizioni istruttorie disponibili, della non manifesta arbitrarietà della ipotesi accusatoria. Tale acritica adesione al risalente indirizzo giurisprudenziale dimostrerebbe il vulnus motivazionale dell'ordinanza impugnata, che in relazione al fumus, limitandosi a valutare le modalità del decesso e la sussumibilità della condotta descritta nella incolpazione provvisoria formulata, omette completamente l'individuazione del nesso di strumentalità, non puramente occasionale, tra il bene in sequestro, il mezzo di sollevamento, e il fatto di reato.
Il ricorrente richiama l'orientamento giurisprudenziale, dallo stesso ritenuto più recente e consolidato, di cui alle sentenze di questa Corte Sez. 6 n. 46396/2019, Caria ed altri, non mass. e Sez. 6 n. 9776/2020, Morfù, non mass..
Aggiunge che anche la funzione "cautelare" del sequestro, strumentale rispetto al successivo provvedimento di merito, è correlata ai principi di adeguatezza e proporzionalità.
Ricorda che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in ragione del predetto principio di proporzionalità, "la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all'accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità" (cfr. Sez. Unite n. 36072/2018 e Sez. 6 n. 37097/2019, Statti).
Pertanto, sarebbe evidente che il Tribunale di Campobasso, recependo lo scarno approccio valutativo del GIP, limitandosi ad escluderne le denunciate carenze motivazionali, non avrebbe fatto buon governo dei principi sopra richiamati.
Si sottolinea che la motivazione dell'impugnato provvedimento ricorrerebbe ad una giustificazione del sequestro in termini per lo più probatori.
Ciò non sarebbe consentito al giudice della cautela, a prescindere dalla differenza tra sequestro preventivo e sequestro probatorio, che nel caso di specie non è mai stato richiesto dal PM.
Il ricorrente precisa che la valutazione del tribunale sulla sussistenza del nesso di pertinenzialità prescinde completamente dalla verifica della congruità concreta degli elementi di fatto rispetto al reato ipotizzato ed anzi, dichiaratamente si appiattisce, senza alcuno sforzo valutativo nei termini richiesti dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, sulla mera prospettazione astratta ed ipotetica della esistenza della ipotesi di reato contestata in via provvisoria.
Del resto, lo stesso capo di incolpazione provvisoria, se non addirittura generico ed indeterminato, apparrebbe formulato in termini soltanto esplorativi.
Nel capo di imputazione non si rinverrebbe alcuna definizione del nesso di causalità tra l'utilizzo della gru oggetto di sequestro e l'evento mortale accaduto alla vittima o di come il bene sia collocato nella serie causale determinativa dell'e­ vento, ad esempio, se per un difetto strutturale o per un errore di manovra del suo conducente.

La stessa pretesa violazione della normativa antinfortunistica non sarebbe stata contestata in correlazione con l'utilizzo del mezzo in questione, essendo piuttosto relativa ad altre modalità della ipotetica condotta di reato.
Pertanto, sarebbe stato precluso sia al GIP che al Tribunale di Campobasso, la possibilità di individuazione, quale necessario presupposto cautelare, del nesso di strumentalità stabile e strutturale tra il bene, il reato oggetto di incolpazione provvisoria ed il suo accertamento.
Si riporta, poi, il passo dell'ordinanza impugnata che afferma la non necessarietà, per la legittimità del sequestro, che il capo di incolpazione provvisoria esplicitasse un difetto strutturale del mezzo in sequestro, dal momento che le indagini erano ancora in corso per accertare se si fosse trattato di guasto meccanico o errore umano o mera fatalità, con conseguente rilevanza del sequestro anche sotto il profilo probatorio.
Tale argomentazione viene definita erronea e incoerente, in quanto in primo luogo sarebbe stata fraintesa la doglianza difensiva che non prospettava la necessità di individuare un difetto strutturale del mezzo in questione quale pre­ supposto di legittimità del sequestro, ma, invece, evidenziava che, già a livello di incolpazione provvisoria, non vi era alcuna possibilità di individuare il necessario presupposto cautelare, ossia il nesso di pertinenzialità stabile e strutturale tra il mezzo di sollevamento utilizzato e il fatto di reato per il quale si procede.
Inoltre, l'affermazione che le indagini per accertare se si sia trattato di guasto meccanico o errore umano o mera fatalità sono ancora in corso, determina la conseguenza che il sequestro assume rilevanza sotto il profilo probatorio, riconoscendo il carattere meramente esplorativo della stessa incolpazione provvisoria e ammettendo che la finalità del sequestro non ha carattere cautelare impeditivo ma di mero accertamento dei fatti.
In tal modo il tribunale avrebbe riconosciuto implicitamente la non individuabilità di alcun nesso di pertinenzialità stabile e strutturale tra il mezzo sequestrato e il fatto di reato, ed inoltre individuando la ragione della misura nella finalità probatoria, si sarebbe verificata una indebita integrazione del titolo operando una supplenza delle scelte discrezionali riservate alla pubblica accusa.
Si richiama sul punto la sentenza 49536/2019.
Infine, il ricorrente denuncia che il provvedimento impugnato sarebbe affetto da violazione di legge anche in relazione al periculum.
Sul punto si riporta il relativo passo della motivazione del provvedimento impugnato, evidenziando la mera assertività dello stesso e l'imprescindibilità della corretta individuazione del nesso di strumentalità.

Il tribunale avrebbe correlato il periculum non al titolo di reato ma alla perdurante violazione della normativa antinfortunistica, riconoscendo l'ipotizzabilità anche del sequestro ex art. 240 cod. pen. Ma, obietta il ricorrente, a prescindere, dalla dubbia legittimità del diverso presupposto cautelare, nemmeno la normativa antinfortunistica sarebbe in rapporto con l'utilizzo del mezzo, essendo attinente ad altri profili della condotta contestata.
Pertanto, conclude il ricorrente, sarebbe insussistente il requisito di adeguatezza e proporzionalità della misura in esame, che in presenza di una incolpazione soltanto esplorativa, ha inibito l'utilizzo del mezzo, stabilmente inserito nella organizzazione produttiva aziendale, ostacolando in maniera inutilmente vessatoria ed afflittiva, la stessa attività di impresa.
Chiede pertanto che questa Corte annulli, revochi o comunque ponga in non cale, l'ordinanza impugnata, con i conseguenziali provvedimenti, ed ogni relativa conseguenza di legge.


Diritto


1. I motivi sopra illustrati appaiono fondati e pertanto l'ordinanza impugnata va annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Campobasso.

2. Preliminarmente, va ricordato, in punto di diritto che, ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., la concessione del sequestro preventivo è subordinata alla sussistenza del pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati.
L'art. 325 cod. proc. pen. prevede contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali che il ricorso per cassazione possa essere proposto per sola violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più volte ribadito, tuttavia, come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. Un. n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Basi, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016,
Faiella, Rv. 269296).
E' stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (così Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative).
Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto.

3. Va anche aggiunto che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma è invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda anche in semplici termini di "fumus". In altri termini, lo specifico ambito cautelare di per sé non richiede, quanto al "fumus commissi delicti", un grado di "univocità" degli elementi d'accusa e, ai fini della applicazione della cautela reale, non occorre che il compendio indiziario si configuri come grave ai sensi dell'art. 273 cod. proc. pen., essendo sufficiente l'esistenza del "fumus delicti" in concreto (Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013, Ferro, Rv. 257816), ma il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, dovendo, invece, tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l'impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l'indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell'accusa (cfr. Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, PM in proc. Macchione, Rv. 265433).
In questo ha ragione il ricorrente nel richiamare i dieta di Sez. 6, n. 46396/2019, Caria ed altri, non mass, Sez. 6 n. 9776/2020, Morfù, non mass. e Sez. 6 n. 37097/2019, Statti).
Come condivisibilmente rilevato in quelle sentenze, in materia di misure cautelari reali la giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni tende a valutare con maggiore rigore i presupposti che giustificano l'adozione del sequestro preventivo.

Si richiede, nello specifico, al giudice della cautela di verificare la sussistenza del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione di elementi dimostrativi, sia pure sul piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato.
Tale orientamento appare scaturire dalla consapevolezza -come ricordato nei precedenti citati dal ricorrente- che l'indirizzo tradizionale, radicatosi nel tempo, secondo cui, in tema di sequestro preventivo, ai fini della verifica del requisito del fumus, sarebbe sufficiente accertare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato (Sez. Un. n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, Rv. 193118), abbia portato negli anni ad una erosione in senso verticale ed orizzontale del contenuto della motivazione del relativo provvedimento dispositivo del vincolo cautelare.
In ragione di quell'indirizzo l'impegno argomentativo del giudice è stato comunemente inteso, per un verso, arretrato al di sotto del limite della verifica della fondatezza prognostica dell'ipotesi di reato prospettata, e, dall'altro, limitato alla tipicità del fatto materiale prospettato nella sua descrizione da parte del Pubblico Ministero, non essendo richiesta una ricostruzione in concreto delle modalità con cui la ipotizzata condotta criminosa si sia manifestata, cioè, una valutazione fattuale della ipotesi tipica enunciata.
Il nuovo orientamento parte dal rilievo che questa Corte di legittimità, evidentemente consapevole del rischio di svuotamento della funzione di garanzia della motivazione, ha già in passato, in più occasioni, affermato la necessità di individuare il presupposto del sequestro preventivo nella concretezza degli indizi di reato, pur escludendo la tesi estrema che richiederebbe la presenza dei gravi indizi di colpevolezza (Sez. Un., n. 23 del 20/11/1996, Bassi, Rv. 206657; cfr., inoltre, Sez. Un., n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Mantella).
Le misure cautelari, civili e penali, hanno tutte una funzione strumentale, quella cioè di evitare fatti tali da pregiudicare l'efficacia del provvedimento definitivo; i provvedimenti cautelari sono cioè funzionali ad assicurare la fruttuosità pratica di un ulteriore provvedimento, quello finale e di merito.
Il sequestro preventivo, salvo rarissimi casi (art. 240, comma 2, n. 2 cod. pen.), è una misura di coercizione reale connessa e strumentale allo svolgimento del procedimento penale ed all'accertamento del reato per cui si procede, nel senso che è suo scopo quello di evitare che il trascorrere del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l'effettività della giurisdizione espressa con la sentenza di condanna (Sez. Un., n. 12878 del 29/01/2003, De Luca).
Un reato, tuttavia, deve essere configurabile ed il giudice deve poter esercitare un controllo effettivo che, pur coordinato e proporzionale con lo stato del procedimento e con lo stato delle indagini, non sia meramente formale, apparente, appiattito alla mera prospettazione astratta, ipotetica ed esplorativa della esistenza di un reato da parte della Pubblica accusa.
Si tratta di una esigenza funzionale alla ineludibile necessità di un'interpretazione della norma che tenga anche conto del requisito della proporzionalità della misura adottata rispetto alla finalità perseguita, in un corretto bilanciamento dei diversi interessi coinvolti. È diffuso nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui anche la funzione "cautelare" del sequestro, strumentale rispetto al successivo provvedimento di merito, non è sganciata dai principi di adeguatezza e proporzionalità (cfr., Sez. 4, n. 18603 del 21/03/2013, P.M. in proc. Camerini, Rv. 237327, che, in motivazione, ha chiarito come i principi di "adeguatezza", "proporzionalità" e "gradualità", previsti dall'art. 275 cod. proc. pen. come criteri di scelta delle misure cautelari personali, debbano essere applicati anche alle cautele reali. Ciò «al fine di evitare un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata»; nello stesso senso, fra le altre, Sez. 6, n. 10153 del 18/10/2012, (deo. 2013), Con, Rv. 254526; Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010, Magnano, Rv. 246103; Sez. 6, n. 12515 del 27/01/2015, Picheca, Rv. 263616).
Il principio di proporzione, certamente ancorato alla disciplina delle cautele personali nel procedimento penale ed alla tutela dei diritti inviolabili, ha nel sistema una portata più ampia; esso travalica il perimetro della libertà individuale per divenire termine necessario di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazione della loro limitazione.
In ambito sovranazionale, il principio in esame - come ricorda la condivisi­ bile Sez. 6 n. 9776/2020, Morfù, non mass.- è ormai affermato tanto dalle fonti dell'Unione (cfr. par. 3 e 4 dell'art. 5 TUE, art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della Carta dei diritti fondamentali; sul punto, cfr., Sez. 3, n. 42178 del 29/09/2009, Spini, Rv. 245172), che dal sistema della CEDU.
In tal senso anche questa Corte -come nel precedente citato- ritiene con­ divisibile quanto affermato in dottrina, e cioè che il rango conferito dall'ordinamento interno alle fonti sovranazionali consente di affermare che, qualunque sia la natura secondo cui sono costruite - sostanziale o processuale - le tutele dei diritti, si deve tenere conto del cd. test di proporzionalità.
Come si legge nella sentenza 9976/2020: "Il principio in esame è inoltre capace di fungere da guida per lo sviluppo futuro della materia, in diversi ambiti. Si può affermare che, anche laddove non entri espressamente in gioco il tema dei diritti fondamentali, il principio di proporzionalità rappresenti un utile termine di paragone per lo sviluppo di soluzioni ermeneutiche e, ancor prima, di nuovi modelli di ragionamento giuridico. In tal senso, si sostiene acutamente, il principio di proporzionalità assolve ad una funzione strumentale per un'adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, e ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto. È ragionevole ritenere, dunque, che anche il senso e la portata del nesso di strumentalità tra bene e condotta criminosa deve essere valutato e risolto attraverso il test di proporzionalità ed adeguatezza, al fine di saggiare, come detto, la correttezza della soluzione. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno recentemente chiarito che ogni misura cautelare, per dirsi proporzionata all'obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco (Corte Edu 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi SaN. Ve TIC. A. S. c. Bulgaria). Dunque, solo valorizzando l'onere motivazionale è possibile, come sottolineato dalla più attenta dottrina, te­ nere "sotto controllo" l'intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall'art. 42 Cost. e dall'art.1 del Primo protocollo addizionale alla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu; in tale ottica, la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all'accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità (così testualmente Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, in motivazione)".
Tale elaborazione dottrinale giustifica, dunque, il senso dell'affermazione operata negli ultimi anni dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui ciò che deve essere verificato ai fini della sussistenza del requisito del fumus commissi delicti è la congruità degli elementi di fatto indicati dall'accusa rispetto al fatto-reato ipotizzato; il giudice non deve limitarsi a "prendere atto" della tesi accusatoria, senza svolgere alcuna altra attività, ma è tenuto ad assolvere un in­ dispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.
Il dovere d'accertare la sussistenza del fumus commissi delicti, pur ricondotto nel campo dell'astrattezza, va sempre riferito ad un'ipotesi ascrivibile alla "realtà effettuale" e non a quella "virtuale" (cfr. Sez. Un, Bassi, cit. e Corte cost. n. 48 del 1994).
Il fumus richiesto per l'adozione del sequestro preventivo è costituito dalla esistenza di indizi di reato, cioè dalla esistenza di elementi concreti che facciano apparire verosimile che un reato sia stato commesso.
In tal senso si comprende il principio per cui, con particolare riferimento al controllo effettuato in sede di riesame, nella valutazione del fumus non può ritenersi sufficiente la sola "astratta configurabilità del reato", ma il giudice deve apprezzare in modo puntuale e coerente le risultanze processuali e l'effettiva situazione emergente dagli elementi eventualmente forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che rendono allo stato seriamente sostenibile l'impostazione accusatoria (Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017 , dep. 2018, Polifroni, Rv. 279927; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, Mecchione, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49595 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677; Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945; Sez. 5, n. 28515 del 21/05/2014, Ciampani, Rv. 260921).

4. Orbene, per stessa ammissione del ricorrente essendo tali (vedasi il richiamo di pag. 5 all'art. 606 lett. e) cod. proc. pen. e alla denuncia di un "correlato vizio motivazionale") è inammissibile lo sviluppo di quei motivi che criticano il per­ corso motivazionale del provvedimento impugnato.
Tuttavia, come denuncia il ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato è talmente contraddittoria e carente in punto di necessario nesso di pertinenzialità stabile e strutturale tra il bene in sequestro e il pericolo di reiterazione del reato da assurgere, come lamentato, a violazione di legge.
Il provvedimento impugnato dà conto dell'esistenza, nei termini di cui si è fin qui detto, di un reato, che, come si legge nell'incolpazione provvisoria, vede B.V. indagato, nell'ambito del procedimento pendente dinanzi alla Procura della Repubblica del Tribunale di Campobasso al RG 2862/2019 Mod 21, per il reato di cui agli artt 40 cpv, 589 co. 1 e 2 od. pen., 159 co. 2 lett. a), in relazione all'art. 114, co. 1 e 2 D.lgs. 81/2008, perché, quale titolare e gestore della società Edilforniture sas di B.V., con sede a Bojano alla Via Molise, 147, direttore di fatto di una operazione di scarico merce - costituita da lastre di marmo posizionate sul rimorchio di un camion- mediante l'utilizzo di imbracature e di una gru- per negligenza, imprudenza e imperizia, e comunque, in violazione della normativa antinfortunistica di settore, consistente nell'inadempimento degli obblighi, sullo stesso gravanti, di: - scelta delle attrezzature più idonee per l'esecuzione dei lavori di sollevamento materiali e scarico degli stessi; - predisposizione delle misure più adeguare a minimizzare i rischi per i lavoratori, mediante l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute di materiali dall'alto; - adozione delle necessarie cautele consistenti nella delimitazione del posto di carico e di manovra degli argani a terra con apposita barriera per impedire la permanenza ed il transito sotto i carichi per prevenire ed evitare possibili lesioni alla manodopera, provocava la caduta dall'alto dei suddetti materiali ed il conseguente schiacciamento dell'operaio a terra, C.M., che riportava lesioni personali (politrauma da schiacciamento occorso sul lavoro) tal da determinarne il decesso.
in Boiano, il 20/11/2019".
Corretto appare il rilievo che il GIP molisano opera nel provvedimento generico della misura - con cui il 26/11/2019 convalidava, limitatamente al mezzo di sollevamento "marca Galizia GRU, Modello Multis 636, della, ditta Edilforniture di B.V.", il sequestro preventivo, già operato in via d'urgenza nella immediatezza del fatto, dai Carabinieri di Bojano, anche in relazione all'autocarro Scania CVR500, TG. FF745ZV, con rimorchio tg. AC60084 e alle lastre di marmo sgretolate per mq 210 - circa l'ipotizzabilità del delitto di cui all'art. 589 c.p. e 159 comma 2 lett. a) in relazione all'art. 114 commi 1 e 2 d.lgs. 81/08 sul rilievo che "il verbale di ispezione di cadavere ... dà atto di lesioni compatibili con lo schiacciamento del corpo ad opera delle lastre di marmo cadute dall'alto" per cui "esistono gravi indizi di reato in ordine al delitto ipotizzato, apparendo la caduta delle lastre di marmo legata alla mancanza di specifiche cautele atte a paralizzare il rischio di caduta delle medesime". In tal senso quel provvedimento, e quelli successivi dei giudici del gravame cautelare soddisfa anche l'indirizzo giurisprudenziale più recente di questa Corte di legittimità in tema di fumus commissi delicti di cui si è detto nel paragrafo precedente.
Non corretto, o comunque non motivato, invece, è il rilievo secondo cui "sussistono le esigenze cautelari di cui all'art. 321 cod. proc. pen. in relazione al peri­ colo che la libera disponibilità di taluni dei beni in sequestro possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato. Ed invero, l'utilizzo del mezzo di sollevamento, marca Galizia GRU, modello Multis 636, potrebbe causare incidenti analoghi. Proprio tale situazione rendeva urgente l'intervento della Polizia Giudiziaria, legittimamente concretizzatosi nel sequestro preventivo del detto bene" ( così pag. 2 dell'ordinanza genetica).
Nel successivo svilupparsi del procedimento il sequestro è stato ritenuto legittimamente operato sul rilievo che la libera disponibilità del bene in questione, trattandosi di bene strumentale all'attività di impresa svolta in violazione della normativa antinfortunistica, potesse sicuramente agevolare e consentire la reiterazione delle condotte illecite, nonché aggravarne e protrarne le conseguenze dannose.
L'affermazione in questione, tuttavia, appare apodittica e contraddetta dallo stesso provvedimento oggi impugnato, ove si legge che "il sequestro assume, prima di tutto, un rilevante valore sotto il profilo probatorio" in quanto " ...risultano tuttora in corso indagini per accertare se di guasto meccanico o di errore umano o di mera fatalità si sia trattato" (così a pag. 4 del provvedimento impugnato).
In altri termini, il tribunale molisano pare fondare la riconosciuta sussistenza degli elementi giustificativi del sequestro preventivo in atto con quelle finalità che sono invece proprie del diverso istituto del sequestro probatorio.
Apodittica, poi, appare l'affermazione che si legge poi sempre a pag. 4, secondo cui "quanto, poi, al periculum è sufficiente rilevare come concreta disponibilità del bene in sequestro in capo all'indagato comporterebbe senza dubbio la possibilità di aggravare o protrarre le conseguenze del reato della violazione della normativa antinfortunistica (artt. 159 co. 2 lett. a e 114 D.L.vo 81/2008), preposta proprio alla salute dei lavoratori ed, in quanto tale legittimante il sequestro
preventivo... in questi termini, del resto, sarebbe astrattamente ipotizzabile anche la confisca del mezzo ex art. 240 c.p.".
E' noto, infatti, come il sequestro di tipo impeditivo, di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., possa riguardare ogni tipo di bene, purché sia in concreto possibile stabilire una relazione in forza della quale l'apposizione del vincolo possa valere a scongiurare la prosecuzione del reato ovvero la persistenza o l'aggravamento delle relative conseguenze, ovvero ancora la commissione di ulteriori reati (si rinvia a Sez. 3, n. 1806 del 4/11/2008, dep. 2009, Pepe, rv. 242262, per l'affermazione della necessità che in relazione al sequestro impeditivo possa stabilirsi un collegamento tra la cosa e il reato).
5. Nel caso in esame, come si diceva, si è senz'altro in presenza di una motivazione talmente carente da integrare la lamentata violazione di legge.
Va ribadito che siamo in presenza di un sequestro preventivo che, ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., può essere disposto dal giudice competente a pronunciarsi sul merito ovvero, prima dell'esercizio dell'azione panale, dal giudice per le indagini preliminari, a richiesta del pubblico ministero: 1. quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati; delle cose di cui è consentita la confisca ai sensi dell'art. 240 cod. pen.
Questa Corte di legittimità ha più volte precisato che il sequestro preventivo può essere disposto in presenza del duplice presupposto fattuale del rapporto di pertinenza della cosa con il reato e del concreto pericolo che la sua disponibilità possa aggravarne o protrarne le conseguenze (così Sez. 5, n. 22612 del 9/2/2010, Trotta, Rv. 247438 nella cui motivazione la Corte ha precisato che il sequestro preventivo non può essere disposto in base alla supposizione che la cosa potrebbe essere utilizzata per commettere un reato; conf. Sez. 6 n. 11164 del 13/02/2019, Azara, Rv. 275213). E, in altra pronuncia, è stato ulteriormente precisato che, ai fini dell'adozione della misura cautelare del sequestro preventivo è necessaria la sussistenza della pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro deve caratterizzarsi per una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale (così Sez. 5, n. 52251 del 30/10/2014 Bianchi, Rv. 262164 che, in applicazione del principio, ha censurato la decisione con cui il Tribunale ha confermato il decreto di sequestro preventivo di somme di denaro dell'indagato senza previamente individuare il nesso di pertinenzialità con il reato di bancarotta fraudolenta contestato all'indagato).
La previsione di cui all'art. 321 cod. proc. pen. riconosce al giudice il potere di disporre il sequestro preventivo quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze ov­ vero agevolare la commissione di altri reati. Ne consegue che il pericolo rilevante, ai fini dell'adozione del sequestro, deve essere inteso in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, connessa all'effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa o al suo uso, e deve essere concreto e attuale, e per "cose pertinenti al reato" sono anche quelle che risultino indirettamente legate al reato per cui si procede, sempre che la libera disponibilità di esse possa dare luogo al pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze di detto reato ovvero all'agevolazione nella commissione di altri reati (Sez. 4, n. 36884 del 23/05/2007, Vathaj, Rv. 237592).
Dunque, in tema di sequestro preventivo, va qui ribadito che è necessaria la sussistenza del requisito della pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro preventivo deve caratterizzarsi da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso non essendo suf­ ficiente una relazione meramente occasionale tra la "res" ed il reato commesso (così sez. 6, n. 5845 del 20/01/2017 dep. 2018, F. Rv. 269374 che, in applicazione di tale principio, ha annullato con rinvio l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo di un immobile, sede di una struttura riabilitativa, ritenendo inidonea l'asserita pertinenzialità dello stesso rispetto ai fatti di maltrattamento ivi accaduti, fondata sul solo assunto che senza l'immobile tali fatti non sarebbero accaduti con le modalità contestate).

6. Questa Corte di legittimità ha anche affermato che, in tema di sequestro preventivo, il "periculum in mora" richiesto dal primo comma dell'art. 321 cod. proc. pen. deve presentare i requisiti della concretezza e attualità, da valutare in riferimento alla situazione esistente non soltanto al momento dell'adozione della misura cautelare reale ma anche durante la sua vigenza, di modo che possa ritenersi quanto meno probabile che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all'agevolazione della commissione di altri reati (Sez. 3, n. 47686 del 17/9/2014, Euro Piemme srl Rv. 261167).
Va anche ricordato (Sez. Un., n. 23 del 14/12/1994, dep.1995, Adelio, Rv. 200114) che, quantunque manchi, per le misure cautelari reali, una previsione esplicita come quella codificata, per le misure sulla libertà personale, dall'art. 274 cod. proc. pen., lett. c) e art. 292 cod. proc. pen., è nella fisiologia del sequestro preventivo, come misura limitativa anch'essa di libertà protette costituzionalmente (artt. 41 e 42 Cast.), che il pericolo debba presentare i requisiti della concretezza e dell'attualità cautelare e debba essere valutato in riferimento alla situazione esistente non soltanto al momento dell'adozione della misura cautelare reale ma anche durante la sua vigenza, e non già nella sola prospettiva di un'astratta verificabilità dell'evento temuto ma anche in quella della concretezza del pericolo, per­ ché quest'ultimo, per essere concreto e dunque per legittimare il fermo o la mancata restituzione del bene, deve riflettersi su una situazione che renda quanto meno "probabile" e non presunta, sia in via genetica che in via funzionale, la prospettiva di un contrasto, desumibile dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, con le esigenze protette dall'art. 321 cod. proc. pen. ossia che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o alla agevolazione della commissione di altri reati.
Ebbene, l'ordinanza impugnata difetta, in senso assoluto, di motivazione in ordine alle ragioni per le quali la libera disponibilità dei mezzi in sequestro rechi concreto pregiudizio alle esigenze di cui all'art. 321 cod. proc. pen.
E' fuori discussione che, nel caso che ha interessato il decesso di C.M., il reato ipotizzato sia stato concretamente realizzato con quei mezzi.
Ma i giudici del gravame cautelare non dicono perché quei mezzi sequestrati non potrebbero per il futuro essere adibiti ad attività lavorative rispettose della normativa in materia di sicurezza del lavoro. Non sono quei mezzi a norma? Non sono correttamente funzionanti? A questi interrogativi i giudici della cautela non rispondono, limitandosi a dire che sono in corso indagini per verificare se si trattò di guasto meccanico o di errore umano. Ma, per i motivi che si sono evidenziati, una motivazione siffatta non è idonea a giustificare il sequestro preventivo di un bene ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen.

7. S'impone, pertanto, l'annullamento con rinvio al Tribunale di Campo­ basso che nello scrutinio si atterrà ai seguenti principi di diritto:
1. ai fini dell'adozione della misura cautelare del sequestro preventivo è necessaria la sussistenza della pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro deve caratterizzarsi per una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale tra la rese il reato commesso;
2. il periculum in mora, richiesto dall'art. 321 cod. proc. pen., deve presentare i requisiti della concretezza e dell'attualità cautelare e deve essere valutato in riferimento alla situazione esistente non soltanto al momento dell'adozione della misura cautelare reale ma anche durante la sua vigenza, e non già nella sola prospettiva di un'astratta verificabilità dell'evento temuto ma anche in quella della concretezza del pericolo, perché quest'ultimo, per essere concreto, deve riflettersi su una situazione che renda quanto meno "probabile" e non presunta la prospettiva di un contrasto, desumibile dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, con le esigenze protette dall'art. 321 cod. proc. pen. ossia che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o alla agevolazione della commissione di altri reati.


P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Campobasso - Sezione Riesame.
Così deciso in Roma il 14 ottobre 2020


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