Cassazione Penale, Sez. 4, 29 marzo 2021, n. 11701 - Caduta dall'alto durante i lavori di intonacatura. Confusione di ruoli in cantiere, principio di effettività e mancanza di misure di protezione collettiva e di idonei sistemi di protezione individuale
Con sentenza del 21 novembre 2019 la Corte di appello di Campobasso ha confermato la sentenza del Tribunale di Campobasso con la quale CA.N., nella sua qualità di datore di lavoro, amministratore unico della Edil Eco s.r.l. e subappaltatore dei lavori edili e di ristrutturazione del capannone sito in località Contrada Piana, del Comune di Vinchiaturo, G.B., nella sua qualità di amministratore unico della Costruzioni B. s.r.l., società subappaltante dei lavori edili e di ristrutturazione del medesimo capannone, A.B., gestore di fatto della società Costruzioni Edili B. s.r.l., sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 590, comma 1A e 3A cod. pen. per avere cagionato - in cooperazione colposa fra di loro - a N.C. lesioni personali consistite in trauma cranico con emorragia in sede frontale destra e frontotemporale sinistra sottocorticale e subaracnoidea, pneumocefalo in fosse cranica posteriore destra, rima di frattura transmatoidea e transtimpanica destra con emotimpano, frattura lineare parietale e sinistra, distacco della coracooide clavicolare destra, pneumotorace destro con contusione polmonare basale e versamento pleurico bilaterale, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per novanta giorni. In particolare, agli imputati è stata ascritta la cooperazione colposa nella causazione del sinistro per non avere, nelle rispettive qualità, con imprudenza, negligenza ed imperizia, ed in violazione degli artt. 122 e 111 d.lgs. 81/2008, adoperato adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali atte ad eliminare i pericoli di caduta dall'alto, per non avere dotato il lavoratore di misure adeguate di protezione, non installando reti di protezione o parapetti, ed infine, per non avere dotato il lavoratore di dispositivi di ancoraggio o imbracature idonee ed evitare cadute dall'alto, così non evitando che il lavoratore N.C., salito su un cavalletto alto più di due metri per procedere all'intonacatura delle pareti adiacenti alla rampa di scale del capannone, cadesse al suolo riportando le lesioni descritte.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.
3. CA.N. formula un unico motivo con il quale fa valere il vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità. Sottolinea che, nonostante l'intero compendio probatorio a disposizione dimostrasse l'estraneità della Edil Eco s.r.l. al rapporto di lavoro con N.C., la Corte di appello ha affermato, con argomenti travisanti le prove, la sussistenza di una cogestione dell'esecuzione delle opere, allorquando, invece, l'imputato si era limitato, in ragione del proprio rapporto di parentela con il lavoratore infortunato, a mettere questi ed altri suoi amici in comunicazione con la B. Costruzioni s.r.l., appaltatrice dei lavori, mentre la Edil Eco s.r.l. non aveva svolto in quel cantiere alcun tipo di lavorazione, sicché nessun obbligo aveva di predisporre misure di prevenzioni, atte ad evitare infortuni. Sostiene che la Corte, liquidando come 'risibili' i motivi di appello, abbia, in realtà, ignorato il fondamentale ruolo direttivo assunto dai B. all'interno del cantiere. Non solo furono loro, infatti, ad impartire ai lavoratori D.C. ed A.C. l'ordine di smontare l'impalcatura e caricarla sul furgone, il giorno successivo al sinistro, ma la totalità delle attrezzature era di proprietà della Costruzioni B. s.r.l., tanto che tutti i materiali e gli strumenti di prevenzioni vennero forniti ai lavoratori dalla medesima società. Che, d'altro canto, il datore di lavoro non fosse la società di Edil Eco s.r.l. facente capo a CA.N., emerge altresì dalle ricevute del bed & breakfast sito in Vinchiaturo, per il pernottamento dei lavoratori N.C., B.C., M.F., A.C. e N.C., emesse in favore della Costruzioni B. s.r.l., prodotte in giudizio. Così come dimostra la sussistenza del rapporto di lavoro fra N.C. e la Costruzioni B. s.r.l. la documentazione bancaria, prodotta dalla persona offesa, relative ai pagamenti delle prestazioni lavorative, con la quale la medesima ha inteso provare la sussistenza del rapporto di lavoro con la Costruzioni B. s.r.l.. Deduce che successivamente all'infortunio N.C. e P.C. furono formalmente assunti dalla medesima società, come dimostrano i CUD prodotti. Lo stesso N.C., peraltro, in sede di dichiarazioni testimoniali ha confermato di essere sempre stato retribuito dai B., senza mai ricevere neppure acconti da CA.N., circostanza confermata anche dal lavoratore A.C.. Essendo, dunque, A.B. e G.B. gli unici punti di riferimento dei lavoratori nel cantiere, deve escludersi ogni coinvolgimento di N.C. nella causazione del sinistro. Deduce l'assoluta carenza di motivazione della Corte di appello sul complesso delle emergenze probatorie, nonostante la puntuale deduzione dei motivi di appello, e chiede l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Con unico atto di ricorso G.B. ed A.B. formulano tre distinti motivi.
5. Con il primo ed il secondo motivo, strettamente connessi, fanno valere, ex art. 606, primo comma, lett.re e) ed e) cod. proc. pen., la violazione dell'art. 111 Cost, 125 e 546 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione. Sostengono che la sentenza di appello abbia eluso l'obbligo di motivazione, ignorando le precise censure formulate con l'atto di gravame, passivamente recependo e confermando il provvedimento appellato, senza compiere la doverosa verifica di validità della decisione adottata in prime cure, alla luce del vaglio dei motivi di censura proposti. Con riferimento all'addebitata violazione dell’art. 122 d.lgs. 81/2008, relative alle opere provvisionali sui c.d. ‘lavori in quota’, rileva l’assoluta incertezza della ricostruzione contenuta nelle sentenze di merito, inidonea all'accertamento dell'altezza dell'impalcatura dalla quale sarebbe asseritamente caduto l'operaio, posto che la medesima é stata ricavata da dichiarazioni testimoniali. Ed infatti, mentre il primo giudice approssimativamente afferma che il ponteggio sarebbe stato alto ‘circa tre metri’, o ‘fra i tre e i quattro metri’, la Corte, a fronte di specifica censura sull'assenza di prove relative alle misure dell’altezza del capannone e dell’impalcatura, conclude per l’irrilevanza della misurazione dettagliata, osservando che il capannone é posto su due livelli ‘con altezza di ogni piano di verosimile mt. 3 circa’. Ciò, nondimeno, dimostra che la sentenza è fondata solo sulle impressioni e supposizioni dei giudice, in assenza del ricorso a necessari criteri di oggettività. Con il gravame, al contrario, si era sottolineata l’esigenza della misurazione dell’altezza del capannone industriale e dei solai, ai fini della valutazione dell'altezza dell'impalcatura dalla quale si afferma essere caduto l'operaio, non essendo il giudice esonerato dall’accertamento solo in forza della declaratoria di prescrizione dei reati contravvenzionali. Invero, laddove il solaio fosse stato alto mt. 2,7, come dichiarato dal teste C. e prescritto dai criteri urbanistici, anziché mt. 3,00 come semplicemente supposto dai giudici di merito, l’utilizzo di un'impalcatura sarebbe inutile, posto che un uomo di media statura ben può con le braccia alzate raggiungere i due metri, mentre la macchina intonacatrice, come ugualmente sottolineato dai testi ed anche dalla persona offesa N.C., assicura un vantaggio di almeno cm. 50,00. Questo avrebbe reso indispensabile la misurazione dettagliata delle altezze, ai fini della valutazione della lavorazione ‘in quota’ da parte dell'operaio infortunatosi, e quindi della sussistenza della condotta colposa addebitata. Sostengono che aggirando la questione inerente all'altezza dei solai e quella della necessità di ricorrere all’utilizzo di un ponteggio per intonacare, la Corte territoriale giunge ad affermare che ciò sarebbe reso necessario da manovre quali ‘l’omogeneizzazione, l'appianamento e la lisciatura dello spruzzato di intonaco senza neppure accertarsi che siffatte opere fossero appaltate o se la macchina intonacatrice utilizzata le richiedesse, cosi avvalendosi di una vera e propria ‘prova per invenzione', in assenza di qualsivoglia spunto ricavabile dal materiale documentale e dichiarativo raccolto. Osservano che con l’appello non era stato posto in dubbio l'utilizzo del ponteggio da parte dell’impresa, ma l'assenza di prove sui tipo di ponteggio utilizzato per quel tipo di lavori, posto che per l'applicazione dell’intonaco alla parete non vi era la necessità di ricorrere ad alcun ponteggio e che la Corte, in modo del tutto congetturale, nonostante le sollecitazioni del gravame, ha sostenuto che l'intonacatura abbisognasse di un ponteggio o di un'impalcatura, senza appurare neppure se il compimento dei lavori avvenisse ad una quota su piano stabile superiore ai due metri di altezza.
Rappresentano che nel corso del processo si sono affermate tre diverse dinamiche del sinistro. Ed invero, secondo l’accusa N.C., dopo essere salito su un cavalletto alto circa due metri per eseguire i lavori di intonacatura delle pareti adiacenti alla rampa di scale del capannone, dell’altezza di circa tre metri, cadde per il cedimento dei cavalletto. Secondo il primo giudice, invece, il lavoratore, trovandosi su un ponteggio, costituito solo da cavalletti e tavole di legno, disancorato dal muro, intento ad intonacare il soffitto, precipito nel vuoto a causa del ribaltamento di una delle tavole su cui poggiava uno dei suoi piedi. Secondo il giudice di appello, infine, l'operaio N.C. testualmente sarebbe ‘precipitato in basso, lungo il vano scala, mentre lavorava ad intonacare (sembra una parete piuttosto che il soffitto) del piano superiore, siccome si girava (cioé perdeva il fissaggio orizzontale) la tavola su cavalletti (su cui poggiava i piedi), e così rovinando al piano sottostante, riportando le lesioni refertate al capo e alla parte superiore del tronco, tavola evidentemente non fissata regolarmente ai supporti di elevazione, oltre che mancare, nel contesto dispositivi di sicurezza per evitare cadute dall'alto e relativi danni per gli occupati”. Denunciano la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. per difetto di correlazione fra imputazione e sentenza, avendo il giudice di seconda cura ricostruito l'infortunio come una precipitazione del lavoratore al piano sottostante lungo il vano scala, mentre intonacava la parete dei piano superiore, modalità di accadimento mai contestata prima e mai accertata in precedenza. E tutto ciò, senza affrontare l'incongruità della ricostruzione della sentenza di primo grado, sostenendo che la dinamica era stata correttamente accertata dal primo giudice, ma offrendone, in realtà, una completamente diversa, senza operare alcuna rivalutazione probatoria e senza farsi carico di rispondere alle doglianze con le quali si sottolineava la mancata valorizzazione della testimonianza di A.C., unico operaio presente il quale ha dichiarato che N.C. non si trovava su un cavalletto, ma ‘a piano sulla scala', da lì cadendo giù per la scala medesima. Dichiarazioni queste ultime completamente coincidenti con la prima versione fornita dalla persona offesa, al momento del suo ricovero in ospedale.
N.C., infatti, sostenne, in quell'occasione, di essere inciampato, mentre si trovava a ‘quota zero’, scendendo gli ultimi gradini della scala, mentre trasportava a piano terra un pezzo dell’intonacatrice, versione questa ritenuta smentita dalla successiva dichiarazione di N.C., considerata più credibile anche perché corroborata dalla fotografia dalla quale si evincerebbe che dopo l’infortunio la macchina intonacatrice era ancora al secondo livello dei capannone. Deducono l'assoluta contraddittorietà della motivazione sul punto, posto che la fotografia richiamata ritrae la macchina intonacatrice all'esterno del capannone. Contestano, infine, la pretestuosità delle considerazioni inerenti lo smontaggio dell'impalcatura il giorno successivo all'infortunio, precedente l'arrivo dei Carabinieri, smentito dalle testimonianze di coloro che vi provvedettero, non potendo comunque siffatta operazione essere intervenuta nella notte, con la conseguenza che il ritrovamento del ponteggio già smontato è significativo del fatto che N.C. non stesse operando sulle impalcature il giorno dell'incidente.
6. Con il terzo motivo A.B. fa valere il vizio di motivazione in relazione all'affermata sussistenza della sua posizione di garanzia in qualità di gestore di fatto dell'impresa, in mancanza di ogni argomentazione e sulla sussistenza di una delega di poteri di direzione e vigilanza, e sul conferimento di capacità di spesa. Sottolinea che sul punto era stata formulata specifica doglianza con l'atto di appello, rimasta priva di risposta alcuna, nonostante la pluralità di elementi a disposizione dai cui ricavare l'assenza di coinvolgimento dell'imputato, il quale si è limitato ad accompagnare il padre in cantiere, senza assumere alcuna veste gestionale. Sottolinea la totale carenza di risposta della Corte territoriale
7. Entrambi gli imputati concludono per l'annullamento della sentenza impugnata.
8. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione con requisitoria scritta ex art. 23 comma 8 d.l. 137/2020 ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi.
9. Con distinte memorie rispettivamente in data 11 dicembre 2020 e 12 dicembre 2020 B. A. e B. G. hanno ribadito le ragioni già espresse, formulando ulteriori conclusioni per la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
Diritto
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Conviene, per ragioni di ordine logico, esaminare innanzitutto le prime due doglianze proposte da A.B. e G.B., con cui i due ricorrenti lamentano il vizio di motivazione per difetto di risposta alle doglianze proposte con l'appello in relazione all'accertamento del fatto, da cui i giudici del merito hanno fatto conseguire la sussistenza della violazione del disposto dell'art. 122 d.lgs. 81/2008, relativo alle opere provvisionali dei lavori in quota.
3. Le censure, da un lato, si incentrano sulla dinamica del sinistro, contestando l'assenza di prove circa l'altezza complessiva del capannone industriale, così come del ponteggio da cui si assume essere caduto il lavoratore, nonché l'incompatibilità logica della ricostruzione dei giudici di merito -fondata solo su supposizioni- con gli elementi probatori a disposizione, dai quali non è possibile ricavare, in assenza di misurazioni, la necessità di approntare un ponteggio per effettuare i lavori di intonacatura. Dall'altro, su questa premessa, tendono ad avvalorare la tesi della 'caduta per inciampo' del lavoratore.
4. Si tratta di deduzioni che non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, che forma un'unica trama argomentativa con la sentenza di primo grado.
Invero, la decisione di prima cura chiarisce che secondo il parere medico legale Stanislao M., consulente di parte, le lesioni riportate dal N.C. sono compatibili solo con una precipitazione dall'alto e non con una semplice caduta. La precisazione è ripresa dalla Corte territoriale che, proprio sulla base degli esiti della consulenza, esclude che la caduta sia avvenuta mentre il lavoratore scendeva gli ultimi due o tre gradini di una scala, allorquando era intento a trasferire la macchina intonacatrice al piano terra del capannone.
Rispetto a siffatta premessa, che i giudici di merito pongono a fondamento dell'accertamento sulle modalità del sinistro, per esaminare il contenuto delle testimonianze sulla descrizione della struttura sulla quale lavorava l'operaio infortunato, i ricorrenti non prendono alcuna posizione, limitandosi a contestare l'assenza di precise misurazioni o la contraddittorietà, che sostengono non risolta, fra le dichiarazioni dei testi.
Nondimeno, l'elusione di un simile assunto rende fragile la contestazione, posto che il mancato confronto con la presenza di lesioni da precipitazione svuota la deduzione introdotta sulla non necessità di utilizzare un ponteggio per provvedere all'intonacatura delle pareti.
Né, d'altro canto, appare censurabile il ragionamento contenuto nella sentenza impugnata con il quale si ipotizza un'altezza di ciascuno dei piani da intonacare pari a circa tre metri, in relazione al quale i ricorrenti sviluppano una serie osservazioni per dimostrarne l'inconferenza, addirittura ritenendola frutto di una mera supposizione.
In realtà, le considerazioni della Corte territoriale altro non sono che la risposta al motivo di appello con il quale si criticava la sentenza di prima cura per avere affermato la sussistenza delle violazioni ascritte in assenza precise misurazioni, ma non costituiscono affatto il fulcro della decisione della Corte, che -come il primo giudice- ricava l'altezza del ponteggio su cui operava N.C. dalla descrizione fattane dai testimoni escussi e dalla stessa persona offesa, secondo i quali la quota del ponteggio, privo di ancoraggio, era superiore a tre metri, a ciò aggiungendo, per quanto deducibile dalla documentazione fotografica in atti, il raffronto fra l'altezza complessiva dell'immobile e le finestre, e fra quella e le persone ritratte. Ma si tratta di elementi utilizzati a mo' di riscontro, sinanco superflui, che eliminati dal tessuto motivazionale non ne modificano la tenuta. Del tutto scevra dai vizi che le vengono addebitati è dunque la motivazione nella parte in cui afferma la sussistenza delle violazioni di cui agli artt. 122, 111 e 115 d.lgs. 81/2008, per non avere gli interessati provveduto ad adottare opere provvisionali atte ad eliminare i pericoli di caduta dall'alto, per non avere adottato adeguate misure di protezione collettiva per i lavori in quota e per non avere dotato il lavoratore di idonei sistemi di protezione individuale.
5. Ancora manifestamente infondata è la deduzione relativa alla violazione all'art. 521 cod. proc. pen., per avere il giudice di secondo grado ricostruito l'infortunio secondo una modalità mai contestata ai ricorrenti e difforme da quella descritta dalla sentenza di prima cura.
Invero, la semplice lettura della sentenza qui impugnata dimostra che la versione dell'accaduto, come riportata dalla Corte territoriale, sia perfettamente coincidente con quella del primo giudice, ancorché sia utilizzata una terminologia diversa. Entrambe le sentenze, infatti, fanno riferimento al ribaltamento di una tavola solo appoggiata su cavalletti (ad H), che, in assenza di qualsiasi sistema di ancoraggio ha prodotto quale effetto la precipitazione del lavoratore dal ponteggio.
6. Infine, inammissibile è la doglianza con la quale si lamenta la mancata valorizzazione della testimonianza dell'unico operaio presente A.C., il quale ha riferito che N.C., al momento del sinistro, non si trovava su un ponteggio ma 'a piano scala'. Si tratta, ancora una volta, di una censura che non si confronta con il corpo motivazionale, che si fa carico di esaminare quanto dichiarato dal teste, non considerando quanto riferito del tutto incompatibile con la ricostruzione accusatoria, tenuto conto che, comunque, il teste ha più volte ribadito di non avere assistito all'infortunio. Il motivo, peraltro, con cui si sottolinea la mancata risoluzione della contraddittorietà fra le dichiarazioni testimoniali, nonché l'inconciliabilità fra quanto dichiarato dagli operai della B. Costruzioni s.r.l. che smontarono il ponteggio e quanto affermato dalla Corte circa la tempestività dell'operazione, allo scopo di evitare l'accertamento, finisce per coincidere con la richiesta di una nuova valutazione probatoria, non consentita in questa sede. Come di recente ribadito, infatti, "Anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito" (ex multis: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018 - dep. 10/08/2018, Ndoja, Rv. 273911).
7. Vanno a questo punto, esaminati i motivi introdotti da CA.N. e da A.B.. Entrambi, sotto profili diversi, assumono di non avere mai rivestito alcuna posizione di garanzia nell'ambito delle lavorazioni all'interno del cantiere. Il primo in quanto estraneo al rapporto di lavoro, essendo N.C. dipendente della B. Costruzioni s.r.l., il secondo in quanto estraneo alla gestione dell'impresa.
8. Il giudice di prima cura, con motivazione ripresa e confermata dalla Corte di appello, ripercorrendo le modalità di reclutamento della persona offesa e di altri operai del cantiere, nonché quanto emerso in giudizio sulla fornitura dei materiali e sulla gestione delle lavorazioni, richiama il c.d. principio dell'effettività, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, in forza del quale assume la posizione di garante colui che di fatto si accolla ed esercita i poteri del datore di lavoro. A ciò aggiunge che, pur in assenza della possibilità di dare precisa qualificazione giuridica alla natura dei rapporti intercorrenti fra la Edil Eco s.r.l. e la B. Costruzioni s.r.l., quale subappalto delle opere, prestazione d'opera o somministrazione di manodopera, nondimeno, entrambe le imprese hanno mantenuto la concreta disponibilità del cantiere, dando direttive agli operai, con ciò assumendo gli obblighi propri del datore di lavoro in ordine alla previsione ed attuazione delle misure di prevenzione.
9. Ebbene, il principio di effettività connota il rapporto del garante con chi svolge concretamente il lavoro assegnato. Questa Corte ha chiarito in plurime occasioni che "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto. (Fattispecie relativa all'assunzione di fatto degli obblighi di garanzia del datore di lavoro o del preposto da parte del dipendente che dirigeva personalmente gli operai in cantiere, dando indicazioni al lavoratore infortunato circa le modalità di esecuzione dei lavori, in difformità da quanto previsto nel piano operativo di sicurezza). (Sez. 4, n. 50037 del 10/10/2017, Buzzegoli e altri, Rv. 27132701; da ultimo: Sez. 4, Sentenza n. 31863 del 10/04/2019, Rv. 276586; Sez. 4, Sentenza n. 22079 del 20/02/2019, Rv. 276265; nonché in precedenza ex mu/tis: Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Rv. 266854; Sez. 4, n. 22246 del 28/02/2014,, Rv. 259224).
10. I ricorrenti, invero, non negano il principio della riconduzione dell'assunzione del rischio all'ingerenza nello svolgimento dell'opera ed al concreto svolgersi del rapporto lavorativo, ma contestano la ricostruzione dei giudici di merito sul ruolo rispettivamente svolto.
11. In particolare CA.N. insiste sulla sussistenza di chiari elementi indicativi della titolarità del rapporto in capo all'impresa B.; egli, infatti, si sarebbe limitato a mettere in comunicazione alcuni lavoratori, fra cui il cugino N.C., con i B., senza svolgere alcuna attività nel cantiere, tanto è vero che lo stesso infortunato ha dichiarato di essere stato pagato dalla società B. Costruzioni, la quale si era assunta anche le spese per vitto ed alloggio per i medesimi.
12. Ben diversa è, tuttavia, la rappresentazione dei fatti che emerge dalle sentenze impugnate, desunta dalle testimonianze raccolte e da quanto riferito da N.C.. Non solo, infatti, CA.N. condusse materialmente gli operai presso il cantiere, ma egli diede loro direttive sulle modalità di svolgimento del lavoro (il giudice di primo grado trae la circostanza della deposizione di B.C., fratello di N.C., e dalle parole di M.F., altro operaio reclutato da CA.N., che entrambi lasciarono il cantiere considerandolo troppo pericoloso, pochi giorni prima dell'incidente e che riferiscono di avere ricevuto ordini dall'imputato sull'attività da svolgere), procurando anche parte del materiale necessario alle opere. Sicché il fatto che sia stata la B. Costruzioni s.r.l. a provvedere al pagamento ed al mantenimento degli operai è solo ulteriore circostanza che dimostra la concreta sovrapposizione delle figure datoriali.
13. Il ricorso, dunque, cui l'imputato allega anche i verbali dell'assunzione dei testi, al fine di dimostrare la verità della versione prospettata, finisce per risolversi nella richiesta di un nuovo vaglio probatorio, che, come già detto, non rientra nelle attribuzioni di questa Corte di legittimità.
14. Analoghe considerazioni valgono per il motivo introdotto da A.B., con il quale si lamenta, altresì, la solo apparente risposta della Corte territoriale alla critica formulata con l'appello in relazione al suo coinvolgimento nella gestione del cantiere, prospettato dal giudice di prima cura.
Anche volendo superare l'assoluta genericità della censura, che si limita a riprendere testualmente e per esteso il proprio atto di gravame lamentando che la sentenza qui impugnata si sia limitata a richiamare, senza sottoporli a critico vaglio, gli argomenti contenuti nella decisione di primo grado, vi è che la Corte territoriale risponde, seppure sinteticamente, alla sollecitazione introdotta. E lo fa, rinviando alle dichiarazioni della persona offesa ampiamente commentate dai giudici di merito e ritenute del tutto credibili. D'altro canto, la formulazione del motivo di appello, ripresa dal ricorrente in questa sede, appare essa stessa priva di specificità, in quanto si risolve nella mera frammentazione delle dichiarazioni testimoniali, senza che da una simile operazione scaturisca una visione realmente alternativa dei fatti, come ricostruiti dalla decisione appellata.
E' appena il caso di ricordare che il principio c.d. dell'effettività esula dalla sussistenza della delega di funzioni di cui all'art. 16 d.lgs. 81/2008, sulla cui assenza il ricorrente insiste per escludere l'assunzione di una posizione di garanzia, essendo il padre G.B., il soggetto su cui gravano gli obblighi prevenzionali e non avendo questi trasferito i relativi poteri in capo al figlio A.B.. Ed anzi, nella maggior parte dei casi è proprio laddove la delega manca che viene in rilievo l'assunzione di fatto della posizione di garante propria del datore di lavoro, strettamente connessa all'ingerenza nell'attività svolta dall'impresa, da un soggetto che non ne riveste formalmente la figura, ma ne assume di fatto i poteri. E' proprio in relazione a dette situazioni che l'art. 299 d.lgs. 81/2008 fa gravare gli obblighi di tutela su chi concretamente svolge le funzioni del datore di lavoro, del dirigente o del preposto [art. 2 lett. b), d) ed e), richiamato dall'art. 299 cit.].
15. Per tirare le fila, va osservato che la 'confusione' di ruoli derivante dalla mancata regolazione dei rapporti fra più imprenditori che operano nello stesso cantiere facendo ricorso alla medesima manovalanza e l'assenza di formalizzazione del rapporto di lavoro con l'uno o con l'altro, non può incidere sugli oneri di prevenzione dai rischi per l'incolumità dei lavoratori, risolvendosi in un continuo rimbalzo della responsabilità datoriale, dovendo questa ricadere su ciascuno dei soggetti che organizzano l'attività ed operano nel cantiere avvalendosi della prestazione dei lavoratori, dando loro direttive, ancorché ciò si risolva in una subordinazione di fatto dei medesimi. Ed è in questo che si estrinseca il principio dell'effettività.
16. All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della soma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende
Così deciso il 17/12/2020