Cassazione Penale, Sez. 4, 29 marzo 2021, n. 11692 - Infortunio durante le operazioni di smontaggio della linea di back up presso il cantiere di realizzazione di una linea metropolitana. Responsabilità del Presidente del CDA e del direttore di cantiere
La Corte d'appello di Milano, in data 28 giugno 2019, ha parzialmente riformato nel trattamento sanzionatorio (riconoscendo agli imputati l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen.) la sentenza, per il resto confermata, con la quale il Tribunale di Milano in composizione monocratica, il 10 maggio 2018, aveva condannato - per quanto qui d'interesse - R.G. e G.G.R. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di lesioni personali colpose con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, loro contestato come commesso, nelle rispettive qualità, in data 26 luglio 2013 in danno di A.L.A..
Questi, all'epoca dei fatti, lavorava con mansioni di meccanico quale dipendente della SELI S.p.A., società della quale il G.G.R. era Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante, mentre il R.G. era direttore di cantiere (avente quindi qualifica di dirigente della predetta società) con delega per la sicurezza sul lavoro.
1.1. Il fatto per cui é processo si verificava presso il cantiere di realizzazione della linea della metropolitana 5 in Milano, a Piazza Cimitero Monumentale, Pozzo Orafi: i lavori erano gestiti da un'associazione temporanea di imprese (ATI) cui partecipava la società Asta/di, della quale la SELI era subappaltatrice. In particolare, il giorno del sinistro veniva eseguito a cura della SELI lo smontaggio della linea back up al servizio della Tunnel Boring Machine (un macchinario comunemente denominato "talpa", ossia la fresa avente la funzione di effettuare l'escavazione del tunnel). In tale fase veniva impiegato un locomotore GIA DHD 25, la cui funzione era quella di sospingere i carri che componevano la fresa verso l'imbocco (ossia l'uscita) della galleria. I carri, che avevano una struttura a forma di U rovesciata (così da lasciare libero lo spazio sottostante per lasciar passare il locomotore), poggiavano su ruote metalliche che scorrevano su una linea di binari più larga, entro la quale scorreva il locomotore su una linea di binari più stretta. Per sospingere i carri, il locomotore era dotato di una sbarra di ferro (putrella) che di volta in volta veniva posizionata sopra le ruote.
Accadeva che l'A.L.A., che stava riposizionando la putrella, operava con una sottosquadra composta anche dai colleghi A.F. (che era alla guida del locomotore) e M.P., il più anziano dei tre (che aveva dato indicazioni agli altri due su come procedere nelle operazioni di smontaggio e che al momento dell'incidente stava togliendo il perno per sganciare due carri). Nel momento in cui stava movimentando la putrella, l'A.L.A. veniva schiacciato all'altezza della gamba sinistra dal locomotore, che si era messo in movimento. Conseguentemente il lavoratore riportava le gravi lesioni descritte in rubrica.
1.2. L'addebito mosso agli imputati, in relazione alle rispettive sfere di competenza e alle correlate posizioni di garanzia, é, quanto ad entrambi, di non avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini dell'operazione de qua, a fronte del fatto che il locomotore:
- presentava dispositivi di sicurezza disattivati o comunque non funzionanti, con specifico riguardo al c.d. "sensore di prossimità" (che doveva impedire che il mezzo si mettesse in moto in caso di apertura delle portiere);
- aveva un sistema di spinta precario e inadeguato ai fini della sicurezza di una qualsivoglia forma di aggancio stabile con il carro, tale da consentire allo stesso locomotore di rallentare e/o fermare tutto il convoglio;
- aveva la caratteristica di effettuare un'azione di spinta con appoggio piano contro appoggio piano "a tutta sagoma del locomotore", in modo tale da non lasciare scampo a un eventuale operatore frapposto tra locomotore e carro.
Al G.G.R., nella sua posizione apicale, si addebita inoltre di avere omesso di effettuare una compiuta valutazione dei rischi presenti nel cantiere, con particolare riguardo ai contenuti del POS in relazione alle manovre di smontaggio della linea di backup e allo spostamento della c.d. "talpa".
1.3. La Corte di merito ha in primo luogo osservato che non era stato possibile accertare le ragioni per le quali il macchinario aveva provocato le lesioni all'A.L.A. a causa della tardiva denuncia dell'infortunio da parte della SELI, avvenuta due mesi dopo: secondo il Collegio ambrosiano, gli imputati - i quali nell'appello avevano sostenuto che i sistemi di sicurezza non erano disattivati, il sistema di spinta utilizzato era il più idoneo e sicuro e il locomotore era in perfette condizioni - avrebbero dovuto accertarsi, denunciando prontamente l'infortunio, che il macchinario rimanesse sul luogo dell'incidente e consentisse ai tecnici dell'ASL prima, e al consulente del P.M. poi, di verificare quanto da loro asserito. Perciò gli accertamenti erano stati condotti sui documenti trovati presso la SELI, in specie sul manuale della società costruttrice del locomotore, da cui risultava che lo stesso, nelle normali condizioni di funzionamento, non poteva mettersi in movimento senza che la porta della cabina fosse chiusa e senza la volontà di chi lo conduceva. Era poi emerso che nei confronti dei dipendenti che avrebbero dovuto far funzionare il locomotore (e, certamente, nei confronti del A.F. e dell'A.L.A.) non era stata riscontrata la necessaria attività formativa; e che il POS conteneva indicazioni affatto generiche specie in relazione alle modalità di esecuzione della fase di spinta dei carri e di movimentazione della sbarra di ferro. Sono state poi disattese le lagnanze degli appellanti in ordine alle rispettive posizioni di garanzia.
2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorrono sia il G.G.R. che il R.G., con atti distinti, preceduti entrambi da un'ampia premessa illustrativa, comprensiva di ampi stralci dell'atto d'appello. Giova precisare che il ricorso del G.G.R. consta di quattro motivi, quello del R.G. di tre; ma i primi tre motivi del ricorso del G.G.R. corrispondono anche graficamente ai tre motivi articolati dal R.G., sì che per tali motivi si procederà ad illustrazione contestuale.
2.1. Il primo motivo dei due ricorsi lamenta vizio di motivazione della sentenza impugnata, con travisamento della prova e del fatto, a proposito della dedotta tardività della denuncia di infortunio da parte della ditta e, per essa, dei due imputati: risulta di contro, anche in base alla stessa sentenza del Tribunale, che la segnalazione fu fatta solo 4 giorni dopo, e non dopo due mesi come sostenuto dalla Corte ambrosiana. Di fatto il consulente del P.M. e il tecnico ASL non hanno mai detto - né avrebbero potuto, non avendo visionato il mezzo - che il sinistro si sarebbe effettuato perché i sistemi di sicurezza del locomotore sarebbero stati elusi, ed anzi hanno riconosciuto in controesame che verosimilmente l'incidente fu dovuto alla movimentazione del locomotore ad opera del A.F., per distrazione.
2.2. Con il secondo motivo dei due ricorsi si lamenta violazione di legge a proposito del fatto che la sentenza impugnata sembra ribaltare le regole sull'onere della prova, che come noto incombe all'accusa, rimarcando che la denuncia di infortunio sarebbe stata fatta tardivamente e che, ove fosse stata tempestivamente effettuata, i due imputati avrebbero potuto dimostrare che i sistemi di sicurezza del locomotore non sarebbero stati disattivati, che il sistema di spinta era il più idoneo e che il locomotore era in perfette condizioni. E', del resto, la stessa Corte di merito a riconoscere che la dimostrazione del contrario non é mai avvenuta.
2.3. Con il terzo motivo i due ricorrenti lamentano vizio di motivazione a proposito dell'asserita mancanza di formazione del A.F. e dell'A.L.A.: assunto che é stato disatteso per tabulas quanto al A.F. (circostanza confermata in primo grado anche dai testi S. e C.) ed é stato smentito quanto all'A.L.A. dalle stesse dichiarazioni della persona offesa. Si sostiene inoltre che quel giorno il R.G. non svolgeva più le funzioni di direttore del cantiere, essendo stato convocato dalla direzione romana della società per l'assegnazione ad altro cantiere.
2.4. Come si diceva, nel ricorso del G.G.R. é anche articolato un quarto e ultimo motivo, nel quale si denuncia vizio di motivazione a proposito della delega di funzioni da parte dello stesso G.G.R. all'ing. S.: il quale, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, disponeva in forza di tale delega di tutti i più ampi poteri decisionali e di spesa necessari in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. E' lo S. ad avere affermato il contrario per evitare il proprio coinvolgimento nella vicenda, con la conseguenza che le sue contrarie affermazioni sono probatoriamente irrilevanti. Il ricorrente denuncia poi il fatto che la Corte di merito ha omesso di motivare circa l'assenza di collegamento fra le pretese carenze riscontrate sul POS e l'infortunio.
Diritto
1. I ricorsi sono entrambi infondati, attingendo questioni rispetto alle quali il percorso argomentativo della sentenza impugnata (e, ancor più, di quella di primo grado) resiste pienamente alle censure; essi inoltre sollecitano, in alcuni aspetti, una rivalutazione del materiale probatorio, non consentita in questa sede in quanto demandata in via esclusiva ai giudici di merito (ex multis Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
Vale comunque la pena premettere - trattandosi nella specie di "doppia conforme" - che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, Sentenza n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
2. Procedendo nell'ordine dei motivi proposti, é sostanzialmente priva di rilievo la questione riguardante l'epoca della denuncia dell'infortunio da parte dei vertici della SELI, che la Corte d'appello colloca due mesi dopo il sinistro probabilmente sulla base delle dichiarazioni del tecnico dell'ASL, P., il quale aveva riferito in dibattimento di avere eseguito accertamenti su delega del P.M. a più di due mesi dal fatto, atteso che l'infortunio non era stato segnalato prima (pag. 6 sentenza impugnata); in realtà, come osservato anche nella sentenza di primo grado (v. pag. 4), l'infortunio veniva comunicato all'INPS il 30 luglio 2013, ossia quattro giorni dopo. Ciò che conta, però, é che sia stato comunque possibile per altre vie ricostruire, da un lato, il corretto funzionamento del locomotore e i dispositivi di sicurezza che lo caratterizzavano; e, dall'altro, le modalità e le cause dell'incidente e, con esse, i difetti di funzionamento del locomotore il cui verificarsi ha avuto un ruolo decisivo sul corso degli eventi.
2.1. Sotto il primo profilo gli accertamenti documentali del tecnico P. e del consulente del P.M. ing. P. hanno consentito di accertare (pag. 10 sentenza impugnata) che il locomotore era dotato di un sensore in prossimità della struttura della cabina, che veniva attivato quando si chiudeva la porta della cabina stessa e dava il "consenso" all'avvio del mezzo; oltre alla minuta descrizione dei meccanismi di funzionamento e di sicurezza del macchinario, vi si legge che la procedura di avvio del mezzo prevedeva l'accensione del quadro con apposita chiave; la pressione sul pedale di consenso; l'utilizzo dei manovellismi per l'accelerazione e il freno. L'avvio poteva avvenire solo a porte chiuse, e comunque, se i sistemi di sicurezza non fossero stati elusi, essi avrebbero dovuto impedire il movimento inavvertito del locomotore e quindi lo stesso non avrebbe potuto funzionare se non con la volontà di chi lo conduceva.
2.2. Sotto il secondo profilo, la ricostruzione della dinamica dell'incidente, resa possibile soprattutto dalle dichiarazioni rese della persona offesa, e di altre circostanze di contorno, riferite anche da altri testi, ha permesso di stabilire che in realtà i suddetti sistemi di sicurezza dovevano essere stati necessariamente elusi: il A.F., che conduceva il locomotore, era stato invitato dall'A.L.A. a rimanere fermo mentre egli movimentava la putrella; ma successivamente il macchinario si era messo in moto e il A.F. - che peraltro, secondo l'A.L.A., gli avrebbe riferito di essere sceso per un attimo dal locomotore avendolo visto in difficoltà, forse urtando in tale circostanza la leva del cambio - non era riuscito a fermarlo, sebbene (riferisce la stessa persona offesa: é quanto riportato a pagina 6 della sentenza di primo grado) fosse previsto un meccanismo di spegnimento automatico due secondi dopo avere smesso di premere il pulsante di messa in movimento (c.d. pulsante "dell'uomo morto"). Affermava inoltre l'A.L.A. (ibidem) di avere constatato che il locomotore si metteva in moto anche se lo sportello era aperto, ciò che - come si é detto - non sarebbe stato possibile in base al manuale d'uso del macchinario. Quanto affermato dall'A.L.A., sempre secondo quanto si ricava dalla sentenza di primo grado (pag. 22), risulta riferito anche da altri operai che lavoravano sul cantiere. Oltre a ciò, gli accertamenti che é stato possibile condurre sul locomotore - che nel frattempo era stato trasferito a Latina - hanno comunque consentito di constatare che esso era in pessime condizioni ed era inoltre privo della certificazione CE (pag. 6 sentenza impugnata).
3. Le considerazioni che precedono rendono evidente anche l'infondatezza del secondo motivo di ricorso, atteso che la Corte di merito, lungi dal ribaltare le regole dell'onus probandi, non fa altro che enunciare le ragioni per le quali non é stato possibile effettuare direttamente in loco, nell'immediatezza dell'infortunio, le condizioni e il funzionamento del locomotore, ed in base alle quali non hanno trovato riscontro le asserzioni difensive circa il corretto funzionamento dello stesso. La prova del contrario, come si é avuto modo di osservare, é stata nondimeno ricavata - e correttamente illustrata dalla Corte di merito - sulla base degli accertamenti condotti sui documenti di uso del locomotore e, a contrario, sulle circostanze riferite in aula dai testimoni, deponenti per l'assenza delle condizioni di sicurezza previste dal manuale d'uso.
4. E' infondato anche il terzo motivo, comune anch'esso ai due ricorsi: la Corte distrettuale (pagg. 6 e 12) ha escluso che il A.F. fosse abilitato alla conduzione del locomotore; era, sì, vero - come documentato dalla difesa e come riferito dal tecnico ASL P. - che egli aveva acquisito un attestato di "meccanico locomotorista" avendo effettuato formazione il 13 dicembre 2012, somministrata dal RSPP della società, M.C., e con il tutor P.M.; ma senza che da tale attestato potessero ricavarsi né la durata del corso, né le modalità formative (pratiche o teoriche) né ovviamente l'idoneità formativa dello stesso, e nulla consentiva di ritenere che tale formazione comprendesse le modalità di disassemblaggio dei carri (vds. pag. 11 sentenza di primo grado). Cionondimeno il A.F. era stato visto dall'A.L.A. condurre il locomotore anche nei due giorni precedenti, e del resto la stessa persona offesa aveva riferito di avere di tanto in tanto usato egli stesso il locomotore, per spostarlo (pag. 6 sentenza di primo grado). Perciò le argomentazioni poste a base del motivo di ricorso in esame non si confrontano, quanto al A.F., con le valutazioni critiche dei giudici di merito; quanto poi all'A.L.A., all'evidenza, la specificità delle mansioni (per quanto possa rilevare ai fini dell'episodio in esame) non può certo essere comprovata da un semplice riferimento dello stesso alla sua esperienza o alla circostanza di avere in precedenza partecipato allo smontaggio di altre due frese. Del resto la stessa persona offesa ha affermato che un simile incidente non si sarebbe verificato se a condurre il locomotore fosse stato un soggetto a ciò abilitato (pag. 7 sentenza di primo grado); e ciò rende evidente anche la rilevanza causale delle carenze formative oggetto di contestazione.
E' infine appena il caso di chiarire, quanto alla posizione di garanzia del R.G. quale direttore del cantiere, che tale posizione certamente non incontrava una soluzione di continuità per il fatto che, il giorno dell'incidente, egli era a colloquio a Roma presso la direzione della società per essere assegnato ad altro cantiere: é chiaro che in tali condizioni non era ancora intervenuta una successione di altro soggetto nella posizione di garanzia di direttore del cantiere ove avvenne l'incidente, ma quand'anche vi fosse già un subentrante il R.G. non poteva dirsi cessato dai relativi obblighi fino a quando tale subentro non fosse divenuto effettivo.
4. Quanto poi al quarto motivo del ricorso di G.G.R., esso é manifestamente infondato, oltreché proteso a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio, laddove sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis Sez. 6, Sentenza n. 47204 del 07/10/2015 , Musso, Rv. 265482).
Con precipuo riferimento alle carenze riscontrate in ordine ai contenuti del POS in relazione alla manovra in corso di svolgimento al momento dell'incidente, va innanzitutto chiarito che la manovra stessa si collocava a pieno titolo nell'ambito dell'esecuzione delle operazioni di scavo per le quali la SELI aveva assunto il subappalto per conto della società Astadi, ed era dunque di cruciale importanza nell'ambito di dette operazioni, che costituivano lo scopo stesso dell'attività demandata alla predetta società subappaltatrice. Pertanto era di fondamentale importanza che le procedure connesse all'operazione di smontaggio della linea di back up in vista dello spostamento verso l'esterno dei carri impiegati nelle azioni di scavo dovessero essere compiutamente e accuratamente descritte nel POS, con adeguata valutazione dei rischi ad esse correlati. Sul punto il motivo di ricorso in esame é affatto generico e meramente avversativo, a fronte del fatto che - come già nella sentenza di primo grado - anche la pronunzia impugnata si sofferma sulla genericità delle indicazioni riportate nel piano operativo per la sicurezza proprio «in relazione alla fase di spinta dei carri, la cui idoneità non era stata valutata come pure non aveva ricevuto attenzione il peso della sbarra e le modalità attraverso le quali la stessa doveva essere movimentata», chiarendo poi che «in tema di sicurezza del lavoro, vi é un aspetto particolare sulla prevedibilità che é quello che impone all'imprenditore di effettuare una valutazione dei rischi - e quindi di prevederli: la colpa dell'imprenditore va, pertanto, ravvisata se un'adeguata valutazione dei rischi avrebbe rivelato la situazione di pericolo» (pag. 10 sentenza impugnata). Ravvisare al riguardo una carenza motivazionale sul punto, in termini di assoluta aspecificità ed a fronte peraltro dell'ampio percorso argomentativo della conforme sentenza di primo grado (debitamente richiamata al riguardo dalla stessa Corte di merito) rende evidente l'infondatezza della prospettazione del ricorrente.
Quanto poi alla questione della credibilità delle dichiarazioni del teste S. - per non parlare dell'utilizzabilità delle stesse -, é evidente che non può essere posta in discussione in questa sede solo in base a una valutazione ipotetica di una possibile valenza autoindiziante della sua qualità di dirigente, laddove la delega a lui conferita non gli consentiva comunque di autorizzare spese che comportassero innovazioni a carattere strutturale, né gli conferiva un budget o indicazioni di spesa per la sicurezza dei lavoratori (pag. 12 sentenza impugnata).
5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.