Cassazione Penale, Sez. 4, 27 ottobre 2021, n. 38413 - Caduta dal ponteggio. Responsabilità del datore di lavoro e del preposto per la mancata predisposizione delle linee vita e degli idonei sistemi di ancoraggio

2021

Fatto



l. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che ha condannato M.F. e R.D., riconosciute le generiche equivalenti alle aggravanti, alla pena sospesa, con il beneficio della non menzione, di mesi 2 di reclusione per il reato di cui agli artt. 113 e 590 cod.pen., il primo in qualità di datore di lavoro ed il secondo di preposto dell'impresa C.D.S. di M.F. (per avere cagionato al lavoratore B.F. lesioni - trauma cranico con ferite e frattura al radio destro - derivanti dalla caduta dal ponteggio, causata dal cedimento improvviso del solaio, con colpa consistita per il datore di lavoro nel non aver valutato i rischi, nel non aver assicurato ai lavoratori idonei dispositivi di sicurezza anti-caduta e nell'aver fatto realizzare una passerella inidonea al carico; per il preposto nel non aver provveduto a tempestiva informazione dei pericoli nelle operazioni di demolizione e di predisposizione dei punti fissi per il fissaggio delle cinture di sicurezza, in data 12 luglio 2014).
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, M.F. e R.D., che preliminarmente hanno lamentato l'erronea ricostruzione dei fatti (fondata interamente sulla deposizione del teste B., che non era presente sui luoghi di causa ed ha fatto solo una indagine statistica) e l'omessa valutazione, da parte dei giudici di merito, di circostanze fondamentali (ad esempio, che il cantiere non era sul solaio e che la puntellatura del solaio spettava alla appaltatrice C. e non al sub­ appaltatore). In particolare, i ricorrenti hanno dedotto: 1) la mancanza della condizione di procedibilità e la mancata assunzione di una prova decisiva sul punto (c.t.u. medico legale, appositamente richiesta), in quanto si sarebbe dovuto tenere conto dell'incidenza dell'errore diagnostico sulla durata della malattia e, conseguentemente, qualificare le lesioni cagionate a B.F. come inferiori a 40 giorni, procedibili solo a querela - nel caso di specie assente; 2) il travisamento della prova, atteso che la persona offesa ha chiaramente affermato di aver ricevuto i dispositivi individuali di sicurezza, ivi compresa l'imbracatura, e di averli costantemente utilizzati, e la mancata assunzione di una prova decisiva (c.t.u.) sulle condizioni del solaio e sulle cause del suo crollo (avvenuto nonostante l'assenza di macerie ovvero di peso), imputabili ad altri soggetti (assolti a differenza dei ricorrenti), su cui è stato ritenuto irrilevante ogni approfondimento istruttorio in modo manifestamente illogico, stante la incidenza ai fini dell'accertamento del nesso di causalità (''se il solaio avesse retto e non fosse crollato, il signor Bekshiu non si sarebbe rotto il polso"); 3) l'omessa applicazione dell'art. 131-bis cod.pen., pur essendo stato determinato il sinistro dall'inadeguatezza del solaio, essendo le lesioni non gravi e essendo i ricorrenti incensurati.
3. La Procura Generale ha concluso per l'inammissibilità di entrambi i ricorsi. I ricorrenti hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.




Diritto


l. I ricorsi sono inammissibili.
2. La prima censura, avente ad oggetto la violazione di legge e la mancata assunzione di una prova decisiva in ordine all'accertamento del tipo di lesioni e del conseguente regime di procedibilità, è manifestamente infondata alla luce dell'art. 41 cod.pen., ai sensi del quale il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione o omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l'azione o omissione e l'evento, e dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell'agente, sia quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per l'assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale, ragionevole probabilità (Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Zantonello, Rv. 271846). In proposito va ricordato che Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017, Schiavone, Rv. 269976 ha precisato che l'eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito. Lo stesso principio deve operare anche con riferimento alla vittima di un infortunio sul lavoro.
In definitiva, l'errore diagnostico dei sanitari rileva, come già osservato dai giudici di merito, quale concausa dell'evento, unitamente alla condotta dei ricorrenti. Del resto, le definitive e complessive lesioni non possono, da un punto di vista ontologico o concettuale, essere scisse ed in parte ricondotte all'infortunio sul lavoro, in parte alla responsabilità medica, sicché del tutto correttamente i giudici di merito hanno qualificato il reato come lesioni gravi e, quindi, procedibile d'ufficio.
3. La seconda doglianza, avente ad oggetto la mancata assunzione di una prova decisiva (c.t.u. su condizioni del solaio e ragioni del crollo) ed il travisamento della prova in ordine alla mancata consegna dei dispositivi di sicurezza individuale, è inammissibile, in quanto del tutto a-specifico.
Difatti, i ricorrenti si limitano ad insistere nella loro ricostruzione dei fatti, senza confrontarsi con la motivazione delle sentenze di merito, in base alle quali si è negato, alla luce dei risultati complessivi dell'istruttoria, che fossero state predisposte le linee vita e gli ancoraggi necessari a prevenire il rischio di caduta dall'alto e si è anche precisato che il semplice utilizzo dell'imbracatura, senza la garanzia di un ancoraggio, non avesse alcuna capacità precauzionale (v. p. 9 della sentenza di primo grado). In altre parole, la condotta colposa accertata, per la quale i ricorrenti sono stati condannati, consiste nella mancata predisposizione delle linee vita e degli idonei sistemi di ancoraggio (golfari agganciati ai pilastri), mentre il ricorso si focalizza sulle prove relative ad altra condotta (la consegna delle imbracature e la predisposizione di sistemi di ancoraggio impropri), prescindendo completamente dalla ricostruzione dei fatti, esaustivamente motivata, in modo non manifestamente illogico e privo di contraddizioni, dai giudici di merito. Proprio alla luce del complessivo percorso motivazionale dei giudici del merito, del tutto superfluo l'approfondimento istruttorio richiesto. Del resto, l'errar in procedendo rilevante ex art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa: la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (Sez 4, n. 23505, del 14/03/2008, Di Dio, Rv. 240839). Invero, seppure si accertasse la inidoneità del solaio, comunque, la mancata predisposizione delle linee-vita e degli adeguati sistemi di ancoraggio conserverebbe tutta la sua rilevanza causale ai sensi dell'art. 41 cod.pen., sicché la prova richiesta correttamente è stata ritenuta non decisiva ai fini dell'assoluzione dei ricorrenti.
4. L'ultimo motivo, avente ad oggetto l'erronea applicazione dell'art. 131-bis, cod.pen. è meramente ripetitivo di quello di appello, già respinto con argomentazioni esaustive e non manifestamente illogiche (in particolare le modalità del sinistro, la gravità delle lesioni), con cui i ricorrenti neppure si confrontano.
Va, pertanto, ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l'aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 ud., dep. 21/02/2013, Leonardo, Rv. 254584).
5. In conclusione, i ricorsi sono inammissibili ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, al versamento della sanzione pecuniaria, che si reputa equo liquidare in euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 6 ottobre 2021.


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