Cassazione Penale, Sez. 4, 26 maggio 2021, n. 20810 - Morte del lavoratore in nero sul cestello della PLE a seguito di contatto con la linea elettrica area: responsabilità del coordinatore per la sicurezza
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano in data 8.03.2017, ha rideterminato la pena ad anni uno di reclusione, confermando nel resto l'affermazione di responsabilità penale di R. imputato del reato contestato in rubrica di cui agli artt. 589 comma 2, 113, 40 comma 2 cod. pen. per aver per colpa, quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione delle opere, in cooperazione con M.E. legale rappresentate della società Sitim O.La.Fer s.r.l., P.A. titolare e gestore di fatto della società P. costruzioni s.r.l. e direttore tecnico di cantiere, P.M. legale rappresentante della P. costruzioni s.r.l. (per i quali si è proceduto separatamente) e in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, causato la morte dell'operaio I.A., a seguito di contatto con la linea elettrica area a media tensione con parti attive non protette o comunque non sufficientemente protette e non a distanza di sicurezza mentre si trovava nel cestello della piattaforma area elevabile per i lavori non elettrici in quota. In particolare per aver consentito che l'I.A., operaio al nero, privo di adeguata e specifica formazione, sprovvisto delle necessarie attrezzature di sicurezza, svolgesse attività lavorativa all'interno del cantiere in allestimento in Corbetta Via Monte Cervino presso l'Azienda Sitim Olafer s.r.l., con il compito anche di collocare parapetti metallici lungo il perimetro della copertura del capannone aziendale in vista della rimozione e sostituzione della copertura medesima, nonostante in prossimità vi fosse una linea elettrica attiva e comunque non sufficientemente protetta e ad una distanza inferiore ai limiti di legge, senza che fossero state adottate misure organizzative di protezione individuali. In Corbetta Magenta il 23.10.2015
2. I Giudici di merito nella ricostruzione del fatto, sulla base degli accertamenti svolti dal Nucleo tutela dei Carabinieri e della competente Agenzia Tutela Salute ( ATS) di Milano, avevano evidenziato i seguenti profili di colpa generica e specifica a carico di R., coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione dell'opera, nominato dalla Sitim Olafer, rappresentata e gestita dal M.E., che aveva affidato alla P.A. Costruzioni s.r.l i lavori di rimozione bonifica amianto e rifacimento con pannelli coibentati del tetto del capannone e cioè di aver consentito al lavoratore I.A., privo di un contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, di svolgere lavori in quota utilizzando una piattaforma elevabile (PLE) per collocare i parapetti metallici nel capannone dell'azienda, nonostante il pericolo dell'alta tensione derivante dalla linea elettrica.
Risultava, inoltre, che la realizzazione dei parapetti metallici e dei lavori di lattoneria ( in specie le scossaline di rame da applicare sui bordi della copertura da tutti i lati) erano stati affidati di fatto in subappalto a tale IM., artigiano edile lattoniere che non poteva operare con la sua ditta e all'operaio I.A.; questo tipo di lavorazione implicava necessariamente lo stazionamento in quota anche per prendere le misure; risulta, inoltre, che in più occasioni la ditta P. aveva di fatto utilizzato l'I.A. anche nell'attività di posa dei parapetti ( teste G. fol 4 sentenza di primo grado), fornendogli una cintura che lo teneva legato al ponteggio; che la piattaforma di lavoro elevabile, noleggiata dalla ditta P.A. per la posa in opera dei parapetti (normalmente azionata da P.S., figlio del titolare P.A. e dal dipendente G.) si doveva posizionare in uno spazio di cinque metri, tra la linea elettrica e il bordo della copertura, e che ciò, stante l'ingombro del macchinario, costringeva i lavoratori a operare ad una distanza dalla linea elettrica inferiore ai metri 3,5 previsti come distanza minima dall'art 83 del d.lgs 81/2008.
Era stato accertato che:
- il Piano di sicurezza e coordinamento, Psc, era stato comunicato alle imprese P.A. e Milano Tagli ( l'altra ditta che aveva in subappalto i lavori) in data 15.10.2015 e il relativo allegato conteneva un'analisi dei rischi standardizzata, priva di valutazioni in concreto del grave rischio di elettrocuzione, riferito allo specifico contesto lavorativo ( linea ad alta tensione aerea presente, distanza dai lavoratori che operavano in elevazione per sopralluoghi, misurazioni e installazione delle paratie metalliche, proprio in adiacenza ai cavi ad alta tensione);
- era mancato il controllo e il coordinamento rispetto al piano operativo di sicurezza (Pos) redatto dall'appaltatore, che riporta la data del 22.10.2015, di appena un giorno prima l'infortunio e comunque successiva al PSC, in cui vi era la generica indicazione di "porre attenzione all'elettrodotto" di alta tensione senza alcuna altra indicazione o concreta misura di sicurezza.
2.1. I Giudici di merito, in definitiva, evidenziavano concordemente l'omessa previsione e individuazione nel PSC, di competenza dell'imputato, di modalità operative per la esecuzione sicura dei lavori in fase di montaggio dell'opera e allestimento del cantiere ed inoltre la mancanza di un efficace e preventivo controllo e coordinamento tra le ditte operanti nel cantiere ( risulta un solo incontro documentato tra i R. e i soggetti abilitati a operare nel cantiere, il 22 ottobre 2015, dopo l'inizio dei lavori, e solo richiami generici sul rischio senza nessun tipo di coordinamento effettivo sull'aspetto sicurezza, sui rischi specifici né contestazioni formali in relazione alla presenza di lavoratori al nero che non avevano alcun rapporto di dipendenza con le ditte affidatarie dei lavori).
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione R. deducendo i seguenti motivi:
I) vizio di motivazione con riferimento all'elemento soggettivo e al nesso di causalità in quanto la Corte territoriale ha omesso di motivare con riferimento alle doglianze specifiche dedotte dalla difesa.
II) violazione della legge penale con riferimento alla valutazione dell'elemento soggettivo, in quanto il R. si era opposto alla presenza dell'I.A. in cantiere, intimandogli di non farsi più vedere nell'area del cantiere e che essendo un soggetto al nero doveva considerarsi terzo estraneo; non spetta al coordinatore per la sicurezza la vigilanza circa l'osservanza del rispetto del PSC da parte delle imprese esecutrici; se le direttive del R. fossero state eseguite l'evento non si sarebbe verificato.
Lamenta che la sentenza impugnata sotto il profilo del nesso di causa si esprime in termini dubitativi, evidenziando la corresponsabilità del lavoratore deceduto che è salito in quota in adiacenza con le linee e non approfondendo la rilevanza causale esclusiva dei comportamenti delle ditte operanti nel cantiere.
4.11 Procuratore Generale in sede ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso.
4.1. L'avvocato M. ha fatto pervenire una memoria scritta il 20.04.2021 con cui insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
Diritto
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Va osservato che sul punto ci si trova di fronte ad una cd. "doppia conforme" in cui le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si integrano a vicenda, formando un unico percorso logico-argomentativo che, nel caso in esame, appare certamente congruo e adeguato, oltre che giuridicamente corretto.
Giova considerare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109).
Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
1.2. Va premesso che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, quale causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409) rileva nel momento in cui la condotta del lavoratore si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è «interruttivo» non perché «eccezionale» ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare ( Sez.4 n.15124 del 13.12.2016,Rv.269603).
In tema di rapporto di causalità, ai sensi dell'art.41, terzo comma, cod.pen., il nesso di causalità non resta escluso dal fatto altrui, cioè quando l'evento è dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali (Sez. 4, n. 31679 del 08/06/2010, Rv. 248113), a meno che tale comportamento non sia qualificabile come concausa qualificata, capace di assumere di per sé rilievo dirimente nella spiegazione del processo causale e nella determinazione dell'evento.
La giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle criticità (Sez.4, n.22044, del 2.05.2012, n.m; Sez.4, n. 16888, del 7/02/2012,Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n. 4114 del 13/01/2011, n.m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962).
1.3. E' sta correttamente considerata. nella individuazione del determinismo causale la condotta omissiva da parte dell'imputato delle doverose misure di prevenzione, facenti capo al coordinatore per la sicurezza, che ha redatto un PSC generico definito "burocratizzato", in cui non si è tenuto conto delle specifiche lavorazione che dovevano essere effettuate nel cantiere e dei rischi connessi all'istallazione delle paratie metalliche in prossimità dei cavi ad alta tensione; senza prevedere alcuna specifica attività di coordinamento tra le ditte operanti nè un controllo sulle modalità di sicurezza di cui anche il Pos era carente; senza adottare specifici e formali provvedimenti a fronte della presenza di lavoratori in nero, non qualificati, di cui era stato reso edotto nella riunione del 22 10 2015 e ai quali peraltro erano stati affidati lavori essenziali per la realizzazione dell'opera, caratterizzati da un alta esposizione a rischio.
1.4. Va ribadito che il nuovo sistema di sicurezza aziendale di cui al D.Ivo n.81/2008 si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica guida anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a più imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonchè nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili.
Viene anche ricordato che nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche se non contemporanea) di più imprese esecutrici, il committente, nella fase preliminare di progettazione dell'opera, deve nominare il coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera (CSP) o coordinatore per la progettazione di cui all'art. 89 co 1 lett. f) Dlgs. n.81/2008, figura investita dell'obbligo di predisporre il PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento), costituito da una relazione tecnica e da dettagliate prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare oltre che alle eventuali fasi critiche del processo attuativo; prescrizioni idonee a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 91, co. 1, lett. a) D.lgs 81/08), fondamentale per la corretta gestione prevenzionale e antinfortunistica di tutte le fasi lavorative, dato che i POS, Piani Operativi di Sicurezza, ne sono piani complementari di dettaglio (art. 92 co.1 lett. b D.lgs 81/08). Il CSE (coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera art. 90 co 4 D.lgs. 81/08), è chiamato a verificare scrupolosamente l'idoneità del POS di ciascuna impresa, sia in rapporto al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi, potendo sospendere le singole avvenuti adeguamenti effettuati dalle lavorazioni fino alla verifica degli imprese interessate. (Sez. 4 n.10334 del 25.01.2018, Rv.272239;Sez.4 n.14167,del 12.03.2015, Rv. 263150 ).
I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici (art. 96, comma I, lett. g) D.Lgs 81/08) redigono il POS-Piano Operativo di Sicurezza (art. 89, comma I, lett. h D.Lgs 81/08) che, come già detto si pone come piano integrativo e specifico del PSC . In altri termini, ciascuna impresa che collabori o sia presente (anche non contestualmente), come nel caso di specie, nel cantiere temporaneo o mobile, deve studiare le modalità di esecuzione del suo segmento di lavoro, prevedendo le aree di pericolo per la salute dei lavoratori, e dando precise disposizioni per evitare in modo assoluto qualsiasi infortunio, rispetto al quale la posizione di garanzia permane a carico di ciascun datore di lavoro, mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall'interferenza tra le diverse attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio; il tutto mediante l'adeguato coordinamento, onde prevenire i rischi interferenziali, realizzato attraverso la figura del CSE .
In particolare il coordinatore per la sicurezza ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica (datori di lavoro, dirigenti, preposti), a lui essendo attribuiti compiti di realizzazione del piano prevenzionistico tendente proprio a regolare il rischio interferenziale, anche in relazione al susseguirsi di lavorazioni affidate ad imprese che non operino contemporaneamente. E' chiaro che al coordinatore per l'esecuzione spettano compiti di "alta vigilanza", che attengono alla generale configurazione delle lavorazioni e, quindi, non la puntuale e stringente vigilanza momento per momento, demandata alle figure operative (da ultimo Sez.4 10544 del 25.01.2018 ,rv. 272240; sez. 4 45853 del 13.09.2017, Lamberti e altri), ma il controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori.
Il PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento), secondo quanto previsto dall' art. 92, comma l, lett.a) d.lgs 81/08, realizza una funzione fondamentale per la corretta gestione prevenzionale e antinfortunistica di tutte le fasi lavorative, dato che i singoli POS, Piani Operativi di Sicurezza, sono piani complementari di dettaglio (art. 92 co. 1 lett. b D.lgs 81/08).
La Corte ha ribadito che il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, oltre a controllare i POS, deve verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti, contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro (cfr. ex multis Sez. 4, n.27165 del 24/5/2016, Rv. 267735).
Il C.S.E deve inoltre segnalare al committente, previa contestazione scritta all'impresa o ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni antinfortunistiche; e, nei casi di pericolo grave ed imminente, sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate. Di indubbio rilievo è la puntualizzazione che il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni; essenziale è che alla previsione della cautela segua un'attività di verifica della sua attuazione, della quale devono darsi cura le imprese esecutrici.
2. La sentenza impugnata ha pertanto correttamente applicato i principi giuridici fin qui illustrati. I Giudici di merito attraverso pronunce conformi ben argomentate hanno tratto le necessarie conseguenze in punto di responsabilità, in relazione ai plurimi comportamenti omissivi addebitabili anche al R., coinvolto nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio, in relazione alle gravi omissioni dell'attività di controllo e coordinamento che doveva essere effettuata sia prima dell'inizio dei lavori che nei momenti topici delle lavorazioni, avendo l'imputato omesso la specifica indicazione e valutazione dell'area di rischio connessa alla presenza della linea ad alta tensione, alla concreta distanza dalla posizione operativa, all'utilizzo in prossimità della linea elettrica dell'elevatore, alla presenza di lavoratori al nero, privi di una specifica formazione e informazione.
Il ricorrente, nel redigere il piano, in definitiva, non ha tenuto conto delle specifiche lavorazioni nel cantiere, ed in specie non ha congruamente evidenziato la presenza di elettrodotti passanti sopra la proprietà, se non genericamente, mentre avrebbe dovuto, proprio con riferimento a tale rischio, specificamente evidenziare quali fossero le concrete modalità operative da adottare per evitare problemi di sicurezza. Ancora il Tribunale e poi la Corte territoriale hanno messo in evidenza che il R. avrebbe dovuto vigilare sulla presenza in cantiere di soggetti non qualificati, avendo avuto contezza dell'intenzione di far lavorare personale non formato. Ove tali cautele fossero state adottate, pertanto, (vigilanza attiva e piano per la sicurezza specifico) il rischio di infortuni sarebbe stato prevedibilmente limitato.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5.05.2021