Cassazione Penale, Sez. 4, 21 febbraio 2022, n. 5859 - Operaio travolto da una massa di terra all'interno dello scavo. Mancanza delle armature di sostegno e responsabilità in caso di appalto di lavori
Fatto
1. Con sentenza del 27 gennaio 2019 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza con cui M.A. e G.R., nella loro rispettiva qualità amministratore unico della A. Costruzioni s.r.l. ed amministratore unico della Due Erre s.p.a, sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 589, comma 2 cod. pen., per avere cagionato, con colpa consistita nell'inosservanza delle disposizioni di cui al d.lgs. 81/2008, la morte di R.R., dipendente della A. Costruzioni, il quale, operando all'interno di uno scavo della profondità di m. 3,70 e della larghezza di m. 3,50, veniva travolto da una massa di terra rimossa dalla scavo medesimo e riposta sul ciglio della trincea, decedendo per asfissia da compressione.
2. La sentenza della Corte di appello ricostruisce l'infortunio premettendo: che la G.A.M. s.p.a appaltava alla Due Erre s.p.a i lavori di costruzione di un parcheggio sotterraneo accessorio ad un centro commerciale; che nel corso dei lavori veniva intercettata una rete fognaria; che il Comune di Rende ne autorizzava lo spostamento; che la Due Erre s.p.a. appaltava i relativi lavori alla A. Costruzioni s.r.l.; che la A. Costruzioni M.A. predisponeva il POS (Piano Operativo Sicurezza) e che, a sua volta, la Due Erre redigeva ed inviava alla A. Costruzioni il PSC (Piano Sicurezza e Coordinamento); che le imprese operanti nel cantiere avevano a disposizione la relazione geologica da cui emergeva la natura alluvionale del terreno, ciò rendendo indispensabile predisporre misure specifiche per evitare il rischio di frane; che l'esecuzione dei lavori prevedeva tre fasi: la demolizione della condotta fognaria esistente, l'esecuzione di uno scavo di fondazione per la nuova rete fognaria, il trasporto e la posa dei tubi e dei pozzetti; che per tali opere, con l'integrazione del PSC e del POS originarii, si era prevista la predisposizione delle armature di sostegno in caso di trincee di scavo di profondità superiore a m. 1,5, secondo la disposizione di cui all'art. 119 d. lgs. 81/2008, nonché il divieto del deposito di materiali presso il ciglio degli scavi, ai sensi dell'art. 120 d. lgs. cit., se non previa armatura delle pareti della trincea. Ciò posto, afferma che il compendio probatorio ha consentito di ritenere: che lo scavo non fosse stato realizzato quella mattina, ma precedentemente, essendo la sua dimensione incompatibile con l'intervento della società A., entrata in cantiere lo stesso giorno dell'infortunio alle ore 7; che la mattina del 9 settembre 2008, giorno di ingresso della A. Costruzioni nel cantiere, dovevano lavorare al suo interno i dipendenti R.R., F.P., e PE.F.; che nel libro giornale e nel documento dei lavori era dato atto che in quella giornata erano previste opere di pulizia delle erbacce; che la messa in sicurezza della trincea non era stata predisposta dalla soc. A. s.r.l.; che le condizioni di precarietà del sito preesistevano all'ingresso della A. s.r.l. e dovevano ricondursi alla società appaltante Due Erre s.p.a. per l'inosservanza delle prescrizioni del PSC; che la mattina dell'infortunio -secondo quanto riferito dal teste F.P., collega di lavoro della vittima- si era presentato in cantiere M.A., per impartire le direttive sui lavori da eseguire, incaricando F.P. di andare a fare rifornimento di nafta per il piccolo escavatore da utilizzare, senza dare alcuna indicazione sulla messa in sicurezza dello scavo. Su queste basi la Corte addebita a M.A. ed a G.R. la responsabilità per la morte di R.R., per avere entrambi violato il disposto degli artt. 119 e 120 d. lgs. 81/2008, omettendo l'adozione delle cautele ivi previste per il caso di realizzazione di scavi di altezza superiore a m. 1,5, ed il secondo la previsione dell'art. 97, comma 3 d. lgs. 81/2008, in relazione all'omessa vigilanza sulla sicurezza dei lavoro e sull'applicazione del PSC, condotte ritenute entrambe causalmente connesse con l'evento.
3. Avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro propongono ricorso M.A. e G.R., a mezzo dei rispettivi difensori.
4. M.A. formula un unico articolato motivo di ricorso, con cui fa valere il vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza e della contraddittorietà. Sottolinea che l'oggetto delle lavorazioni affidate in subappalto alla A. s.r.l. era unicamente lo spostamento della rete fognaria; che l'infortunio è occorso il primo giorno di attività della A. s.r.l. in cantiere, nel corso del quale era prevista la sola attività di pulizia del sito, come risulta dal libro giornale e da altra documentazione prodotta; che la Corte di appello si limita, senza alcun oggettivo confronto con il materiale probatorio a disposizione, a richiamare le dichiarazioni del teste F.P., il quale ha riferito che oggetto dell'attività era quello di 'fare la fogna', senza intendere che quello era il lavoro finale da realizzare, oggetto del subappalto, e non l'attività da svolgere nella giornata; che lo stesso teste F.P. ha dato riscontro della versione offerta dall'imputato, chiarendo che A. gli dette incarico di occuparsi del rifornimento della nafta per il piccolo escavatore della A. s.r.l., unico mezzo di cui disponeva la società, non ancora messo in funzione e comunque inidoneo a realizzare uno scavo di quelle proporzioni; che ciò dimostra che lo scavo fu realizzato da terzi e che è, peraltro, risultato che la A. s.r.l. sino al giorno precedente era impegnata in altro luogo, tanto che dalla documentazione si trae che il materiale da utilizzare era stato acquistato solo il giorno prima dell'ingresso della società in cantiere; che M.A. si recò in cantiere intorno alle 7-7,30 e interloquì solo con R.R.; che l'infortunio è intervenuto pochi minuti dopo l'allontanamento di A. dal cantiere; che A. non ha affatto consentito che i proprii operai lavorassero in un luogo pericoloso e che l'attività da svolgere in quella giornata non prevedeva l'accesso allo scavo; che vi era un altro responsabile in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, che rivestiva il ruolo di direttore dei lavori. Rileva che il comportamento del lavoratore che ha contravvenuto alle istruzioni impartite deve considerarsi eccezionale ed imprevedibile. Sostiene che, a fronte delle circostanze emerse I la Corte territoriale omette di fornire adeguata motivazione. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
5. G.R. formula due motivi di ricorso.
6. Con il primo, fa valere la falsa applicazione dell'art. 589, comma 2 cod. pen., degli artt. 125, comma 3, 192 e 546, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della condotta colposa ascritta. Rileva che con l'imputazione erano state contestate le violazioni dell'art. 97, comma 3 lett. b) d. lgs. 81/2008, contestata con il capo I) dell'imputazione, da cui l'imputato è stato assolto in primo grado, con la formula 'perché il fatto non sussiste', e quella dell'art. 97, comma 1, contestata al capo H) per cui l'imputato è stato prosciolto per prescrizione. Sottolinea che il primo giudice aveva affermato la responsabilità di G.R., sulla base della violazione dell'obbligo di verifica delle condizioni di sicurezza dei lavori affidati alla subappaltante e della violazione dell'obbligo di verifica dell'applicazione delile prescrizioni del PSC, di cui all'art. 97, comma 1 d. lgs. 81/2008. Rileva che la Corte territoriale, invece, così contraddicendo il primo giudice e l'esito della sentenza appellata, ascrive a G.R. la violazione degli artt. 119 e 120 d. lgs. 81/2008, sostenendo che al momento dell'ingresso della A. Costruzioni s.r.l. fosse già presente uno scavo di imponenti dimensioni ed assumendo che il fatto che lo scavo fosse stato eseguito prima dell'intervento della subappaltatrice emerge dalla sentenza di primo grado. Nondimeno, siffatta circostanza non è desumibile dalla decisione appellata, dalla quale, al contrario, si ricava l'incertezza sul momento dell'effettuazione dello scavo, tanto che la pregressa esistenza dello scavo viene considerata una mera ipotesi, mentre è ritenuto privo di prova adeguata che i lavori abbiano avuto inizio prima della redazione del POS da parte dell'azienda esecutrice. Rileva che la Corte, travisando il fatto e la motivazione del primo giudice ed affermando che la messa in sicurezza dello scavo avrebbe dovuto essere garantita prima dell'ingresso della A. Costruzioni s.r.l., cela la difficoltà di superare i rilievi introdotti con il gravame sulla configurabilità della violazione dell'art. 97, comma 1 d. lgs. 81/2008, a fronte del conferimento della delega al Direttore responsabile del cantiere, ing. Gaudio e dell'accertato previo controllo sulla congruenza dei POS, nonché del fatto che la verifica sull'applicazione delle prescrizioni del PSC non può che effettuarsi in corso d'opera, mentre l'evento mortale è occorso la mattina stessa dell'ingresso in cantiere della A. Costruzioni s.r.l.. Ricorda che con l'atto di gravame si era contestata la sussistenza di attività interferenti, posto che le attività svolte dalla A. Costruzioni, unica presente in cantiere, erano del tutto autonome. Riprende gli enunciati della giurisprudenza di legittimità in ordine alla valutazione della sussistenza del nesso causale in tema di reati omissivi improprii e sulle modalità di individuazione del garante del rischio realizzatosi. Critica l'arbitraria ricostruzione del fatto operata dal giudice di seconda cura, con la quale si ascrive a G.R., a contraddittorio concluso, ed in contraddizione con la sentenza appellata, la violazione degli artt. 119 e 120 d. lgs. 81/2008, contestata con l'imputazione in modo esclusivo a M.A., sulla base della considerazione che lo scavo sarebbe stato effettuato prima dell'ingresso della A. Costruzioni s.r.l., senza che ne sia stato identificato l'autore, ma la cui responsabilità viene attribuita a G.R., nonostante il primo giudice avesse escluso la sussistenza della prova sull'esistenza dello scavo, in epoca precedente al giorno dell'infortunio. Si duole che l'erroneo percorso argomentativo della Corte territoriale abbia impedito l'effettivo e non solo formale vaglio del motivo di impugnazione con cui si era richiesto di valutare la ricorrenza della situazione di emergenza di cui all'art. 100 d. lgs. 81/2008, che avrebbe dovuto condurre ad escludere ogni responsabilità dell'imputato.
7. Con il secondo motivo, lamenta la violazione della legge penale in relazione agi artt. 81, 132, 133 cod. pen. ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale reiterato l'errore del primo giudice che aveva valorizzato in sede di determinazione concreta della sanzione penale la pericolosità degli imputati emergente 'dal certificato penale e dal comportamento processuale', pur essendo G.R. incensurato, senza precedenti di polizia, mentre risulta incomprensibile il riferimento ad una condotta processuale negativa, di cui non si indica il contenuto. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
1. Il ricorso di M.A. deve essere rigettato.
2. Con l'unica censura proposta si critica il ragionamento dei giudici di merito che esclude, in relazione alla responsabilità del datore di lavoro dell'infortunato, la rilevanza del fatto che lo scavo fosse già presente al momento dell'ingresso in cantiere della A. Costruzioni s.r.l., ciò comportando l'obbligo dell'autore dell'opera di munirla delle cautele previste dall'art. 119 d. lgs. 81/2008, senza considerare che nella prima giornata di lavoro, quando intervenne l'incidente, le lavorazioni previste dalla A. Costruzioni non implicavano l'accesso allo scavo, ma solo la pulizia esterna del sito, circostanza questa che dimostrerebbe l'imprevedibilità ed eccezionalità del comportamento tenuto dal lavoratore, in violazione delle direttive impartite.
3. La doglianza è infondata. Sebbene la Corte territoriale, con argomenti logicamente ineccepibili, affermi che lo scavo era sicuramente presente il giorno in cui la A. Costruzioni s.r.l. intervenne in cantiere, non potendo per le sue proporzioni (m. 3,70 di profondità per m. 3,50 di larghezza) essere stato realizzato la mattina stessa, nel ridotto tempo fra l'arrivo degli operai e l'infortunio, anche avuto riguardo alla solo disponibilità di un piccolo escavatore, nondimeno, coerentemente osserva che proprio lo stato di grave precarietà dell'opera, priva delle armature di sostegno previste dall'art. 119 d. lgs. 81/2008, imponeva al datore di lavoro dì vietare l'accesso alla trincea sino alla messa in sicurezza.
L'art. 119 stabilisce che "Nello scavo di pozzi e di trincee profondi più di m 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere, man mano che procede lo scavo, alla applicazione delle necessarie armature di sostegno". Nel caso di specie, i giudici danno atto che era a disposizioni tanto della Due Erre s.p.a., che della A. Costruzioni s.r.l., una relazione geologica sulla natura del terreno, avente caratteristiche di instabilità, il che implicava l'ovvia conseguenza dell'obbligo di munire lo scavo di misure precauzionali adeguate. D'altro canto, una simile previsione era contenuta, come rileva la Corte, nel POS della A. Costruzioni s.r.l., così come era previsto il divieto di costituire depositi di materiale sul ciglio dello scavo, in assenza di puntellature, ai sensi dell'art. 120 d. lgs. 81/2008.
Ora, secondo il ricorrente l'avere il lavoratore coscientemente trasgredito la consegna del datore di lavoro, introducendosi in una trincea realizzata da altri in precedenza, esonererebbe il datore di lavoro da ogni responsabilità, non avendo egli programmato per quella giornata operazioni che implicassero l'esposizione al pericolo di crollo.
Si tratta di un assunto che non può essere condiviso.
Al di là delle considerazioni formulate dalla Corte territoriale che escludono che, in concreto, l'attività prevista fosse unicamente quella della pulizia del sito, traendo dalle dichiarazioni del teste F.P. che, invece, fossero previste anche operazioni diverse ed interne alla trincea, vi è che se anche le attività previste fossero state solo quelle esterne, ciò non farebbe venir meno la responsabilità dell'imputato, posto che la semplice accessibilità del luogo da parte delle maestranze comporta il rischio di esporle ad eventuali crolli dovuti alla profondità dello scavo ed al difetto di consolidamento del terreno.
Non appare, peraltro, dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado che l'imputato abbia chiarito se, quando ed in quale modo egli intendesse provvedere all'adozione delle precauzioni stabilite dall'art. 119 e riprese dal POS aziendale, sicché il solo dato valutabile da parte dei giudici del merito resta l'assoluto inadempimento, senza che possa darsi rilievo ad ordini impartiti ai lavoratori di astenersi dall'avvicinarsi allo scavo, eventualmente in attesa della sua messa in sicurezza.
In questo quadro, non può essere assegnato al comportamento del lavoratore, quand'anche posto in essere in violazione delle istruzioni assegnate dal datore di lavoro, il valore di condotta interruttiva del nesso di causalità, tenuto in considerazione che essa non ha natura di rischio esorbitante dalla sfera di governo del datore di lavoro. Va, infatti, ricordato che secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte affinché "la condotta del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (cfr. da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 27/03/2017, Rv. 269603; sulla base del principi enunciati da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione).
5. Il ricorso formulato da G.R. deve essere rigettato.
6. Il primo motivo è infondato.
7. Con la censura si assume che la Corte avrebbe ascritto all'imputato una condotta diversa da quella ascritta con l'imputazione e ritenuta sussistente dal primo giudice, addebitando direttamente al ricorrente la violazione degli artt. 119 e 120 d. lgs. 81/2008 e non solo, ex art. 97, comma 1 d. lgs. cit., l'omessa vigilanza sulla sicurezza dei lavori affidati in subappalto alla società A. Costruzioni e l'omessa vigilanza sull'applicazione delle disposizioni del PSC.
8. Ora, non è chiaro, perché il ricorrente non ne fa esplicita menzione, se la critica sia volta a dedurre il difetto di correlazione fra accusa e sentenza, ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. Tuttavia, la lettura della sentenza di secondo grado consente di smentire che la prospettazione contenuta nelle decisioni di merito sia difforme quanto alle regole di condotta violate.
Invero, la Corte di appello non giunge ad affermare che lo scavo sia stato effettuato dalla Due Erre s.p.a., ma si limita a constatare che lo scavo preesisteva all'arrivo della A. Costruzioni s.r.l. in cantiere e che proprio la sua esistenza, rappresentando un pericolo insistente sui luoghi, obbligava il committente a verificare in concreto le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e ad assicurarsi dell'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento, fra le quali era prevista l'adozione delle misure cautelative di cui agli artt. 119 e 120 d. lgs. 81/2008. Ciò che i giudici del merito conformemente contestano all'imputato, dunque, è il non avere verificato, prima dell'intervento dell'affidataria dei lavori, la sicurezza del sito e l'adempimento delle prescrizioni in relazione all'armatura dello scavo, previste sia normativamente, che dal PSC, e non il non avere materialmente provveduto a predisporre le opere di sostegno. Né è necessario, per affermare la responsabilità di G.R., individuare l'autore dello scavo, incombendo comunque sulla Due Erre s.p.a, responsabile dell'esecuzione dei lavori appaltati dalla G.A.M. s.p.a, l'obbligo di verificare l'adempimento delle prescrizioni del PSC da parte di chiunque operasse nel cantiere.
Nessun rilievo può assegnarsi, inoltre, alla difesa del ricorrente nella parte in cui sottolinea che il primo giudice, diversamente dal secondo, ha ritenuto incerta la preesistenza dello scavo, rispetto all'intervento della A. Costruzioni s.r.l.. La Corte, infatti, risolve la questione con argomentazioni logiche perfettamente coerenti, che non necessitano di ulteriori conferme probatorie, facendo derivare dalle dimensioni dello scavo, dal ridottissimo tempo intercorso fra l'intervento in cantiere della A. Costruzioni s.r.l. e l'evento e dall'indisponibilità in capo alla subappaltante di strumentazioni adeguate, l'impossibilità dell'esecuzione dell'opera la mattina stessa del sinistro. Questa prospettazione -su cui manca ogni valido confronto- smentisce l'affermazione da parte del ricorrente che l'escavazione fosse stata effettivamente posta in essere dalla A. Costruzioni, in quella giornata.
Ciò, tuttavia, si riverbera sulla condotta contestata a G.R., perché la preesistenza dello scavo, nelle descritte condizioni di precarietà, comportava in ogni caso la necessità di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'adempimento delle prescrizioni del PSC, in modo da consentire all'impresa che doveva intervenire nel cantiere di operare in condizioni ambientali scevre da pericoli creati dall'altrui attività.
Rientra, peraltro, fra i compiti dell'impresa che affida i lavori, ai sensi dell'art. 26 d. lgs. 81/2008, come richiamato dall'art. 97, comma 2, quello di fornire informazioni su specifici rischi esistenti nell'ambiente in cui l'impresa esecutrice è destinata ad operare e sulle misure di prevenzione adottate in relazione all'attività. Si tratta di dovere che costituisce la premessa dell'obbligo di verifica delle condizioni di sicurezza dei lavori affidati e di applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento, previsti dal comma 1 della disposizione, posto che solo la conoscenza dei rischi dell'ambiente lavorativo consente l'adempimento -e quindi la sua verifica- delle prescrizioni previste dal piano di sicurezza e coordinamento. La condivisione delle informazioni sui rischi inerenti il luogo di 'comune' lavoro, infatti, è la precondizione stessa del coordinamento delle attività di impresa.
9. Non muta il quadro la deduzione secondo cui il rischio concretizzatosi non potrebbe qualificarsi come rischio interferenziale, essendo l'infortunio occorso quando era presente in cantiere solo la A. Costruzioni s.r.l.. A prescindere, infatti, dalla considerazione che il rischio interferenziale si realizza anche quando i lavori contemplino la presenza non contemporanea, ma successiva di più imprese (cfr. ex multis Sez. 4, Sentenza n. 10544 del 25/01/2018, Scibilia ed altri, Rv. 272239; Sez. 4, Sentenza n. 14167 del 12/03/2015, Marzano, Rv. 263150), quello che -come si è già sottolineato-emerge essere accaduto nel caso di specie è che è stato consentito dalla Due Erre alla subappaltatrice A. Costruzioni di fare ingresso in cantiere prima di armare lo scavo all'interno del quale i dipendenti della seconda dovevano eseguire il tratto di rete fognaria, ancorché siffatta messa in sicurezza fosse prevista dal PSC, essendo la trincea di dimensioni tali da rendere obbligatoria l'opera di sostegno, ai sensi dell'art. 119 d. lgs. 81/2008. E' chiaro, che, indipendentemente dall'identificazione dell'esecutore dello scavo, era compito della Due Erre appaltante dei lavori alla A. Costruzioni assicurarsi del previo adempimento delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, tanto più essendo a conoscenza della particolare caratteristica del terreno, di natura alluvionale, come risultante dalla relazione geologica a sua disposizione.
Ai sensi dell'art. 97 d. lgs. 81/2008, infatti, compete al datore di lavoro dell'impresa che affida i lavori vigilare sulla sicurezza dei lavori affidati e sull'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. La stessa esecuzione dello scavo, prima dell'ingresso della A. Costruzioni, comportava di per sé un aumento del rischio derivante dalla condizione del sito su cui doveva intervenire l'impresa esecutrice, tanto è vero che il PSC era stato integrato proprio per la necessità, insorta nel corso dei lavori, di spostare la rete fognaria e di effettuare all'uopo uno scavo, prevedendone l'armatura. Il rischio realizzatosi, dunque, è proprio quello che il PSC, dando applicazione all'art. 119 d. lgs. 81/2008, intendeva evitare imponendo l'esecuzione della messa in sicurezza della trincea, prima dell'inizio delle opere da parte dell'impresa esecutrice. Mentre, al di là delle eventuali responsabilità di altri garanti -su cui si sofferma il ricorrente- incombeva sul legale rappresentante dell'impresa affidataria G.R., da un lato, l'obbligo di garantire la sicurezza del sito, dall'altro, l'obbligo di vigilare sull'adempimento delle prescrizioni del PSC.
10. La seconda doglianza è inammissibile. Dalla lettura della sentenza impugnata non emerge la proposizione di un motivo di appello concernente la misura della pena, mentre il ricorrente non allega l'atto di gravame, limitandosi a richiamarne il contenuto. In ogni caso, la motivazione resa dalla Corte in ordine alla congruità del trattamento sanzionatorio -peraltro largamente al di sotto del medio edittale e come tale non abbisognevole di approfondita motivazione- appare fondata su una valutazione autonoma, rispetto a quella formulata dal primo giudice, in quanto inerente non al comportamento processuale o alla presenza di precedenti penali -negati dal ricorrente- ma alla considerazione della gravità della colpa, così sottraendosi alla censura proposta in questa sede.
11. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 10/11/2021