Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2022, n. 5409 - Caduta dell'albero durante il disboscamento: responsabilità per omicidio colposo della proprietaria del terreno e del bosco per la scelta di incaricare una ditta priva dei requisiti di sicurezza
Fatto
1. La Corte di appello di Salerno l'8 settembre 2020 ha integralmente confermato la sentenza con cui il G.u.p. del Tribunale di Vallo della Lucania il 31 gennaio 2018, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto C.V.T. responsabile del reato di omicidio colposo, in cooperazione ai sensi dell'art. 113 cod. pen. con A.R. e con A.G., separatamente giudicati, fatto aggravato dalla violazione della disciplina in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in conseguenza la ha condannata, senza circostanze attenuanti, con la riduzione per il rito, alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, a favore delle parti civili, alle quali è stata assegnata una somma a titolo di provvisionale.
2.Il fatto, in estrema sintesi, come ricostruito dai giudici di merito.
2.1. La mattina del 29 marzo 2016 il lavoratore rumeno L.V., mentre era intento con altri operai a tagliare alberi in un bosco nel Cilento, è stato colpito violentemente al capo dalla caduta a terra di un albero, alto 18 metri e pesante circa 2 tonnellate, che era stato segato con una motosega all'altezza di 60 centimetri da terra dal collega A.G.: le gravissime lesioni hanno condotto a morte L.V. tre giorni dopo, il 1° aprile 2016.
I due lavoratori, insieme ad altri operai, tutti alle dipendenze di A.R., stavano procedendo a tagliare gli alberi di un bosco in un terreno di proprietà della signora C.V.T., secondo le direttive del datore di lavoro A.R., il quale aveva accompagnato gli uomini nel luogo di lavoro ed aveva fornito loro le attrezzature, nel seguente modo: A.G. tagliava gli alberi con la motosega; L.V. era addetto alla preparazione e all'aggancio dei tronchi al trattore; G.V. si occupava del trasporto del legname a valle tramite il trattore; tale T. selezionava i tronchi in eguale misura.
2.2. Sono stati separatamente giudicati il datore di lavoro (A.R.) della vittima e colui che ha materialmente provocato la caduta dell'albero (A.G.).
La signora C.V.T., che ha chiesto di essere giudicata con il rito abbreviato, è stata ritenuta responsabile, in ragione della ritenuta posizione di garanzia rivestita dalla stessa.
In particolare, si sono valorizzate da parte dei giudici di merito le circostanze di fatto - incontestate - che la donna il 23 novembre 2012 ha stipulato un contratto scritto di vendita ad A.R. delle piante in piedi nel bosco di proprietà della stessa, che l'autorizzazione al taglio degli alberi, necessaria per il disboscamento, è stata avanzata dall'imputata il 3 dicembre 2014, sotto forma di autorizzazione alla ripresa del taglio del bosco, contestualmente comunicando che il prosieguo dell'attività di taglio sarebbe stata affidata alla ditta A.R., che il 22 aprile 2015 la Comunità montana, con atto diretto alla signora C.V.T., ha autorizzato il taglio con la prescrizione espressa di rispettare la normativa di sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e di affidare i lavori a ditte specializzate in materia ovvero a persona in possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore.
Si è osservato da parte dei giudici di merito che la ditta di A.R. era priva dei requisiti, in quanto senza D.U.R.C. (acronimo di documento unico di regolarità contributiva) e senza iscrizione alla camera di commercio, «almeno all'atto dell'infortunio mortale» (così alla p. 6 della sentenza di appello) ed avendo cessato ogni attività dalla data del 20 luglio 2014 (v. p. 5 della sentenza del G.u.p.).
Qualificata la posizione dell'imputata quale committente del taglio degli alberi, le si è, in sostanza, addebitata una culpa in eligendo.
2.3. Appare opportuno anticipare che è stata disattesa la tesi, sostenuta con ampia argomentazione dalla difesa, della inesistenza di una posizione di garanzia in capo alla imputata, che - si è detto - non avrebbe mai assunto una posizione di garanzia quale committente ma avrebbe, in realtà, stipulato un contratto di vendita con oggetto cosa futura (gli alberi in piedi nel bosco di sua proprietà entro un termine triennale), ricevendo il corrispettivo già al momento della stipula del contratto, cioè il 23 novembre 2013, e che avrebbe chiesto l'autorizzazione al taglio siccome adempimento necessario da parte del proprietario del bosco, sottolineandosi, anche tramite pertinente documentazione, che alla data di stipula del contratto la ditta di A.R. era regolarmente iscritta alla camera di commercio.
Non potrebbe, dunque, applicarsi l'art. 89 del d.lgs. 2008, n. 81, secondo il quale il committente è il soggetto per conto del quale l'opera viene realizzata, essendo invece la ricorrente solo la venditrice di cosa futura, senza alcun coinvolgimento nell'esecuzione del taglio; del resto, si legge nell'atto di appello (alla p. 5) che sarebbe «impensabile [...] che un committente, anziché pagare chi commissiona per svolgere un determinato lavoro, ne riceva da questi denaro».
La venditrice, che non potrebbe considerarsi nemmeno appaltatrice, sarebbe stata priva di qualsiasi interesse ad ingerire nelle modalità di effettuazione del taglio, non avrebbe comunque mai ingerito in concreto in alcun modo, non avrebbe avuto alcun obbligo - e peraltro nemmeno il diritto - di verificare l'idoneità tecnico-giuridica di chi poi si sarebbe occupato del taglio.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza C.V.T., tramite difensore di fiducia, affidandosi a sei motivi con i quali denuncia violazione di legge (il secondo, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo), anche sotto il profilo della mancanza dell'apparato giustificativo (il primo, il secondo ed il quinto motivo) e vizio di motivazione, che sarebbe illogica e contraddittoria (il primo motivo).
3.1 Con il primo motivo censura mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla sussistenza della prova della responsabilità derivante da posizione di garanzia asseritamente consistita nell'essere l'imputata "committente" del lavori di taglio degli alberi svolgendo i quali si è verificato l'incidente mortale e non già, come sostiene la Difesa, mera venditrice priva di ogni onere in ordine alla ceduta proprietà e disponibilità dei beni (gli alberi).
Si sottolinea al riguardo essere l'imputazione incentrata su di una colpa di tipo sia generico che specifico, individuata nell'art. 90 del d.lgs. n. 81 del 2008, richiamando condotte commissive e omissive che la sentenza di primo grado individua (alla p. 9), rispettivamente, nella scelta della ditta A.R., seppure priva dei requisiti tecnico-professionali necessari, e nell'omesso controllo circa l'adozione da parte dell'appaltatore delle misure di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Entrambe le sentenze di merito conterrebbero una evidente contraddizione interna tra i passaggi in cui dà atto della vendita , avvenuta con il contratto in data 23 novembre 2012, delle piante in piedi presenti nel bosco e l'essere l'imputata considerata committente e affidataria dei lavori del taglio degli alberi.
Sarebbe errato il ragionamento della Corte territoriale che valorizza l'avere l'imputata richiesto ed ottenuto l'autorizzazione al taglio (pp. 6-7 della sentenza impugnata), poiché «opera [...] una inammissibile sovrapposizione tra la figura del soggetto formalmente richiedente l'autorizzazione (la C.V.T.) e quella del destinatario effettivo dell'autorizzazione, che non può che essere individua.to nell'acquirente degli alberi (il A.R.)» (così alla p. 4 del ricorso).
La sottolineatura dell'avere eseguito l'opera "in suo nome" cioè in nome della destinataria dell'autorizzazione (p. 7 della decisione di appello) costituirebbe argomento meramente circolare ed apodittico, non spiegandosi perché la posizione del richiedente l'autorizzazione sia da sovrapporre necessariamente a quella di committente.
I giudici di merito avrebbero trascurato le peculiarità del caso in esame sia con riferimento all'oggetto dell'autorizzazione (il taglio. di un bosco) sia con riferimento alla natura del contratto intercorso tra le parti (che è compravendita, non commissione).
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l'erronea interpretazione dell'art. 90 del d. lgs n. 81 del 2008 con riferimento alla individuazione di una posizione di garanzia di "committente" esclusivamente in quanto richiedente la relativa autorizzazione al taglio nonché per mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza della relativa qualità soggettiva dalla quale deriverebbe la relativa posizione di garanzia.
Richiamata giurisprudenza civile, sia di legittimità che di merito, si sottolinea che il contratto intercorso tra l'imputata ed A.R. avente ad oggetto l'alienazione del bosco in piedi consiste nell'accordo in base al quale il proprietario di un bosco dispone che non vi sia remunerazione per chi esegue il lavoro di taglio e che la legna prodotta resti di proprietà di chi la ha tagliata a fronte della corresponsione di un prezzo ed è riconducibile alla compravendita di cosa futura (art. 1472 cod. civ.).
In tale schema contrattuale gli alberi vengono in considerazione non già in rapporto alla condizione attuale, siccome infissi nel suolo, ma in rapporto alla condizione futura, quando cioè saranno distaccati dal suolo ed il soggetto che procede al taglio diviene proprietario della legna nel momento in cui le piante vengono abbattute. Deve, dunque, escludersi che si tratti di un appalto.
Sottolineato, poi, che la materia "foreste" nell'assetto costituzionale (art. 117 Cost.) è lasciata alla potestà esclusiva delle Regioni, si richiama la disciplina della legge regionale della Campania 7 maggio 1996, n. 11, ed il regolamento della medesima Regione del 28 settembre 2017, n. 3, evidenziando come il direttore dei lavori forestali non sia tenuto alla vigilanza sui lavori di tagli boschivi e si sottolinea che, secondo l'insegnamento della Corte di legittimità, il direttore dei lavori può essere costituto in posizione di garanzia soltanto in forza di una legge o di un contratto che lo impegni alla vigilanza sull'andamento dei lavori, norma di legge e/o contratto mancanti nel caso di specie.
Si evidenzia che la richiesta dell'autorizzazione alla Comunità montana da parte dell'imputata era necessaria perché solo il proprietario del terreno sul quale insiste il bosco può formulare la richiesta di autorizzazione al taglio.
3.3. Con l'ulteriore motivo la ricorrente si duole della erronea applicazione delle norme di cui agli artt. 15, 88, 89 e 90 del d. lgs. n. 81 del 2008 con riferimento alla errata riconduzione della fattispecie in esame all'interno del titolo IV, capo I, della disciplina, con specifico riferimento alle "misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili", non rientrando in alcun modo l'attività di taglio dei boschi nella nozione di "cantieri temporanei o mobili" quali definiti dall'allegato X all'art. 89, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 81 del 2008, non potendosi pertanto ritenere la signora C.V.T. tenuta all'osservanza degli obblighi di cui all'art. 90 del medesimo testo unico. Nessuna possibilità, infatti, vi sarebbe di ricondurre il taglio degli alberi all'attività con oggetto "opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali" di cui al citato all. X, trattandosi in tutti i casi previsti dalla norma di opere e strutture create dall'uomo, non già dalla natura.
A riprova ulteriore, si richiama l'art. 62, comma 2, lett. d-bis), del d. lgs. n. 81 del 2008, che prevede espressamente che «Le disposizioni di cui al presente Titolo non si applicano: [...] ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti parte di un'azienda agricola o forestale».
Quanto, poi, alle prescrizioni contenute nell'autorizzazione rilasciata dalla Comunità montana, ove si richiama il d. lgs. n. 81 del 2008, si sottolinea che l'autorizzazione in questione, anche avuto riferimento al contenuto della legge regionale n. 11 del 1996, non avrebbe potuto imporre prescrizioni non previste da alcuna norma, in violazione del principio di tipicità e di legalità sostanziale.
3.4. Mediante il quarto motivo si denunzia la violazione dell'art. 90, comma 9, lett. a), del d. lgs. n. 81 del 2008 con riferimento alla censura mossa alla sig.ra C.V.T. circa la mancata ottemperanza agli obblighi di verifica dell'idoneità tecnico professionale dell'impresa cui erano stati affidati i lavori, dovendo invece applicarsi la norma speciale di cui all'art. 90, comma 9, lett. a), secondo periodo, nell'ipotesi in cui si volesse ritenere applicabile alla fattispecie de qua la normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Si tratta di argomento svolto in via subordinata, per l'ipotesi che debba ritenersi applicabile la disciplina sulla committenza.
Si rammenta che, in deroga alla regola generale secondo cui il committente deve verificare l'idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, nei cantieri in cui sono impiegati meno di 200 uomini al giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all'allegato XI (seppellimento, sprofondamento a profondità superiore a 1,5 metri, caduta da altezza superiore a 2 metri), tale «requisito [...] si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti [...]»
3.5. Con il quinto motivo censura violazione degli artt. 525, comma 1, 545, commi 1 e 3, e 546, lett. e) ed f), cod. proc. pen. e, nel contempo, mancanza di motivazione in ordine alla intervenuta concessione della sospensione condizionale della pena, con conseguente dichiarazione di nullità - si auspica - delle sentenze di merito.
La sentenza-documento del G.u.p. non ripete la statuizione con la quale, all'esito dell'udienza del 31 gennaio 2018, è stata concessa la sospensione condizionale della pena, come risultante dal dispositivo pubblicato mediante lettura in udienza (allegato al ricorso); né la sentenza della Corte di appello, del tutto priva di motivazione sul punto, pone rimedio a tale vistoso errore.
3.6. Infine, con l'ultimo motivo, richiamato il consolidato principio di prevalenza del dispositivo sulla motivazione, il ricorrente chiede che la Corte di cassazione provveda alla necessaria correzione ai sensi dell'art. 130 cod. proc. pen., adeguando il dispositivo della sentenza-documento a quello adottato all'esito della camera di consiglio e pubblicato mediante lettura in udienza, non senza evidenziare l'età avanzata della donna e l'assenza di qualsiasi precedente penale, circostanze - si ritiene - tenute presenti dal giudice al momento dell'adozione del dispositivo (31 gennaio 2018) e poi "sfumate" nel ricordo al momento del deposito della motivazione, dopo più di un anno (19 marzo 2019).
Si chiede, in definitiva, l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Il P.G. della S.C. nella propria articolata requisitoria scritta del 21 ottobre 2021 ha chiesto il rigetto del ricorso.
Diritto
1. Premesso che il reato contestato non è prescritto (fatto del 29 marzo 2016 e morte avvenuta il 1° aprile 2016 + 15 anni = prescrizione non prima del 1° aprile 2031), il ricorso è solo parzialmente fondato, nei limiti di cui appresso.
2. I primi quattro motivi sono manifestamente infondati.
2.1. Ben argomentato ma soltanto suggestivo è il richiamo da parte della ricorrente alla disciplina civilistica del contratto di vendita di cosa futura anziché di appalto, la netta distinzione tra i quali è stata a più riprese puntualizzata dalla giurisprudenza civile di legittimità nei seguenti termini:
«Ai fini della differenziazione tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, caratterizzante l'appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, deve aversi riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, con riguardo alla volontà dei contraenti oltre che al senso oggettivo del negozio, al fine di accertare se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro lo scopo del contratto (appalto), oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa l'effettiva finalità del contratto (vendita). (Nella specie, la S.C. ha confermato la qualificazione come vendita di un contratto avente ad oggetto la fornitura e l'installazione di un pavimento modulare sopraelevato, trattandosi di un prefabbricato realizzato in via ordinaria e seriale e destinato ad essere assemblato ed appoggiato al piano calpestabile senza divenire parte integrante dell'immobile)» (Sez. 2 civ., n. 5935 del 12/03/2018, S. vs C., Rv. 647849);
«Si ha contratto di appalto, e non contratto di vendita, quando, secondo la volontà dei contraenti, la prestazione della materia è un semplice mezzo per la produzione dell'opera, il lavoro essendo prevalente rispetto alla materia, sicché è corretta la qualificazione come appalto del contratto avente ad oggetto la costruzione di un capannone di grandi dimensioni (ottomila metri cubi), trattandosi necessariamente di un'opera da realizzare "su misura" rispetto alle specifiche esigenze del committente, con prevalenza, quindi, dell'obbligazione di "facere" rispetto alla pattuita fornitura di elementi prefabbricati da parte dell'appaltatore» (Sez. 3 civ., n. 20301 del 20/11/2012, Galazzo vs Navale Pisa s.r.l., Rv. 624246; nello stesso senso, Sez. 2 civ., n. 20391 del 24/07/2008, Lattuada vs Marazzi Ceramiche Ditta, Rv. 604732; Sez. 2, n. 6925 del 21/05/2001, Zeta s.r.l. vs Febo Moquettes s.r.l., Rv. 546850; Sez. 2 civ., n. 14209 del 17/12/1999, Politex spa vs Crivellaro, Rv. 532306; Sez. 2 civ., n. 11522 del 27/12/1996, Micav vs Sereco s.r.l., Rv. 501524; Sez. 2 civ., n. 3807 del 30/03/1995, Noseda vs Tosini, Rv. 491556; Sez. 2 civ., n. 7697 del 08/09/1994, Ceramica Genova s.p.a. vs Astori Prefabbricati s.p.a., Rv. 487859).
2.2. A ben vedere, infatti, qualificante al fine dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputata nella vicenda in esame non è già l'antefatto o la qualificazione del contratto originario, stipulato il 23 novembre 2012 tra la donna ed A.R., aspetti su cui incentra l'attenzione la Difesa nei primi quattro motivi, ma è invece l'avere la signora C.V.T., prima, il 3 dicembre 2014, richiesto l'autorizzazione alla ripresa del taglio del bosco contestualmente comunicando che avrebbe affidato i lavori alla ditta A.R. e, poi, dopo il 22 aprile 2015, ottenuta l'autorizzazione (che peraltro era espressamente subordinata al rispetto della normativa di sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al d. lgs. n. 81 del 2008 ed all'affidamento dei lavori a ditta specializzata in materia ovvero a persona in possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore), avere affidato il taglio alla ditta di A.R., che però era priva dei requisiti, in quanto senza D.U.R.C. e senza iscrizione alla camera di commercio, risultando avere cessato ogni attività sin dal 20 luglio 2014 (v. p. 6 della sentenza impugnata e p. 5 di quella del G.u.p.).
Si tratta di circostanze di fatto - nemmeno contestate dalla Difesa - che riempiono di contenuto effettivo la posizione di garanzia dell'imputata, la quale, in veste di proprietaria del terreno e del bosco, si sarebbe dovuta astenere dalla scelta di incaricare una ditta che era priva dei requisiti minimi per svolgere la pericolosa attività di disboscamento in questione.
3. Merita accoglimento invece la questione posta con il quinto ed il sesto motivo di ricorso: infatti, dal confronto tra il dispositivo, pubblicato mediante lettura all'esito dell'udienza del 31 gennaio 2018, e la sentenza-documento, provvista di motivazione, depositata il 19 marzo 2019, risulta chiaramente la svista omissiva in cui è incorso l'estensore, che non ha trascritto la parte di dispositivo con cui era stato già riconosciuto all'imputata il beneficio della pena sospesa.
Si tratta di errore non comportante nullità, ritualmente rilevato dalla Difesa, che può e deve essere corretto ai sensi dell'art. 130 cod. proc. pen.
Donde la statuizione in dispositivo.
P.Q.M.
Rettifica la sentenza di primo grado, aggiungendo conformemente al dispositivo letto in udienza dal Gup in data 31.01.2018, dopo le parole "Pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali", le parole "Letto l'art. 163 cp concede all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena". Manda alla Cancelleria per le annotazioni e gli adempimenti di rito.
Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso il 16/11/2021.