Cassazione Penale, Sez. 4, 14 febbraio 2022, n. 5128 - Caduta dal tetto del capannone. Nozione di lavoro in quota, obbligo di valutazione dei rischi e misure di sicurezza

2022

Fatto


1. Con sentenza del 26 novembre 2020 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata con la quale P.C., nella sua qualità di datore di lavoro, amministratore della Nolana Conserve s.r.l. è stato ritenuto responsabile dei reati di cui all'art. 590, comma 1", 2 " e 3" cod. pen. [capo a)] e 28, comma 1 e 2 lett. a), 55 comma 4 d. lgs. 81/2008 [capo b], per avere cagionato al dipendente M.P. lesioni personali gravissime consistite in fratture costali multiple bilaterali, frattura del bacino, frattura della scapola sinistra, lesioni alla milza, con splenectomia. All'imputato è stato addebitato di avere, con colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione dell'obbligo di procedere alla valutazione di tutti i rischi presenti durante le fasi lavorative -ed in particolare durante gli interventi di manutenzione straordinaria della centrale termica- omesso di adottare le cautele necessarie per evitare che M.P., il quale era stato incaricato ed E.E. di provvedere alla fissazione di alcuni pannelli metallici sul tetto del capannone copri caldaia, precipitasse da un'altezza di m. 5,30, a seguito del cedimento di uno dei pannelli in plexigas, che formavano la copertura.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione P.C., a mezzo del suo difensore, formulando quattro motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo di duole della violazione della legge processuale con riferimento agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione. Rileva che sia il primo, che il secondo giudice fondano la condanna sulle asserite violazioni degli artt. 71, comma 1, 107 e 122 d. lgs. 81/2008, non contestate con l'editto, con il quale era stata ascritta all'imputato solo la violazione degli artt. 28, comma 1, lett. a) e 55, comma 4 d. lgs. 81/2008. Sottolinea che la questione dell'assenza di correlazione fra accusa e sentenza era stata sottoposta alla Corte di appello con il gravame, che ha genericamente ritenuto che la contestazione delle violazioni diverse da quelle rese esplicite dall'imputazione, fosse ricavabile dalla descrizione del fatto, ivi contenuta. Sostiene che l'ordinamento riconosce all'imputato il diritto ad una contestazione chiara e precisa e che ciò si riverbera sul diritto al pieno contraddittorio e, quindi, implica la nullità della sentenza impugnata. Ricorda che, a fronte della violazione del disposto degli artt. 521e 522 cod. proc. pen., la difesa aveva richiesto, in sede di appello, la rinnovazione dell'istruttoria al fine di dimostrare l'inutilità dei presidi antinfortunistici, la cui mancata adozione era stata posta a fondamento della sentenza di condanna da parte del primo giudice, senza ottenere adeguata risposta dalla Corte territoriale che, come il Tribunale, ha ritenuto inconferente la dinamica del sinistro ed il comportamento del lavoratore.

4. Con il secondo motivo fa valere il vizio di motivazione, sotto il profilo dell'assoluta carenza, per non avere la Corte territoriale -così come il primo giudice- preso in considerazione le prove a discarico offerte dalla difesa. Richiama la conferma d'ordine del 14 marzo 2014, da cui si evince che le opere di manutenzione straordinaria furono commissionate alla Trans Gru s.n.c., nonché le dichiarazioni dei testi escussi, secondo i quali i tre operai della Nolana Conserve, fra cui l'infortunato, non furono coinvolti nei lavori, ma solo incaricato di smontare e rimontare due lamiere. Rileva che la difesa aveva prodotto il contratto di lavoro di M.P., inquadrato al III livello del CCNL del settore Alimentari ed Industrie, quale meccanico industriale, dimostrativo dell'attribuzione di mansioni conferenti il lavoro concretamente svolto nell'occasione. Sottolinea che dalle dichiarazioni dei testi comuni all'accusa è emerso che gli operai della Nolana Conserve non operarono in quota, ma su un solaio di copertura cinto da parapetti e che M.P. cadde perché, anziché utilizzare l'apposito camminamento insistente su lamiere con resistenza di duecento chilogrammi a metro quadrato, si avventurò sul lucernaio di copertura. Ciò non può che escludere la responsabilità del datore di lavoro.
5. Con il terzo motivo fa valere il vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza e del travisamento della prova, nonché l'inosservanza degli artt. 530, commi 1 e 2, e 533 cod. proc. pen.. Lamenta che la Corte abbia fatto ricorso ad una motivazione per relationem finendo per rispondere ai motivi di appello in modo tautologico. Ribadisce l'erroneità dell'assunto secondo il quale M.P. ed i compagni di lavoro furono adibiti a 'lavori in quota' e critica l'assunto della sentenza che nega la rilevanza della dinamica del sinistro e delle cause della caduta (inciampo, scivolamento), ritenendo provato che il motivo debba, comunque, ricercarsi nella predisposizione di elementari presidi di sicurezza, come enucleati dall'organo di vigilanza. Assume che, al contrario, dall'istruttoria è risultato provato che gli ispettori del lavoro nulla hanno contestato in ordine alla mancanza di D.P.I., perché i medesimi erano presenti nello stabilimento ed i tre meccanici, al momento del sinistro, indossavano quelli necessarii (scarpe e guanti antifortunistici) per l'attività che andavano a svolgere; che l'attività di manutenzione straordinaria era stata eseguita dal personale dell'impresa specializzata, cui era stata commissionata; che i tre meccanici dovevano provvedere solo al montaggio ed al rimontaggio di due lamiere e che le lamiere di copertura avevano una resistenza della portata di oltre duecento chilogrammi per metro quadrato; che la copertura era interamente cinta da parapetti e non confinava con altri fabbricato; che l'unica lamiera in plexiglass era al di fuori del percorso tracciato ed era visibilmente riconoscibile; che lo smontaggio ed il rimontaggio delle due lamiere intorno al camino della centrale termica non poteva avvenire dal basso e non interessava la parte in plexiglass;
che successivamente alla contestazione da parte degli ispettori del lavoro, in ordine alla presunta mancata previsione nel D.V.R., quello che è stato assunto come testimone non ha saputo indicare quale fosse la 'previsione mancata'; che il comportamento di M.P. è risultato privo di spiegazione razionale, tanto che in sede di esame egli non ha saputo riferire alcunché, riferendo di non ricordarsi. Ripercorre le doglianze formulate in appello e ricorda che la sentenza impugnata, così come quella del primo giudice, hanno ritenuto causalmente connessi con l'incidente: il mancato utilizzo del casco, del tutto inutile, in quanto concepito per la protezione dalla caduta di oggetti dall'alto; il mancato utilizzo della cintura di sicurezza, anch'essa inutile, in quanto dispositivo di trattenuta, non destinato ad arrestare una caduta di tipo dinamico, come emerge dalle stesse istruzioni dei produttori e comunque inutilizzabile su un solaio piano privo di agganci; il mancato uso di un trabatello o di un ponteggio metallico, la cui realizzazione era impossibile, dovendosi provvedere alla bullonatura delle lamiere dall'alto verso il basso, ma anche pericolosa, esponendo lavoratori all'investimento da parte delle lamiere, con caduta delle medesime e della struttura al suolo. Osserva che pure l'ispettore del lavoro, ing. Giuliano Morelli, escusso in primo grado, ha palesato una scarsa convinzione sull'efficacia del ponteggio, affermando che 'forse si poteva intervenire con un ponteggio metallico, un trabatello o un ponte mobile' e che la risposta è stata suggerita da una domanda suggestiva del giudice. Sottolinea che neanche il teste Morelli ha saputo indicare la cautela da adottare, ma certamente ha implicitamente chiarito che nessun rilievo hanno avuto i presidi individuali, ai quali le sentenze ricollegano l'accaduto e che, tuttavia, riguardano violazioni mai contestate. Sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, l'operazione affidata agli operai della Nolana Conserve s.r.l., non rientra nelle attività manutentive tipiche dell'industria conserviera, e, pertanto, non doveva essere prevista nel D.V.R., annoverandosi fra quelle di cui all'art. 96 d.lgs. 81/2008, relative ai cantieri temporanei. Sicché anche la violazione dell'art. 28 d. lgs. cit. è insussistente. Denuncia l'apparenza della motivazione e l'assenza di effettiva valutazione dell'attendibilità della persona offesa, caduta in contraddizione ed incapace di spiegare il suo operato.
6. Con il quarto motivo fa valere il vizio di motivazione e la falsa applicazione degli artt. 125, comma 3, 192, commi 1 e 2, 530, commi 1 e 2 e 533 cod. proc. pen.. Ricorda che l'obbligo di motivazione e la presunzione di innocenza hanno rango costituzionale e rammenta che con i motivi di appello si era messo in evidenza che l'art. 20 d. lgs. 81/2008 conferisce anche al lavoratore una posizione di garanzia, dettando prescrizioni comportamentali, non tenute in considerazione dai giudici di merito, che hanno ritenuto ininfluente la dinamica dell'incidente, nonostante sia emersa con chiarezza l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato. Rammenta la distinzione fra causalità della colpa e causalità della condotta, posto che per affermarsi la sussistenza della prima non solo deve risultare, con rassicurante certezza, che l'evento è eziologicamente riconducibile alla violazione della norma precauzionale, ma deve accertarsi che l'evento costituisce la concretizzazione dello specifico rischio che la norma cautelare violata mirava a prevenire. Nega la sussistenza della causalità della colpa nel caso di specie ed assume che ciò impedisce la formulazione del giudizio controfattuale. Sostiene che, in ogni caso, siffatto ultimo giudizio evidenzia che i presidi individuali, di cui si contesta l'omissione, non sarebbero stati idonei ad evitare l'infortunio, che alcuna formazione specifica era necessaria, essendo la persona offesa lavoratore esperto, che, per sua stessa ammissione, conosceva i luoghi e rileva che è parte del patrimonio cognitivo di ciascuno che non possa camminarsi su un lucernaio, pienamente visibile. Conclude affermando che, tenuto conto di tutte siffatte osservazioni, P.C. doveva essere assolto e chiede l'annullamento della sentenza impugnata.
7. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione con requisitoria scritta ex art. 23 comma 8 d.l. 137/2020 ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
8. Con memoria in data 11 novembre 2021 il ricorrente ribadisce le ragioni di accoglimento del ricorso già espresse, sottolineando il difetto di integrale valutazione del compendio probatorio e l'elusione, da parte dei giudici di merito, delle prove a discarico dell'imputato.



Diritto


1. Il primo motivo non è fondato.
2. Per dare risposta agli interrogativi posti va richiamato, in prima battuta, l'arresto delle Sezioni Unite che hanno chiarito come "In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l"'iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 248051).
3. Si tratta di un principio che è stato declinato anche in materia di reati colposi, rispetto ai quali si è ritenuta insussistente "la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 - dep. 19/08/2014, Denaro e altro, Rv. 26016101; Sez. 4, n. 19028 del 01/12/2016, dep. 20/04/2017, Casucci, Rv. 269601).
4. Nel caso di specie, tuttavia, manca financo l'indicazione, nella decisione impugnata (così come in quella di primo grado), di elementi che diversamente sviluppino il fatto originariamente contestato o che si aggiungano ad esso, rispetto ai quali porre e risolvere il problema dell'effettività della difesa. E ciò perché l'imputazione, contrariamente a quanto sostenuto con la doglianza, pur menzionando 'genericamente' la violazione della normativa antinfortunistica, nondimeno, da un lato, rinviando al capo b) della rubrica, richiama le norme di cui agli artt. 28, commi 1 e 2 lett. a) e 55, comma d. lgs. 81/2008, dall'altro fa riferimento al mancato adempimento delle prescrizioni sulle cautele per scongiurare i pericoli derivanti dai lavori in quota. Rispetto a siffatte contestazioni il ricorrente è stato posto in condizione di difendersi, come dimostra lo stesso contenuto dell'atto di appello, con cui si richiede la rinnovazione istruttoria, finalizzata a dimostrare l'inutilità dei presidi individuali (casco, cinture di sicurezza) e collettivi (trabatello), ma si afferma anche la loro inutilità ad evitare l'evento. D'altro canto, proprio con il ricorso proposto in questa sede, lo stesso ricorrente rammenta di avere prodotto, in primo grado, la scheda di fornitura dei presidi individuali, documentazione rivolta a dimostrare che le attrezzature erano a disposizione, nonché il contratto di lavoro e le buste paga della persona offesa, rivolti a dimostrare che mansioni affidate nell'occasione rientravano nell'inquadramento riconosciuto all'operaio, il che rende evidente che il diritto di difesa non ha subito alcuna contrazione rispetto a quanto oggetto del concreto accertamento che ha condotto alla declaratoria di responsabilità penale.
5. Il secondo motivo ed il terzo motivo, intrinsecamente connessi e da esaminare congiuntamente, sono parimenti infondati.
6. Le censure formulate, con cui si lamenta l'omessa considerazione delle prove a discarico, nonché l'errata ricostruzione in ordine alle caratteristiche del sito, da cui deriverebbe la constatazione della non pertinenza dei presidi individuali e collettivi che si assumono non forniti e predisposti, appalesano una lettura solo parziale del tessuto argomentativo delle sentenza di merito, le cui motivazioni si integrano (cfr. ex multis Sez. 2, Sentenza n. 19619 del 13/02/2014, imp. Bruno ed altri,Rv. 259929).
7. Per dare risposta ai quesiti introdotti conviene muovere dalla contestazione introdotta dall'imputato, secondo il quale non potrebbe farsi riferimento alle disposizioni del d. lgs. 81/2008 relative al lavoro in quota, perché gli operai operarono su un solaio di copertura cinto da parapetti -e quindi in piano- essendo l'infortunio intervenuto non per caduta dall'alto, ma per la scelta del lavoratore di avventurarsi al di fuori del camminamento, formato da lastre idonee a sostenere il peso di duecento chilogrammi, passando sul lucernaio di copertura.
8. Ora, contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente, non può ritenersi che per 'lavoro in quota' debbano intendersi solo le operazioni che si svolgano ad un'altezza superiore a due metri da terra su strutture prive di strutture di contenimento o parapetti, tali da necessitare di impalcature o ponteggi al fine di evitare il pericolo di caduta dei lavoratori, bensì tutte le attività che si svolgano ad oltre due metri da un piano stabile, anche ove si operi su superfici piane, contenute da parapetti, allorquando qualsiasi conformazione della struttura o di una sua parte possa comportare la caduta del lavoratore da un'altezza di oltre due metri.
Questa precisazione, che si ricava dalla lettera dell'art. 122 d. lgs. 81/2008, stabilisce una regola generale su tutti i lavori che siano eseguiti ad oltre due metri di altezza, senza distinzione alcuna.
Che questa sia la corretta lettura si trae dalle misure che la disposizione indica quali opere di contenimento dal rischio di caduta, non solo, infatti, 'adeguate impalcature o ponteggi' ma anche 'idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare' quel pericolo.
9. Fatta questa precisazione, nondimeno, è chiaro che l'essere il solaio di copertura posto ad oltre due metri da un piano stabile sottostante e l'essere il medesimo foggiato in modo tale da presentare lastre di plexigas, inadatte a sostenere il camminamento ed il peso di una persona, impone l'adozione di 'opere provvisionali idonee', ancorché non necessariamente ponteggi od impalcature, se non utili per la conformazione della struttura.
10. A questo punto, per affrontare le ulteriori critiche svolte dal ricorrente, è necessario introdurre una premessa sull'estensione del contenuto del DVR (Documento di valutazione dei rischi), come previsto dall'art. 28 d. lgs. 81/2008, che stabilisce che "La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o delle miscele chimiche impiegate, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari (...)". La norma non fa nessuna distinzione fra le attività ordinariamente e quelle straordinariamente svolte dall'impresa, riconnettendo l'obbligo di valutazione del datore di lavoro a qualsiasi rischio il lavoratore debba affrontare nel corso dello svolgimento dell'attività lavorativa, indipendentemente dalla sua occasionalità, non potendo la sicurezza della sua salute 'sospendersi' quando egli sia chiamato a svolgere attività diverse da quelle cui è ordinariamente addetto. E', dunque, obbligo del datore di lavoro, laddove il DVR non preveda una determinata attività che deve essere svolta, anche occasionalmente "sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori" (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 27295 del 02/12/2016, dep. 31/05/2017, Furlan, Rv. 270355, in un caso di mancata valutazione del rischio per un'attività non ordinaria dell'azienda). Non coglie nel segno, dunque, la critica con cui si fa valere l'errore giuridico per avere la Corte confuso l'obbligo di redazione del DVR, con quello di predisposizione del POS, dovendosi l'attività inquadrare nell'ipotesi del cantiere mobile. D'altra parte, non casualmente il legislatore impone con gli artt. 96 e 89, lett. h), che richiama l'art. 17 d. lgs. 81/2008, proprio la valutazione dei rischi e la redazione del POS per il singolo cantiere interessato, al fine di rendere concreta e specifica la predisposizione della necessarie misure di protezione. Valutazione questa indubitabilmente mancata nel caso di specie, come ben spiega la sentenza di prima cura, che addebita all'imputato anche la mancata predisposizione del POS. Rispetto a siffatta obiezione relativa al difetto di previsione dei rischi per la specifica attività, il ricorrente si difende solo sottolineando che la contestazione si limita al richiamo dell'art. 28 d. lgs. 81/2008, ma non deduce in alcun modo di avere effettivamente valutato il rischio derivante dal compito affidato alla persona offesa, semplicemente facendo valere l'impossibilità di adempiere alla predisposizione di cautele specifiche, stante la conformazione dei luoghi, e la sostanziale imprevedibilità del comportamento del lavoratore.
11. Nessun rilievo può, peraltro assegnarsi alla puntualizzazione con cui il ricorrente precisa che M.P. non fu addetto a mansioni estranee a quelle inerenti il suo inquadramento, essendo la sua qualifica quella di 'meccanico industriale' e non quella di 'addetto alle macchine aggrafatrici', sicché nell'occasione svolse 'esattamente il lavoro per cui era stato assunto', perché non è in relazione all'estraneità dell'opera affidata alle mansioni svolte che le sentenze di merito fondano la responsabilità, ma sulla mancata previsione del rischio e sulla mancata adozione delle misure di prevenzione adeguate al suo contenimento.
12. Neppure può ritenersi significativo il fatto, rimarcato dalla difesa, che l'ispettore del lavoro assunto come teste, pur ribadendo la mancata previsione del rischio, non abbia saputo indicare quale cautela si sarebbe dovuta adottare, perché l'ispettore, come risulta dal verbale allegato con il ricorso, non ha fatto riferimento solo ad un ponteggio e ad un trabatello -che il ricorrente ritiene di impossibile realizzazione- bensì anche ad un ponte mobile. Ed è proprio rispetto alla messa in opera di questa ultima cautela, indicata dall'organo di vigilanza come utile a fronteggiare il pericolo e ad evitare l'evento, che il ricorrente manca ogni confronto.
13. A questo punto, tuttavia, risulta evidente che la doglianza con cui si criticano i passi delle sentenze di merito che censurano la mancata fornitura dei presidi individuali di protezione (casco ed imbracatura) perdono importanza, perché se è vero che essi sono rivolti a presidiare altro tipo di pericoli (caduta di oggetti dall'alto, cadute di tipo non dinamico), resta che la protezione collettiva destinata ad assicurare lo svolgimento del lavoro sul solaio, caratterizzato da tratti non calpestabili, in sicurezza non è stata predisposta, non essendo neppure stato previsto, in sede di valutazione dei rischi, il relativo pericolo. Deve, dunque, ribadirsi il principio secondo il quale "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la redazione del documento di valutazione dei rischi e l'adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione" (Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241).
14. Va, infine, rigettato anche l'ultimo motivo di ricorso, con cui, da un lato, si stigmatizza l'assenza di motivazione sul profilo introdotto con di gravame relativo agli obblighi posti dall'art. 20 d. lgs. 81/2008, dall'altro, si dubita della causalità della colpa ascritta, non potendosi affermare che l'evento costituisca la concretizzazione del rischio che la norma cautelare violata mirava a prevenire.
15. Ora, pur non essendo il primo argomento stato affrontato espressamente dai giudici di merito, non può ritenersi sussistente il vizio dedotto, posto che seppure l'evoluzione normativa, con l'art. 20 d. lgs. 81/2008, e quella giurisprudenziale abbiano delineato il passaggio da un modello 'ultraprotettivo' della tutela prevenzionistica in materia di infortuni sul lavoro, incentrato sul datore di lavoro, ad uno 'collaborativo', che ripartisce gli obblighi fra più soggetti, ivi compreso il lavoratore, nondimeno, solo quando il datore di lavoro abbia adempiuto all'obbligo di valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ed abbia predisposto le relative cautele collettive ed individuali, egli può non rispondere delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore (cfr. Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Santini, Rv. 266073; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/20, PMT/Musso,18, Rv. 275017). Ma ciò non è accaduto nel caso di specie.
16. Per altro verso, è del tutto evidente che l'evento ha costituito la concretizzazione del pericolo che le norme violate -prima di tutto quella relativa alla stessa valutazione del rischio- miravano ad evitare, posto che la predisposizione di una misura rivolta ad evitare i rischi di caduta, avrebbe certamente evitato l'evento, realizzatosi proprio perché è stato consentito agli operai di accedere direttamente dal solaio, che presentava zone non calpestabili, al punto in cui dovevano essere imbullonate le lamiere intorno al camino della caldaia.
17. La sentenza deve, nondimeno, essere annullata senza rinvio in relazione al reato di cui al capo b) dell'imputazione, ascritto ai sensi degli artt . 28 comma 1 e 2 lett. a) e 55, comma 4 d. lgs. 81/2008, in quanto estinto per prescrizione alla data del 7 ottobre 2021, con rigetto nel resto.


P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo b) perché estinto per prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso il 23/11/2021


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