Cassazione Penale, Sez. 4, 01 marzo 2022, n. 7092 - Perdita di un occhio durante i lavori di casseratura: responsabilità del preposto di fatto
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 7 novembre 2018, ha assolto F.M. dal reato di cui agli artt. 113, 590 commi primo, secondo e terzo, 583, comma secondo, n. 3, cod. pen., contestato in cooperazione con T.A., originario coimputato assolto con la sentenza di primo grado) (lesioni gravissime personali ai danni di B.V. di durata superiore a quaranta giorni consistite nella perdita di un organo per effetto dello scoppio del bulbo oculare destro).
L'imputazione a carico del F.M. consiste nell'aver cagionato, in qualità di preposto di fatto alla sicurezza dell'impresa "C.L.E.B. Cooperativa Bresciani" - ai sensi dell'art. 299, in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b, d ed e), d. lgs. n. 81 del 2008 - le predette lesioni nei confronti di B.V. per colpa generica e per l'omessa predisposizione di adeguate misure di prevenzione e protezione da adottare per eliminare il rischio durante i lavori di casseratura, ove si trovava ad operare il B.V. insieme al collega R.B..
Durante il montaggio i due lavoratori operavano senza visibilità e ai lati opposti del cassero; il R.B. infilava le barre metalliche di collegamento tra i due pannelli della struttura e il B.V. avvitava dei piattelli; indi, il B.V. si chinava per raccogliere un piattello caduto e, nel rialzarsi, era colpito all'occhio destro dalla barra filettata che sbucava dal tubo di collegamento spinta dal R.B., che non si avvedeva di quanto stava avvenendo dalla parte opposta.
1.1. Con la sentenza di primo grado, il Tribunale di Milano dichiarava F.M. responsabile del reato suindicato e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia nonché al risarcimento dei danni alla parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede. Assolveva invece il T.A., coordinatore per la sicurezza, con la formula "perché il fatto non costituisce reato".
L'istruttoria non consentiva di accertare le esatte dinamiche del fatto; la barra che aveva colpito il B.V. sporgeva di cm. 13 dalla parete del cassero (sporgenza mas sima consentita dal sistema di bloccaggio della barra, alla cui opposta estremità era avvitato un piattello prima dell'inserimento nel foro di ingresso) e si trovava ad un'altezza di m. 2,05 rispetto al piano terra (m. 1,50 rispetto al gradino).
Il B.V. affermava di essere stato colpito mentre si stava rialzando, dopo aver raccolto da terra il piattello col quale avrebbe dovuto fissare la barra, dichiarava di non ricordare l'intera dinamica del fatto e negava di aver avvicinato di proposito l'occhio al foro di uscita della sbarra.
Ad avviso del Tribunale, il F.M., quale preposto di fatto, non aveva vigilato sulla corretta applicazione delle misure di sicurezza e di prevenzione e sul corretto approntamento dei casseri, quali opere provvisionali, da parte del B.V. e del R.B. (art. 19, comma 1, lett. a), d. Lgs. n. 81 del 2008).
Nella sentenza di primo grado si era evidenziato che, ai sensi dell'art. 123 d. lgs. n. 81 del 2008, all'interno dei cantieri temporanei o mobili il preposto alla sicurezza deve sorvegliare il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali e che l'obbligo di vigilare sulle attività di armo e disarmo dei casseri si estende ad ogni fase della lavorazione compreso l'ancoraggio delle pareti con le barre filettate, e non può essere circoscritto alla sola posa in opera del cassero.
Al momento dell'impatto, il F.M., presente in cantiere al momento dei fatti, si trovava in una posizione inidonea a fornirgli una visuale integrale della lavorazione in corso, di coordinare il B.V. e il R.B. e di assolvere al suo obbligo di vigilanza. Se si fosse trovato in una posizione diversa, il F.M. avrebbe potuto indirizzare e coordinare gli operai nelle rispettive attività persino in caso di incauto avvicinamento del B.V. al foro di uscita della barra per accertare il comportamento del R.B..
1.2. La Corte di appello ha accolto l'appello proposto dal F.M., assolvendo anche lui dal reato ascrittogli per insussistenza del fatto.
Nella sentenza impugnata si è precisato che l'istruttoria dibattimentale aveva consentito di accertare che l'infortunato stava effettuando operazioni di montaggio delle casserature metalliche, quando, a seguito dell'inserimento di una delle ultime barre da parte del R.B., era stato colpito ad un occhio da una barra che sporgeva di circa cm. 13 dalla parte del cassero (sporgenza massima consentita dal sistema di bloccaggio della barra, alla cui opposta estremità era avvitato un piattello prima dell'inserimento nel foro di ingresso) e si trovava ad un'altezza di m. 2,05 rispetto al pianoterra (m. 1,50 rispetto al gradino); conseguentemente, il B.V. aveva riportato lo scoppio del bulbo oculare destro con "perdita completa del visus in OD (occhio destro)" con invalidità riconosciuta dall'INAIL in misura pari al 38%.
Non è stato chiarito, tuttavia, se al momento dell'impatto il B.V. si fosse mosso ovvero se avesse avvicinato di proposito l'occhio al foro dal quale sarebbe uscita la barra, circostanza sostenuta dal tecnico dell'ASL ma negata dall'infortunato. L'incertezza sull'esatto andamento dei momenti antecedenti all'incidente non consentiva di ipotizzare profili di colpa riconducibili all'imputato, da porre in nesso causale con le lesioni refertate. Anche a voler ritenere il comportamento della parte offesa né improvviso né anomalo, il F.M. era comunque impossibilitato ad evitare l'incidente, anche mediante una sorveglianza continua, condotta da ritenere inesigibile in relazione alle necessità della lavorazione e alle modalità operative concrete.
Inoltre, eventuali profili legati a carenze organizzative non potrebbero essere addebitate al preposto, ma piuttosto al suo superiore gerarchico (assolto dal giudice di primo grado).
2. Il B.V., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione degli artt. 43 e 590 cod. pen., 19 D. L.vo n. 81 del 2008 e vizio di motivazione.
Si deduce che la Corte di merito non ha valutato che il F.M., nel suo ruolo di preposto, aveva ordinato ai due manovali di operare tramite modalità manifestamente pericolose (vedi le concordi deposizioni del teste M., all'epoca collega di lavoro del B.V., della persona offesa e del T.A.).
La Corte distrettuale, peraltro, ha ignorato le specifiche caratteristiche del luogo di lavoro, fattore avente rilievo decisivo per il corretto inquadramento del fatto e della responsabilità dell'imputato: a) lo spazio angusto in cui operava il B.V., impossibilitato a vedere il collega che dall'altra parte del cassero infilava le barre sporgenti da avvitare; b) la necessità del B.V. di restare in equilibrio su un gradino della larghezza di cm. 18, inferiore alla lunghezza del piede, con una mano impegnata ad avvitare "vitoni" metallici di grandi dimensioni che, di volta in volta, doveva raccogliere da terra, per poi rialzarsi con le mani impegnate a reggere tale oggetto.
Qualora fosse stato indispensabile adottare quella modalità operativa intrinseca mente pericolosa, il F.M. avrebbe dovuto informarne gli operai e prevedere un metodo di lavoro sicuro, senza riversare su di loro il compito di darsi un'autoregolamentazione (poi rivelatasi inadeguata).
In conclusione, non erano individuabili elementi che, da un lato, potessero escludere la manifesta colpa del F.M., che ordinava personalmente quale preposto un lavoro in condizioni di grave rischio e in una deficitaria situazione formativa ed informativa, e, dall'altro, il nesso causale tra tale responsabilità e l'evento.
3. Con memoria difensiva, il F.M. chiede il rigetto del ricorso, rilevando che i motivi di doglianza erano sostanzialmente compendiabili nel mancato esame, da parte della Corte territoriale, del profilo di colpa connesso "all'implicita rischiosità della specifica situazione logistica in cui il F.M. aveva posto a lavorare il B.V.".
La Corte di merito non ha esaminato tale aspetto, perché il Tribunale lo aveva esaustivamente trattato, assolvendo il coimputato T.A., coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, proprio per l'acclarata insussistenza in quel contesto cantieristico di situazioni di pericolo riguardanti la tipologia di casseratura adottata, le modalità di allestimento della stessa e la collocazione degli operatori a ciò adibiti. Lo stesso Tribunale, d'altronde, aveva ravvisato una residuale ipotesi di colpa esclusivamente in capo al preposto F.M., per l'omessa sorveglianza del lavoro della persona offesa.
Ecco perché la Corte milanese, doverosamente muovendosi nell'ambito di cognizione tracciato dai motivi di gravame della difesa appellante, ha affrontato tale ipotetico profilo di responsabilità non ravvisandone la sussistenza in considerazione dell'impossibilità del F.M., pur presente sul luogo del sinistro, di evitare l'incidente, neanche con una sorveglianza continua, da ritenere condotta inesigibile, in relazione alle necessità della lavorazione e alle modalità operative concrete.
Diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Con l'unico motivo di ricorso, la parte civile B.V. censura la sentenza assolutoria emessa dalla Corte di appello nei confronti di F.M., preposto alla sicurezza dell'impresa, evidenziando la mancata predisposizione di modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, che gli consentissero di operare in modo da evitare rischi per l'incolumità propria (e del collega R.B.), e l'omesso assolvimento dei compiti assegnatigli di formazione ed informazione dei lavoratori.
Va premesso che, ai sensi dell'art. 2, lett. e), d.P.R. 9 aprile 2008, n. 81, il preposto (la cui posizione è assimilabile a quella del capo cantiere) è un soggetto che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende all'attività lavorativa e ga rantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.
Il preposto, pertanto, è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell'incolumità dei lavoratori e risponde degli infortuni loro occorsi a causa della violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia, purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l'evento lesivo in concreto verificatosi (Sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014, dep. 2015, De Vecchi, Rv. 263004); egli sovrintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, verifica il rispetto delle normative antinfortunistiche, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione, sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Sez. 4, n. 9491 del 10/01/2013, Ridenti, Rv. 254403, fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del capo-cantiere in ordine al reato di omicidio colposo per non aver impedito l'uso di un escavatore ribaltatosi per l'elevata pendenza dei luoghi; Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv. 252149).
Si tratta, infatti, di un soggetto la cui sfera di responsabilità è modellata sui poteri di gestione e di controllo di cui concretamente dispone, atteso che, ai sensi dell'art. 299 d. s. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati; l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni effettivamente esercitate e sui poteri di cui si dispone, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017, Amadessi, Rv. 269803). Il preposto assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l'incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative contra legem (Sez. 4, n. 4340 del 24/11/2015, dep. 2016, Zelanda, Rv. 265977). Non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli, allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/04/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
3. Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, in ordine alla ricostruzione della vicenda criminosa operata in base alle indicazioni dei giudici di merito, va osservato che, nell'area di un cantiere edile finalizzato alla demolizione e alla ricostruzione di un centro commerciale, su disposizione impartita dal F.M., il preposto ivi presente, alcuni operai stavano procedendo alla messa in opera di una cassaforma metallica per la realizzazione di un muro in cemento armato; attività consistita nel collegamento dei due elementi metallici costituenti la cassaforma (pannelli metallici) mediante una barra filettata passante, fermata all'estremità da due piattelli metallici. Si era creata un'intercapedine tra il suddetto ponteggio e le opere provvisionali (i casseri) finalizzate alla realizzazione del muro di recinzione in ragione della densità edilizia della specifica zona urbana che aveva reso necessaria la compressione degli spazi di lavoro.
Il giorno del fatto, il F.M. aveva impartito disposizioni, concernenti la posa in opera delle casserature in metallo ai carpentieri della Edil Sapro, il B.V., il R.B. e il gruista M.; quest'ultimo avrebbe provveduto a calare le pareti dei casseri, mentre il B.V. avrebbe dovuto posizionarsi nell'intercapedine ricavata tra un ponteggio in legno (alle sue spalle) ed una delle pareti metalliche del cassero, per avvitare le barre filettate metalliche che dall'altra parte il R.B. avrebbe provveduto ad infilare negli appositi spazi, in modo tale da ancorare tra loro le due pareti del cassero. Il B.V. si trovava in un'intercapedine alta m. 3 e larga cm. 48. Sul pavimento era presente un gradino largo cm. 18, alto cm. 55, il quale consentiva al B.V. di arrivare ad avvitare con maggiore praticità le barre situate ad altezze più elevate. Il posizionamento del B.V. e del R.B. ai due lati opposti dei casseri metallici impediva ai due uomini di vedersi, per cui il primo doveva confidare nel solo avvertimento vocale del secondo (che, secondo la dinamica della vicenda riportata dal Tribunale sulla scorta della deposizione dell'infortunato, non sempre lo aveva avvisato puntualmente).
A seguito dell'inserimento di una delle ultime barre da parte del R.B., il B.V. era colpito ad un occhio.
I giudici di merito, pertanto, hanno sostanzialmente evidenziato che, per costruire il muro, esistevano due casseformi di metallo destinate a contenere il cemento. Uno dei lavoratori provvedeva ad infilare le barre filettate metalliche e l'altro le bullonava. Dalla descrizione dello stato dei luoghi si comprende che i lavoratori avevano uno spazio molto esiguo sul quale operare - gradino di larghezza di soli cm. 181 inferiore alla lunghezza del piede e in una trincea alta m. 3 circa, in precario equilibrio con una mano impegnata ad avvitare "vitoni" metallici di grandi dimensioni che, di volta in volta, il B.V. doveva raccogliere da terra, per poi rialzarsi con le mani impegnate a reggere tale oggetto - e agire anche su barre situate ad altezza molto elevata.
La Corte di appello ha assolto il F.M. in ragione dell'impossibilità di ricostruire la dinamica del fatto e dell'eventuale ricollegabilità dell'infortunio al comportamento maldestro della stessa persona offesa.
In realtà, non appare configurabile una condotta abnorme nel comportamento del lavoratore, il quale, secondo quanto pacificamente affermato dai giudici di merito, svolgeva un compito particolarmente impegnativo, in uno spazio angusto e senza la possibilità di vedere il collega che collaborava sinergicamente con lui.
Alla luce di quanto sopra esposto, la motivazione della sentenza impugnata appare carente, mancando l'esame del tema decisivo delle direttive eventualmente impartite dal F.M., ai fini del regolare svolgimento dell'incombenza notevolmente delicata affidata ai due operai, e, specificamente, del coordinamento tra i due lavoratori, in modo da evitare che il comportamento di ognuno di loro potesse costituire fonte di pericolo per il collega.
Il preposto, infatti, deve non solo organizzare lo svolgimento del lavoro, al fine di consentire agli addetti di operare in sicurezza, stabilendo le direttive da seguire, ma deve anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei medesimi, in modo da evitare la superficiale tentazione di trascurarle (vedi per riferimenti, Sez. 4, n. 27787 del 8/5/2019, Rossi, Rv. 276241).
4. Per le suindicate ragioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, al quale va altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma il 5 ottobre 2021.