Cassazione Penale, Sez. 4, 15 gennaio 2020, n. 1366 - Infortunio con una macchina filettatrice priva del necessario sistema di sicurezza a pedale

2020

Fatto
1. Con sentenza in data 30/06/2014, il Tribunale di Bergamo, all'esito del giudizio abbreviato, dichiarava L.S. colpevole del reato reato di cui all'art. 590 c.p., commesso in Treviolo il 4 giugno 2012, perché in qualità di legale rappresentate della ditta TCM Montaggi SRL e pertanto datore di lavoro ai sensi del D.Lgs 81/2008, cagionava lesioni gravi al dipendente S.B., e lo condannava alla pena di mesi 2 reclusione; sono stati concessi i doppi benefici di legge.
1.1. Con la sentenza n. 893/2019 del giorno 26/03/2019, la Corte di Appello di Brescia, adita dall'imputato, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, ritenute concedibili le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante, riduceva la pena inflitta all'appellante a mesi 1 di reclusione, confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza d'appello propone ricorso per cassazione L.S., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in. sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.),:
I) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 120 e 590 c.p. e in riferimento al giudizio relativo alla durata della malattia e alla sussistenza della condizione di procedibilità. Deduce che gli unici punti certi sono che S.B. non era guarito il 2 luglio, mentre lo era il 30 luglio; quanto alla durata della malattia, non vi erano certezze, ben potendo il lavoratore essere guarito prima del 30 luglio. Afferma che appariva quanto meno possibile ritenere che la malattia avesse avuto una durata di poco inferiore a 40 giorni (dunque S.B. fosse guarito il 14 luglio posto che egli aveva dichiarato che a metà luglio utilizzava le mani per guidare e per fare la spesa) e, in tale eventualità sarebbe mancata la condizione di procedibilità, non avendo S.B. presentato alcuna querela.
II) violazione di legge in relazione agli artt. 521, 522, 441, comma 5, 423, 441 bis c.p.p. Deduce che la condotta per la quale il L.S. era stato imputato non era l'omessa predisposizione del pedale bensì per aver omesso una formazione adeguata del dipendente S.B.. Sostiene, conseguentemente, che il fatto per il quale L.S. è stato condannato era diverso rispetto a quello per il quale è stato imputato per cui la sentenza è nulla per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Ili) vizi motivazionali in riferimento al giudizio relativo all' «abitudine di non usare il pedale». Deduce che né S.B., né C., né F. hanno mai detto che vi era «l'abitudine di non usare il pedale» e, quindi, è manifestamente illogica l'inferenza che, movendo dalla circostanza che «il 4 giugno 2012 il pedale non c'era», giunge ad affermare che «come al solito la macchina filettatrice era direttamente collegata alla presa elettrica senza il pedale di sicurezza».




Diritto




3. Il ricorso proposto è infondato.
4. Innanzitutto va evidenziato che, nel caso di c.d. "doppia conforme", le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
4.1. Occorre, inoltre, rimarcare che il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
4.2. La Corte territoriale ha, in vero, fornito adeguata spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo -seppur sinteticamente- alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
4.3. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.4. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.5. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.6. In realtà il ricorrente tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
5. Ciò posto, in replica alle doglianze formulate, mette conto solo evidenziare che la Corte del merito ha fatto buon uso dei principi fissati dal Supremo Collegio e sopra riportati, sviluppando una motivazione logica e congrua.
6. In ordine alla doglianza sub I), mette conto evidenziare che, a norma dell'alt. 529 c.p.p. il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel dispositivo quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità è insufficiente o contraddittoria. Nella specie, la querela non appariva necessaria, posto che la durata della malattia (superiore a 40 giorni) non la richiedeva. Quanto alla effettiva durata della*stessa malattia, la Corte territoriale ha fornito una congrua, adeguata e convincente motivazione, immune da censure logiche perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.
6.1. Occorre solo evidenziare che la Corte distrettuale ha - incensurabilmente in questa sede- reso la propria valutazione sul punto in maniera dettagliata e congrua, rilevando che «sono i certificati medici che definiscono la durata della malattia, salvo prova contraria: nel caso di specie sono acquisiti in atti oltre il primo certificato di Pronto Soccorso in data 4.6.2012, con prognosi di giorni 25, il successivo certificato INAIL in data 2.7.2012 a firma dello Specialista in Ortopedia, dott. Simone P., che attesta "L'infermità determina inabilità con prognosi giustificata dal 02/07/2012 fino al 30/07/2012" e l'ulteriore certificato INAIL in data 30.7.2012, a firma del medesimo specialista, che attesta "L'infermità è cessata e l'infortunato può riprendere il lavoro il giorno 31/07/2012" [...] considerato il dato di comune esperienza circa la gradualità della ripresa del semplice movimento, prima, e poi del vero e proprio utilizzo delle dita lesionate dopo una lussazione e fasciatura di circa un mese, e l'altro dato pure di comune esperienza che si riesca a guidare una autovettura anche senza particolare necessità di utilizzo di tutte le dita della mano sinistra e così pure a fare la spesa e a portare i relativi pacchi o sacchetti, resta il fatto che il semplice movimento delle dita -peraltro avvenuto a metà luglio e quindi oltre 40 giorni dopo l'infortunio- è cosa diversa dalla possibilità di utilizzare appieno le dita nell'attività lavorativa, (non solo di muoverle) [...] le dichiarazioni dell'infortunato ex art. 391 bis c.p.p. non smentiscano in alcun modo le attestazioni dei certificati medici INAIL».
6.2. Ne deriva che il dovere del giudice dell'appello di dare esecuzione al disposto dell'art. 529 c.p.p., comma 2, ossia alla regola del proscioglimento nel caso del dubbio sulla prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità, appare assolto mediante la citata osservazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale le lesioni riportate dalla persona offesa dovevano ritenersi guarite in un tempo utile ai fini della ricorrenza della procedibilità di ufficio. L'inequivoco tenore, favorevole alla tesi dell'accusa,4delle certificazioni mediche non supporta l'opinabilità, dedotta dalla difesa, della conclusione del giudice dell'appello che risulta, comunque, denunciata in maniera non sostenibile, proprio alla luce della motivazione della sentenza impugnata e del supporto probatorio della medesima: supporto che la difesa tende a mettere in crisi con considerazioni di natura fattuale che questa Corte di legittimità non può apprezzare (v. anche Sez. 5, n. 34999 del 04/06/2015, ud. 04/06/2015, dep. 20/08/2015). 
7. Il motivo sub II) risulta infondato in quanto il giudice territoriale ha evidenziato, con coerente e logico argomentare, che non si sia realizzata alcuna modifica sostanziale della contestazione, così da compromettere il principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, atteso che l'originario capo di imputazione contiene, sia con il richiamo alla colpa generica, sia con riferimento alla specifica norma violata, tutti gli elementi valorizzati dai giudici di merito per riconoscere la responsabilità del prevenuto, in punto di adeguata descrizione della condotta ascritta, del rapporto di causalità con l'evento e del riconoscimento dell'elemento psicologico.
7.1. Sul punto peraltro va subito riaffermato che il principio di correlazione tra sentenza e accusa oggetto di contestazione, riconducibile all'art. 521 cod.proc.pen. risulta violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità e di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia verificata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione del contenuto essenziale dell'addebito nei confronti dell'imputato, il quale si troverebbe sottoposto a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere alcuna possibilità di apprestare adeguata difesa. Il principio non risulta al contrario violato quando nei fatti, così come contestati, ovvero ritenuti nella decisione del giudice di merito, si possa parimenti individuare un nucleo comune. In tale prospettiva per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenirsi ad una incertezza sull'oggetto della contestazione da cui scaturisca un effettivo pregiudizio per la difesa dell'imputato (cfr. Sez. 4, n. 50967 del 05/07/2017). Ne deriva che la indagine volta ad accertare la violazione del suddetto principio, non deve esaurirsi nel mero pedissequo confronto puramente letterale fra imputazione e decisione perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione si appalesa del tutto insussistente quando l'imputato, anche mediante l'iter del processo, si sia trovato nella condizione concreta di difendersi in ordine al fatto ritenuto in sentenza (v. Sez. Un., n. 16 del 19/06/1996 Cc. -dep. 22/10/1996- Rv. 205619).
7.2. Orbene nel caso in specie il motivo di ricorso in scrutinio non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte territoriale la quale ha fornito logica ed esaustiva risposta alle puntuali doglianze sollevate nei motivi di appello, attraverso il richiamo, già contenuto nel capo di imputazione, agli obblighi di diligenza, prudenza e perizia, che comunque la norma riconosce in capo al datore di lavoro. La locuzione "fatto nuovo", di cui all'art. 518 cod. proc. pen., denota un accadimento assolutamente difforme da quello contestato, e l'emergere in dibattimento di accuse in nessun modo rintracciabili nel decreto di rinvio o di citazione a giudizio (v. anche Sez. 4, n. 4958 del 31/01/2013). Più in particolare, i giudici distrettuali han fatto buon uso del principio secondo cui, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (cfr. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 Ud. -dep. 19/08/2014- Rv. 260161). Segnala, infatti, il giudicante del merito che «nelle annotazioni di P.G., allegato n. 2 al 1° Seguito Infortunio della ASL di Bergamo, dep. in Procura il 4.12.2012, si parla del pedale, chiamato "foot switch" che permette l'avvio e l'arresto della macchina filettatrice tramite l'utilizzo del piede, collegato alla macchina con una semplice "spinetta elettrica si specifica altresì "Al momento del sopralluogo e dalle dichiarazioni rilasciate dall'infortunato e dal testimone, non si è evidenziata la presenza di tale pedale in quanto gli stessi utilizzavano la macchina solamente azionando l'interruttore on/off." [...] il primo giudice nella formulazione del relativo quesito da sottoporre al perito per il conferimento dell'incarico, faceva espressamente riferimento alla circostanza che la macchina prima dell'Infortunio fosse stata privata del pedale; il Giudice, formulato il quesito nel contraddittorio delle parti, altrettanto espressamente, chiedeva alle parti se il quesito così formulato poteva andare bene, ricevendo esplicita risposta affermativa dal difensore, Avv. Pasta [...] In atti è stata depositata in data 5 giugno 2014 la perizia effettuata sulla macchina dall'ing. Paolo P. che spiega analiticamente le caratteristiche della macchina e in particolare il "sistema di sicurezza integrale a pedale" non installato al momento dell'infortunio, nonché le istruzioni presenti nel Libretto d'uso e manutenzione della filettatrice [...] Infine all'udienza dell'11 giugno 2014 e nel contraddittorio delle parti il perito Ing. P. ha diffusamente spiegato le caratteristiche della macchina filettatrice e soprattutto il sistema di sicurezza a pedale previsto dal costruttore e necessario nell'utilizzo della macchina, che avrebbe evitato la verificazione dell'infortunio o comunque avrebbe grandemente limitato la forza e la protrazione della presa da parte della macchina delle dita dell'infortunato con eventuali conseguenze lesive ben inferiori». Correttamente, quindi, concludono i giudici territoriali che «la difesa ha avuto pieno modo di conoscere e di difendersi anche in relazione al comportamento colposo o di specificazione della colpa, - pienamente emergente dagli atti processuali e quindi non sottratto al concreto esercizio del diritto di difesa, - consistente nel mancato controllo adeguato da parte del datore di lavoro sull’osservanza della normativa della sicurezza che avrebbe imposto il costante utilizzo del pedale nell’uso della filettatrice»
8. Quanto alla censura sub III), oltre a ribadire quanto già affermato ai punti da 4.1. a 4.6., mette solo conto ribadire che La Corte territoriale ha reso, anche su tale punto, una adeguata e, quindi, incensurabile motivazione, evidenziando che «il Tribunale non ha travisato le dichiarazioni rese dalla P.O. S.B. e dal collega di lavoro C.A., ma ha semplicemente e logicamente dedotto che le loro risposte sulle modalità dell'incidente e su come si accendeva e spegneva la macchina filettatrice, senza alcun riferimento al pedale di sicurezza [...] inducono a ritenere che quel giorno e come al solito la macchina filettatrice era direttamente collegata alla presa elettrica senza il pedale di sicurezza. La circostanza peraltro era stata già dedotta anche dagli UPG dell'ASL nelle summenzionate osservazioni di P.G. [...] La Corte condivide altresì l'osservazione del primo giudice che trae ulteriore elemento di convincimento sull'abitualità dell'utilizzo della macchina filettatrice senza il pedale di sicurezza, conosciuto e tollerato dal datore di lavoro L.S. che, infatti, non risulta aver adottato alcun richiamo o sanzione disciplinare nei confronti del dipendente S.B. per siffatto utilizzo della macchina»
9. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/11/2019



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