Cassazione Penale, Sez. 1, 13 gennaio 2020, n. 857 - Esplosione durante il processo di fusione. L'errore del lavoratore non interrompe il nesso causale e non esclude la responsabilità dei titolari delle posizioni di garanzia
Fatto
1. Con sentenza in data 11.10.2011 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in composizione monocratica, aveva condannato gli imputati S.S., G.M.e S.G. alle pene rispettive di anni otto di reclusione (i primi due) e di anni due di reclusione (il terzo), con la concessione a quest'ultimo del beneficio della sospensione condizionale della pena, oltre alle statuizioni accessorie e alle statuizioni risarcitone in favore delle parti civili costituite, per i delitti di cui agli artt. 437, primo e secondo comma, e 589 quarto comma cod.pen., nonché per numerose contravvenzioni alla norme di prevenzione antinfortunistica, commessi e accertati con riferimento all'infortunio sul lavoro avvenuto il 16.06.2007 in Marcianise presso lo stabilimento della Metalpoint s.p.a., nel quale era deceduto il lavoratore LM.G. e avevano subito lesioni gravissime altri due dipendenti della società (T.M. e N.F.M.).
2. A seguito di appello degli imputati, la Corte d'appello di Napoli, con sentenza pronunciata il 2.11.2016, dichiarava estinti per prescrizione i reati contravvenzionali e confermava la condanna degli imputati per i delitti loro ascritti, unificati sotto il vincolo della continuazione, individuando la violazione più grave in quella dell'art. 437 secondo comma cod.pen. e rideterminando la pena in anni 6 mesi 6 di reclusione per G.M., in anni 6 di reclusione per S.S. e in anni 1 mesi 9 di reclusione per S.G., oltre all'applicazione ai primi due della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
3. Dalla ricostruzione del fatto operata in termini conformi dalle sentenze di primo e secondo grado, è emerso quanto segue.
Gli imputati sono stati ritenuti responsabili dei reati ascritti in relazione alle posizioni di garanzia ricoperte nelle rispettive qualità di amministratore unico della Metalpoint, e datore di lavoro, quanto allo S.S., di direttore dello stabilimento e direttore commerciale quanto al G.M., di capo reparto manutenzione quanto al S.G.; l'infortunio si era verificato mentre le tre vittime erano intente ai lavori di rimozione dei residui della colata di alluminio solidificatisi all'interno del pozzo di raffreddamento del processo di fusione, operando sopra la piattaforma di colata azionata da altro operaio, P.P., il quale, per errore, anziché azionare il comando preposto ai movimenti della piattaforma, aveva azionato involontariamente la leva della colata dando avvio al processo lavorativo che convogliava l'alluminio fuso verso il pozzo di raffreddamento, senza riuscire, una volta accortosi dell'errore nell'arco di una ventina di secondi, a bloccarne o deviarne la corsa; il metallo caduto nel pozzo, venuto a contatto a una temperatura di 700 gradi con l'acqua ivi presente, aveva provocato un'esplosione che aveva investito gli operai che cercavano di mettersi in salvo attraverso il cunicolo di uscita dal pozzo, ustionandoli gravemente.
Le condizioni di lavoro e la dinamica dell'infortunio erano ricostruite, oltre che sulla base delle risultanze degli esami del teste P. e delle persone offese T.M. e N.F.M., sulla scorta dei sopralluoghi e degli accertamenti compiuti, immediatamente dopo il fatto, dall'ispettore della ASL di Caserta M.V. e dal direttore dello SPISAL G.M..
Il quadro emerso, e riportato nelle sentenze di merito, era quello di una inosservanza generalizzata delle norme e delle cautele antinfortunistiche; in particolare, il quadro comandi del forno di fusione e della piattaforma del pozzo di raffreddamento era risultato inidoneo perché i singoli comandi non erano adeguatamente distinti l'uno dall'altro, essendo identici ed essendo scomparse col decorso del tempo le segnalazioni originariamente esistenti; i comandi erano comunque troppo vicini tra loro, tanto da poter essere toccati contemporaneamente con una sola mano e da consentirne l'attivazione in via accidentale; il quadro comandi era posizionato in modo tale che il manovratore dava le spalle al luogo in cui si svolgevano le fasi della produzione; l'inizio della colata di metallo fuso non era preannunciato da segnale acustico; gli operai addetti alla fonderia non avevano ricevuto alcuna formazione con riguardo sia allo svolgimento delle mansioni che alle misure di sicurezza da adottare; mancava il documento di valutazione dei rischi e non era stato organizzato un servizio di prevenzione e protezione dagli infortuni; non era stato designato il responsabile del servizio di prevenzione; uno dei lavoratori infortunati (il N.F.M.) non era assunto regolarmente; le operazioni di manutenzione del pozzo alle quali erano addetti gli infortunati non erano state pianificate, nonostante la loro cadenza quotidiana.
La totale assenza di organizzazione della sicurezza trovava riscontro, secondo i giudici di merito, nel numero e nella frequenza degli infortuni gravi verificatisi in azienda; nel corso del 2006 si erano verificati ventidue infortuni con gravi inabilità, secondo una media di due al mese in un'azienda che occupava settanta dipendenti, mentre nel corso del 2007 vi erano già stati dodici infortuni gravi; inoltre, il macchinario della colata era già stato interessato da un'esplosione nel 1997; anche successivamente all'infortunio le prescrizioni impartite non erano state adempiute.
Il consulente del pubblico ministero, architetto DV., era pervenuto a identiche conclusioni circa la sostanziale inesistenza delle cautele contro gli infortuni sul lavoro, rilevando che il reparto fonderia era in piena attività produttiva mentre i tre operai e il manovratore procedevano alle operazioni di manutenzione ordinaria del pozzo di raffreddamento, sul cui fondo non doveva esserci presenza di acqua; rilevava l'assenza di un meccanismo che impedisse al manovratore di attivare la colata quando il pozzo era scoperto, nonché il mancato funzionamento del meccanismo di deviazione della parte finale del canale di colata in modo da evitare che l'alluminio fuso finisse nella fossa in cui si trovavano i tre operai; dava atto dell'assenza di qualsiasi dispositivo di sicurezza individuale in dotazione ai lavoratori (quali elmetti, visiere, indumenti resistenti al calore, scarpe antinfortunistiche, guanti e maschere di protezione).
Le sentenze di merito davano atto dell'acquisizione col consenso delle parti dell'organigramma aziendale della Metalpoint, dal quale emergevano i ruoli attribuiti agli imputati, in conformità a quelli indicati nella rubrica.
Ritenuto che le fonti di rischio erano assolutamente prevedibili ed ovviabili, anche attraverso modesti interventi di messa in sicurezza, e che l'infortunio si era verificato, con quelle conseguenze, a causa delle relative omissioni, la sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella d'appello, riteneva provata la colpevolezza degli imputati per i delitti ascritti.
La sentenza d'appello, in particolare, rigettava le eccezioni processuali formulate dagli imputati e le richieste di rinnovazione parziale del dibattimento, ritenendo il materiale probatorio acquisito adeguato per la decisione; rigettava altresì la richiesta difensiva di concessione delle attenuanti generiche e rideterminava le pene inflitte nelle misure sopra indicate.
4. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, nei termini e per i motivi di seguito esposti.
4.1. I ricorsi proposti, con unico atto, nell'interesse di G.M.e S.G. dai difensori avv. Vitale Stefanelli e avv. Lelio della Pietra deducono otto motivi di doglianza.
Il primo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 134, 135, 137, 138, 142, 481, 482, 483 cod.proc.pen., deducendo la nullità dei verbali delle udienze dibattimentali del giudizio d'appello redatti in forma stenotipica; rileva la natura documentale dei suddetti atti, caratterizzati talora dall'assenza di sottoscrizione e talaltra dalla presenza di sottoscrizioni apposte digitalmente o provenienti da persone non autorizzate alle operazioni di trascrizione; deduce la natura fidefacente dei verbali d'udienza e la necessità, in caso di impedimento a eseguire la trascrizione dell'ausiliario tecnico incaricato della redazione col mezzo della stenotipia, di un provvedimento giudiziale che attestasse l'impedimento e ne autorizzasse la trascrizione ad opera di altro soggetto idoneo; la mancanza di tale provvedimento era pertanto causa di nullità del documento trascritto, proveniente da un soggetto privato non abilitato ad attribuirvi pubblica fede, così da escluderne la natura stessa di verbale d'udienza.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 125, 187, 192, 234, 605 cod.proc.pen., con riguardo all'omessa valutazione da parte del giudice d'appello dei documenti, acquisiti nel giudizio di secondo grado, costituiti dall'ordinanza del GIP che aveva rigettato la richiesta di misura cautelare personale nei confronti dell'imputato G.M. e dalla sentenza del Tribunale civile di Napoli che aveva respinto la domanda proposta dall'INAIL nei riguardi degli imputati per il recupero delle somme erogate agli aventi diritto per il medesimo fatto oggetto del giudizio penale; deduce la natura documentale degli atti suddetti, la cui acquisizione implicava un giudizio di pertinenza ai fatti oggetto di prova e la ricognizione dell'insussistenza delle condizioni per poter decidere l'appello allo stato degli atti, con conseguente necessità di dare conto, nella motivazione della sentenza di secondo grado, della valutazione del contenuto rappresentativo dei provvedimenti giudiziali acquisiti, incidente sulla ricostruzione del fatto in termini favorevoli all'imputato G.M., con particolare riguardo all'assenza di una posizione di garanzia e all'insussistenza di un nesso di causalità tra omissione ed evento; il ricorrente lamenta altresì l'omessa motivazione sulle memorie prodotte dalla difesa, di cui la sentenza impugnata non aveva dato atto né dei contenuti né del meccanismo di non condivisione, così da non consentire l'esercizio del diritto di critica in sede di impugnazione.
Il terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all'art. 603 cod.proc.pen., con riguardo all'immotivato diniego di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale chiesta dalla difesa sulla questione decisiva della mancanza della qualità dell'imputato fonte della posizione di garanzia, e dunque della sua responsabilità, non essendosi espressa la sentenza impugnata sulla rilevanza e decisività della prova dedotta col supporto di verbali di indagini difensive attestanti che il giorno dell'evento il direttore dello stabilimento era tale Scaldarella; censura la decisione con cui la Corte territoriale si era limitata a ritenere sufficiente il materiale probatorio già acquisito, senza confrontarsi coi nuovi elementi allegati dalla difesa.
Il quarto motivo lamenta violazione di legge in relazione all'art. 33-bis cod.proc.pen., con riferimento agli artt. 589 e 437 secondo comma cod.pen., rilevando che la sentenza di primo grado aveva individuato correttamente il reato più grave in quello di cui all'art. 589 quarto comma cod.pen., che avrebbe dovuto determinare l'attribuzione del processo al giudice collegiale, e non a quello monocratico; censura la mancata trasmissione del fascicolo al Tribunale in composizione collegiale, a fronte dell'eccezione sollevata dalla difesa.
Il quinto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 546 lett. e) cod.proc.pen., censurando l'omessa risposta ai motivi di impugnazione da parte della sentenza d'appello, che si era limitata a riprodurre i risultati dell'istruzione dibattimentale e a recepire acriticamente le conclusioni della sentenza di primo grado, senza alcun autonomo percorso logico; in particolare, lamenta l'omesso esame delle critiche riguardanti le posizioni personali di garanzia degli imputati, la natura dolosa delle omissioni di cautele, la mancata documentazione dell'epoca e dei responsabili degli infortuni precedentemente verificatisi, l'esistenza del nesso eziologico tra omissione ed evento, che era stato escluso dalla sentenza acquisita del giudice civile.
Il sesto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 40 secondo comma, 41 e 589 cod.pen., anche sotto il profilo del travisamento del fatto, censurando l'omessa considerazione che l'imputato G.M. non era direttore dello stabilimento al momento dell'Infortunio, ma aveva assunto la relativa qualità soltanto dopo l'evento, in mancanza di altre figure direttive che potessero procedere all'esecuzione delle prescrizioni dettate dall'ispettorato del lavoro, come emergeva dai provvedimenti giudiziali acquisiti e dalla prova testimoniale; con riguardo all'imputato S.G., il ricorso lamenta il travisamento delle risultanze istruttorie, in particolare di natura testimoniale, dalle quali era emerso che gli operai infortunati non avevano alcuna relazione gerarchica col S.G. - avente la qualifica di manutentore meccanico, privo di compiti in materia di sicurezza e di capacità di spesa al riguardo - ma seguivano le direttive impartite da G.S., tanto che la sentenza di primo grado aveva disposto la trasmissione degli atti riguardanti la posizione di questi al pubblico ministero; l'operazione di pulitura del pozzo dai residui di materiale di fusione, nel cui contesto si era verificato l'evento, non rientrava in ogni caso nell'attività di manutenzione in senso tecnico di competenza del S.G..
Il settimo motivo lamenta violazione di legge in relazione all'art. 437 secondo comma cod.pen., rilevando che l'unico argomento dedotto a supporto della natura dolosa delle omissioni era costituito dall'accadimento di altri infortuni nel passato, affermato in modo assertivo e senza puntuale indicazione dei relativi elementi di fatto; censura l'omessa motivazione sul dolo, necessario a integrare il reato, di cui non erano stati specificati gli elementi indicatori.
L'ottavo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 41, 589 e 113 cod.pen., censurando l'omessa risposta della sentenza impugnata alle doglianze difensive sull'elemento psicologico, sul nesso di causalità e sulla cooperazione colposa dei soggetti gravati degli obblighi interagenti di garanzia; rileva che la prevedibilità dell'evento era stata genericamente ricavata dal numero delle violazioni delle norme antinfortunistiche e degli infortuni pregressi, senza valutare un elemento essenziale per la sussistenza della colpa, rappresentato dalla evitabilità dell'evento; lamenta l'omessa verifica dell'esistenza del nesso causale ipotizzato, alla luce del giudizio controfattuale da compiersi sulla base della condotta dell'operaio che aveva ammesso di aver cagionato la colata di alluminio per un errore di manovra al quale non aveva posto tempestivo rimedio, nonostante il percorso del metallo fuso fosse visibile dalla sua posizione ed egli fosse intervenuto a deviarne il flusso con un ritardo di venti secondi; deduce l'imprevedibilità della relativa condotta negligente come fattore eccezionale di causazione dell'evento, che gli imputati non potevano rappresentarsi; rileva l'insussistenza di una posizione di garanzia del S.G., in ragione del fatto che le persone offese non facevano parte del reparto manutenzione al quale era preposto l'imputato, nonché del fatto che gli operai infortunati erano comandati dal loro caposquadra, in assenza di un piano di valutazione dei rischi e di un responsabile della sicurezza per fatto non addebitabile al ricorrente.
4.2. Nell'interesse dell'imputato G.M. il difensore avv. Vitale Stefanelli ha presentato un ulteriore atto di ricorso, deducendo quattro motivi di doglianza.
Il primo motivo, che lamenta vizio di motivazione in relazione agli artt. 589 cod.pen. e 192 cod.proc.pen., censura l'erronea attribuzione all'imputato della qualità di direttore dello stabilimento al momento del fatto, mentre le prove acquisite, frutto di numerose testimonianze, delle dichiarazioni rese dallo stesso G.M. e della documentazione prodotta, ne avevano dimostrato la qualità di mero direttore commerciale; censura la valorizzazione di un documento riguardante l'organigramma aziendale privo di qualsiasi valenza probatoria, mancante di data e timbro e di cui non era stata accertata la provenienza, a fronte della mancata conferma della qualità ipotizzata dall'accusa da parte dei testi M.V. e G.M., che avevano eseguito i sopralluoghi susseguenti all'infortunio per conto degli enti pubblici preposti alla tutela della sicurezza (ispettorato del lavoro e ASL); la qualità di direttore di stabilimento era stata assunta dal G.M. solo dopo il fatto, a causa della irreperibilità dello Sc., e l'insussistenza di tale qualità al momento dell'infortunio era stata positivamente apprezzata dal GIP, che su tale presupposto non aveva convalidato l'arresto dell'imputato e aveva rigettato la richiesta di misura cautelare nei suoi confronti, e dal Tribunale del Lavoro di Napoli, che aveva respinto la domanda proposta dall'INAIL nei riguardi del ricorrente; censura l'omesso confronto della sentenza impugnata con le relative risultanze istruttorie, pronunciando statuizioni (anche) civili contrastanti con l'esito dell'azione proposta dall'INAIL, incorrendo così in un travisamento della prova e nella violazione del principio sancito dall'art. 533 comma 1 del codice di rito; rileva la natura fortuita ed eccezionale del fattore causativo dell'infortunio rappresentato dall'errata e arbitraria manovra del dipendente P., costituente un fatto imprevedibile, anomalo, abnorme, non controllabile rispetto all'ordinario processo lavorativo, tale da spezzare il nesso di causalità con l'eventuale condotta negligente del datore di lavoro e da integrare la causa esclusiva, e sopravvenuta, dell'evento; lamenta la completa pretermissione del relativo elemento di giudizio da parte della sentenza impugnata, con particolare riguardo al mancato rilascio immediato della leva di apertura del forno fusorio da parte del P., che aveva impedito di rimediare all'errore iniziale e di bloccare il percorso della colata.
Il secondo motivo, che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 437 cod.pen., dopo aver indicato gli elementi costitutivi del delitto, censura la ritenuta integrazione del reato nonostante la mancanza degli elementi oggettivi e soggettivi tipici della condotta incriminata rilevando che non era stata omessa alcuna collocazione di apparecchi strutturalmente predisposti a prevenire i pericoli per la pubblica incolumità, ma l'oggetto dell'accertamento penale aveva riguardato esclusivamente il rispetto delle norme antinfortunistiche e la manutenzione degli strumenti a disposizione dei lavoratori per lo svolgimento delle loro mansioni, e dunque una condotta, di natura colposa, del tutto diversa da quella descritta dall'art. 437 cod.pen., sia per obiettività giuridica che per contenuto materiale che per la natura dell'elemento psicologico. Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione, in relazione all'art. 603 cod.proc.pen., con riguardo all'omessa risposta alla richiesta di rinnovazione istruttoria sulla questione decisiva afferente la qualità rivestita dal G.M. al momento dell'infortunio.
Il Quarto motivo lamenta vizio di motivazione, in relazione agli artt. 62, 62 bis e 133 cod.pen., con riguardo all'omessa indicazione delle ragioni del diniego delle attenuanti generiche, indifferentemente negate a tutti gli imputati a prescindere dal ruolo rivestito e dal grado della colpa, senza spiegare le ragioni dell'omessa considerazione del concorso di colpa del dipendente P..
4.3. Il ricorso proposto nell'interesse di S.S. dall'avv. Gino Fulgeri deduce quattro motivi di ricorso.
Il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 40, 41, 42, 113, 437 e 589 cod.pen., deducendo la mancanza di risposta al motivo di gravame riguardante il ruolo di prestanome e la qualifica meramente formale rivestita dall'imputato, che era stato dipendente della Metalpoint per un breve periodo con una modesta retribuzione e aveva accettato la nomina ad amministratore della società solo per necessità economiche dipendenti dal suo stato di salute; lamenta l'assenza di motivazione sull'elemento psicologico, sul nesso di causalità, sulla cooperazione colposa dei soggetti preposti alle garanzie legali, e censura la generica asserzione di prevedibilità dell'evento, senza confrontarsi col tema della sua evitabilità e con l'incidenza nella determinazione dell'infortunio della condotta complessiva del P. (anche successiva all'erronea manovra iniziale) e con la sua idoneità a interrompere il nesso causale in quanto costituente l'unico fatto naturalistico che aveva generato l'evento, in termini conformi a quelli dedotti negli analoghi motivi di ricorso del coimputato G.M.; rileva che le stesse modalità di contestazione dei profili di colpa, separatamente e specificamente per ciascun imputato, esigevano la ricognizione - che invece era mancata - dei collegamenti tra le omissioni dell'amministratore, del direttore e del capo della manutenzione.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 125, 187, 192, 234, 605 cod.proc.pen., con riguardo all'omessa valutazione dei documenti prodotti dalla difesa e acquisiti dalla Corte d'appello, in particolare della sentenza pronunciata dal Tribunale civile di Napoli e della documentazione comprovante la qualità di semplice prestanome dello S.S.; l'assenza di una reale motivazione e di un effettivo vaglio critico delle deduzioni difensive in modo da rendere comprensibile l'itinerario logico della decisione, privava la sentenza impugnata dei requisiti pervisti dall'art. 125 del codice di rito.
Il terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all'art. 603 cod.proc.pen., con riguardo all'omessa escussione, sollecitata dalla difesa, del responsabile della produzione G.S., ricoprente una posizione di preminenza nel processo lavorativo e in grado di riferire sulle funzioni effettivamente svolte in azienda dall'imputato.
Il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod.pen., lamentando il diniego delle attenuanti generiche sulla base di mere clausole di stile che si ponevano in contraddizione col notevole sforzo economico sostenuto dall'imputato, di cui aveva dato atto la sentenza impugnata, e dunque col suo corretto comportamento processuale che aveva condotto alla rinuncia delle pretese civilistiche nei suoi confronti; deduce l'illogica valorizzazione della gravità del fatto.
5. In data 26.04.2019 l'avv. Della Pietra ha depositato documentazione a supporto dei motivi di ricorso da lui presentati nell'interesse degli imputati G.M. e S.G..
6. Con memoria di motivi nuovi, depositata il 30.04.2019, il difensore dell'imputato S.S. ha dedotto violazione di legge, in relazione agli artt. 134, 135, 137, 138, 142, 481, 482, 483 cod.proc.pen., con riguardo alla nullità dei verbali delle udienze dibattimentali del giudizio d'appello redatti in forma stenotipica, in termini sovrapponibili a quelli articolati nel primo motivo del ricorso proposto dagli avvocati Stefanelli e Della Pietra nell'interesse degli imputati G.M. e S.G., nonché nullità della sentenza d'appello determinata dalla nullità dell'ordinanza dibattimentale del 27.05.2016 con cui era stato nominato all'imputato un difensore d'ufficio ex art. 97 comma 4 cod.proc.pen. in luogo del difensore di fiducia impossibilitato a presenziare e di cui non era stata valutata l'istanza di rinvio.
7. Con successiva memoria depositata l'8.05.2019 l'avv. Gino Fulgeri, difensore dello S.S., ha insistito nella questione di nullità derivante dal mancato accoglimento dell'istanza di rinvio formulata all'udienza del 27.05.2016 per impedimento del difensore.
8. Le parti civili N.F.M. e T.M. hanno depositato, infine, il 10.05.2019 dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile nei riguardi degli imputati G.M. e S.G..
Diritto
1. I motivi dei ricorsi proposti nell'interesse degli imputati S.S., G.M.e S.G. sono inammissibili, con la sola eccezione della doglianza che censura, sotto il profilo del vizio di motivazione, la ritenuta titolarità - in capo al G.M. - di una posizione di garanzia, al momento del fatto, idonea a radicare la responsabilità dell'imputato per l'omessa adozione delle cautele antinfortunistiche, la cui mancanza aveva concorso a cagionare il sinistro sul lavoro del 16.06.2007 e i correlati eventi delittuosi in danno dei dipendenti della Metalpoint LM.G. (deceduto nell'occorso), T.M. e N.F.M. (rimasti vittime di lesioni personali gravissime), doglianza che è invece fondata nei termini e per le ragioni che saranno di seguito esposte.
2. Inammissibili, perché generiche e manifestamente infondate, sono anzitutto le censure di natura processuale dedotte nel primo e nel quarto motivo del ricorso presentato congiuntamente dagli avvocati Stefanelli e Della Pietra nell'interesse degli imputati G.M. e S.G..
Si tratta, infatti, di doglianze che si limitano a riproporre, negli stessi termini, le medesime questioni già prospettate dalla difesa degli imputati nei motivi d'appello avverso la sentenza di primo grado e che sono state ritenute infondate dalla Corte territoriale con motivazione puntuale, che ha fatto coerente e corretta applicazione di principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di questa Corte Suprema: nella misura in cui non si confrontano in modo critico con le risposte della sentenza impugnata, ma si limitano a una riedizione dei motivi d'appello, le doglianze presentano, dunque, una natura aspecifica che le rende inammissibili, in conformità all'orientamento consolidato secondo cui la natura generica delle censure, che discende dall'assenza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione gravata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, integra una causa tipica di inammissibilità del ricorso per cassazione (Sez. 2 n. 36406 del 27/06/2012, Rv. 253893; Sez. 4 n. 18826 del 9/02/2012, Rv. 253849).
2.1. In particolare, con riguardo al primo motivo di ricorso, deve essere ribadito il principio che le (eventuali) carenze od omissioni riscontrabili nella trascrizione o nella sottoscrizione dei verbali delle udienze dibattimentali - tanto di primo che di secondo grado - redatti in forma stenotipica oppure oggetto di registrazione fonografica, non sono idonee a produrre alcuna nullità, in quanto l'art. 142 del codice di rito prevede come causa di nullità della documentazione delle attività processuali soltanto la mancata sottoscrizione da parte del funzionario di cancelleria ausiliario del giudice del verbale riassuntivo d'udienza da lui redatto (ovvero l'incertezza assoluta sulle persone intervenute), mentre la trascrizione stenotipica delle dichiarazioni rese in udienza (o il testo riversato per iscritto delle corrispondenti registrazioni effettuate con strumenti audiovisivi) costituiscono documenti che devono essere meramente uniti agli atti del processo insieme ai nastri, i quali costituiscono ex se la prova documentale di quanto avvenuto in udienza, in quanto è sempre possibile procedere a una rilettura o trascrizione dei nastri stessi (Sez. 4 n. 19487 del 5/11/2013, dep. 12/05/2014, Rv. 262349).
2.2. Con riferimento alla lamentata attribuzione del processo (di primo grado) al giudice monocratico, anziché al giudice collegiale, del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dedotta nel quarto motivo di ricorso sotto il profilo della pretesa violazione dei criteri di ripartizione stabiliti dagli artt. 33-bis e segg. cod.proc.pen., va rilevata la correttezza della decisione della sentenza d'appello, che ha individuato il reato più grave ascritto agli imputati - in ragione della pena edittale - nel delitto di cui all'art. 437 secondo comma cod.pen., punito con la pena della reclusione non superiore nel massimo ad anni dieci di reclusione, con conseguente attribuzione della competenza al giudice monocratico ai sensi dell'art. 33-bis comma 2 del codice di rito.
La fattispecie disciplinata dall'art. 589 ultimo comma cod.pen. non costituisce, infatti, secondo il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte, una autonoma figura di reato complesso, né dà luogo alla previsione di una circostanza aggravante - nel caso (come nella specie) di morte e lesioni colpose in danno di più persone come conseguenza di un'unica condotta - rispetto al reato di omicidio colposo previsto dal primo comma dell'art. 589, ma integra un’ipotesi di concorso formale di reati, unificati solo quoad poenam, con la conseguenza che ogni fattispecie di reato conserva la propria autonomia e distinzione, anche agli effetti della determinazione del giudice competente per materia (Sez. 1 n. 27019 del 24/05/2001, Rv. 219909; Sez. 4 n. 35805 del 15/06/2011, Rv. 251106); ne consegue che, alla stregua del criterio stabilito dall'art. 4 cod.proc.pen. secondo cui per determinare la competenza si ha riguardo alla pena (edittale) stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato e non a quella risultante dall’applicazione delle norme sul concorso formale di reati (e sulla continuazione), il dato che la fattispecie disciplinata dall'ultimo comma dell'art. 589 cod.pen. preveda una pena detentiva massima irrogabile superiore a dieci anni di reclusione non è idoneo a spostare l'attribuzione del processo al tribunale collegiale (Sez. 1 n. 27019 del 2001, sopra citata), così come puntualmente ritenuto dalla sentenza impugnata.
3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo del ricorso proposto dagli avvocati Stefanelli e Della Pietra nell'interesse degli imputati G.M. e S.G..
3.1. La prima parte della doglianza, che lamenta l'omessa valutazione da parte della Corte territoriale dell'ordinanza in data 12.07.2007 del GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (che aveva rigettato la richiesta di convalida dell'arresto e di emissione di misura cautelare nei confronti del G.M. per il reato di cui all'art. 437 secondo comma cod.pen.) e della sentenza pronunciata il 3.12.2015 dal giudice del lavoro del Tribunale di Napoli (che aveva rigettato l'azione di rivalsa esercitata dall'INAIL nei riguardi degli odierni imputati per il recupero di quanto liquidato dall'istituto assicurativo agli aventi diritto in conseguenza dell'Infortunio sul lavoro del 16.06.2007), documenti acquisiti agli atti nel corso del giudizio d'appello, si risolve in una censura di merito che non può trovare ingresso nel giudizio di cassazione.
La sentenza impugnata, come risulta dalla lettura della motivazione, ha dato atto delle relative produzioni documentali e delle ragioni per cui le ha ritenute ininfluenti e prive (correttamente) di qualsiasi efficacia vincolante o pregiudiziale nel giudizio di merito sulla responsabilità degli imputati demandato al giudice penale, con apprezzamento congruo e insindacabile in questa sede; la censura dei ricorrenti mira, in realtà, a una rivalutazione del merito della relativa decisione, ed è perciò inammissibile.
3.2. Il motivo di ricorso è inammissibile anche nella parte in cui lamenta un'omessa motivazione della sentenza d'appello in ordine alle memorie prodotte dalla difesa, senza - peraltro - indicare e specificare le ragioni per le quali tale dedotta omissione sarebbe idonea a inficiare la correttezza e la completezza del percorso argomentativo della decisione impugnata.
Costituisce ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, che il giudice di merito - e in particolare il giudice dell'impugnazione - non è tenuto, al fine dell'adempimento dell'obbligo di motivazione, a un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a esaminare nel dettaglio ogni singola argomentazione difensiva, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e argomentazioni, spieghi, in modo coerente e adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato considerato, così da potersi ritenere implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4 n. 26660 del 13/05/2011, Rv. 250900; Sez. 6 n. 20092 del 4/05/2011, Rv. 250105; Sez. 4 n. 1149 del 24/10/2005, Rv. 233187).
L'assoluta genericità della doglianza dei ricorrenti la rende dunque inammissibile.
3.3. Per le medesime ragioni non supera la soglia dell'ammissibilità anche il secondo motivo del ricorso proposto dall'avv. Fulgeri nell'interesse dell'imputato S.S., deducente un'analoga censura intesa a sollecitare una rinnovata valutazione della documentazione difensiva prodotta a supporto della pretesa estraneità al reato dell'imputato, nonché a lamentare una carenza di motivazione formulata in termini del tutto generici.
4. La violazione di legge denunciata con riferimento all'art. 603 cod.proc.pen. nel terzo motivo del ricorso proposto dagli avvocati Stefanelli e Della Pietra nell'interesse degli imputati G.M. e S.G., nonché nel terzo motivo del ricorso proposto dall'avv. Fulgeri nell'interesse dello S.S., è manifestamente infondata, alla stregua del principio di diritto consolidato secondo cui la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata nel giudizio di primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice di merito ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 25/03/2016, Rv. 266820); la rinnovazione dell'istruttoria in appello costituisce infatti - in via di principio, e salvo il caso previsto dall'art. 603 comma 3-bis del codice di rito - un'evenienza eccezionale, subordinata a una valutazione giudiziale di assoluta necessità dei mezzi di prova di cui sia stata sollecitata l'assunzione (Sez. 2 n. 41808 del 27/09/2013, Rv. 256968), con la conseguenza che il mancato accoglimento della relativa richiesta da parte del giudice d'appello in tanto può essere censurato in sede di legittimità, in quanto si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo della sentenza e concernenti punti di rilevanza decisiva, che sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione di determinate prove (Sez. 5 n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577; Sez. 6 n. 1256 del 28/11/2013, Rv. 258236).
La decisione con cui la Corte territoriale ha rigettato le istanze di rinnovazione parziale del dibattimento formulate dalle difese, ritenendo esaustiva l'istruttoria espletata in primo grado, poteva - semmai - essere sottoposta a censura sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen., e non già sotto quello di un'inesistente violazione di legge.
Con riguardo alle posizioni degli imputati S.G. e S.S., peraltro, la lettura coordinata e complessiva delle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado rivela l'assenza di carenze, incompletezze o incongruenze logiche nell'affermazione della responsabilità penale dei prevenuti, che è stata ritenuta - come subito si vedrà - sulla scorta di una coerente valutazione delle acquisizioni probatorie e della corretta applicazione di consolidati principi di diritto, che non lascia spazio ad alcun ragionevole dubbio; mentre, con riguardo alla posizione dell'imputato G.M., il vizio di motivazione del provvedimento di diniego dell'integrazione istruttoria richiesta dalla difesa sul punto relativo alla qualità rivestita dal prevenuto nell'ambito della Metalpoint al momento del sinistro, dedotto nel terzo motivo del ricorso proposto dal (solo) avv. Stefanelli, è destinato a restare assorbito nell'accoglimento (di cui infra si dirà) della censura afferente l'incongrua motivazione della sussistenza della posizione di garanzia sulla quale i giudici di merito hanno fondato il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti dell'imputato.
5. Le doglianze che investono la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui agli artt. 437, 589 e 590 cod.pen. e la congruenza logica della motivazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto sussistente e acquisita la prova c.d. generica delle relative violazioni da parte dei soggetti preposti alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori della Metalpoint, in particolare al momento del sinistro del 16.06.2007 - dedotte nel quinto, settimo e ottavo motivo del ricorso proposto dagli avvocati Stefanelli e Della Pietra nell'interesse degli imputati G.M. e S.G., nella seconda parte del primo motivo e nel secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse del G.M. dal solo avv. Stefanelli, nella seconda parte del primo motivo del ricorso proposto dall'avv. Fulgeri nell'interesse dell'imputato S.S., motivi che perciò possono essere esaminati in modo congiunto - sono manifestamente infondate o si risolvono in censure di merito che non si confrontano in modo coerente e puntuale con le argomentazioni della decisione impugnata, e sono perciò inammissibili.
5.1. Occorre premettere che le sentenze di primo e secondo grado, come emerge dalla lettura delle relative motivazioni, hanno ricostruito la dinamica dei fatti e delle responsabilità in termini sostanzialmente concordi, operando un'analisi e una valutazione conforme delle acquisizioni istruttorie e del relativo significato probatorio, con la conseguenza che la struttura giustificativa della sentenza d'appello è destinata a saldarsi con quella della decisione di primo grado, concorrendo con essa a formare un unico, coerente e omogeneo corpo argomentativo, secondo lo schema della c.d. "doppia conforme" (Sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Rv. 236181), rispetto ai cui contenuti complessivi devono pertanto essere vagliate le censure, specie in punto di motivazione, dei ricorrenti.
In particolare, la sentenza d'appello ha proceduto a una coerente rilettura e rivalutazione delle emergenze probatorie, che si è confrontata col nucleo essenziale delle censure difensive dedotte nei motivi di appello, pervenendo a un giudizio di conferma della sussistenza oggettiva dei delitti ascritti agli imputati sulla scorta di un percorso argomentativo munito di una propria autonomia e intrinseca logicità, che integra e completa quello del giudice di primo grado (Sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595), adempiendo così all'obbligo di motivazione gravante sul giudice dell'impugnazione.
5.2. I giudici di merito hanno dato ampio conto - nella motivazione - delle risultanze degli esami delle persone offese T.M. e N.F.M.; di quello dell'operaio (P.P.) addetto ai comandi di manovra della piattaforma sulla quale si trovavano le vittime intente alle operazioni di manutenzione del pozzo di raffreddamento del processo di fusione dell'alluminio; degli ispettori dell'ASL e dello SPISAL di Caserta che avevano accertato le circostanze e la dinamica del sinistro, le condizioni di lavoro e le violazioni delle norme di prevenzione e antinfortunistiche da essi riscontrate; del consulente tecnico nominato dal pubblico ministero che, in base agli accertamenti da lui svolti, aveva confermato le conclusioni dei predetti ufficiali di polizia giudiziaria; nonché degli altri testi escussi nel dibattimento di primo grado.
Dal complesso delle relative risultanze istruttorie è emerso, in modo univoco e convergente, che l'infortunio si era verificato mentre le vittime erano intente ai lavori di rimozione dei residui della precedente colata di alluminio solidificatisi all'interno del pozzo di raffreddamento del processo di fusione, operando sopra la piattaforma di colata azionata - mediante progressivi scorrimenti verticali all'interno del pozzo - dal P., il quale, per errore, anziché attivare il comando preposto ai movimenti della piattaforma, aveva azionato accidentalmente la leva della colata dando avvio al processo di convogliamento dell'alluminio fuso verso il pozzo di raffreddamento, senza riuscire, una volta accortosi dell'errore, a bloccarne o deviarne la corsa; il metallo fuso colato nel pozzo, venuto a contatto a una temperatura di 700 gradi con l'acqua ivi presente, aveva provocato un'esplosione che aveva investito gli operai mentre cercavano di mettersi in salvo attraverso il cunicolo di uscita, ustionandoli gravemente.
Era così risultata la strutturale inidoneità, sul piano della sicurezza del lavoro, del quadro comandi del forno di fusione e della piattaforma del pozzo di raffreddamento, perché le relative leve di comando non erano adeguatamente distinte l'una dall'altra, essendo identiche ed essendo scomparse col decorso del tempo le segnalazioni visive originariamente esistenti; che i due comandi erano comunque troppo vicini, così da poter essere azionati contemporaneamente dall'operatore con una sola mano e da consentirne perciò la simultanea attivazione in via accidentale; che il quadro comandi era posizionato in modo tale che il manovratore (P.) dava le spalle al luogo in cui si svolgevano le fasi della produzione, senza poter vedere gli operai intenti al lavoro all'Interno del pozzo, coi quali i rapporti erano intrattenuti a voce; che l'inizio della colata di metallo fuso non era preannunciato da segnale acustico, né era in funzione un meccanismo di deviazione della parte finale del canale di colata in grado di evitare che l'alluminio fuso finisse nella fossa in cui si trovavano gli operai, nel caso di attivazione accidentale del processo di fusione; che sul fondo del pozzo non doveva esserci presenza di acqua; che gli operai addetti alla fonderia (uno dei quali, il N.F.M., neppure assunto regolarmente) non avevano ricevuto alcuna formazione con riguardo sia allo svolgimento delle loro mansioni che alle misure di sicurezza da adottare; che mancava qualsiasi dispositivo di sicurezza individuale in dotazione ai lavoratori (quali elmetti, visiere, indumenti resistenti al calore, scarpe antinfortunistiche, guanti e maschere di protezione), nonostante la pericolosità del processo lavorativo; che non esisteva il documento di valutazione dei rischi e non era stato organizzato un servizio di prevenzione e protezione dagli infortuni; che non era stato designato il responsabile del servizio di prevenzione; che i lavori di manutenzione del pozzo di raffreddamento non erano stati pianificati, nonostante la loro cadenza pressoché quotidiana resa necessaria dalla piena operatività produttiva del reparto fonderia.
5.3. Sulla scorta di tali elementi di fatto, puntualmente riportati in motivazione, entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto accertata una generalizzata e sistematica inosservanza delle norme di prevenzione e delle cautele antinfortunistiche, da parte dei soggetti preposti, e la sostanziale assenza della stessa organizzazione della sicurezza del lavoro presso lo stabilimento della Metalpoint, secondo un giudizio che è stato ritenuto ulteriormente corroborato dal numero e dalla frequenza degli infortuni sul lavoro già verificatisi nell'anno in corso (2007) e in quello precedente (2006) presso la medesima azienda, occupante una settantina di dipendenti (e in particolare: ventidue infortuni cui erano conseguite inabilità gravi nel corso del 2006, con una media di due al mese, e altri dodici nel primo semestre del 2007).
Il percorso argomentativo in forza del quale i giudici di merito sono pervenuti ad accertare e ritenere sussistenti - oltre alla serie cospicua di specifiche violazioni contravvenzionali della normativa di prevenzione contestate agli imputati secondo l'analitico dettaglio riportato nella rubrica, che sono state dichiarate estinte per prescrizione all'esito del giudizio d'appello - tutti gli elementi costitutivi del delitto di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, aggravato dall'evento, di cui all'art. 437 cod.pen., e dei reati colposi di cui agli artt. 589 e 590, aggravati dalla violazione delle norme di prevenzione, commessi in danno dei lavoratori rimasti vittime dell'infortunio del 16.06.2007, si rivela dunque frutto di un ragionamento giuridicamente e logicamente corretto, sviluppato in termini coerenti e adeguati che non sono censurabili dal giudice di legittimità.
5.4. Con riguardo alla violazione dell'art. 437 cod.pen. - che pacificamente può concorrere con quella degli artt. 589 e 590 cod.pen., non sussistendo rapporto di specialità o continenza tra le norme incriminatrici delle rispettive fattispecie (Sez. 4 n. 6156 del 19/12/2017, depositata l'8/02/2018, Rv. 271970) - la prova della natura dolosa dell'omissione delle cautele è stata coerentemente tratta dalla natura generalizzata e sistematica, anche nel tempo, della mancanza delle misure di prevenzione e dell'organizzazione della sicurezza del lavoro, a fronte della pericolosità delle lavorazioni in atto presso la Metalpoint e della frequenza periodica degli infortuni, secondo una condotta ritenuta perciò connotata da una piena rappresentazione e da una consapevole accettazione della sua attitudine a pregiudicare l'integrità psicofisica dei lavoratori impiegati nell'azienda (Sez. 1 n. 18168 del 20/01/2016, Rv. 266881), la cui pervicacia ha trovato ulteriore riscontro (a posteriori) nell'accertata inottemperanza delle prescrizioni, imposte dallo SPISAL al fine di mettere in sicurezza il processo produttivo, anche dopo l'infortunio del 16.06.2007.
Non sussiste dunque, sul punto, alcuna violazione di legge o vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamentati dai ricorrenti in termini generici che non si confrontano col tenore complessivo della motivazione dei giudici di merito, e che sono perciò inammissibili.
5.5. Con riguardo alla violazione degli artt. 589 e 590 cod.pen., le sentenze di merito hanno positivamente effettuato il giudizio di c.d. "concretizzazione del rischio" (Sez. 4 n. 32216 del 20/06/2018, Rv. 273568) in relazione ai numerosi profili di colpa specifica accertati nei confronti dei titolari delle posizioni di garanzia, e ritenuti muniti di efficienza causale nella produzione degli eventi dannosi (la morte e le lesioni personali gravissime cagionate ai lavoratori investiti dall'esplosione determinata dal contatto della massa fusa di alluminio con l'acqua presente sul fondo del pozzo), che sarebbero stati evitati se le misure di prevenzione e sicurezza previste dalla legge proprio al fine di prevenire il relativo rischio fossero state attivate, inibendo l'avvio accidentale del processo di colata dell'alluminio mentre gli operai si trovavano all'interno del pozzo di raffreddamento o comunque deviandone il flusso o ponendo le vittime in condizione di percepire e reagire tempestivamente alla situazione di pericolo.
In particolare, i giudici di merito hanno correttamente escluso che l'erronea manovra del P., consistita nell'azionamento accidentale della leva di comando del processo di convogliamento del metallo fuso nel pozzo in cui si trovavano le vittime intente alle operazioni di manutenzione, fosse idonea a interrompere il nesso causale e ad escludere la responsabilità dei titolari delle posizioni di garanzia, facendo puntuale applicazione del principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la condotta colposa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro o comunque al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo quando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante, abnorme e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile condotta del lavoratore e tale da configurarsi come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della ordinaria prevedibilità (Sez. 4 n. 16397 del 5/03/2015, Rv. 263386; Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259227).
In tema di infortuni sul lavoro, infatti, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, anche se tenuto in esplicazione delle mansioni a lui affidate, costituisca concretizzazione di un rischio "eccentrico", in grado di escludere la responsabilità del titolare della posizione di garanzia, è necessario che quest'ultimo abbia posto in essere tutte le cautele che sono finalizzate alla prevenzione del rischio di verificazione di quel comportamento imprudente; mentre nella fattispecie è stato accertato che proprio la strutturale inidoneità del quadro comandi al quale era addetto il P., caratterizzato dalla presenza di due leve indistinguibili tra loro in posizione talmente ravvicinata da consentire l'azionamento accidentale - con una sola mano - dell'una anziché dell'altra, o di entrambe contemporaneamente, da parte del manovratore, aveva reso possibile l'errore del lavoratore, costituente perciò un evento ordinariamente prevedibile e (doverosamente) evitabile mediante l'adozione delle cautele necessarie a prevenire il relativo rischio.
Le deduzioni dei ricorrenti, che si risolvono nel sollecitare una rivalutazione in punto di fatto della condotta del P. quale fattore causale sopravvenuto di per sé solo sufficiente a determinare l'evento, senza confrontarsi col principio di diritto appena esposto, non superano dunque la soglia dell'ammissibilità.
6. I motivi che censurano la titolarità delle posizioni di garanzia attribuite agli imputati, che ne hanno determinato la condanna in entrambi i gradi del giudizio di merito, sono fondati solo con riferimento alla posizione di G.M. , mentre sono inammissibili con riguardo ai coimputati S.S. e S.G..
6.1. Lo S.S. è stato ritenuto titolare di una propria, autonoma, posizione di garanzia in qualità di amministratore unico della Metalpoint, e dunque di datore di lavoro, come tale responsabile diretto dell'organizzazione aziendale e della sicurezza del lavoro, tenuto (in ragione delle dimensioni dell'impresa) alla nomina di un responsabile (terzo) del servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori munito dei requisiti tecnico-professionali previsti dalla legge, alla quale egli non aveva provveduto, così come non aveva provveduto alla redazione del prescritto documento di valutazione dei rischi, né alla formazione degli operai addetti alle lavorazioni, né all'adozione delle cautele e dei sistemi di sicurezza imposti dalla legge per prevenire ed evitare il rischio di infortuni come quello verificatosi il 16.06.2007.
L'assunzione della qualifica di imprenditore (e datore di lavoro) implica, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la titolarità di tutti gli obblighi relativi alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, e dunque non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare e assicurarsi continuativamente della loro adozione e osservanza da parte dei lavoratori e di eventuali preposti, essendo l'imprenditore - in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod.civ. - costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro occupati alle sue dipendenze (Sez. 4 n. 4361 del 21/10/2014, depositata il 29/01/2015, Rv. 263200).
L'affermazione di colpevolezza dello S.S. non presta, dunque, il fianco a censure; l'imputato, del resto, si è limitato ad allegare - nel primo motivo del ricorso proposto dall'avv. Fulgeri - una pretesa, quanto inconferente, veste di prestanome, dedotta in termini essenzialmente generici, che neppure indicano il soggetto che sarebbe stato il reale dominus e titolare dell'impresa, e che risultano perciò inammissibili.
6.2. La posizione di garanzia attribuita al S.G. è stata individuata - e ritenuta dai giudici di merito - nella sua qualità di responsabile, in veste di capo reparto, dell'attività di manutenzione del pozzo di raffreddamento nel cui contesto si è verificato il sinistro.
La suddetta qualità dell'imputato e la sua quotidiana presenza - in tale veste - in azienda, anche durante le operazioni di manutenzione del pozzo di raffreddamento del processo di fusione, nella piena consapevolezza delle modalità con le quali le stesse venivano eseguite, sono state accertate all'esito dell'istruttoria dibattimentale, in particolare sulla base dell'esame della persona offesa T.M. (pagina 5 della sentenza di primo grado).
Sulla scorta di tali dati di fatto, e della acclarata natura ordinaria - e quotidiana - dei lavori di manutenzione eseguiti con quelle modalità, nella totale assenza e inosservanza delle più elementari misure di sicurezza, entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto provata la responsabilità del S.G. per i reati ascritti, tenuto conto che la rimozione manuale dalle pareti del pozzo dei residui solidi della colata di alluminio (antecedente) doveva necessariamente precedere la colata successiva al fine di garantire la corretta riuscita del processo produttivo delle billette di metallo, e dunque rientrava nei compiti, nelle competenze e negli obblighi del soggetto preposto a tale attività di manutenzione (il S.G.) assicurarsi che la stessa avvenisse in condizioni di sicurezza e nel rispetto delle norme di prevenzione e protezione dagli infortuni.
La conclusione così raggiunta costituisce, dunque, frutto di un tipico giudizio di fatto riservato al giudice di merito, coerentemente e congruamente argomentato e immune da vizi logico-giuridici, che non è incorso in alcun travisamento della prova - postulante l'apprezzamento errato di un risultato probatorio che sia palesemente diverso da quello immediatamente emergente dagli atti (Sez. 5 n. 39048 del 25/09/2007, Rv. 238215), e dunque un errore di natura revocatoria al quale è estraneo qualsiasi discorso confutativo sul significato della prova o di semplice contrapposizione dimostrativa - e risulta perciò insindacabile nel giudizio di legittimità.
Le censure dedotte dal ricorrente nel sesto e nell'ottavo motivo del ricorso proposto dagli avvocati Stefanelli e Della Pietra si risolvono, in definitiva, nella inammissibile sollecitazione a una rivalutazione - in punto di fatto - della posizione e dei compiti del S.G. in funzione di escluderne la soggezione alla normativa antinfortunistica, ciò che esula dalle funzioni della Corte di Cassazione, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge e non del contenuto e del significato della prova, e dunque non può procedere a una rilettura del fatto secondo nuovi e diversi parametri valutativi prospettati dalla difesa come maggiormente plausibili (Sez. Un. n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, Petrel la; Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
Né, ovviamente, può valere a escludere la responsabilità penale del S.G., discendente dalle omissioni e inosservanze delle regole cautelari specificamente a lui facenti capo, l'ipotizzato concorso o cooperazione - nella produzione dell'evento - di violazioni eventualmente ascrivibili ad altri soggetti (come G.S.) che non sono stati coinvolti nel presente processo.
6.3. Sono invece fondate, nei termini che seguono, le doglianze che censurano la motivazione della ritenuta sussistenza di una posizione di garanzia in capo a G.M., idonea a fondarne la responsabilità penale, dedotte nel sesto motivo del ricorso proposto dagli avvocati Stefanelli e Della Pietra e nel primo motivo del ricorso proposto dal solo avvocato Stefanelli.
Come risulta dalla rubrica, il G.M. è stato imputato dei reati di cui agli artt. 437 e 589-590 cod.pen. in qualità di direttore commerciale e di direttore dello stabilimento della Metalpoint; la prima di tali due qualifiche non appare tuttavia conferente agli effetti dell'insorgenza a suo carico degli obblighi di prevenzione e protezione dagli infortuni connessi alle lavorazioni e al processo di produzione industriale delle billette di alluminio, né i giudici di merito hanno indicato quali violazioni di doveri, in ipotesi specificamente gravanti sul direttore commerciale, avrebbero avuto incidenza causale nell'omissione dolosa delle cautele antinfortunistiche e nella produzione del sinistro del 16.06.2007.
La qualifica di direttore di stabilimento del G.M., in via di principio invece rilevante agli effetti dell'assunzione di una posizione di garanzia in ordine alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori addetti al ciclo produttivo aziendale, è stata ritenuta dalle sentenze di merito - con riferimento alla suddetta data del 16.06.2007 e al periodo antecedente, e dunque al segmento temporale interessato dall'imputazione - in termini essenzialmente assertivi, che non si sono adeguatamente confrontati con la deduzione difensiva secondo cui la relativa qualifica era stata assunta dal G.M. soltanto dopo l'accadimento dell'infortunio e allo scopo di procedere all'esecuzione delle prescrizioni dettate dallo SPISAL al fine di mettere in sicurezza le condizioni di lavoro e di poter riprendere la produzione aziendale.
Il dato di fatto, probatoriamente acquisito, che il G.M. fosse stato interlocutore degli ispettori dell'ASL di Caserta (M.V. e G.M.), presente all'interno dello stabilimento della Metalpoint, in occasione dei sopralluoghi effettuati dopo il sinistro non può assumere efficacia dimostrativa decisiva, proprio perché si tratta di una condotta che si colloca in epoca successiva al 16.06.2007, e dunque non risulta di per sé idonea a contraddire l'assunto difensivo.
Parimenti non possono ritenersi decisive le risultanze - valorizzate dai giudici di merito nella motivazione della condanna del G.M. - del documento, privo di data e sottoscrizione ma redatto su carta intestata della Metalpoint, recante, testualmente, l'"organigramma aziendale" della stessa, nella quale il nominativo di G.M.è riportato con la qualifica di "direttore di stabilimento" al vertice della piramide aziendale: e ciò non tanto perché possa dubitarsi della provenienza dalla Metalpoint, come prospettato nel ricorso dell'imputato, posto che il documento è stato prodotto dagli stessi difensori dei prevenuti (pagina 14 della sentenza di primo grado) all'udienza del 16.09.2011, quanto perché i giudici di merito, e in particolare la sentenza d'appello, non hanno spiegato le ragioni per le quali esso rappresenterebbe l'organigramma aziendale esistente alla data del 16.06.2007, piuttosto che quello successivo alla verificazione del sinistro, omettendo - al riguardo - di confrontarsi in modo puntuale con le deduzioni difensive.
Sul (solo) punto relativo all'esistenza di una posizione di garanzia del G.M. in data coeva e antecedente all'infortunio sul lavoro del 16.06.2007, la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, da compiersi con piena libertà di valutazione ma senza incorrere nelle medesime carenze e vizi motivazionali. ,
7. Le censure che sono state rivolte, in termini sostanzialmente conformi, nell'ultimo motivo dei ricorsi proposti dall'avvocato Stefanelli nell'interesse del G.M. e dall'avvocato Fulgeri nell'interesse dello S.S., alla motivazione con cui la sentenza d'appello ha ritenuto gli imputati immeritevoli del beneficio delle attenuanti generiche, si risolvono in inammissibili doglianze di merito.
La decisione impugnata ha indicato le ragioni del diniego del beneficio di cui all'art. 62 bis cod.pen. nella gravità oggettiva dei fatti-reato, con argomentazione sintetica ma sufficiente, valorizzando un parametro di ordine negativo che trova puntuale riscontro nella complessiva motivazione della sentenza, con riguardo all'accettata natura sistematica e generalizzata, anche nel tempo, dell'omissione delle misure di sicurezza e delle cautele antinfortunistiche presso lo stabilimento della Metalpoint.
La Corte territoriale ha dunque assolto l'obbligo di motivazione sul punto, non essendo il giudice di merito - nell'apprezzamento da compiersi agli effetti dell'art. 62 bis cod.pen. - tenuto a esaminare tutti i parametri di cui all'art. 133 cod.pen., essendo sufficiente specificare quello considerato preponderante al fine della negazione del beneficio (Sez. 1 n. 33506 del 7/07/2010, Rv. 247959); e la relativa valutazione, in quanto espressione di un tipico giudizio di fatto, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5 n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), mediante la valorizzazione di altri e diversi parametri, sollecitati dai ricorrenti, come il concorso della condotta del P. nella produzione dell'infortunio o l'allegata corretta condotta processuale dello S.S., che trasformerebbe questa Corte nell'ennesimo giudice del fatto.
Nei confronti del G.M., ovviamente, la concreta incidenza del giudizio di immeritevolezza delle attenuanti generiche nella commisurazione della pena resta subordinata all'accertamento della titolarità della posizione di garanzia demandato al giudice di rinvio, nei termini sopra indicati, e alla conseguente condanna dell'imputato per i delitti a lui ascritti.
8. L'inammissibilità dei motivi principali e originari di ricorso dello S.S. rende inammissibili i motivi nuovi successivamente dedotti nell'interesse dell'imputato dall'avvocato Fulgeri (art. 585 comma 4, ultima parte, cod.proc.pen.), peraltro contenuti in una memoria depositata - il 30.04.2019 - nell'inosservanza del termine di quindici giorni rispetto all'udienza di discussione, fissata il 15.05.2019, stabilito a pena di decadenza dall'ultimo comma dell'art. 585, termine che, in forza della regola generale di cui all'art. 172 comma 5 del codice di rito, deve computarsi libero e intero, escludendo sia il dies a quo che il dies ad quem (Sez. 1 n. 16356 del 20/03/2015, Rv. 263322); anche sotto tale profilo, dunque, i motivi dedotti nella memoria succitata sono inammissibili.
8.1. Né è configurabile alcuna nullità, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo ai sensi dell'art. 609 comma 2 cod.proc.pen. anche a prescindere dalla tardività della relativa deduzione di parte, per la supposta violazione del diritto di difesa che si sarebbe verificata nel giudizio d'appello all'udienza del 27.05.2016 a seguito della nomina all'imputato di un difensore d'ufficio ex art. 97 comma 4 del codice di rito per effetto dell'impossibilità di presenziare del difensore di fiducia, questione sulla quale l'avvocato Fulgeri ha insistito nella memoria depositata in data 8.05.2019.
Dall'esame dei relativi atti processuali, ai quali questa Corte è legittimata ad accedere direttamente trattandosi di verificare l'esistenza di un eventuale error in procedendo ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod.proc.pen. (essendo in tal caso la Corte di cassazione giudice anche del fatto: Sez. Un. n. 42792 del 31/10/2001, Rv. 220092), risulta infatti che la Corte d'appello, in accoglimento dell'istanza di rinvio dell'udienza formulata il 26.05.2016 dall'avv. Fulgeri quantomeno con riferimento alla posizione del suo assistito, aveva rinviato l'udienza di discussione al 5.10.2016 per le conclusioni del difensore dello S.S. (correttamente nominando all'imputato un difensore d'ufficio per l'udienza del 27.05.2016 alla quale il difensore di fiducia aveva dedotto di non poter presenziare); all'udienza del 5.10.2016 l'avv. Fulgeri era comparso senza sollevare alcuna eccezione, concludendo quindi nell'interesse dell'imputato alla successiva udienza del 2.11.2016, così da escludere in radice qualsiasi violazione del diritto di difesa.
9. All'inammissibilità dei ricorsi di S.S. e S.G. consegue la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali, nonché a versare alla cassa delle ammende la sanzione pecuniaria equamente quantificata nella somma di 2.000 euro ciascuno.
Il S.G., soccombente nel presente giudizio nei confronti delle parti civili Omissis, deve essere altresì condannato, in conformità alle conclusioni dalle stesse formulate, a rifondere alle predette parti civili le spese sostenute nel grado, che si liquidano nella misura indicata nel dispositivo; mentre la statuizione sulle spese relative al rapporto processuale tra le medesime parti civili e l'imputato G.M. va rimessa opportunamente al giudice di rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata da G.M. limitatamente alla sua posizione di garanzia e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del predetto G.M..
Dichiara inammissibili i ricorsi di S.S. e S.G. che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Condanna S.G. alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili Omissis, che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre CPA e IVA.
Così deciso in data 15 maggio 2019