Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2020, n. 12161 - Caduta durante i lavori di installazione di cupolini metallici sul tetto. Necessario accertare la resistenza sufficiente a sostenere il peso

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

1. M.D. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen. perché, nella qualità di amministratore della ditta M.D. & M.L. s.n.c., ed in concorso con l'altro amministratore, coimputato, M.L., per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 148, comma 2, D.lgs. 81/2008), omettendo di apprestare, in ordine a lavori da svolgersi sui tetti, tutte le cautele idonee a garantire l'incolumità dei lavoratori e ad eliminare il rischio di caduta (in particolare, tavole sopra le orditure, dispositivi di protezione individuale anticaduta e linee vita), cagionava la morte del dipendente S.S., il quale, nell'ambito di lavori di installazione di cupolini metallici sul tetto del fabbricato, cadeva a causa del cedimento di un cupolino in cemento, da un'altezza di circa 7 metri, all'interno del fabbricato, con conseguente decesso in data 20- 8 -2011.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto sussistente il dubbio circa la resistenza della struttura, nonostante l'edificio in questione fosse stato costruito nel 1995 e collaudato nel 1996, nel rispetto di tutte le disposizioni di legge. Da ciò derivava il legittimo affidamento dell'imputato in ordine alla resistenza della struttura, tale da non rendere necessario alcun dispositivo anticaduta. Né può condividersi l'argomentazione dei giudici di merito, secondo cui i ripetuti fenomeni di infiltrazione d'acqua nell'edificio avrebbero dovuto condurre l'imputato a rendersi conto della precarietà strutturale del fabbricato, essendo tale elemento inidoneo a dimostrare l'incapacità dei cupolini di garantire la portata prescritta dalla legge. Peraltro il consulente tecnico della difesa ha dimostrato come il vizio strutturale della copertura dell'immobile non fosse ricollegabile a tali infiltrazioni d'acqua ma ad una intrinseca inadeguatezza dei cupolini in fibrocemento, che all'epoca del fatto non era ancora conosciuta.
2.1. Non è provato che il S.S. avesse ricevuto disposizioni dall'imputato di lavorare sul tetto del fabbricato, poiché egli doveva lavorare a terra, tanto più che nel giorno in cui si verificò l'infortunio il ricorrente non era presente sul luogo e il coimputato M.L. si trovava a terra e non era informato dell'attività del proprio dipendente. 
2.2. Censurabile è il diniego della prevalenza delle attenuanti generiche sulla aggravante contestata e della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, ex artt. 53 e ss. L. 689/81. Il giudice a quo ha, infatti, omesso di valutare quegli elementi di fatto, favorevoli all'imputato, che hanno condotto lo stesso giudice a dimezzare la sanzione pecuniaria a carico dell'ente. Non è stata altresì valorizzata la definizione delle pretese risarcitone delle parti civili ai fini dell'ulteriore contenimento della pena irrogata.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.




Diritto




1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Occorre, in primo luogo, sottolineare che l'art. 148 d.lgs. n. 81 del 2008 dispone che, prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, debba essere accertato che questi ultimi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari accorgimenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta. In capo al datore di lavoro sussiste, dunque, uno specifico obbligo di verifica in concreto in ordine alla resistenza della superficie su cui insisterà la lavorazione e, nel caso in cui dovesse sorgere, nell'ambito di tale accertamento, un dubbio circa la capacità portante della superficie calpestabile, s'impone al datore di lavoro l'adozione di tutte quelle cautele idonee a salvaguardare l'incolumità fisica dei lavoratori. L'assunto difensivo secondo cui l'avvenuto collaudo dell'immobile, in epoca antecedente all'infortunio, sarebbe stato di per sé idoneo a creare affidamento in ordine alla resistenza della copertura è smentito dall'inequivocabile disposto della predetta norma, la quale, nell'ancorare l'adozione di cautele idonee alla protezione dei lavoratori alla sussistenza di un mero dubbio sulla effettiva resistenza delle superfici, esclude che l'esito positivo di un collaudo avvenuto tanti anni prima possa di per sè creare un legittimo affidamento in capo al datore di lavoro, esonerandolo dall'obbligo della verifica in concreto della resistenza della copertura. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha posto in luce, con motivazione assolutamente congrua ed esauriente, la consapevolezza in capo all'imputato, proprietario dell'immobile e datore di lavoro, del deterioramento dei cupolini in fibrocemento, in considerazione delle infiltrazioni d'acqua cui era costantemente soggetta la copertura del fabbricato e della circostanza che nel corso degli anni, a causa di tale fenomeno, l'imputato e il fratello erano intervenuti ripetutamente al fine di sostituire i cupolini deteriorati. In secondo luogo, il giudice d'appello ha evidenziato la totale carenza di apprestamenti idonei a tutelare l'incolumità del S.S., il quale si trovò ad operare su di una copertura deteriorata senza essere stato munito di dispositivi di protezione individuale, in assenza di linee salvavita o di altre protezioni.
3. Per quanto attiene alle doglianze inerenti ad un asserito comportamento contrario del lavoratore rispetto alle direttive impartitegli dall'imputato, occorre osservare come esse tendano ad un'alternativa ricostruzione dei fatti che non può trovare ingresso in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito. Le determinazioni adottate dal giudice a quo, in ordine al profilo in disamina, sono quindi insindacabili ove siano supportate da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Al riguardo, il giudice a quo ha evidenziato che la tesi difensiva, inerente al divieto per il S.S. di lavorare sul tetto, non trova riscontro nelle risultanze degli accertamenti effettuati dagli operanti dello S.P.I.S.A.L. né nel POS allegato dall'imputato, non essendo stato quest'ultimo presentato nell'immediatezza dell'infortunio, nonostante espressa richiesta degli operanti, ma soltanto tempo dopo e non essendo quindi certa la data della sua predisposizione. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità. Esula d'altronde dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa - e, per il ricorrente, più adeguata - valutazione delle risultanze processuali (Sez. U.,30-4-1997, Dessimone, Rv. 207941). In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato, come nel caso in esame, tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U., 13-12-1995, Clarke,Rv. 203428).
4. Le doglianze afferenti al trattamento sanzionatorio si collocano sul piano delle valutazioni di merito e le relative determinazioni sono dunque insindacabili in cassazione ove sorrette da motivazione congrua, immune da vizi logico-giuridici ed idonea a dar conto delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, il giudice a quo ha, con motivazione adeguata, sottolineato la gravità del fatto, in quanto la mancata predisposizione di cautele denota la superficialità e l'indifferenza dell'imputato in ordine alla tutela di beni primari, come quello dell' integrità fisica del lavoratore. Inoltre, prosegue la Corte territoriale, l'avvenuta revoca della costituzione di parte civile, in assenza di documentazione comprovante l'entità del ristoro percepito o offerto ai prossimi congiunti della persona offesa, non può essere apprezzata ai fini del contenimento della pena e della sostituzione di quest'ultima ai sensi dell'art. 53 l. n. 689 del 1981.
5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.




P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18.02.2020.


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