Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2019, n. 50439 - Infortunio con una sega circolare e responsabilità del datore di lavoro e del RSPP che suggerisce una misura di sicurezza inadeguata
LFatto
1. La Corte di Appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado, con cui O.P. e P.M. sono stati condannati alla pena di euro 1.000,00 di multa per il reato di cui al capo c ex art. 590, commi 2 e 3, cod.pen., per avere, nella loro qualità di legale rappresentante della Lamprecht s.r.l. il primo e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione il secondo, per negligenza, imprudenza e colpa specifica ai sensi dell'art, 2087 cod.civ. e 33 d.lgs. n. 81 del 2008, consistente nel non aver adeguatamente valutato i rischi e non aver elaborato adeguate misure preventive e protettive in relazione alla sega circolare impiegata nelle lavorazioni, cagionato a M.L.G. lesioni personali consistenti nell'amputazione di due dita, in quanto, durante i lavori, la sega si bloccava ed il lavoratore, nel tentare di sbloccarla, veniva a contatto con la lama rotante, non provvista delle cuffie, prescritte dall'allegato V, punto 5.5.5.4., d.lgs. n. 81 del 2008 - 23 giugno 2012.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, gli imputati O.P. e P.M..
3. O.P. ha dedotto la violazione degli artt. 40, 41 cod.pen. e 533 cod.proc.pen. e il vizio di motivazione, con travisamento della prova, in ordine al nesso causale, di cui è stata affermata la sussistenza, nonostante la mancata ricostruzione della dinamica dell'infortunio e la conseguente impossibilità di escludere che il lavoratore sia finito con le dita nel tratto attivo del disco, che non deve essere munito di cuffie di protezione, o si sia volontariamente procurato le lesioni, e nonostante l'assegnazione alla vittima di mansioni che non richiedevano alcun contatto con la sega e le precise istruzioni di recarsi in ufficio in caso di blocco della stessa, desumibili dalla testimonianza di Aster, di cui è stata omessa ogni valutazione.
4. P.M. ha dedotto: 1) la violazione degli artt. 40 cod.pen. e 33 del d.lgs, n. 81 del 2008, atteso che i giudici di merito hanno riconosciuto il corretto adempimento, da parte sua, dei suoi obblighi e, cioè, la segnalazione del pericolo collegato all'uso della sega e la sollecitazione dell'adozione delle misure di sicurezza, affermando, tuttavia, la sua responsabilità penale per l'evento, nonostante la carenza, da parte del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di poteri decisionali e di spesa; 2) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all'individuazione del nesso causale, che non può prescindere dall'esatta ricostruzione della dinamica del sinistro, anche al fine di verificare se la cautela omessa, che, ad avviso della Corte sarebbe stata necessaria, avrebbe effettivamente potuto impedire l'evento.
Diritto
1. Il ricorso di O.P. non può essere accolto.
2. Nella sentenza impugnata non si ravvisa né una violazione di legge né un vizio motivazionale in ordine al nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro (omessa corretta individuazione e valutazione del rischio connesso alla sega) e l'infortunio. In particolare nella motivazione si legge che "dinanzi al fatto che la sega in questione fosse provvista di una protezione che copriva solo la parte anteriore della lama, lasciando libera e raggiungibile la parte posteriore della stessa, risulta irrilevante l'esatta ricostruzione della operazione condotta dal lavoratore, perché la lama risultava accessibile, pericolosa e non protetta. La cuffia di protezione si è quindi dimostrata non adeguata ad evitare contatti con la lama della sega in movimento da parte dei lavoratori". Secondo il ragionamento dei giudici di merito, che non risulta manifestamente illogico, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la dinamica dell'infortunio risulta accertata, a prescindere dall'individuazione della specifica operazione in corso di realizzazione, essendo derivata l'amputazione dal contatto della lama, non adeguatamente protetta, con la mano del lavoratore, peraltro, non istruito in merito alla condotta da tenere in caso di blocco della sega. In primo luogo, nella sentenza di primo, a p. 9, si è evidenziato che "la cuffia di protezione .. avrebbe dovuto - in base alla normativa vigente - coprire tutta la zona dove è stata medicata la persona, dove sono stati trovati i guanti impregnati di sangue - vale a dire la zona posteriore in maniera tale che il punto scoperto della lama fosse di soli due centimetri" e che, dunque, l'infortunio è dipeso proprio dalla carente ed inadeguata valutazione del rischio collegato alla sega. A ciò si aggiunga, inoltre, che dalle sentenze di merito si evince che l'infortunio si è verificato mentre la macchina era in fase di blocco e continuava a ruotare e che i lavoratori non avevano ricevuto alcuna istruzione o formazione sulla condotta da tenere in caso di blocco della macchina. Su tale ultimo aspetto va, peraltro, sottolineato che è stata richiamata la deposizione del teste C., ritenuta più attendibile rispetto a quella del teste Asper. Né è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (così, da ultimo, Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017 ud. - dep. 13/11/2017, Rv. 271623 - 01).
Deve, peraltro, sottolinearsi che la regola di giudizio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, ex art. 533, comma 1, cod. proc. pen. consente di pronunciare sentenza di condanna laddove il dato probatorio acquisito lasci fuori quelle ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura" ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018 ud. - dep. 11/01/2019, Rv. 275299 - 01), quale, ad esempio, quella prospettata dalla difesa della possibilità che M.L.G. si sia ferito volontariamente.
Infine, la Corte di Appello ha escluso la condotta abnorme del lavoratore, "in quanto inserita pienamente nell'attività lavorativa specifica cui era stato assegnato ed in stretta correlazione con la tipologia di lavorazione", con una motivazione del tutto congrua e logica, oltre che conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro oppure, pur rientrando nelle mansioni che gli sono proprie, sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 ud. - dep. 14/02/2018, Rv. 272222 - 01).
4. Neppure può accogliersi il ricorso di P.M..
5. In ordine al primo motivo, deve premettersi che, in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri - così, da ultimo, Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018 ud. - dep. 18/03/2019, Rv. 275279 - 01, che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del RSPP in relazione alle lesioni riportate da un lavoratore, per aver sottovalutato, nel documento di valutazione dei rischi, il pericolo riconducibile all'utilizzo di un carrello elevatore inadeguato e privo di misure di sicurezza per il tipo di travi movimentate dai lavoratori (in questo senso già Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 ud. - dep. 18/09/2014, Rv. 261107 - 01, secondo cui il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri - fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevante la condotta del responsabile del servizio che aveva redatto il documento di valutazione dei rischi con indicazione di misure organizzative inappropriate, sottovalutando il pericolo di incendio e omettendo di indicare ai lavoratori le opportune istruzioni per salvaguardare la propria incolumità). La decisione dei giudici di merito, adottata nel caso in esame, è del tutto conforme a tali principi, essendo stata affermata la responsabilità di P.M., in quanto costui, nonostante la valutazione del rischio collegato alla sega, le riunioni periodiche ed il controllo delle cautele adottate dal datore di lavoro, ha suggerito una misura di sicurezza Inadeguata e, cioè, l'adozione di un dispositivo di protezione frontale, inidoneo ad evitare il ripetuto blocco della lama ed a coprirla in modo più esteso.
6. Relativamente al secondo motivo in ordine al nesso di causalità, è sufficiente rinviare a quanto già detto riguardo al coimputato datore di lavoro, sottolineando che i giudici di merito hanno bene evidenziato come l'infortunio sia stato determinato proprio dagli inadempimenti contestati e, cioè, dalla non corretta valutazione e neutralizzazione del rischio collegato alla sega. In particolare, nella sentenza di primo grado, a p. 9, si legge "la cuffia di protezione ..avrebbe dovuto - In base alla normativa vigente - coprire tutta la zona dove è stata medicata la persona , dove sono stati trovati i guanti impregnati di sangue - vale a dire la zona posteriore in maniera tale che il punto scoperto della lama fosse di soli due centimetri".
7. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 3 dicembre 2019