Cassazione Penale, Sez. 4, 03 maggio 2021, n. 16697 - Infortunio nella ditta di lavorazione di budella naturali. Mancanza di adeguato contrassegno dei punti di emissione di acqua fredda e calda dell'impianto idrico
Fatto
1. La Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Mantova aveva condannato B.G. - nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della LA.BU.NAT. s.r.l. (ditta che si occupa della lavorazione di budella naturali) e datore di lavoro - per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. ai danni dell'operaio dipendente A.J., aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare, si è contestato in imputazione al B.G. di avere messo a disposizione dei lavoratori un impianto idrico i cui punti di emissione dell'acqua fredda e calda non erano stati adeguatamente contrassegnati (art. 63, c. 1 e punto 3.6.2. dell'all. VI d.lgs. 81/2008), avendo i giudici ritenuto anche il profilo di colpa specifica di cui al punto 3.6.1 e 3.6.1.1. stesso allegato, per non avere egli installato una valvola di sicurezza che impedisse la fuoriuscita dell'acqua dal rubinetto se non agganciato ad una manichetta lunga di gomma.
Nell'occorso, secondo l'impostazione d'accusa recepita dai giudici del merito, l'A.J. doveva utilizzare l'impianto idrico di cui sopra per procedere al lavaggio della zona; l'impianto era costituito da tre tubazioni affiancate a parete, recapitanti l'acqua fredda, l'acqua calda a 40° e l'acqua calda a 75°; alle tubazioni era allacciata di volta in volta una manichetta lunga di gomma che, aperta la serranda, recapitava l'acqua nella zona di lavoro da pulire; la vittima, operaio da tre anni presso la ditta LA.BU.NAT. s.r.l., aveva avuto ordine di spostare la manichetta da una tubazione a un'altra; egli, addetto a quel servizio solo da tre mesi, non era stato informato però del pericolo rappresentato dalla diversa temperatura di uscita dell'acqua e, all'epoca dei fatti, le tre tubazioni e le relative serrande non presentavano alcuna diversificazione visiva.
L'infortunato aveva azionato inavvertitamente la serranda dell'acqua bollente, mentre la manichetta era collegata alla tubazione dell'acqua fredda (falla impiantistica rilevata dall'ufficiale di P.G. e da questi riferita già in sede di esame dibattimentale, atteso che una valvola di sicurezza avrebbe scongiurato la fuoriuscita dalla serranda dell'acqua bollente mentre il tubo di gomma era collegato alla serranda dell'acqua fredda) e il getto lo aveva colpito all'arto superiore e al fianco destro.
2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla omessa declaratoria di improcedibilità per effetto del bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con l'aggravante contestata, la cui elisi, determinerebbe il rientro della fattispecie in quella prevista dal primo comma dell'art. 490 cod. pen., con conseguente procedibilità del reato a querela.
Con il secondo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla compiuta ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito, costoro non avendo considerato che l'azionamento della serranda dell'acqua bollente era avvenuto per un urto accidentale da parte del lavoratore.
3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Kate TASSONE, ha rassegnato conclusioni scritte a norma dell'art. 23, c. 8, decreto legge n. 137 del 2020, con le quali ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La Corte bresciana, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, suffragata dalle risultanze processuali pure indicate in sentenza, mediante un richiamo di quella appellata, ha precisato, con specifico riferimento al comportamento del lavoratore, qui d'interesse alla luce delle doglianze veicolate con il ricorso, che le violazioni contestate all'imputato erano direttamente collegate all'evento, atteso che la corretta informazione dell'infortunato, in uno con la diversificazione visiva delle tre diverse serrande, avrebbe richiamato l'A.J. a una maggiore attenzione.
Oltre a ciò, era pure emerso che l'apposizione di una valvola di sicurezza (il cui funzionamento è stato sopra riassuntivamente richiamato) avrebbe scongiurato che, applicata la manichetta di gomma al rubinetto dell'acqua fredda, potesse fuoriuscire quella bollente dalla corrispondente serranda. L'adempimento degli obblighi omessi avrebbe dunque scongiurato l'evento, laddove il comportamento del lavoratore non poteva considerarsi abnorme, in quanto egli aveva agito nell'ambito delle mansioni allo stesso affidate, la normativa antinfortunistica mirando a tutelare anche il lavoratore imprudente.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
È principio consolidato, in tema di circostanze del reato, che la ritenuta prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti all'esito del giudizio di comparazione, influendo solo sulla determinazione della pena e non anche sulla connotazione giuridica della condotta delittuosa, non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l'ipotesi non circostanziata (cfr., ex multis, sez. 5, n. 44555 del 28/5/2015, Rv. 265083; sez. 2, n. 24522 del 29/5/2009, P.G. in proc. Porro, Rv. 244250; e, da ultimo, Sez. un. n. 3585 del 24/9/2020, dep. 2021, PG e/Li Trenta Annunziato, Rv. 280262, in cui - con specifico riferimento alla recidiva - si è confermato che la valutazione di equivalenza o di subvalenza della recidiva qualificata rispetto alle circostanze attenuanti, nell'ambito del giudizio di bilanciamento previsto dall'art. 69 cod. pen., non ne elide la sussistenza né gli effetti prodotti ai fini del regime di procedibilità, sicché non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l'ipotesi non circostanziata).
4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Richiamato il consolidato orientamento per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), si osserva che gli assunti difensivi sono smentiti dai principi regolatori in materia antinfortunistica, elaborati in tema di affidamento, di obblighi di garanzia dello stesso lavoratore all'interno della realtà produttiva e, soprattutto, di rilevanza - sotto il profilo causale - della condotta imprudente o negligente di questi.
In materia di prevenzione antinfortunistica, si è effettivamente passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/02/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
Tuttavia, pur dandosi atto che - da tempo - si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).
All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT e/ Musso Paolo, rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
4.1. Data tale premessa in diritto, non si rinviene - nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito - alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto nella sentenza censurata. Inoltre, i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia, valutando il rischio concretizzatosi quale risultato delle omissioni cautelari contestate e neppure effettivamente criticate in ricorso.
Le doglianze difensive, peraltro, scontano il mancato confronto con le argomentazioni esposte nella sentenza censurata: il ricorrente non ha neppure considerato che l'evento è stato correlato anche alla mancanza della valvola di sicurezza, il cui meccanismo è stato sopra descritto. Tale presidio, anche a voler dare credito alla tesi dell'accidentale apertura della serranda (spiegazione, tuttavia, che non ha ricevuto conferma nella istruttoria, come congruamente evidenziato dai giudici del merito), avrebbe scongiurato la fuoriuscita dell'acqua bollente, poichè la manichetta di gomma era collegata ad altra serranda, e così protetto il lavoratore anche da presunte accidentalità del tipo di quella allegata dalla difesa.
5. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cast. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 13 aprile 2021