Cassazione Penale, Sez. 4, 28 aprile 2021, n. 16148 - Caduta mortale e disfunzionale organizzazione del lavoro
Fatto
1. La Corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Verona, con la quale F.M. è stato condannato - nella qualità di legale rappresentante della IMMOBILIARE F.M. (committente), ma anche della CARPENTERIA F.M. e della GM CARPENTERIA (appaltatore) - per il reato di cui all'art. 589, c. 1 e 2, cod. pen. per avere cagionato, per colpa generica e specifica, consistita quest'ultima nella violazione degli artt. 18, 96 lett. g) e 111, c. 1 e 2 del d. lgs. n. 81/2008, la morte del dipendente M.B., a seguito della sua caduta da circa mt. 9,5 di altezza, mentre era intento a collocare dei pannelli di copertura del capannone di proprietà della citata immobiliare.
In particolare, si è contestato al F.M. di non aver adottato le dovute cautele per lo svolgimento del lavoro in quota, attraverso l'articolazione di plurimi profili di colpa, integrati all'udienza del 14/7/2014 con modifica dell'imputazione.
2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con difensore, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto vizio della motivazione e inosservanza di norme processali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, con specifico riferimento al principio di correlazione tra accusa e sentenza. Si assume che il giudice d'appello avrebbe introdotto un profilo di colpa ulteriore e diverso, rispetto a quelli contemplati nella imputazione. Avrebbe, in particolare, ricostruito una sorta di colpa organizzativa del F.M. che non ha mai costituito oggetto di contestazione, neppure di quella articolata in via suppletiva dal pubblico ministero, in quella sede essendosi attribuito all'imputato il tradimento del dovere di prevedere che le operazioni in quota per la copertura del tetto del capannone avvenissero lavorando con due piattaforme contemporaneamente presenti e di avere omesso di pretendere che tali previsioni fossero applicate in concreto. Il primo profilo è stato escluso dall'istruttoria, essendo emerso che il F.M. aveva dato disposizioni nel senso che le lavorazioni in questione avvenissero con l'utilizzo delle due piattaforme, ma la condanna, secondo la prospettazione difensiva, non avrebbe riguardato la seconda violazione, bensì la mancata efficiente organizzazione della propria azienda. Nella condotta contestata, al contrario, verrebbe in rilievo la mancata sorveglianza sull'osservanza delle disposizioni date ai dipendenti, ma non la incapacità imprenditoriale del F.M..
La Corte del merito avrebbe inoltre motivato in maniera sostanzialmente illogica rispetto al contenuto del motivo d'appello, soprattutto alla luce della motivazione contenuta nella sentenza di primo grado.
3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Delia CARDIA, ha rassegnato conclusioni scritte a norma dell'art. 23, c. 8, decreto legge n. 137 del 2020, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. La difesa dell'imputato ha depositato conclusioni scritte a norma dello stesso art. 23,
c. 8 d.l. citato, con le quali ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso va rigettato.
2. Il thema decidendum riguarda unicamente la asserita violazione, da parte del giudice d'appello, del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'art. 521 cod. proc. pen.
La questione introdotta con il motivo di ricorso necessita di una premessa di carattere generale. Ai fini della sussistenza di una violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., infatti, non è sufficiente qualsiasi modificazione dell'accusa originaria, ma è necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato. Pertanto, la violazione non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. sez. 5 n. 7984 del 24/9/2012, dep. 2013, RV. 254648). Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. 111 Costituzione, ma anche con l'art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla nota pronuncia Drassich c. Italia (cfr. CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, più di recente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'art. 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti.
3. Ciò premesso, occorre anche precisare che i confini dell'addebito ritenuto in capo al F.M. risultano già delimitati nella sentenza appellata: l'istruttoria dibattimentale aveva permesso di appurare che le violazioni della normativa antinfortunistica indicate nella imputazione erano in parte inesistenti, in parte non avevano correlazione causale con l'evento, ma di affermare anche la sussistenza della violazione del dovere di predisporre due piattaforme mobili per la esecuzione dei lavori in quota sulla copertura del capannone o, almeno, di controllare affinché l'esecuzione di essi avvenisse mediante l'utilizzo di tali piattaforme e senza che i lavoratori addetti "sbarcassero" sulla copertura per posizionare i pannelli.
L'istruttoria, inoltre, aveva consentito di accertare l'assoluta insipienza e la superficialità con cui la seconda piattaforma era stata recuperata la mattina stessa dell'infortunio mortale: a fronte dell'inizio dell'attività lavorativa di posizionamento dei pannelli alle ore 7.30, l'operaio che doveva occuparsi di portare la seconda piattaforma sul luogo era stato avvisato di tale necessità solo alle 8.30 della stessa mattinata e i termini di tale incarico non erano stati perentori. Il soggetto incaricato, infatti, era contemporaneamente occupato in altro incombente correlato all'organizzazione aziendale (esame per il rinnovo del patentino di saldatore), cosicché egli si sarebbe recato a recuperare la seconda, indispensabile piattaforma solo a mattinata inoltrata e dopo, quindi, l'inizio del lavoro di copertura. I lavoratori impegnati in quella attività lavorativa, dunque, in assenza del presidio di sicurezza formalmente disposto, si erano "arrangiati", come del resto avvenuto anche in precedenza, allorché si era trattato di portare in quota il fascio di pannelli da collocare sul tetto. È lo stesso Tribunale a affermare che incombe sul datore di lavoro l'obbligo di accertarsi che gli incarichi affidati ai propri dipendenti siano funzionali a una corretta organizzazione del lavoro e che questo, soprattutto quando implichi elevati profili di pericolosità, si svolga in condizioni di sicurezza, in modo che i lavoratori dispongano della necessaria strumentazione, rientrando nel concetto più ampio di organizzazione del lavoro anche quello di allestimento dei mezzi necessari per svolgere le attività in sicurezza, in modo che l'avvio dell'attività non sia disposto prima che tali presidi siano disponibili in concreto.
Tutto ciò a fronte di una realtà lavorativa in cui la soluzione che prevedeva lo "sbarco" degli operai sulla copertura era già stata adottata nei giorni precedenti, non rappresentando essa una estemporanea o improvvisata soluzione al problema.
La Corte d'appello, quanto alla riproposta questione della valorizzazione di un profilo di colpa, per così dire organizzativa, non contestata nella imputazione, ha affermato che la responsabilità dell'imputato era stata ritenuta non in relazione alla mancata previsione astratta della necessità che la lavorazione avvenisse con l'uso della doppia piattaforma, ma con riferimento alla omessa disposizione che tale previsione fosse osservata in concreto. Ciò che, nella specie, non era avvenuto, non tanto per violazione di ordini impartiti dal datore di lavoro, quanto piuttosto per la contraddittorietà delle disposizioni impartite, nel concreto, in maniera tale che la seconda piattaforma non avrebbe potuto trovarsi tempestivamente in loco, cioè prima dell'inizio del lavoro.
La estemporaneità delle modalità lavorative, del resto, è stata confermata anche dalla circostanza che detti lavori venivano effettuati da maestranze della carpenteria e allorché esse fossero disponibili, il tutto ampiamente agevolato dalla commistione delle diverse aziende (committente e appaltatrice), tutte facenti capo allo stesso F.M..
4. Il motivo è infondato.
Nel caso in esame difetta una lesione del diritto di difesa, alla cui salvaguardia il principio di correlazione è direttamente funzionale, non riuscendosi neppure ad apprezzare un rapporto di eterogeneità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato in via suppletiva dal pubblico ministero (cfr. sez. 6, n. 10140 del 18/2/2015, Bossi e altro, Rv. 262802). Il profilo della inadeguatezza della mera disposizione astratta del necessario utilizzo contemporaneo di due piattaforme è stato ampiamente dibattutto e, soprattutto, la stessa istruttoria ha messo in evidenza la incompatibilità di tale previsione con le disposizioni date in concreto dal datore di lavoro proprio la mattina dell'infortunio.
Si rinviene, infatti, nella sentenza d'appello un puntuale richiamo alla testimonianza dell'operaio incaricato di reperire la seconda piattaforma: costui aveva ricevuto l'ordine di prendere la seconda piattaforma a lavori già iniziati e, soprattutto, in termini tali che le esigenze dalla sicurezza dei lavoratori già impegnati in quella rischiosa attività passassero in secondo piano rispetto all'espletamento dell'altro incarico.
La descrizione di una disfunzionale organizzazione del lavoro, della quale le omissioni correlate all'infortunio costituiscono espressione, è poi contenuta nella stessa sentenza d'appello in cui, alla stregua delle testimonianze acquisite, si è affermato che, già la sera prima della esecuzione del lavoro in cui ha perso la vita il M.B., i pacchi dei pannelli erano stati posizionati in quota senza l'uso della doppia piattaforma e mediante assicurazioni di fortuna (con le stesse corde, cioè, che assicuravano i pacchi dei pannelli).
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso il 22 aprile 2021