Cassazione Penale, Sez. 3, 04 maggio 2021, n. 16871 - Pluralità di contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro

2021

Fatto



1. Con ordinanza del 24 luglio 2020, la Corte d'appello di Bologna, ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello proposto da B.B. contro la sentenza di condanna nei suoi confronti emessa dal Tribunale di Bologna in data 2 novembre 2011 in ordine a distinte contravvenzioni riferite a plurime disposizioni sulla sicurezza del lavoro.

2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo con il primo motivo la violazione degli artt. 24 e 111 Cast. e 6 e 7 CEDU, per applicazione retroattiva dell'overulling in malam partem con riguardo all'orientamento giurisprudenziale, sfavorevole all'appellante, formatosi in ordine ai requisiti di ammissibilità dell'impugnazione successivamente alla proposizione della stessa. Si allude, in particolare, alla necessaria osservanza del criterio di specificità c.d. estrinseca dei motivi affermato da Cass., Sez. U. n. 8852 del 2017, che - allega il ricorrente - aveva tracciato un solco innovativo richiamando anche il progetto di riforma del codice di rito penale poi approvato con I. 103 del 2017. Stante la portata innovativa e non prevedibile delle statuizioni contenute in detta sentenza, aveva errato l'ordinanza impugnata nel farne applicazione retroattiva alla valutazione dell'atto di appello proposto nel 2012, atteso che - come espressamente affermato proprio con riguardo alle modifiche normative introdotte dalla c.d. Riforma Orlando - ai fini dell'applicabilità del regime dettato sui requisiti di ammissibilità dell'atto di appello, occorre fare riferimento alla legge vigente alla data di presentazione dell'impugnazione.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen., avendo in ogni caso errato la Corte territoriale nel ritenere, in spregio al principio del favor impugnationis, il difetto di specificità dell'appello, che si sarebbe peraltro dovuto parametrare al tasso di determinatezza della motivazione della decisione impugnata, la quale non aveva in alcun modo esplicitato le ragioni della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche invocate. Quanto al motivo di gravame concernente l'omesso riconoscimento della continuazione, si sarebbe al più potuto escluderne la fondatezza, ma il sindacato sull'ammissibilità dell'atto di appello non può ricomprendere la manifesta infondatezza, a differenza di quanto avviene nel ricorso per cassazione.



Diritto




1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Contrariamente a quanto allega il ricorrente, la decisione delle Sezioni unite di questa Corte richiamata nell'ordinanza impugnata non rappresenta un overulling interpretativo, essendo intervenuta a dirimere un contrasto giurisprudenziale ed avendo optato per uno dei due indirizzi interpretativi che già si contendevano il campo in relazione alla lettura dell'art. 581 cod. proc. pen. nel testo vigente in allora, nonché al momento in cui fu proposto l'atto d'appello dichiarato inammissibile.
La citata decisione, invero, si è limitata ad affermare il principio - applicandolo poi al caso da essa deciso, benché si trattasse, come nella presente vicenda, di un appello proposto contro sentenza di primo grado emessa nel 2012 - secondo cui l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; tra le numerose conformi in precedenza adottate da questa Corte, v. Sez. 6, n. 37392 del 02/07/2014, Alfieri, Rv. 261650; Sez. 6, n. 39247 del 12/07/2013, Tartaglione, Rv. 257434; Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012, dep. 2013, Lombardo, Rv. 254204; Sez. 6, n. 27068 del 23/06/2011, Spinelli, Rv . 250449).
Né può condividersi il rilievo secondo cui quella pronuncia avrebbe tracciato un "solco innovativo" in linea con il progetto di legge della c.d. Riforma Orlando, posto che - a tacer d'altro - con riguardo alla questione che qui viene in rilievo il testo dell'art. 581 cod. proc. pen. è rimasto sostanzialmente immutato. Ed invero, sin dall'approvazione del codice di rito penale esso prevede, a pena di inammissibilità dell'impugnazione, in combinato disposto con l'art. 591 cod. proc. pen., che i motivi enuncino «l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta» (così, l'art. 581, lett. e, cod. proc. pen. nella versione qui applicabile ratione temporis, sostanzialmente riprodotto nella lett. d della disposizione quale sostituita dall'art. 1, comma 55, I. 23 giugno 2017, n. 103). Questa Corte, del resto, ha già precisato che non viola il principio del tempus regit actum la declaratoria di inammissibilità dell'appello, per difetto di specificità, adottata prima della modifica in tal senso introdotta all' ar t . 581 cod. proc. pen. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in quanto la novella non ha introdotto modifiche sostanziali, ma ha recepito il consolidato principio giurisprudenziale che già richiedeva a pena di inammissibilità la specificità dei motivi di impugnazione (Sez. 6, n. 6554 del 30/01/2020, B., Rv. 278453).

2. Con riguardo a tale, immutata, previsione deve dunque ribadirsi che, ai fini della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di appello, sotto il profilo della specificità, è necessario che il ricorrente non si limiti a contestare semplicemente il punto della pronuncia di cui chiede la riforma, ma che rispetto ad esso indichi le ragioni di fatto o di diritto per cui non ne condivide la valutazione (Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841; nello stesso senso, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811). Se è ben vero, come anche ha riconosciuto la citata sentenza Galtellì, che in sede d'appello - a differenza del giudizio di legittimità - non costituisce motivo d'ìnammissibilità dell'impugnazione la manifesta infondatezza della stessa, è altrettanto vero, contrariamente a quanto opina il ricorrente, che neppure con riguardo al gravame di merito può predicarsi un preteso principio di favor impugnationis che svaluti il requisito di ammissibilità espressamente richiesto dalla legge. Quel principio - hanno affermato le Sezioni unite - «non può che operare nell'ambito dei rigorosi limiti rappresentati dalla natura intrinseca del mezzo di impugnazione, che è delineata non solo dall'art. 597, comma 1, ma anche dall'art. 581, comma 1, lettera c). In altri termini, la necessità di valutare con minore rigore la specificità dei motivi di appello, rispetto a quelli di ricorso per cassazione, non può comportare la sostanziale elisione di tale requisito, con la sua riduzione alla sola specificità intrinseca», dovendo l'impugnazione «esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto. Le esigenze di specificità dei motivi non sono, dunque, attenuate in appello, pur essendo l'oggetto del giudizio esteso alla rivalutazione del fatto» (così, in motivazione, Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtellì).

3. Venendo, dunque, alla disamina del secondo motivo di ricorso, nel caso di specie, l'analisi dell'atto d'appello e della sentenza di primo grado - imposte dalla natura processuale del vizio lamentato - ha consentito al Collegio di rilevare che, rispetto alle ragioni addotte dal primo giudice, con riguardo ai due punti della sentenza fatti oggetto di gravame (il riconoscimento della continuazione e la concessione delle circostanze attenuanti generiche) l'appellante non aveva sottoposto specifiche censure in fatto o in diritto.
3.1. Ed invero, a fronte di una pluralità di contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro - tutte relative a distinte condotte commissive od omissive e, come noto, punibili anche a semplice titolo di colpa - l'appellante si era limitato a dolersi del fatto che il primo giudice non avesse fatto applicazione del reato continuato, senza tuttavia specificare per quali ragioni di fatto e diritto non fosse condivisibile il rilievo del giudicante giusta il quale nella specie si trattava di «ipotesi contravvenzionali incompatibili con l'istituto della continuazione».
3.2. Anche con riguardo alle invocate attenuanti generiche, l'appello è irrimediabilmente generico, non indicando per quali ragioni le stesse dovessero essere concesse. E' bensì vero che la sentenza di primo grado, pur a fronte della richiesta di concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 bis cod. pen., rassegnata dal difensore in via subordinata in sede di discussione, si era limitata ritenere equo il trattamento sanzionatorio, quantificato senza concedere le menzionate attenuanti, con il mero richiamo ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen. Questa Corte, tuttavia, ha ripetutamente precisato che la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche costituiscono l'esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale non è tenuto in particolare a motivare il diniego ove, in sede di conclusioni, non sia stata formulata specifica istanza con l'indicazione delle ragioni atte a giustificarne il riconoscimento (Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Boateng, Rv. 276044), posto che la presunzione di non meritevolezza impone al giudice di primo grado di spiegare le ragioni che giustificano la decisione di mitigare il trattamento sanzionatorio, mentre nel caso di mancato riconoscimento di tale riduzione l'obbligo di motivazione non sussiste, in assenza di richiesta da parte dell'interessato o nell'ipotesi di richiesta generica (Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694). Ed invero, in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell'adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatori (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315).
L'appellante non aveva dedotto di aver indicato al giudice di primo grado specifiche circostanze che inducessero a ritenere l'imputato meritevole delle invocate attenuanti, né le sottoponeva comunque al giudice del gravame, essendosi limitato a censurare la sentenza perché aveva sul punto o messo la motivazione, come se, a fronte di una generica richiesta, questa fosse necessaria e la sua mancanza fosse sufficiente per ottenere il beneficio in secondo grado, ciò che, come detto, certamente non è.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.



P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28 gennaio 2021.


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