Cassazione Penale, Sez. 4, 02 marzo 2020, n. 8164 - Infortunio con l'impianto di levigatura/squadratura pannelli. Anche se le modalità di intervento prevedevano l'arresto del macchinario, un'eventuale condotta imprudente del lavoratore era prevedibile

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

Fatto



1. Con sentenza n. 326 emessa in data 18/05/2017, il Tribunale di Belluno, assolveva O.G. dal reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, c.p. in quanto il fatto non costituisce reato, ritenendo che il lavoratore aveva ricevuto adeguata formazione e che non vi era un vero e proprio pericolo specifico da impigliamento, dal momento che gli organi di rotazione della macchina erano protetti da una grata in metallo e che per accedere agli stessi si doveva compiere una manovra del tutto inappropriata, inserendo la mano all'Interno della macchina e dell'ingranaggio stesso e, poco prima dell'incidente, in una analoga situazione, per rimettere il loco il cinghiolo lo stesso lavoratore aveva prima bloccato la macchina.
1.1. Con sentenza n. 3966 del 19/11/2018, la Corte d'Appello di Venezia, adita dal Procuratore Generale, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava O.G. responsabile del reato ascrittole e, applicate le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, la condannava alla pena di euro 250 di multa.
1.2. L'imputata era stata tratta a giudizio per rispondere del reato suddetto perché, nella sua qualità amministratore unico-legale rappresentante datore di lavoro della ditta Maricell S.r.l., corrente in Longarone (BL), avente ad oggetto sociale l'attività di produzione e commercio materie plastiche, non impediva e dunque cagionava per colpa al proprio dipendente L.F., operaio addetto all'impianto di levigatura/squadratura di pannelli, lesioni personali consistite in "frattura falange distale e intermedia terzo dito mano dx con multiple ferite lacero-contuse", da cui derivava una malattia e comunque un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni superiori ai 40 giorni ( per complessivi gg. 51). Colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adottando le misure che (art. 2087 cod. civ.) secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori, in particolare nella violazione:
- dell'art. 28 d.lgs. 81/2008 per non aver inserito nella valutazione dei rischi le indicazioni delle procedure e delle misure comportamentali da adottare in occasione di guasti o malfunzionamenti delle attrezzature/macchinari nonché per non aver valutato nel processo di levigatura e taglio pannelli con trasporto degli stessi mediante rulliera la presenza di zone accessibili pericolose;
- dell'art. 37 d.lgs. 81/2008 per non aver provveduto affinché il lavoratore addetto all'attrezzatura "rulliera con trasporto pannelli" ricevesse una formazione e addestramento adeguati, anche mediante predisposizione di procedure operative e comportamentali rispetto alle situazioni anormali prevedibili;
- dell'art. 71 in relazione all'art 70 d.lgs. cit. per aver messo a disposizione del lavoratore infortunatosi un macchinario per la lavorazione dei pannelli in poliuretano espanso, completo di rulliera di trasporto, non conforme ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V, in quanto mancante di griglia di protezione degli organi in movimento contro i contatti accidentali, in particolare del carter a protezione della cinghia di trasmissione;
cosicché l'infortunato, mentre stava operando sull'impianto di levigatura/squadratura pannelli, nell'intervenire per la seconda volta a causa della fuoriuscita dalla propria sede della cinghia di trazione della puleggia, al fine di ripristinare la stessa inseriva la mano destra attraverso i rulli, la quale gli veniva improvvisamente trascinata all'interno della macchina, riportando in tal modo le lesioni sopra meglio descritte.
Fatto aggravato perché commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2. Avverso tale sentenza d'appello, propone ricorso per cassazione O.G., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) violazione di legge in relazione agli artt. 40 c.p. e 192 c.p.p. Deduce che la Corte del merito, con riferimento alla valutazione della rulliera, sulla quale era impiegato il L.F., ha omesso di considerare che il macchinario è risultato idoneo ai fini della sicurezza ed era conforme alla normativa CEE. Afferma che il teste F., consulente dell'azienda in materia di sicurezza ed ambiente, ha chiarito che quella dove è avvenuto l'infortunio non è zona di lavoro e che "il dispositivo di protezione è dato da un carter di colore arancione ritenuto sufficiente perché in questa situazione qui nessuno accede nel normale mansionamento e comunque non c'è motivo perchè l’operatore acceda li". Sostiene che le prove testimoniali (in particolare L.F., V. e il dott. F.) e la documentazione prodotta dal p.m. e dalla difesa attestano e confermano che il L.F. era persona esperta, formata e informata con conseguente inconfigurabilità di tale profilo di colpa specifica contestato all'imputata. Rimarca che il L.F. non è intervenuto su un cinghiolo uscito nel corso della lavorazione ma ha posto in essere una condotta anomala ed imprevedibile.
II) vizi motivazionali in ordine alla sussistenza del nesso di causalità fra l'omessa formazione del dipendente e il sinistro. Deduce che il dipendente aveva perfettamente appreso quale fosse la condotta idonea e corretta che avrebbe dovuto tenere nelle operazioni di lavoro e che non avrebbe dovuto effettuare quell'intervento, che era riservato al preposto e che in ogni caso andava effettuato a macchinario spento; ciò esclude il nesso causale tra eventuali violazioni e l'evento dannoso, posto che unica causa dello stesso è stata la condotta del L.F.. Sostiene che la Corte d'Appello avrebbe dovuto indicare nella motivazione della propria decisione per quali ragioni una formazione più specifica avrebbe dissuaso il lavoratore, oltre ogni ragionevole dubbio, dall'abbandonare la postazione di lavoro, dall'eseguire un intervento che non era di sua competenza, essendo consapevole che doveva chiamare il preposto o il manutentore, dall'omettere di spegnere il macchinario, pur avendo a disposizione tre dispositivi nel lungo percorso che lo divideva dal punto ove è avvenuto l'infortunio, dall'oltrepassare le barriere nel passaggio da un lato all'altro del macchinario e anche il carter di protezione per raggiungere la catena posta a più di un metro sotto i rulli; la stessa persona offesa dal reato, assunta quale teste, ha dichiarato di essere perfettamente a conoscenza di quanto sopra.




Diritto




3. Il ricorso è inammissibile.
4. Va, preliminarmente, ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.1. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
4.2. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'att. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.3. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.4. In realtà la ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
5. Ciò posto, in replica alle doglianze formulate -da trattarsi tutte congiuntamente poiché logicamente avvinte-, deve ribadirsi che, nell'ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie.
Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria.
Proprio nell'ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il d.lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
Nel caso che occupa l'imputata (quale soggetto onerato della "posizione di garanzia" nella materia prevenzionale, come spiegato dai Giudici del merito) era il gestore del rischio e l'evento si è verificato nell'alveo della sua sfera gestoria (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108).
La eventuale ed ipotetica condotta abnorme del L.F. non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del L.F. non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante (la ricorrente) era chiamato a governare (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, cit.); nella condotta del L.F. non si possono, in vero, riscontrare i requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità poiché trattasi di manovra realizzata nel contesto della lavorazione cui lo stesso era addetto e finalizzata (sia pure imprudentemente) ad aggirare gli ostacoli alla prosecuzione del ciclo lavorativo.
Più esattamente, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, e ciò -nella specie- non è (cfr. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 Ud. -dep. 27/03/2017- Rv. 269603). Anche recentemente, questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 Ud. -dep. 14/02/2018- Rv. 272222 Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014 Ud. -dep. 29/05/2014- Rv. 259227).
5.1. Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha motivato la propria decisione, evidenziando, tra l'altro, che «dagli accertamenti esperiti dai tecnici dello Spisal, i cui esiti sono stati riferiti in dibattimento dal teste P. Massimo, emerge che all'epoca dell'infortunio era stato messo a disposizione del lavoratore un sistema di trasporto a rulli non idoneo in quanto presentava una zona pericolosa che era accessibile. Peraltro, al momento del sopralluogo, avvenuto in data 14.2.2014, i tecnici accertavano che il datore di lavoro, successivamente all'infortunio, aveva già proceduto a segregare la zona pericolosa con una specifica barriera. Veniva quindi riscontrata l'avvenuta violazione dell'art. 71 comma 1 del D.Lgs. 81/2008 e contestualmente la già avvenuta regolarizzazione della situazione mediante istallazione di un riparo metallico. Dalla testimonianza del teste Spisal emerge poi anche che il lavoratore infortunato aveva ricevuto solo una formazione generica e non già una formazione specifica con riguardo ai rischi connessi alla manovra e al funzionamento del macchinario in questione. Emerge altresì che i rischi connessi a tali manovre non erano stati nemmeno espressamente contemplati nel relativo documento di valutazione con particolare riguardo a possibili interventi da eseguirsi in occasione di guasti o di eventi anomali quale appunto la fuoriuscita dei cinghioli (cfr. P. pag. 8 del verbale stenotipico dell'udienza del 5.10.2016). È stata quindi accertata in capo al datore di lavoro la violazione del disposto dell'art. 28 e dell'art. 37 D.L.vo 81/2008.». Hai poi precisato che «la fuoriuscita dei cinghioli era un evento che si verificava con una certa frequenza, noto al datore di lavoro. Pertanto, anche se le modalità di intervento, in caso tale inconveniente si verificasse, prevedevano il previo arresto del macchinario, un'eventuale condotta negligente o imprudente del lavoratore nell'ambito dell'espletamento delle proprie mansioni era evento normalmente prevedibile da parte del datore di lavoro».
6. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dai limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per la ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
7. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di € 2.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.




P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/02/2020


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