Cassazione Penale, Sez. 4, 02 marzo 2020, n. 8160 - Contatto con la spirale elicoidale rotante presente all'interno della benna impastatrice. Mancanza di requisiti di sicurezza e di formazione
Fatto
1. M.M. veniva condannato, all'esito di giudizio ordinario, dal giudice monocratico del Tribunale di Monza, il 7/2/2017 alla pena di mesi 9 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, con una provvisionale di 60.000 euro, oltre alla rifusione delle spese di costituzione per il reato p. e p. dagli artt. 590, co. 1, 2 e 3 c.p. in relazione agli artt. 71 co. 1 e 37 co. 1 lett. a) d.lgs. 81/08 nonché in relazione all’art. 23 co.l d.lgs. 81/08, perché in qualità di legale rappresentante della IBM s.r.l., con sede legale in Provaglio d’Iseo, via Europa nr. 2 e di legale rappresentante della Costruzioni M. e quindi, rispettivamente di datore di lavoro di C.A. e di legale rappresentante della società proprietaria del macchinario noleggiato alla IBM, cagionava al lavoratore C.A., lesioni personali consistite in "frattura scomposta pluriframmentaria della gamba destra" da cui derivava una malattia con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo pari a gg. 157 (fino all'1/12/2013); per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro perché:
• in qualità di legale rappresentante della IBM ometteva di adottare le misure necessarie per la sicurezza dei lavoratori, in particolare metteva a disposizione dei lavoratori un'attrezzatura priva dei requisiti di sicurezza previsti dal costruttore e non provvedeva ad impartire al lavoratore una formazione adeguata in rapporto alla sicurezza sul lavoro;
• in qualità di legale rappresentante della Costruzioni M. noleggiava alla IBM una attrezzatura di lavoro non rispondente alle disposizioni legislative e ai regolamenti vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed in particolare una benna mescolatrice la cui griglia di ferro, progettata dal costruttore per essere fissa (bloccata con bulloni metallici alla carcassa della benna) era stata trasformata e resa apribile, cosicché, mentre C.A., presso il cantiere sito in Carate Brianza, via Kennedy 7, stava scendendo dalla macchina operatrice (Skid Steer) corredata dalla benna mescolatrice per procedere alla pulizia della benna, poggiava il piede destro sul ferro saldato in modo trasversale alla benna impastatrice priva della griglia di protezione e con l'asse elicoidale in movimento e scivolava con la gamba all'interno della stessa, procurandosi le gravi lesioni personali sopra indicate. Con le circostanze aggravanti della lesione grave per durata della malattia superiore ai 40 gg. nonché della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Carate Brianza in data 9/7/2013.
Con sentenza del 22/3/2019 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il M., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla condotta omissiva contestata in qualità di legale rappresentante della Costruzioni M. (l'aver noleggiato un'attrezzatura di lavoro non rispondente alle disposizioni legislative ed ai regolamenti vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro).
In ricorso si censura l'assunto della Corte distrettuale, che ritiene la tesi difensiva dell'avvenuta modifica dell'attrezzature di lavoro, ad opera dei lavoratori, priva di riscontro, anzi smentita dalle dichiarazioni dei testi C.A. e F. e del tecnico USL che riscontrava l'usura della parte sostituita.
Il ricorrente sottolinea di aver evidenziato nell'atto di appello che dall'istruttoria non era emerso con certezza l'autore della modifica e, di conseguenza, l'attribuibilità della stessa al M., e che l'ASL non aveva effettuato alcuna verifica su tale aspetto né aveva svolto sopralluoghi presso la sede della ditta noleggiatrice al fine di verificare l'esistenza di mezzi atti ad intervenire sui macchinari.
Si aggiunge inoltre, che la circostanza che il macchinario fosse datato non esclude che possa essere stato modificato sul cantiere, dal momento che lo stesso era in essere da ben sei mesi e pertanto l'asta aggiunta ben poteva essersi già usurata. La benna, infatti, era adoperata quotidianamente.
Si esprimono, poi, riserve sull'attendibilità dei due testi: il C.A. parte civile e il F. preposto sul cantiere non avrebbero certamente ammesso la propria responsabilità rispetto al verificarsi del sinistro e quindi non potevano ammettere di aver manomesso il macchinario.
In relazione al nesso di causalità, il ricorrente rileva, inoltre, che a prescindere dalla modifica del progetto originario con la realizzazione di una griglia rimovibile, l'infortunio avveniva perché la stessa griglia era stata completamente rimossa il giorno dell'incidente, rimozione effettuata dal C.A. e dal F., come dichiarato dagli stessi all'udienza del 10/1/2017.
Nulla avrebbe detto la sentenza impugnata su tale punto.
Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla condotta omissiva contestata in qualità di legale rappresentante della IBM s.r.l. datrice di lavoro della parte civile (l'aver omesso di adottare le misure necessarie per la sicurezza dei lavoratori: non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature e macchinari idonei e non essersi assicurato che il lavoratore ricevesse una formazione adeguata e sufficiente).
Il ricorrente contesta la sentenza impugnata laddove afferma la mancanza di formazione del C.A. e del F. sull'utilizzo del macchinario e, pertanto, ritiene impensabile che avessero la capacità di modificarlo.
In realtà, si afferma, che, come emerso dall'istruttoria, F. era il preposto del cantiere, cui il M.M. aveva delegato, in quanto specificatamente formato, l'utilizzo del bobcat.
Anche il C.A. aveva mansioni specifiche in qualità di manovale edile generico con esperienza pluriennale, mentre il M. non era presente in cantiere tutti i giorni.
Pertanto, avendo il M. delegato un preposto sia in relazione all'attività esecutiva che organizzativa del lavoro, non potrà rispondere certamente se lo stesso preposto ha di fatto delegato una mansione richiedente specifica formazione a un operaio sprovvistone.
Infine, si aggiunge che dall'istruttoria non sarebbero emerse con certezza le circostanze che se il C.A. fosse stato istruito sulle modalità di discesa della benna l'infortunio non si sarebbe verificato e che se la macchina non fosse stata modificata il fatto non sarebbe accaduto.
Con un terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla delega rilasciata al dipendente F..
Si censura l'impugnata sentenza laddove esclude la possibile esclusione di responsabilità in presenza di un delegato di fatto, mentre successivamente afferma che la delega può essere anche non scritta ed è certamente valida ove sia espressa, certa ed inequivoca.
Si rileva che dal dibattimento è emerso che il delegato fosse tecnicamente capace e fornito delle necessarie competenze tecniche, di poteri decisionali e di attuazione nel cantiere ed avesse consapevolmente accettato l'incarico.
Con un quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al comportamento abnorme del lavoratore.
Il M. invoca l'abnormità del comportamento del lavoratore, escluso dalla corte di appello, pur ritenendolo imprudente, nonostante la sentenza di primo grado avesse sottolineato la violazione di tutte le prescrizioni basilari da parte del C.A..
Lo stesso dipendente dell'ASL, all'udienza del 10/1/2017, sottolineava il com-portamento imprudente e negligente del lavoratore.
Il C.A. avrebbe usato il mezzo senza autorizzazione del M. e di sua iniziativa, insieme al preposto, eliminava la griglia alla benna e scendeva dal mezzo, mentre era in moto, mettendo il piede su un'asta instabile trasversale rispetto alla benna, mentre avrebbe potuto facilmente scendere lateralmente.
Il rispetto di regole elementari, comprensibili anche da non addetti ai lavori, avrebbe certamente evitato il verificarsi dell'incidente.
Il comportamento del lavoratore possiede, a detta del ricorrente, i requisiti di eccezionalità, abnormità ed esorbitanza, tali da interrompere il nesso causale tra la condotta di M. e l'evento.
Infatti pur in presenza di tutte le necessarie misure di sicurezza sarebbe stato impossibile evitare l'imprevedibile condotta del lavoratore.
Con un quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al profilo sanzionatorio e alla condanna alla provvisionale per 60.000 euro.
Si contesta la quantificazione della pena e l'entità della provvisionale rilevando anche l'attuale condizione economica dell'imputato e l'avvenuto fallimento della società.
Ci si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis cod. pen., per l'occasionalità della condotta e l'incensuratezza dell'Imputato.
Chiede, pertanto, l'annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge anche in relazione alle statuizioni civili.
3. Con memoria depositata il 27/1/2020 la parte civile C.A., a mezzo del proprio difensore rileva l'inammissibilità, improcedibilità ed infondatezza del ricorso.
Si eccepisce l'inammissibilità ed infondatezza del primo motivo di ricorso.
Il M. aveva, infatti, messo a disposizione dei propri dipendenti un macchinario privo di un fondamentale dispositivo di sicurezza.
La griglia posta a protezione della spirale elicoidale rotante della benna era stata resa apribile mediante l'inserimento di un'asta.
Tale asta, come certificato dal tecnico Asl, presentava un grado di usura tale da desumersene che era stata aggiunta al macchinario prima della stipula del contratto di nolo a freddo dello stesso. Mentre l'acquisto, come dichiarato dall'imputato, era avvenuto cinque anni prima dell'infortunio. Pertanto il M. era certamente a conoscenza della modifica, mentre, come correttamente sostenuto nell'impugnata sentenza, è improbabile che la stessa potesse essere stata effettuata dai lavoratori del cantiere dove avveniva il sinistro.
In relazione al secondo motivo di ricorso si rileva la violazione del principio di autosufficienza, in quanto il ricorrente, sostenendo di aver delegato unicamente il F. all'utilizzo del macchinario, omette di allegare gli atti istruttori da cui tale circostanza dovrebbe risultare.
Nel merito, poi, il motivo appare privo di pregio, attesa la completezza e logicità della motivazione della sentenza impugnata sulla mancanza di formazione del lavoratore preposto all'utilizzo del macchinario e non avendo fornito l'imputato prova dell'assolvimento del dovere di formazione del presunto conferimento di una delega di fatto di funzioni al F..
In relazione al terzo motivo di ricorso si rileva che la corte di appello con congrua e corretta motivazione ha ritenuto inesistente l'invocata delega di funzioni sulla sicurezza, non essendo stata raggiunta la prova dell'esistenza di tale delega.
Si ricorda, infine, che in pur in presenza di un'eventuale delega, il M. sarebbe stato comunque chiamato a rispondere della propria responsabilità, che in presenza di delega viene estesa e non circoscritta.
Sul quarto motivo si rileva la violazione del principio di autosufficienza e l'in-fondatezza non evidenziandosi profili di abnormità nel comportamento del lavoratore.
Infine, sul quinto motivo, si rileva la legittimità della condanna alla provvisionale e l'inammissibilità ed infondatezza del motivo di ricorso non sussistendo alcun vizio motivazionale o violazione di legge dell'impugnato provvedimento.
Correttamente è stato ritenuto che nessun rilievo possono assumere le difficoltà economiche dell'imputato o la condotta imprudente della parte civile.
Chiede, pertanto, il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata con condanna alle spese del grado.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Per quel che rileva in questa sede, vanno ricordati i fatti di cui al presente processo come ricostruiti dalle sentenze di merito.
M.M., come illustrato in premessa, è stato imputato del reato di cui all'art. 590 co. 1, 2 e 3 cod. pen. nella duplice veste di legale rappresentante della IBM S.r.l. e dell'impresa individuale Costruzioni M., la prima fallita nel febbraio del 2014, la seconda chiusa a fine 2014.
Secondo l'accordo concluso nel dicembre del 2012, la Costruzioni M. noleggiava a freddo alla IBM S.r.l. diverse attrezzature, tra cui una pala gommata con benna impastatrice con conseguente sua messa a disposizione dei dipendenti di IBM tra i quali la persona offesa, C.A..
Sin dall'avvio dei lavori da parte della IBM S.r.l. presso il cantiere di Carate Brianza, avvenuto all'incirca due mesi prima dell'incidente, M.M., in qualità di datore di lavoro, aveva affidato a C.A. - che pure non era in possesso del patentino a tale scopo necessario - il compito di manovrare un macchinario comunemente chiamato bobcat, ovverosia un mini escavatore multifunzione che, in base alla tipologia dei lavori da effettuarsi, poteva essere agganciato ad altre attrezzature e che, nel caso di specie, veniva utilizzato congiuntamente ad una benna impastatrice-mescolatrice, che, come detto era stata noleggiata alla IBM S.r.l. dalla Costruzioni M. e la cui funzione naturale (come riferito nel corso del suo esame dal esame tecnico USL Vincenzo L.) era quella di impastare il conglomerato cementizio, operazione che, nello specifico, avveniva grazie ad una spirale elicoidale rotante, protetta, per ragioni di sicurezza, da una griglia di ferro, progettata per essere fissata alla benna mediante quattro bulloni, cosicché la stessa non potesse essere rimossa se non in vista di operazioni di manutenzione straordinaria.
Al termine della giornata lavorativa, tale benna impastatrice necessitava di essere pulita, posto che, durante l'utilizzo, il calcestruzzo tendeva a legarsi al materiale ferroso con il quale la stessa era costruita: tali operazioni dovevano essere effettuate facendo mescolare a secco della sabbia, la quale veniva successivamente ripulita con l'ausilio di acqua. La benna in discussione, peraltro, da quanto emerso in istruttoria, non era del tutto conforme al progetto originale e, a tal proposito, il tecnico dell'USL evidenziava la sua inidoneità a garantire la sicurezza dei lavoratori, dal momento che la griglia protettiva, progettata per essere fissa, era stata invece resa apribile, mediante l'aggiunta di una componente originariamente non prevista. Si trattava, in particolare, di un'asta telescopica agganciata a un tondino saldato al braccio dell'escavatore, che aveva lo scopo di mantenere sollevata la griglia e, quindi, di facilitare l'entrata e l'uscita del materiale nella benna (il giudice di primo grado richiama sul punto la fotografia n. 4 e le dichiarazioni del teste Stefan F. F., collega dell'infortunato).
Il giorno dell'Infortunio, avvenuto in data 9 luglio 2013, C.A. si trovava - insieme al collega F. Stefan F. - presso il cantiere sito in Carate Brianza ove, come ogni giorno, aveva manovrato il bobcat agganciato alla benna impastatrice. Nel corso dell'utilizzo, tuttavia, l'asta aggiuntiva, che permetteva di sollevare la griglia protettiva, si era rotta e aveva quindi costretto il C.A. e il F. a rimuovere del tutto la griglia, lasciando le eliche della benna prive di protezione.
Dal momento che, al termine di ogni utilizzo, la benna necessitava di essere pulita, in cantiere vigeva la regola - prescritta dallo stesso M. - che l'utilizzatore della benna doveva farsi carico, a fine giornata, della pulizia della stessa.
C.A., quindi, al fine di effettuare tale operazione di pulizia, saliva sul bobcat per versare la sabbia a tale scopo necessaria, nonché per accendere il motore dell'impastatrice, in modo tale da avviare la rotazione della spirale elicoidale. Il passo successivo per eseguire la pulizia doveva poi essere quello di versare dell'acqua all'Interno della benna, operazione che Imponeva all'operatore, se non assistito da un secondo soggetto, di scendere dal macchinario con il motore in funzione.
Ebbene, quel giorno, il C.A., aveva proceduto in completa autonomia alla pulizia, e, quindi, era sceso dal bobcat, operazione che lo stesso era solito compiere appoggiando i piedi sulla griglia protettiva, per poi calarsi dalla parte anteriore del macchinario. In assenza del consueto appoggio, tuttavia, il C.A. si vedeva costretto a scavalcare la benna, in quel frangente sfornita di protezione, in particolare appoggiando un piede sull'asta di ferro posizionata a metà della stessa.
Vista la precarietà dell'appoggio utilizzato, C.A. perdeva l'equilibrio e cadeva con la gamba destra all'interno della benna impastatrice, entrando a contatto con le eliche rotanti in quel momento in funzione, procurandosi una lesione traumatica dell'arto inferiore destro con frattura esposta di tibia e perone ed ampia ferita lacerocontusa, con vasto lembo mio-cutaneo in ragione della quale, oltre a sottoporsi a frequenti medicazioni e visite di controllo, anche dopo la dimissione dall'ospedale, risentiva di postumi tanto da indurlo in data 31.10.2013 a presentarsi spontaneamente al Pronto Soccorso dell'ospedale San Gerardo, ove riferiva di aver riscontrato la fuoriuscita di piccoli corpi estranei e secrezione sierosa dalla frattura biossea alla gamba destra causata da quella che era diagnosticata come fistola cutanea.
In data 18/7/2014, dunque a più di un anno di distanza dall'infortunio, il C.A. veniva sottoposto, con ricovero programmato, ad un nuovo intervento chirurgico, volto alla correzione del valgismo conseguente alla frattura e alla stabilizzazione di una pseudoartrosi tibiale mediante fissatore esterno circolare e bonifica del focolaio di pseudoartrosi, unitamente ad un innesto osseo e di concentrato midollare.
All'udienza del 10.1.2017, il C.A. dava conto dei postumi irreversibili derivati dall'infortunio subito all'età di 29 anni e, in particolare, riferiva che, nonostante l'ormai ultimata guarigione della frattura, non gli era più possibile correre e fare le scale, motivo per cui, pur continuando a svolgere la medesima professione, la sua capacità lavorativa era risultata di molto indebolita: del resto l'INAIL aveva costituito a suo favore una rendita annua a fronte di un grado di menomazione dell'Integrità psico-fisica pari al 18%.
3. M. M. era, quindi, imputato per il delitto di cui all'art. 590 co. 1, 2 e 3 cod. pen. sotto due distinti profili: da un lato, in relazione all'art. 23 co. 1 d.lgs. n. 81/2008, per avere noleggiato alla IBM S.r.l. - in qualità di legale rappresentante della ditta individuale Costruzioni M. - un'attrezzatura di lavoro non rispondente alla normativa vigente in materia di salute e sicurezza dei lavoratori e, dall'altro, in relazione agli artt. 71 co. I e 37 co. 1 d.lgs. n. 81/2008, per aver omesso - in qualità di legale rappresentante della IBM S.r.l e, quindi, di datore di lavoro del C.A.- di adottare tutte le misure necessarie per la salute e sicurezza dei lavoratori e, in particolare, per aver messo a disposizione del lavoratore infortunato un'attrezzatura priva dei necessari requisiti di sicurezza, nonché per non aver impartito al lavoratore infortunato un'adeguata formazione in rapporto alla sicurezza del lavoro.
Quanto alla condotta commissiva, viene ricordato dai giudici di merito come, ai sensi dell'art. 23 co. 1 d.lgs. n. 81/2008 - posto all'interno del Titolo I disciplinante i "Principi Comuni" della materia - sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza del lavoro.
M., in qualità di legale rappresentante della ditta individuale a suo nome, aveva noleggiato alla IBM S.r.l. una benna impastatrice del tutto inidonea a garantire la salute e sicurezza dei lavoratori come esposto in precedenza e confermato dal tecnico USL (della non conformità della benna impastatrice in uso a C.A. con il progetto originario del fabbricante a causa della trasformazione della griglia posta a protezione della spirale elicoidale rotante della benna, concepita come fissa e invece resa apribile per facilitare l'ingresso e la fuoriuscita dei materiali) che aveva certamente reso l'attrezzatura de qua potenzialmente dannosa o, quantomeno, pericolosa per l'utilizzatore, in aperta violazione di quanto imposto dalla normativa di settore.
Quanto all'attribuibilità della suddetta modifica all'imputato la stessa, già per il giudice di primo grado, risultava evidente dal fatto che la benna presentava evidenti segni di usura il che doveva far ritenere che la modifica fosse avvenuta ben prima dei sei mesi precedenti all'Infortunio e cioè ben prima della stipula dell'accordo di noleggio tra la IBM e la ditta individuale. Inoltre tanto C.A. quanto il teste F. avevano riferito in dibattimento che tale attrezzatura era stata messa loro a disposizione con la griglia già "resa apribile" per facilitarne l'utilizzo e la successiva pulizia e il tecnico USL aveva escluso che tale modifica potesse essere stata realizzata direttamente in cantiere dai dipendenti della IBM.
Tanto premesso, e accertato che le lesioni erano state materialmente cagionate dalla spirale elicoidale rotante presente alll'interno della benna (cd. causalità materiale), già il primo giudice aveva valutato in senso sfavorevole all'odierno ricorrente se l'aver noleggiato alla IBM un'attrezzatura non idonea ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, in quanto modificata rispetto al progetto originario del costruttore, avesse avuto una efficienza causale rispetto alle lesioni riportate da C.A..
La conclusione era stata che, se M., in qualità di legale rappresentante della Costruzioni M., non avesse noleggiato alla IBM un'attrezzatura modificata, l'incidente occorso a C.A. non si sarebbe verificato e, di conseguenza, lo stesso non avrebbe riportato le lesioni sopra descritte.
Tale dato, già secondo la prima sentenza di merito, poteva essere pacificamente desunto sulla base dei seguenti elementi: 1. in primis, tanto l'infortunato, quanto il collega F. e il tecnico dell'A.S.L. all'udienza del 10.1.2017 avevano riferito che, in assenza dell'asta metallica aggiunta alla griglia di protezione per renderla apribile, la stessa griglia non avrebbe potuto rompersi con quelle modalità e, quindi, non avrebbe dovuto essere rimossa, in fase di pulizia, da C.A.; 2. in secondo luogo, i suddetti C.A., F. e L. hanno altresì dichiarato che se la griglia protettiva non avesse dovuto essere rimossa, l'infortunato, nel scendere dal bobcat, avrebbe potuto appoggiare il piede sulla griglia, e che ciò avrebbe impedito a C.A. di entrare a contatto con la spirale elicoidale rotante che aveva materialmente cagionato le gravi lesioni.
Quanto alle due condotte omissive contestate il primo giudice partiva da quella di non avere messo a disposizione dei lavoratori un'attrezzatura conforme ai requisiti di sicurezza previsti dal costruttore, contrariamente a quanto previsto dall'art. 71 co. 1 d.lgs. n. 81/2008.
A questo proposito, veniva ritenuto di palese evidenza ché la benna impastatrice messa a disposizione di C.A. era del tutto sfornita dei minimi requisiti di sicurezza.
Tale dato trovava, del resto, pacificamente conforto nel fatto - come confermato dal tecnico dell'A.S.L che il costruttore, vista l'estrema pericolosità della spirale elicoidale rotante posta all'interno della benna impastatrice, avesse previsto la fissità della griglia protettiva.
Già il primo giudice aveva ritenuto che laddove il costruttore - nonostante le complicazioni derivanti, in termini di utilizzo dalla presenza della griglia - aveva comunque deciso di prevederla, addirittura come parte irremovibile del macchinario se non a fronte di straordinarie esigenze di manutenzione, era perché tale dispositivo di protezione si rivelava assolutamente necessario per garantire gli standard di sicurezza necessari.
Per quel che concerneva, invece, la seconda delle condotte omissive contestate al capo di imputazione, e cioè il non aver impartito C.A. una formazione adeguata in rapporto alla sicurezza del lavoro, anche in questo caso veniva dato atto sin dalla prima pronuncia di merito che nel corso dell'istruttoria era emerso del tutto pacificamente (il richiamo era alle deposizioni di C.A. e di Stefan Florín F. all'udienza del 10.1.2017) che M. - contrariamente a quanto dallo stesso affermato - aveva espressamente adibito C.A. all'utilizzo del bobcat agganciato alla benna impastatrice senza alcuna formazione, e che, al di là di questo, il lavoratore, era altresì sprovvisto dello specifico patentino necessario per manovrare macchinari di tal genere, come confermato da tutti i testi e dallo stesso M..
Indubbia, per il primo giudice, la posizione di garanzia rivestita da M. al quale pertanto competevano gli obblighi di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature, conformi alla normativa antinfortunistica e di assicurare a ciascun lavoratore una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza; l'istruttoria aveva consentito di accertare come il datore di lavoro non avesse operato alcuna delega di funzioni in capo a soggetti terzi appartenenti alla compagine societaria. Ciò ancorché in sede di esame il M. avesse dichiarato che F., pur in assenza di una delega di funzioni, in qualità di suo preposto, impartiva in concreto gli ordini ai lavoratori e si occupava dell'organizzazione generale dei lavori, circostanza peraltro smentita dallo stesso F..
Ad ogni buon conto, come ricorda la sentenza impugnata, già il primo giudice ricordava che la totale assenza della formazione necessaria in capo a F. (dato pacificamente ricavabile dalla deposizione dello stesso) doveva porsi alla base dell'esclusione di una ipotetica interruzione del nesso causale tra le condotte di M. e le lesioni riportate da C.A. (cfr. anche l'ari. 2 lett. e) d.lgs. n. 81/2008, ai sensi del quale il preposto è colui che, in ragione delle competenze professionale e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori).
Veniva dato atto che l'istruttoria dibattimentale aveva permesso, da un lato, di concludere a favore della sussistenza del nesso eziologico tra la mancata formazione e l'evento lesivo occorso a C.A., e, dall'altro, di consentire di confutare una delle principali argomentazioni prospettate in sede di conclusioni dalla difesa di M., secondo la quale, nel caso di specie, il lavoratore aveva tenuto un comportamento a tal punto abnorme da interrompere il nesso di causalità tra le condotte poste in essere dall'imputato e l'evento lesivo.
Ricorda ancora la sentenza impugnata come il giudice di primo grado, richiamando i principi espressi da questa Corte di legittimità aveva osservato che sebbene il comportamento tenuto da C.A. era stato effettivamente contrario alle basilari regole di sicurezza prescritte per manovrare il boscata, lo stesso non potesse, per ciò solo, essere qualificato come del tutto imprevedibile. Al contrario, la mancata formazione in capo al lavoratore - il quale era comunque sprovvisto del patentino necessario a manovrare quella tipologia di macchinario —avrebbe dovuto rendere del tutto prevedibile la possibilità che C.A. utilizzasse il bobcat e la relativa benna impastatrice in maniera totalmente errata.
Del resto, lo stesso art. 20, co. 1 del d.lgs. n. 81/2008, nel prevedere che ogni lavoratore debba prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, dispone, tuttavia, che tale obbligo operi conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e mezzi forniti dal datore di lavoro.
Per tali ragioni, il primo giudicante aveva ritenuto che il comportamento tenuto da C.A., il quale, oltre a non avere ricevuto una formazione adeguata e sufficiente, era stato espressamente adibito dall'imputato all'utilizzo di tale macchinario, non potesse considerarsi sufficiente ad interrompere il nesso causale tra le condotte di M. e l'evento lesivo.
Quanto all'elemento soggettivo, a dire del primo giudice, appariva del tutto evidente come la condotta tenuta da M. integrasse entrambi i profili della colpa generica e specifica; l'imputato - nella sua duplice veste di titolare della Costruzioni M. e di legale rappresentante della IBM S.r.l. - aveva agito, come già ampiamente esplicitato, nella più totale inosservanza delle regole preventive e cautelari previste dalle norme antinfortunistiche specificamente finalizzate a prevenire le lesioni, se non addirittura la morte, dei prestatori di lavoro e, in particolare, in aperta violazione degli artt. 23 co. 1, 71 co. I e 37 co. I d.lgs. n. 81/2008.
4. In sede di gravame del merito l'odierno ricorrente aveva proposto alla Corte territoriale gran parte delle questioni che ripropone in questa sede di legittimità, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata.
Ed invero, il difensore aveva chiesto l'assoluzione dell'imputato, assumendo, sia per la condotta commissiva che per quella omissiva, da un lato che la griglia era stata rimossa dai lavoratori e dall'altro che la gestione del cantiere era stata delegata a F. che pertanto doveva essere ritenuto quale preposto di fatto, nonché per mancanza del nesso causale dato il comportamento abnorme del lavoratore infortunato. Aveva chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche; 3) la diminuzione della pena anche in relazione all'insussistenza delle aggravanti contestate.
Ebbene, il primo motivo dell'odierno ricorso, con cui si reitera la doglianza circa la mancanza di prova che dall'istruttoria fosse emersa con certezza la riconducibilità della modifica del macchinario è infondato.
Con motivazione logica e congrua, infatti, la sentenza impugnata dà conto delle ragioni per cui i giudici del gravame del merito hanno ritenuto che le modifiche sulla benna non potessero essere state effettuate direttamente sul cantiere: il grado di usura dell'asta esattamente identico a quello dell'intero macchinario risalente a cinque anni prima (il cantiere risaliva ad appena sei mesi prima) e la mancanza di competenze specifiche per la realizzazione delle modifiche da parte degli operai, addetti unicamente allo svolgimento di operazioni manuali organizzate e dirette dallo stesso M..
Come si legge in sentenza, dalla descrizione del fatto come accertato nel corso del dibattimento e, in particolare, dall'analisi offerta da Vincenzo L., tecnico USL, è risultato in modo chiaro e indiscutibile che la benna impastatrice fornita dalla Costruzione M. alla IBM s.r.l. e utilizzata dalla persona offesa nel cantiere di Carate Brianza, era difforme dal progetto originario poiché modificata in una sua parte essenziale e cioè con la rimozione della griglia fissa e quindi con una potenzialità lesiva per chi tale attrezzatura doveva utilizzare dato che tale griglia era stata predisposta proprio a presidio della sicurezza degli addetti.
La Corte territoriale ha argomentatamente confutato la tesi difensiva secondo cui la modifica della benna era stata effettuata dai lavoratori, sul rilievo che tale assunto, non solo è risultato privo di riscontro alcuno, ma è smentito sia dalle dichiarazioni dei testi C.A. e F., sia dalle dichiarazioni del tecnico Usi che, osservando il macchinario, aveva riscontrato l'usura della parte sostituita incompatibile con una modifica avvenuto nei sei mesi precedenti all'infortunio e cioè allorché la Costruzioni M. l'aveva data a nolo alla IBM: la modifica era cioè, a dire di L., avvenuta assai prima che C.A. e F. avessero a disposizione il macchinario con la duplice conseguenza che, da un lato, la predetta modifica doveva essere stata effettuata dalla Costruzioni M. e non certo all'insaputa del titolare e, dall'altro, che al momento del noleggio M. M. era perfettamente a conoscenza della circostanza.
Del resto, era stato anche logicamente rilevato che, se, come emerso in dibattimento, né C.A. né F. erano stati formati all'utilizzo del macchinario di cui si tratta, è impensabile che addirittura potessero avere le competenze per modificarlo compiendo delle operazioni per niente facili e banali e cioè rimuovere la griglia protettiva fissata da bulloni, munire il macchinario di un'asta telescopica agganciata a un tondino saldato al braccio dell'escavatore.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
5. Escluso quindi la modifica ad opera dei lavoratori, l'odierno ricorrente rivestiva una duplice posizione di garanzia.
Quale titolare dell'impresa noleggiante, infatti, avrebbe dovuto evitare di dare a nolo un macchinario modificato in modo così significativo per quanto concerne la sicurezza dei lavoratori. E quale datore di lavoro avrebbe dovuto porre a disposizione dei propri dipendenti, adeguatamente formati, dei mezzi di lavoro sicuri.
Il datore di lavoro - non va dimenticato- è il garante primario della sicurezza del lavoratore, in quanto titolare di un rapporto di lavoro o comunque dominus di fatto dell'organizzazione dell'attività lavorativa.
Corretto è il rilievo della Corte territoriale secondo cui il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa, tale obbligo dovendosi ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 cod. civ., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40, comma 2, cod. pen.
L'obbligo dei titolari della posizione di sicurezza in materia di infortuni sul lavoro è articolato e comprende non solo l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate nonché il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione.
Appare priva di fondamento l'osservazione difensiva sul nesso di causalità e sulla mancata risposta dell'impugnato provvedimento alla circostanza che il sinistro avveniva a seguito della completa rimozione della griglia di copertura da parte degli operai e non della modifica operata al bobcat.
La Corte di appello, nell'analizzare la sussistenza del nesso di causalità, ha chiaramente evidenziato che la rottura della griglia di protezione non sarebbe avvenuta ove preliminarmente non fosse stata operata la modifica per renderla aprirle, come emerso dalle testimonianze, oltre che degli operai, del tecnico USL.
Inoltre, ove la griglia non fosse stata rimossa, il C.A. nello scendere dal mezzo avrebbe poggiato il piede proprio sulla griglia.
La sentenza impugnata opera un buon governo della giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità secondo cui la concorrente responsabilità del datore di lavoro non vale ad escludere la responsabilità del costruttore e del progettista di macchinari che risultino ab origine difettosi o mancanti di misure di protezione a norma sin dal momento della commercializzazione.
Questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito che, qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi (così Sez. Un. n. 1003 del 23/11/1990 dep. 1991, Tescaro, Rv. 186372; conf. Sez. 4, n. 2494 del 3/12/2009 dep. 2010, Castelletti, Rv. 246162). E costituisce ius receptum anche il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare tale macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio di progettazione, che non consentano di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (così Sez. 4 , n. 1184 del 3/10/2018 dep. 2019, Motta Pelli s.r.l., Rv. 275114 in una fattispecie relativa a macchinario privo di "carter" di protezione, in cui la Corte ha ritenuto che il pericolo era evidentemente riconoscibile con l'ordinaria diligenza, dovendo gli organi in movimento dei macchinari essere sempre segregati per evitare contatti pericolosi con la persona del lavoratore; conf. Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen., per avere messo a disposizione del lavoratore un macchinario, specificamente una pressa, privo dei necessari presidi di sicurezza, in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze del predetto macchinario, anche attraverso una adeguata azione di manutenzione, nella specie effettuata senza carattere di sistematicità; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne ed altro, Rv. 259229).
La responsabilità del costruttore, nell'ipotesi in cui l'evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, in altri termini, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro utilizzatore della macchina, giacché questi è obbligato ad eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati ad avvalersi della macchina. A tale regola, fondante la concorrente responsabilità del datore di lavoro, si fa eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza, per esempio, allorquando il vizio riguardi una parte non visibile e non raggiungibile della macchina (Sez. 4, n. 1216 del 26/10/2005 dep. 2006, Mollo, Rv. 233174-5).
Per contro, il costruttore non risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza (obbligo su di lui incombente per il disposto dell'articolo 7 d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547), se l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento (per esempio, nel caso di una totale trasformazione strutturale della macchina). Il che, tuttavia, come più volte detto, non è provato nel caso che ci occupa, ove, invece, una pluralità di inizi depone perché la modifica sia stata operata prima del noleggio del macchinario.
6. Infondati appaiono il secondo e il terzo motivo di ricorso.
La Corte distrettuale ha ampiamente motivato sull'impossibilità di considerare valida la tesi difensiva di attribuzione della qualifica di preposto di fatto al F..
Il giudice del gravame del merito evidenzia come, quanto alla presunta delega di fatto di cui, a dire dell'imputato, sarebbe stato investito F. Stefan F., in atti non vi e alcun elemento significativo che depone in tal senso. Anzi sulla base delle dichiarazioni rese in dibattimento è risultato che tanto F. quanto C.A. erano due operai privi di formazione che svolgevano un lavoro diretto, quanto alle modalità operative, proprio da M. M. che, a tal fine, era solito, come dallo stesso ammesso, recarsi personalmente in cantiere.
Anche a voler ritenere che il F. fosse tra i due un operaio più esperto, è di palmare evidenza che era privo della possibilità di incidere nella fase preparatoria ed organizzativa del lavoro mettendo a disposizione macchinari e attrezzature idonee assicurandosi che gli operai ricevessero un'adeguata formazione al loro uso. Queste sono, infatti, le condotte contestate al ricorrente che, al di là di una generica contestazione, non ha fornito la prova di aver adempiuto all'obbligo di formazione dei propri dipendenti.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi regolatori, stabiliti da questa Corte, in tema di delega in materia di sicurezza.
Questa Corte di legittimità ha costantemente evidenziato come in materia di violazione della normativa antinfortunistica, gli obblighi di cui è titolare il datore di lavoro ben possono essere trasferiti ad altri sulla base di una delega, purché espressa, inequivoca e certa (Sez. 4, n. 8604/2008, Rv. 238970; Sez. 4, n. 12800/2007, Rv. 236196; Sez. 4, n. 9343/2000, Rv. 216727).
Ciò, tuttavia, a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 d.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (vedasi Sez. 4, n. 4350 del 16/12/2015 dep.il 2016, Raccuglia, Rv. 265947).
Tuttavia deve essere chiaro che la delega di funzioni - ora disciplinata precipuamente dall'art. 16 d.lgs. 81/08 non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.
Va anche precisato che tale delega, tuttavia, laddove rilasciata a soggetto privo di una particolare competenza in materia antinfortunistica e non accompagnata dalla dotazione del medesimo di mezzi finanziari idonei a consentirgli di fare fronte in piena autonomia alle esigenze di prevenzione degli infortuni, non è sufficiente a sollevare il datore di lavoro dai propri obblighi in materia e a liberarlo dalla responsabilità per l'infortunio conseguito alla mancata predisposizione dei necessari presidi di sicurezza (cfr. Sez. 4, n. 7709/2007, Rv. 238526; Sez. 4, n. 38425/2006, Rv. 235184).
In particolare, in ipotesi di delega di funzioni spettanti al datore di lavoro, è necessario verificare in concreto che il delegato abbia effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro, indipendentemente dal contenuto formale della nomina (Sez. 4, n. 47136/2007, Rv. 238350).
Tuttavia, questo deve essere chiaro, anche la nomina di un preposto, con specifica delega, non manda esente da responsabilità ex se il datore di lavoro.
E' stato, infatti, chiarito, che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adempie agli obblighi derivanti dalle norme di sicurezza l'imprenditore che, dopo l'avvenuta scelta della persona preposta al cantiere o incaricata dell'uso degli strumenti di lavoro, non controlla o - se privo di cognizioni tecniche - non fa controllare la rispondenza dei mezzi usati o delle attrezzature ai dettami delle norme antinfortunistiche. In tal caso, infatti, la presenza e la eventuale colpa del preposto non eliminano la responsabilità dell'imprenditore potendosi ritenere che l'infortunio non sarebbe occorso se il datore di lavoro avesse controllato e fatto controllare le attrezzature, le macchine e predisposto i mezzi idonei a dotarle dei requisiti di sicurezza mancanti, conferendo al preposto - come suo "alter ego” - non solo la generica delega a sorvegliare lo svolgimento del lavoro in cantiere ma anche dotandolo dei poteri di autonoma iniziativa - anche eventualmente di spesa - di modifica delle condizioni di lavoro, delle fasi e dei tempi del processo lavorativo - per l'adeguamento e l'uso, in condizioni di sicurezza, dei mezzi forniti (ancora attuale, sul punto, è il pur risalente precedente costituito da sez. 4, n. 523 del 26/11/1996, Rv. 206644).
In definitiva, va riaffermato il principio che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. 2015, Ottino, Rv. 263200). E che, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
Ciò in quanto, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così questa Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).
Si riscontrano, ad esempio, con frequenza, casi di operai che intervengono abitualmente sui macchinari effettuando una manutenzione "fai da te", che riduce i presidi di sicurezza.
Questa prassi, che peraltro potrebbe essere sintomatica non di mera omissione della sorveglianza da parte del datore di lavoro, bensì dell'avallo di siffatto modus operandi in funzione di una maggiore efficienza produttiva e soprattutto di un risparmio di spesa, difficilmente esonera datore di lavoro e preposto da una responsabilità in concorso.
7. Sul quarto motivo di ricorso - anch'esso infondato- va osservato che l'impugnata sentenza ha correttamente escluso l'incidenza del comportamento del lavoratore sull'esclusione del nesso causale tra la condotta contestata al datore di lavoro e fornitore del macchinario e il sinistro verificatosi.
Se anche può ravvisarsi una condotta imprudente da parte del lavoratore nello scendere dal mezzo, dal quale era stata completamente eliminata la griglia a seguito della sua rottura, certamente lo stesso comportamento non può essere considerato abnorme rispetto alle mansioni affidategli e alle modalità di espletamento delle stesse all'interno del cantiere.
Le stesse modalità lavorative appaiono tra l'altro gravemente improntate all'improvvisazione degli stessi operai addetti senza alcuna formazione in tema di sicurezza ed utilizzo dei macchinari.
Pertanto, la possibilità del verificarsi dell'Incidente, che poi si è realizzato, appare purtroppo addirittura prevedibile.
In altri termini, come rileva la sentenza impugnata, nel caso in esame, seppure il comportamento del lavoratore infortunato possa essere stato imprudente, esso comunque non rientra nel concetto di abnormità ed eccezionalità in considerazione delle mansioni a cui egli era stato preposto proprio dall'imputato. Inoltre l'aver consentito che C.A. usasse una macchinario per il quale era sprovvisto di abilitazione, la mancanza di qualsivoglia formazione e informazione, nonché l'accertata modifica del mezzo caratterizzano il comportamento del M. la cui condotta deve essere considerata la principale causa dell'incidente. L'aver consentito l'utilizzo di un macchinario modificato come sopra specificato e l'aver omesso i comportamenti doverosi in materia di sicurezza e prevenzione degli infortuni rendono per i giudici del merito l'odierno ricorrente M. responsabile del reato contestato indipendentemente dal comportamento in concreto tenuto dal lavoratore.
La sentenza impugnata, in tal senso, si colloca nell'alveo della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cosi, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perché il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
Di rilievo, in tal senso, è anche il recente dictum di Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. 2019, Musso, Rv. 275017 che ribadisce che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).
8. In ultimo, va rilevata l'infondatezza delle ulteriori doglianze.
In punto di dosimetria della pena l'onere di motivazione è stato pienamente assolto laddove si dà atto, nella sentenza impugnata, che la pena irrogata si discosta sensibilmente dal minimo edittale in considerazione della gravità del danno fisico permanente riportato dal C.A., anche alla luce del comportamento processuale del M. che ha tentato di addossare al F. le proprie responsabilità.
La pena, per la Corte territoriale è "adeguata e proporzionata al fatto e al comportamento assunto dall'imputato", anche in relazione al diniego delle attenuanti generiche.
La sentenza impugnata pone l'accento sulla mancanza di assoluta resipiscenza da parte dell'imputato il quale nello stesso atto d'appello afferma di non riconoscersi responsabile dell'accaduto come se non fosse ancora consapevole dei doveri che, come datore di lavoro e noleggiatore del macchinario sul quale era avvenuto l'incidente, gli incombevano come cioè se aver fornito un mezzo privato degli strumenti di protezione e l'aver omesso qualsiasi formazione ai lavoratori che lo manovravano senza essere in possesso del relativo patentino non fosse per lui causa di responsabilità.
Condivisibile è il rilievo operato dalla Corte territoriale secondo cui nessun rilevo possono assumere, ai fini della disposta provvisionale, le difficoltà finanziarie di M., argomento che viene reiterato in questa sede.
In ogni caso, va evidenziato sul punto che in relazione alla provvisionale, la doglianza proposta si palesa inammissibile atteso che secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità la determinazione della provvisionale, in sede penale, ha carattere meramente delibativo e può farsi in base a giudizio presuntivo, derivandone che detta valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto e conseguendone che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura pronuncia provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato, destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento del danno (così Sez. Un. n. 2246 del 19/12/1990 dep. 1991, Capelli, Rv. 186722; conf. Sez. 5, n. 40410 del 18/3/2004, Farina ed altri, Rv. 230105; Sez. 5, n. 5001 del 17/1/2007, Mearini ed altro, Rv. 236068; Sez. 4, n. 34791 del 23/6/2010, Mazzamurro, Rv. 248348; Sez. 5, n. 32899 del 25/5/2011, Mapelli e altri, Rv. 250934; Sez. 2, n. 49016 del 6/11/2014, Patricola ed altri, Rv. 261054; Sez. 3, n. 18663 del 27/1/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536).
Il ricorrente, dunque, non può dolersi né del difetto di motivazione e nemmeno potrebbe di un'eventuale abnormità, poiché dispone di ogni possibilità di difesa nella sede civile di liquidazione definitiva del danno.
9. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza sostenute dalla parte civile C.A., liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2020