Cassazione Penale, Sez. 4, 01 marzo 2021, n. 7931 - Lavoratore distaccato investito dal carrello elevatore. Responsabilità del distaccatario
1. La Corte di appello di Torino il 14 marzo 2019, in parziale riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Torino il 5 giugno 2017, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto D.G. ed A.C. responsabili del reato di lesioni colpose gravissime, in cooperazione colposa tra loro, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti di C.P., fatto commesso il 16 ottobre 2013, condannando ciascuno alla pena di otto mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni alle parti civili (vittima e congiunti, con assegnazione di provvisionale), ha così stabilito: riconosciute ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sull'aggravante, quanto ad A.C., in accoglimento di proposta concordemente avanzata dal P.G. e dalla difesa ai sensi dell'art. 599-bis cod. proc. pen., ha rideterminato la pena in quella di sei mesi di reclusione, convertiti in un anno di libertà controllata; quanto all'odierno ricorrente, D.G., appunto previo riconoscimento delle generiche prevalenti sull'aggravante, ha rideterminato la sanzione in sei mesi di reclusione ed ha eliminato la subordinazione, che era stata disposta in primo grado, della sospensione condizione al pagamento della provvisionale; con conferma quanto al resto.
2. I fatti, in sintesi, come concordemente ricostruiti dai giudici di merito.
2.1. Il 16 ottobre 2013 C.P., socio lavoratore della s.c.a.r.l. "Italia lavoro", in distacco a tempo pieno presso la sede della s.p.a. "Geodis Zust Ambrosetti" in magazzino con mansioni di responsabile delle partenze nazionali, ha patito un grave infortunio sul lavoro, che ha determinato l'amputazione parziale della gamba sinistra sotto il ginocchio.
In particolare, C.P., mentre, proveniente dalla zona ristoro e diretto alla zona partenze, stava percorrendo a piedi, all'interno dell'area stoccaggio magazzino nazionale nell'immobile della soc. "Geodis", un'apertura che era adibita non solo al passaggio dei pedoni ma anche dei mezzi, veniva investito da un carrello elevatore condotto da C.L.H., altro socio lavoratore della "Italia Lavoro" in distacco permanente presso la "Geodis", che, provenendo dall'area "arrivi", invadeva la corsia destinata i pedoni e, subito dopo una curva del percorso, travolgeva con la ruota destra la gamba sinistra, trascinando il malcapitato per circa due metri e maciullando l'arto.
Il passaggio all'interno del quale è avvenuto l'incidente era promiscuamente adibito a mezzi e a pedoni, la corsia per il passaggio pedonale era - sì - segnata a terra ma sita ad una distanza di sicurezza ritenuta dai giudici di merito insufficiente rispetto al corridoio destinato ai mezzi semoventi, corridoio quest'ultimo che era privo di specchi a parabola o di impianti semaforici volti a regolare il transito e già di per sé di larghezza insufficiente, larghezza che era in concreto ulteriormente ridotta dalla chiusura di uno dei due battenti del cancello in metallo posto a separare tale area dall'area "arrivi", poiché dietro i battenti era stata depositata una scaffalatura e delle pedane costituenti ingombro (circostanza quest'ultima direttamente constata dagli ispettori della A.S.L., intervenuti immediatamente sul luogo dell'infortunio mentre ancora i soccorritori erano intenti a stabilizzare le condizioni del ferito).
2.2. Tale situazione di fatto, di parziale ingombro del passaggio in corrispondenza del cancello, era nota a D.G. , perché - si legge alle pp. 5-6 della sentenza di primo grado, «risulta [...] che S., in quanto responsabile del magazzino, ricevesse e-mail dalla Geodis per segnalargli la mancata completa apertura del cancello. D.G. talvolta entrava nel magazzino - poiché in locali attigui si trovavano anche gli uffici della Geodis - e, vedendo il cancello semichiusi, provvedeva a tali segnalazioni ( cfr. teste S., p. 63). I suoi ingressi nel magazzino erano quindi sporadici e casuali ("quando capitava"), poiché determinati dalla necessità di accedere agli uffici e non direttamente dalla volontà di controllare lo stato dei luoghi»; si sottolinea (p. 7) avere D.G. solo esortato genericamente i dipendenti a mettere a posto la situazione, senza, tuttavia, curarsi della effettiva ottemperanza.
Nella sentenza di appello (pp. 20-22) si legge che gli uffici amministrativi della "Geodis" erano attigui al reparto e che anche il personale delle soc. "Geodis" accedeva al reparto per effettuare controlli di qualità sulle merci o in caso di anomalie nella gestione degli ordini di trasporto; si evidenzia in modo particolare (p. 22) non essersi l'imputato adoperato, in qualità di committente, per avviare la risoluzione del contratto, essendo palesi le irregolarità in tema di sicurezza sul lavoro, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito.
2.3. La posizione di garanzia di D.G. è fondata sull'essere lo stesso procuratore speciale, con delega in materia di sicurezza sul lavoro, rilasciata in data anteriore all'evento, della s.p.a. "Geodis Zust Ambrosetti", società proprietaria dell'immobile adibito a magazzino in cui si svolgeva l'attività lavorativa di movimentazione e committente di tale attività, affidata in appalto al "Consorzio Conseurope", cui apparteneva la società cooperatrice "Italia Lavoro" (mentre A.C. era amministratore unico della s.c.a.r.l. "Italia Lavoro").
2.4. A carico di D.G. sono stati ritenuti sussistenti profili di colpa sia generica (art. 20287 cod. civ.) che specifica, quest'ultima con riferimento agli artt. 64, comma 1, lett. a), in relazione all'art. 63, comma 1 (per avere omesso di attivarsi affinché l'area di stoccaggio magazzino nella quale è avvenuto l'infortunio presentasse i requisiti essenziali di sicurezza quanto a zone di circolazione, passaggi e pavimenti), 26, comma 2, lett. a) (per avere omesso di cooperare all'attuazione delle misure di protezione prevenzione infortuni sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto di appalto), e 18, comma 1, lett. f), del d. lgs. 9 aprile 20028, n. 81 (per avere omesso di porre in essere un sistema si sorveglianza che verificasse l'applicazione delle disposizioni aziendali esplicitate nei documento DVR e DUVRI).
3. Ricorre per la cassazione della sentenza D.G., tramite difensore di fiducia, affidandosi a quattro motivi, con i quali denunzia violazione di legge (tutti) e difetto di motivazione (il primo, il secondo e l'ultimo motivo).
3.1. Con il primo motivo, in particolare, lamenta violazione della legge penale con riferimento ai profili di colpa generica ascritti all'imputato e, nel contempo, motivazione contraddittoria e/o omessa in ordine agli argomenti che sul punto erano stati dedotti nell'atto di appello.
3.1.1. Richiamate le ragioni dei giudici di merito in tema di sussistenza di colpa generica, con particolare riferimento alla mancata attivazione da parte di D.G. dei poteri anche repressivi, volti cioè alla risoluzione del contratto tra la "Geodis Zust Ambtosetti" s.p.a., da un lato, e la cooperativa "Italia Lavoro", dall'altro, si censura tale passaggio motivazionale per omissione di pronunzia e per illogicità, avendo ignorato il «rilievo difensivo, esposto nell'atto di appello, secondo cui, nell'ambito di una società multinazionale complessa e gerarchizzata come quella di cui trattasi (una delle maggiori operanti nel campo della logistica a livello mondiale), una deliberazione di tal genere non avrebbe mai potuto essere assunta autonomamente da un soggetto delegato in materia di sicurezza» (così alla p. 4 del ricorso; il riferimento è alla p. 5 dell'atto di appello).
3.1.2. Inoltre, la situazione di ingombro in prossimità del cancello all'interno del magazzino sarebbe da attribuire interamente alla società cooperativa "Italia Lavoro", non essendo dall'istruttoria dibattimentale emerso che D.G. D.G. sia venuto a conoscenza della specifica criticità che ha generato l'evento lesivo, in quanto i "richiami all'ordine" effettati da parte dello stesso in precedenti occasioni di cui si parla nella sentenza, ad avviso della difesa, «non possono tener luogo dell'accertamento (esso, invece, mancante) circa la conoscenza da parte del dott. D.G. della specifica circostanza che si è rilevata essenziale nella causazione dell'infortunio (appunto, l'ingombro di merci posate dalla Cooperativa che non consentivano la completa apertura del cancello di transito tra due aree del magazzino logistico)» (così alla p. 5 del ricorso).
3.1.3. Ancora: la sentenza sarebbe contraddittoria nella misura in cui cita, a /' sostegno delle proprie conclusioni, alle p. 22-23, precedenti di legittimità (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272221-01; Sez. 4, n. 27296 del 02/12/2016, dep. 2017, Vettor, Rv. 270100-01) che, a ben vedere, avvalorano proprio le ragioni esposte dalla difesa nei motivi di appello, in quanto affermano che il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro - committente non può consistere in un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento del lavoro.
3.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente censura erronea applicazione della legge penale con riferimento ai profili di colpa specifica di cui agli artt. 64, comma 1, lett. a), 26, comma 2, lett. a), e 18, comma 1, lett. f), del d. lgs. n. 81 del 2008, nonché contraddittorietà e mera apparenza della motivazione sul punto.
Premette il ricorrente che la sentenza impugnata si limiterebbe reiterare le argomentazioni del Tribunale e dimostrerebbe di non avere colto le implicazioni della corretta nozione di responsabilità dell'appaltatore, e ciò soprattutto con specifico riferimento all'ipotesi di interferenza in tema di appalto.
3.2.1. Quanto alla ritenuta violazione dell'art. 64, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 81 del 2008, rammenta il ricorrente che la Corte di appello ha affermato l'infondatezza delle tesi difensiva circa la estraneità della società committente e, quindi, del dr. D.G., alle operazioni di movimentazione delle merci, richiamando - ma in maniera che la difesa stima inconferente - le disposizioni del contratto di appalto stipulato tra "Zust Ambrosetti" e "Conseurope", cui appartiene ""Lavoro Italia", quanto alla ripartizione dei compiti tra committente ed appaltatore.
In realtà, ad avviso del ricorrente, le sentenze di merito avrebbero dovuto analizzare l'incidenza delle condotte contestate al dr. D.G. nella eziologia dell'infortunio piuttosto che la inidoneità delle "contro-misure" adottate dall'imputato e dalla società dello stesso rappresentata a fronte delle irregolarità poste in essere in precedenti occasioni dalla Cooperativa subappaltatrice nella movimentazione delle merci; « - sulla base del consolidato orientamento giurisprudenziale richiamato dalla sentenza, e già citato nel motivo che precede
- dal committente non può esigersi una ingerenza continua e pressante sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori appaltati, che anzi, laddove sussistente, avrebbe potuto correttamente implicare la responsabilità del dott. D.G. in materia infortunistica» (così alla p. 8 del ricorso).
Né sarebbe stata verificata da parte dei giudici di merito la concreta incidenza delle violazioni contestate all'imputato a titolo di colpa specifica nella verificazione dell'evento lesivo così come accaduto; ed avendo le stesse sentenze di merito individuato, come principale causa dell'infortunio, la mancata apertura totale del cancello, siccome impedita dalla presenza di merce accumulata in maniera scorretta, si è trascurato che si tratta di «circostanza che va riferita esclusivamente, ed ovviamente, alla sfera di operatività della cooperativa subappaltatrice [...] con tutto ciò che ne deriva in ordine all'impossibilità di ascrivere qualsivoglia responsabilità in capo al dr. D.G.» (così alla p. 9 del ricorso).
3.2.2. In relazione alla ritenuta violazione dell'art. 26 del d.lgs. n. 81 del 2008, la Corte di appello, oltre a richiamare (alla p. 31) una sentenza di legittimità (Sez. 4, n. 27306 del 18/04/2017, Brivio, Rv. 270188-01) che si stima inconferente, si sarebbe limitata a svolgere solo «considerazioni del tutto generiche e non eziologicamente pertinenti nel caso de quo, essendosi l'infortunio verificato in totale assenza di qualsivoglia interferenza: come pacificamente emerso nel corso del dibattimento, non vi era alcuna interazione tra il personale della committente - che non operava all'interno del magazzino, bensì negli uffici adiacenti - e quello della Cooperativa Italia lavoro, a cui era interamente affidata la movimentazione delle merci, a nulla rilevando il controllo di qualità delle merci che spettava al personale della società committente, trattandosi di una verifica di carattere impiegatizio che non interferiva certamente con l'attività oggetto di appalto», come sostenuto il 19 aprile 2017 dal teste Supin, la cui deposizione è richiamata alla p. 30 della sentenza impugnata (così alla p. 10 del ricorso).
Si richiama quanto già puntualizzato dalla S.C. in più occasioni, cioè che «Gli obblighi di cui al richiamato art. 26 [del d. lgs. n. 81 del 2008] presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i rapporti a cui fa riferimento l'intero art. 26, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. In particolare, la ratio della norma di cui all'art. 26 D.Lgs 81/2008 è quella di far sì che il datore di lavoro "committente" appresti un segmento all'interno della propria azienda al fine di prevenire ed evitare i rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa. Se questa è la ratio, ciò che rileva ai fini - della normativa di cui all'art. 26 del citato decreto legislativo, non è la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quanto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per entrambi i lavoratori delle imprese coinvolte» (così sub n. 3.2. del "considerato in diritto", p. 7, di Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini e altro, Rv. 264957-01, la cui massima ufficiale recita:
«Ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi ai contratti di appalto, dettati dall'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni ad esse facenti capo, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori (In motivazione la S.C. ha precisato che l'interferenza rilevante deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, avendo riguardo alla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi)»).
Alla luce di tali presupposto, l'affermazione di responsabilità sulla base della ritenuta violazione dell'art 26 del d.lgs. n. 81 del 2008 costituirebbe, ad avviso del ricorrente, una palese violazione di legge.
3.2.3. Discorso analogo varrebbe, secondo il ricorrente, per la ritenuta violazione dell'art. 18, comma 1, lett. f), del d. lgs. n. 81 del 2008, non essendo stato coinvolto nel sinistro personale della società committente. Sullo specifico punto la Corte territoriale avrebbe totalmente trascurato le doglianze che erano state svolte con i motivi di appello, con particolare riferimento alle distanze, ai presidi di sicurezza, oggetto di specifica consulenza tecnica, al contenuto delle linne-guida regionali, a proposito delle quali la Corte di merito si è limitata e ritenere non soddisfatto il generico canone di "adeguatezza" previsto dalla direttive suindicate, comunque prive - si sottolinea da parte della difesa - di carattere normativo e cogente.
I giudici di merito avrebbero erroneamente interpretato il concetto di interferenza.
Infatti, nel rigettare il motivo di appello (pp. 17-19 dell'impugnazione di meito) relativo alla mancata valutazione in tema di causalità degli altri fattori potenzialmente rilevanti emersi nel corso dell'istruttoria, primo tra tutti la condotta del conducente il mezzo che ha investito la vittima, la sentenza impugnata, alla p. 33, ha addebitato alla società "Geodis" e, quindi, a D.G. di non avere vigilato affinché la soc. "Italia Lavoro" si avvalesse per lo svolgimento dell'attività appaltata di personale tecnicamente qualificato, mentre ciò non è stato, poiché è emerso che C.L.H., cioè colui che guidava il mezzo che ha provocato l'incidente, normalmente era addetto all'attività di pulizie.
«In sostanza, secondo la Corte d'appello l'imputato avrebbe dovuto interferire con le questioni organizzative interne della cooperativa appaltatrice» (così alla p. 13 del ricorso), rendendosi in tal modo responsabile per avere esercitato ingerenza nei lavori, come puntualizzato dalla S.C. (il ricorrente richiama al riguardo Sez. 4, n. 29626 del 20/04/2016, dep. 13/07/2016, Stabile Nicola + 1, non mass).
3.3. Con il terzo motivo si duole della ritenuta inosservanza della legge penale con riguardo all'art. 69 cod. pen. in relazione al reati di lesioni colpose di cui all'art. 590 cod. pen.
La Corte territoriale, avendo riconosciuto e ritenuto prevalenti le attenuanti generiche, avrebbe errato nel calcolo della pena, in quanto, avendo valutato, appunto, la prevalenza delle diminuenti, ha ridotto la sanzione risultante dalla contestazione dell'aggravante ad effetto speciale, erroneamente applicando l'art. 63, comma 3, cod. pen., mentre avrebbe dovuto prendere a parametro la pena prevista per le lesioni colpose dall'art. 590, comma 1, cod. pen., ai sensi dell'art. 69 cod. pen.
3.4. Infine, con l'ultimo motivo denuncia erronea applicazione dell'art. 593, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di quantificazione della provvisionale nonché in punto di mancata ripartizione delle percentuali di responsabilità.
3.4.1. La motivazione che si rinviene alla p. 36 della sentenza impugnata in tema di punti percentuale di inabilità temporanea sarebbe illogica ed errata nella parte in cui conferma integralmente, condividendole, le valutazioni operate dal Tribunale. Non avendo provveduto a liquidare integralmente il danno, ma avendo disposto una provvisionale, ad avviso del ricorrente, i decidenti «si sarebbero dovuti limitare ad utilizzare, come criteri di calcolo, le emergenze certe, quali quelle• della consulenza medico-lega/e redatta dalla Procura, demandando tutto il resto alla sede [ ...] civilistica, e ciò proprio al fine di evitare il rischio di una duplicazione e/o di una quantificazione sproporzionata del danno» (così alla p. 17 del ricorso).
3.4.2. Illogica, erronea ed omessa sarebbe la motivazione anche in relazione alla conferma della quantificazione della "personalizzazione" del danno (p. 36 della sentenza impugnata).
La Corte di appello, infatti, avrebbe omesso di indicare gli elementi che giustificano il riconoscimento di una personalizzazione nel valore massimo, utilizzando come unico argomento le massime di esperienza generalmente riconosciute.
Difetto di motivazione che si ravviserebbe anche in relazione alla quantificazione della provvisionale per i familiari della vittima, giustificata solo tramite richiamo di massime di esperienza e dichiarazioni dei congiunti sprovviste di conferme di tipo documentale.
Illogica ed erronea sarebbe anche la risposta fornita dalla Corte di appello (alla p. 37) alla questione dedotta dalla difesa circa la rendita liquidata dall'Inail, trascurando documentazione prodotta già in allegato all'atto di appello, con il rischio di duplicare le poste di danno; senza escludere che gli importi sono conteggiati come se vi fosse la responsabilità di una sola persona, «quando in realtà, almeno astrattamente, vi sarebbero (quantomeno) pacifiche corresponsabilità nella verificazione dell'infortunio de quo» (p. 20 del ricorso).
3.4.3. Si lamenta poi illegittimità ed erroneità della mancata ripartizione della responsabilità in percentuali, circostanza rilevante ai fini risarcitori, in quanto, oltre alla corresponsabilità del coimputato, il processo ha fatto emergere che della zona in cui è accaduto l'infortunio si occupavano i dipendenti della Cooperativa "Italia Lavoro", «elemento che, di per sé, basterebbe a fondare un giudizio di minore rilevanza della - eventuale - responsabilità del dott. D.G.» (p. 21 del ricorso); né potrebbe trascurarsi il ruolo del conducente il mezzo che ha travolto la vittima e del Consorzio "Consurope" (cui apparteneva la cooperativa "Italia lavoro") con il quale "Geodis" aveva stipulato il contratto di appalto.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Occorre dare atto che con memoria depositata il 29 ottobre 2020 la difesa di D.G. ha depositato documentazione comprovante l'avvenuto intero versamento, nelle more del giudizio di legittimità, della intera somma stabilita in primo grado a titolo di provvisionale ed ha insistito nella richiesta di annullamento della sentenza in punto di quantificazione della provvisionale (quarto motivo) poiché, in ragione della rendita Inail che l'infortunato percepisce, potrebbe crearsi - si sottolinea - una duplicazione della voci di danno.
5.11 P.G. della S.C. il 2 novembre 2020 ha concluso per iscritto ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, chiedendo l'annullamento con rinvio quanto al trattamento sanzionatorio e la declaratoria di inammissibilità nel resto.
6. Con memoria pervenuta il 10 novembre 2020, cui è allegata nota spese, , della quale si chiede la liquidazione, la difesa delle parti civili ha_ concluso/\ affinché sia dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato.
Diritto
1. Premesso che il reato non è prescritto (infatti, 16 ottobre 2010 + sette anni e sei mesi = 16 aprile 2021), il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2. Quanto ai primi due motivi di ricorso con i quali, come si è visto, si denuncia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione quanto ai riconosciuti profili di colpa, rispettivamente, generica e specifica, si osserva quanto segue.
Dalle motivazioni delle sentenze di merito emerge che l'imputato D.G. nella vicenda in esame non era in posizione di mero committente, rispetto alla quale potrebbero, in ipotesi, avere significato le doglianze difensive, ma era, in realtà, un distaccatario del lavoratore.
In tema di eventuale responsabilità del distaccatario deve farsi riferimento al principio di diritto puntualizzato da Sez. 4, n. 31300 del 19/04/2013, Farinotti ed altro, Rv. 256397-01, secondo cui «In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall'art. 3, comma sesto, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore di lavoro distaccante. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto sussistente la responsabilità del datore di lavoro distaccante, il quale aveva dato corso al distacco senza essersi accertato della sussistenza delle condizioni di sicurezza del cantiere ove il dipendente avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa)».
Si tratta di condivisibile affermazione in linea con i precedenti di Sez. 4, n. 37079 del 24/06/2008, AnsaIoni, Rv. 241021-01 («In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, i relativi obblighi gravano sia sul datore di lavoro che ha disposto il distacco, sia sul beneficiario della prestazione, tenuto a garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro nel cui ambito la stessa viene eseguita») e di Sez. 4, n. 10043 del 08/07/19945, Vigani ed altro, Rv. 200149-01 («Qualora un'impresa edile incaricata dell'esecuzione di opere concernenti uno stabile si rivolga per l'allestimento della necessaria impalcatura ad una ditta che invii sul posto operai specializzati, gli obblighi imposti dalle norme antinfortunistiche a tutela dei lavoratori incombono anche sul datore di lavoro dei detti operai, pur se momentaneamente distaccati presso il cantiere di altra impresa. Nè i poteri doveri del datore di lavoro potrebbero essere validamente trasferiti ad altro imprenditore, in quanto eventuali accordi sarebbero privi di efficacia, appartenendo le norme antinfortunistiche al diritto pubblico ed essendo le stesse inderogabili in forza di atti privati. (Nella fattispecie, l'operaio, che lavorava privo di cintura di sicurezza perché quella posta a disposizione del datore di lavoro non era regolare, era caduto dal ponteggio in costruzione, anche a seguito della rottura della tavola la quale era stata fornita, insieme con i tubi, dall'impresa presso il cui cantiere era stato distaccato. Del reato di omicidio colposo erano stati ritenuti responsabili sia il datore di lavoro della vittima che l'imprenditore, titolare del cantiere)»).
In conseguenza, tutte le considerazioni svolte dalla difesa di D.G. D.G. sul tema della immediata percepibilità o meno da parte del ricorrente della situazione di pericolo derivante dalla presenza del cancello e dall'accumulo di materiale (da cui anche il rimprovero di mancata attivazione di poteri impeditivi-repressivi), con le connesse considerazioni sul ruolo del ricorrente, sul tipo e sull'intensità del controllo dallo stesso concretamente esigibile e sulla ipotizzabilità di una - non consentita - interferenza (v. punti nn. 3.1., 3.1.1., 3.1.2., 3.1.3., 3.2., 3.2.1., 3.2.2. e 3.2.3. del "ritenuto in fatto") risultano infondate. Infatti, gli obblighi di prevenzione e di protezione, che i giudici di merito con doppia conforme quanto all'an, assistita da motivazione adeguata, congrua e logica, hanno ritenuto non adempiuti nel caso di specie, sono a carico sia del datore di lavoro distaccante che di quello distaccatario (i.e. D.G. D.G.) .
3. In relazione al terzo motivo di impugnazione, con il quale si lamenta la violazione dell'art. 69 cod. pen., la statuizione che si rinviene alle pp. 35 e 37 della impugnata sentenza sul punto del trattamento sanzionatorio dell'imputato D.G. D.G. risulta esente dal vizio denunciato, oltre che giustificata in maniera non incongrua e non illogica.
4. Risulta infondato, infine, anche il quarto motivo di ricorso, con il quale si denunzia la quantificazione della provvisionale e la mancata ripartizione delle percentuali di responsabilità, sotto i profili di violazione di legge e di vizio di motivazione.
Infatti, la Corte di cassazione ha già precisato che «Non è accoglibile il ricorso per cassazione della parte civile volto a censurare la statuizione del giudice di merito in ordine alla quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella determinazione causale dell'evento, trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno» (Sez. 4, n. 4607 del 20/09/2017, dep. 2028, P.C. in proc. Collodel e altro, Rv. 271953-01; più recentemente, Sez. 4, n. 17219 del 20/03/2019, M., Rv. 275874 -01); stesso ragionamento deve logicamente valere per il ricorso proposto dall'imputato, come accaduto nel caso di specie, tenuto conto che la provvisionale è, in sostanza, un acconto sull'importo dovuto, importo che il giudice civile dovrà, una volta investito della questione, valutare affrontando funditus tutti gli aspetti e che la statuizione al riguardo rimane comunque estranea all'ambito del giudicato penale, la cui efficacia ext ra - penale è definita dall'art. 651 cod. proc. pen., (v. sul punto la motivazione sub n. 2 del considerato in diritto, pp. 16-20, di Sez. 4, n. 45797 del 22/06/2017, P.G., P.C. ed altro in proc. Antoci, Rv. 271053-01); ragionamento tanto più forte ove si consideri che il ricorrente fa riferimento a parti (il conducente del mezzo che ha investito la vittima; le società) che non hanno potuto svolgere difese nel presente processo.
5. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, spese che, vista la nota depositata ed alla stregua delle tariffe vigenti, si liquida come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, che liquida in euro 4.420,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 17/11/2020.