Cassazione Penale, Sez. 1, 25 settembre 2020, n. 26765 - Numerose violazioni delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Affidamento in prova al servizio sociale
Con ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Genova ha rigettato la domanda di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da C.G., accogliendo quella relativa alla detenzione domiciliare in relazione alla pena di mesi 6 di reclusione per il reato di lesioni personali colpose gravi. A ragione della decisione osservava che la pericolosità sociale del reo - desunta dai numerosi precedenti penali per violazioni delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro per un totale di dodici reati nonchè dalle denunce che lo avevano attinto per truffa, appropriazione indebita, falsità ideologica negli anni dal 2010 al 2015 - poteva essere contenuta solo con la misura della detenzione domiciliare, peraltro, anche idonea a non ostacolarne il reinserimento sociale, ma non con la misura, più ampia, dell'affidamento in prova.
2. Avverso l'ordinanza il C.G. ha proposto, per il tramite del difensore di fiducia avv. Carmine Biasìello, ricorso per cassazione affidato a due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo denunzia violazione dì legge e vizio dì motivazione. In particolare, lamenta che il Tribunale abbia fondato la decisione esclusivamente sul dato formale dei precedenti penali, peraltro senza considerare la loro risalenza nel tempo, e sulla pendenza dì procedimenti penali anche se ancora sub iudice o definiti con archiviazione. Al contrario, non ha attribuito la necessaria rilevanza, così come richiesto dalla giurisprudenza dì legittimità ampiamente richiamata, ad elementi positivi successivi alla consumazione del reato cui si riferisca la pena in espiazione, come lo svolgimento dì attività lavorativa positivamente documentata e l'evoluzione della personalità nel senso della rìsocìalìzzazione.
2.1. Con il secondo motivo denunzia inosservanza della legge in relazione agli artt. 13 e 27 della Costituzione e 47 ord. pen. nonché vizio di motivazione. Sottolinea come l'ordinanza impugnata abbia erroneamente posto a fondamento della decisione sfavorevole sull'affidamento in prova l'assenza di attività lavorativa da parte del C.G.. Infatti, a prescindere dalla circostanza che all'istanza risultava allegata documentazione attestante la assunzione presso la società Studi Immobiliari s.r.l., è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che lo svolgimento di attività lavorativa non costituisce un requisito per l'accesso al beneficio. Dì conseguenza, il Tribunale avrebbe dovuto disporre i necessari accertamenti per attribuire a detto elemento considerato negativamente autonoma rilevanza come fattore idoneo a sminuire la portata di quelli favorevoli, quali l'assenza di precedenti penali in epoca recente e la lontananza nel tempo delle condotte illecite accertate nelle sentenze irrevocabili.
Diritto
1. Entrambi i motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni proposte, sono inammissibili, perché sollecitano apprezzamenti estranei al giudizio di legittimità, e, comunque, manifestamente infondati.
2. Va, in premessa, ricordato che, ai fini della concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell'analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta serbata dal condannato in epoca successiva. Nel giudizio prescritto dall'art. 47 ord. pen. è indispensabile l'esame dei comportamenti attuali del condannato perché non è sufficiente verificare l'assenza di indicazioni negative, ricavabili senz'altro dal passato (si pensi ai precedenti penali), ma è necessario accertare in positivo la presenza di elementi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva. Si deve, pertanto, avere riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per i quali è stata inflitta la condanna in esecuzione, per verificare concretamente se sussistano, o no, sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa; ciò non significa acquisire dai risultati dell'osservazione della personalità la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo, al contrario, sufficiente l'avvio di tale processo critico (ex plurimis Sez. 1, n. 31809 del 09/07/2009, Gobbo, Rv. 244322 e, più di recente, Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015, Incarbone, Rv. 264602). Tra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l'assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l'adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l'attaccamento al contesto familiare e l'eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, S., Rv. 273985); non è, invece, necessaria la sussistenza di un lavoro già disponibile, potendo tale requisito essere surrogato da un'attività socialmente utile anche di tipo volontaristico (Sez. 1, n. 1023 del 30/10/2018, dep. 2019, Fusitlo, Rv. 274869). Il Tribunale di sorveglianza nell'apprezzare i presupposti delle misure alternative deve sempre tenere presente il criterio della gradualità nella concessione di benefici penitenziari; esso, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario specie quando risulta documentato un non irrilevante vissuto criminale (Sez. 1, n. 5689 del 18/11/1998, dep. 1999, Foti, Rv. 212794).
2. Orbene, l'ordinanza impugnata ha spiegato le ragioni della propria decisione evidenziando che, alla luce dei dati acquisiti, non erano ravvisabili i presupposti per la concessione della più ampia misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, avuto riguardo alla negativa personalità del C.G., desumibile dai suoi precedenti penali, per più reati commessi senza soluzione di continuità in un arco temporale protrattosi dal 2002 al 2006, e dalle informazioni di polizia che non solo avevano documentato ulteriori segnalazioni relative a condotte illecite déiJ commesse dal 2010 al 2015, ma non avevano neanche confermato la presenza del condannato presso la sede della ditta Co.Ge.Stra indicata dal reo nell'istanza come datore di lavoro. Detto ultimo accertamento negativo non rendeva concedibile la misura alternativa più ampia che richiede necessariamente un giudice prognostico più stringente sulla capacità del del condannato di osservare le prescrizioni contenute nel programma di risocializzazione. Ha aggiunto che poteva, invece, essere accordata la misura della detenzione domiciliare, regolata da prescrizioni ben più rigide, perché il suo carattere più contenitivo la rendeva più idonea ed adeguata a prevenire l'individuato pericolo di commissione di ulteriori reati da parte del condannato. Si tratta di un iter argomentativo non solo corretto in diritto, per quanto ricordato in premessa, ma anche plausibile in fatto, oltre che privo dei denunziati contrasti con le risultanze processuali. A quest'ultimo proposito, va tenuto presente che, come correttamente ricordato nel suo parere dal Procuratore generale presso questa Corte «non è possibile pervenire alla cassazione di una decisione giudiziale che attesta l'assenza di un dato fattuale se, nel sottoporre a critica questa affermazione, non si offre al giudice di legittimità, che è chiamato a verificarne la logica e la conformità a diritto, un qualsiasi dato contrario, tale da denotare l'errore compiuto dal giudice del merito». Nella specie il ricorrente oppone agli elementi fattuali presi in esame dal Tribunale altri, come lo svolgimento di attività presso una società, "Studi Immobiliari" di Cassino ovvero il contenuto favorevole della relazione socio-familiare, di cui, però non v'è traccia nel provvedimento e che non sono conoscibili non avendo il ricorrente assolto all'onere di allegazione impostogli dal principio dell'autosufficienza dell'impugnazione in cassazione.
3. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 16 luglio 2020.