Cassazione Penale, Sez. 4, 5 maggio 2020, n. 13590 - Caduta mortale dal ponteggio. Responsabilità di datore di lavoro e coordinatore per la sicurezza

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Padova del 9 giugno 2015, con cui C.A. e P.S. erano stati condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione ciascuno in relazione al reato di cui all'art. 589 cod. pen. (perché, il P.S., in qualità di titolare della ditta omonima, e il C.A., in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori, avevano cagionato la morte di K.G., il quale, salito sul ponteggio più alto - posto in adiacenza alla parete della costruenda casa in v. S. Antera 153 di Albignasego) - per continuare il suo lavoro di raschiatura delle sbavature della colla cementizia dalle fughe dalle tavelle - non essendoci il parapetto ed essendo l'operaio sfornito di imbracatura di sicurezza e di cordino nonché privo di ogni formazione sul pericolo di caduta dall'alto - si metteva in posizione sporgente rispetto al ponteggio per terminare il lavoro sulle tavelle più lontane e da lì cadeva; in particolare, il P.S. agiva con colpa generica e in violazione dell'art. 136, comma 6, D.Lgs. n. 81 del 2008, per non aver assicurato che i ponteggi fossero montati a regola d'arte e conformemente al piano di montaggio dell'art. 115, comma 3, per non avere messo a disposizione del dipendente un sistema di protezione alternativo) e degli artt. 37, comma 4, lett. a) e 77, comma 5, lett. A), D.Lgs. n. 81 del 2008, per avere omesso di formare il lavoratore dal rischio specifico di caduta dall'alto ed avere omesso di addestrarlo all'uso di dispositivi di sicurezza; il C.A. agiva con colpa generica e in violazione dell'art. 92, comma 1, lett. b), D. Lgs. n. 81 dei 2008, in quanto ometteva di verificare che l'impresa P.S. adeguasse il POS in merito alla sicurezza dei ponteggi con la predisposizione del piano di montaggio, uso e smontaggio, relativo ai ponteggi stessi, i quali di conseguenza erano stati montati benché privi dei parapetti anticaduta e delle relative linee vita per l'aggancio del cordino dell'imbracatura anticaduta.
Il K.G., dipendente non regolarizzato dell'impresa edile del P.S., cadeva da un ponteggio, mentre eseguiva lavori di rifinitura in un edificio in corso di ristrutturazione.
Il giorno dell'incidente, il K.G., unitamente al P.S. e a S.M. (operaio), era impegnato nel cantiere, nella posa delle tavelle sul tetto del portico della trifamiliare. Al momento dell'incidente, lo S.M. si trovava sotto la copertura del porticato in fase di completamento della posa dell'ultima fila di tavelle, zona dalla quale non poteva vedere l'area in cui si era verificato l'incidente, mentre il P.S. si trovava all'esterno dell'edificio, nella zona antistante al portico, intento ad eseguire la manovra con la gru. Il P.S., dopo aver sentito un botto proveniente dal porticato, vedeva il corpo del K.G. in terra, sul pavimento al di sotto del portico interessato, con vicino una scala a libro in alluminio, ribaltata di lato e appoggiata ad un ponteggio presente in loco; l'infortunato perdeva sangue dal capo.
2. Il C.A. e il P.S., a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
3. C.A. (quattro motivi di impugnazione):
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 40 cod. pen..
Si deduce che la Corte territoriale aveva omesso di illustrare il nesso eziologico tra la violazione dell'art. 92 D.Lgs. n. 81 del 2008 e l'evento mortale.
La responsabilità per omicidio colposo non può essere attribuita in base alla sola violazione della norma prevenzionale in caso di esito negativo del giudizio controfattuale. Occorreva altresì verificare che l'obbligo di protezione affidato fosse diretto a scongiurare proprio il tipo di rischio verificatosi e che il garante possedesse effettivi poteri di vigilanza e di impedimento rispetto a tale tipo di rischio.
Quando l'accadimento improvviso si origina dallo sviluppo delle opere, il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al dipendente, siccome evento afferente alla sua sfera di controllo e non a quella, più limitata, del coordinatore per la sicurezza. La funzione di quest'ultimo attiene alla generale configurazione delle lavorazioni e non deve essere assolta tramite il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative.
La dinamica del sinistro non era stata chiarita e, in particolare, non era stato dimostrato che il K.G. fosse caduto dal ponteggio descritto nel capo di imputazione; riguardo alla maggior parte delle ipotesi ricostruttive dello sviluppo della vicenda, non era possibile ravvisare un nesso causale tra le negligenze ascritte al C.A. e l'evento mortale.
La mera affermazione della caduta della persona offesa dal ponteggio non diceva ancora nulla sul nesso causale con la condotta tenuta dal coordinatore per la sicurezza e, tantomeno, sulla prevedibilità e sull'effettiva esistenza di poteri impeditivi in capo al medesimo.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Si osserva che l'atteggiamento non collaborativo non poteva giustificare il diniego delle attenuanti di cui all'art. 62 bis cod. pen..
La Corte di merito non aveva attribuito rilievo all'incensuratezza dell'imputato, alla sua giovane età e alla scarsa esperienza personale al momento del fatto.
La motivazione, peraltro, risultava contraddittoria perché in una parte della sentenza è stata riconosciuta la rilevante collaborazione dell'imputato, consistente nel consenso all'acquisizione di documentazione acquisita o formata nel corso delle indagini.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 92 D.Lgs. n. 81 del 2008 e 133 cod. pen..
Si rileva che, in tema di trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha riservato il medesimo trattamento punitivo ai due imputati, nonostante il datore di lavoro fosse gravato da obblighi ben più stringenti e pregnanti rispetto a quelli spettanti al responsabile per la sicurezza. Mentre il datore di lavoro è garante primario in materia di sicurezza del lavoro, il responsabile per la sicurezza è titolare di una posizione di garanzia più limitata, in quanto assolve esclusivamente ad una funzione tecnica di alta vigilanza e non ad un controllo continuo sulle lavorazioni.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 175 cod. pen..
Si ritiene che erroneamente il diniego del beneficio della non menzione fosse stato basato sulla natura del reato e non sulla gravità del fatto, sull'intensità del dolo e sui motivi a delinquere, cioè gì criteri previsti dall'art. 133 cod. pen..
3. P.S. (otto motivi di impugnazione, tutti per vizio di motivazione):
4.1. Si deduce che la Corte territoriale ha erroneamente riconosciuto la responsabilità degli imputati nonostante l'esame dei luoghi non avesse consentito di determinare da dove fosse caduto il K.G..
4.2. Si osserva che la Corte di appello ha illogicamente ritenuto impossibile che il K.G. fosse caduto all'indietro, tirandosela appresso. In sentenza si è presunto che la scala a libro fosse aperta, mentre verosimilmente era chiusa ed appoggiata ai mattoni. Si è erroneamente asserito che con l'uso della scala il corpo sarebbe salito parallelo ad essa, aumentandone la stabilità, senza considerare i numerosi casi di caduta dalla scala all'indietro.
4.3. Si rileva l'erroneità della congettura dell'organo giudicante sull'inesistenza di ragioni del K.G. per salire la scala. Egli, infatti, poteva averla impiegata per osservare da una diversa prospettiva le fughe delle tavelle. Altrettanto illogica era la considerazione che non avesse potuto adoperare la scala in quanto anziano, essendo notorio l'uso di qualsiasi scorciatoia da parte degli operai per accedere rapidamente alla scala interna dei ponteggi.
4.4. Si ritiene che la circostanza che la scala non potesse essere posizionata sopra il pallet per la presenza su esso di un altro pallet parzialmente scondizionato, per un totale di sei sforati, non escludeva che la scala fosse appoggiata al bancale.
4.5. Si deduce che era irrilevante la circostanza dell'assegnazione al K.G. del compito di completamento del lavoro di pulizia delle fughe, occorrendo verificare le mansioni effettivamente svolte al momento dell'equilibrio. 
La Corte di appello ha erroneamente negato che pochi minuti prima dell'infortunio il K.G. stesse miscelando, con apposito macchinario, della colla in prossimità dell'ingresso del porticato, contrariamente a quanto affermato dal P.S. in verbale di Prima Informativa; ha invece valorizzato la diversa conclusione^ secondo cui l'infortunato non era addetto a tale mansione.
Era plausibile che l'infortunato si stesse recando, attraverso la scala dalla quale era caduto, sull'impalcato del sottotetto per completare il lavoro di finitura. Nessuno degli attrezzi dei quali il K.G. avrebbe dovuto servirsi era stato trovato in prossimità del punto di caduta o della sua verticale.
4.6. Si osserva che la Corte di appello apoditticamente ha asserito che la direzione e la distanza del copricapo dal corpo sarebbe compatibile con una caduta dall'altezza del ponteggio C, ma non con l'ipotesi di caduta dalla scala.
La Corte territoriale ha stravolto le conclusioni del medico legale Terranova, nella parte in cui attestava la compatibilità delle lesioni con la caduta dalla scala. La Corte di appello è giunta a teorizzare un macroscopico fraintendimento da parte del medico legale del quesito rivoltogli dal giudice in ordine alla compatibilità del tipo, della gravità e della collocazione delle lesioni sul corpo dell'infortunato con l'ipotesi della caduta dalla scala.
La Corte veneta hà. ha asserito che l'altezza di caduta dalla scala era stata di 80/100 cm., in quanto al suddetto dato occorreva aggiungere il baricentro di un corpo di uomo di altezza di cm. 1,75, situato a circa 110 cm.. In tal caso il tonfo sarebbe stato maggiormente congruo al posto di un più asettico rumore.
La ricostruzione del K.G. risultava frutto di una mera congettura dell'organo giudicante, non suffragata da dati di esperienza a carattere oggettivo ed univoco.
4.7. Si rileva che, sebbene l'organo giudicante avesse riconosciuto l'eccessiva astrattezza dei calcoli effettuati dal consulente, ha poi dichiarato di fondare espressamente il proprio convincimento sulla ricostruzione dell'infortunio, in base alle elucubrazioni concernenti la scala.
La Corte di merito ha sorvolato sulle valutazioni della compatibilità delle lesioni con la caduta dalla scala come affermato dai periti di parte ing. Dinon e arch. Stella.
4.8. Si osserva che la Corte territoriale ha omesso ogni valutazione relativamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non considerando l'assenza di precedenti penali e il comportamento irreprensibile tenuto al momento del fatto e successivamente.




Diritto




1. I ricorsi sono infondati. 
Il primo motivo del ricorso del C.A. e i primi sette motivi del ricorso del P.S., tutti attinenti alla dinamica dell'infortunio e alla sussistenza del nesso di causalità, vanno trattati congiuntamente.
1.1. In via preliminare va osservato che, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, l’impugnazione di legittimità è proponibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando attiene a censure che - benché formalmente prospettanti una violazione di legge o un vizio di motivazione - mirano in realtà a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti o una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997).
Alla Corte di Cassazione spetta soltanto di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, la congruenza logica e l’adeguatezza della motivazione sul punto (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460), senza alcun potere di revisionare le circostanze fattuali della vicenda.
Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, la quale è sorretta da motivazione lineare e coerente e, pertanto, è sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.
Non sono configurabili violazioni di legge o vizi di motivazione rilevanti ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., a fronte di un apparato argomentativo che è stato in concreto diffusamente prospettato in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata sussistenza dei reati contestati.
La ricostruzione della vicenda criminosa è stata svolta mediante un'accurata combinata ricomposizione degli elementi rinvenibili da tutte le fonti probatorie.
Le impugnazioni, in realtà, si risolvono nella reiterazione di aspetti già posti in appello e già complessivamente risolti nella doppia conforme di merito (sentenze di primo e secondo grado), mirando i ricorrenti a parcellizzare aspetti, che invece devono essere letti congiuntamente nel complessivo quadro emerso.
Le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, degli elementi di fatto e delle risultanze d'indagine che la Corte di merito giudicava idonei a integrare il compendio probatorio. I ricorrenti si limitano a proporre una lettura riduttiva degli elementi di fatto posti a base della sentenza impugnata, valorizzando un generico deficit dell'apparato motivazionale, che in realtà appare adeguato alle censure proposte nell'atto di impugnazione. 
1.2. La Corte territoriale ha ricostruito in modo lineare e coerente la dinamica dell'infortunio, chiarendo che il K.G. doveva completare la rifilatura e la rimozione dei residui di colla cementizia che sporgevano dalle fughe, nella parte inferiore delle tavelle, costituenti il tetto del portico; smentendo ogni ipotesi alternativa, ha ritenuto l'ipotesi di caduta dal ponteggio C sul quale la vittima si era recata per proseguire l'attività assegnatagli ad inizio giornata - l'unica plausibile, sulla base dei seguenti elementi:
1) La presenza del cappellino indossato dal K.G. al momento della caduta, visibile nelle fotografie nn. 22, 23 e 25, che non era stato spostato da nessuno dopo il sinistro e che si trovava in luogo compatibile con una caduta dall'altezza del ponteggio C, ma non con l'ipotesi di caduta dalla scala.
2) La compatibilità tra la caduta dal ponteggio alto quattro metri e le plurime fratture riscontrate in diverse zone del corpo, politraumatismo non comprensibile in caso di caduta da una scala; al riguardo il consulente del pubblico ministero non prospettava un'ipotesi di compatibilità con la tesi difensiva, ma semplicemente la circostanza che si trattava di una caduta casuale ed accidentale contro una superficie piatta e rigida.
3) L'uso delle espressioni «tonfo» e «botto» da parte dell'operaio P.S., in quanto, in caso di caduta da una scala da altezza di soli 80-100 cm., il rumore è molto meno rilevante e non giustifica l'uso di detti termini.
Condividendo le risultanze peritali, la Corte territoriale ha osservato che la caduta era giustificata dalla presenza del fermapiede di venti centimetri sul ponteggio C, la cui presenza induceva a ritenere che l'operaio, disteso per eseguire l'operazione di pulizia o accovacciato, aveva proteso il braccio e sovrapposto la spalla e parte del busto nel tentativo di raggiungere la maggiore porzione possibile di sottotetto, senza avvedersi che, in tal modo, stava progressivamente spostando il baricentro del corpo verso l'esterno del piano dell'impalcatura; perso l'equilibrio, il corpo precipitava verticalmente sfilato dall'iniziale posizione distesa a causa del peso della parte superiore del corpo.
Secondo la Corte veneta, in tale fase, il K.G., con un movimento istintivo, cercava di recuperare l'equilibrio o, quanto meno, di resistere alla caduta aggrappandosi, circostanza che giustificava la caduta pressoché verticale.
Nella sentenza impugnata si è chiarito che la caduta non poteva essere avvenuta dalla scala, in quanto il cappellino non era stato rinvenuto in prossimità della stessa, e che l'infortunio era avvenuto perché il lavoratore doveva lavorare in alto e si era sbilanciato, cadendo dal ponteggio C, posto in posizione elevata, altrimenti non avrebbe subito quelle conseguenze fisiche così gravi che avrebbero poi determinato il decesso. La serie di rilievi e di ipotesi alternative formulate dalla difesa del P.S. trovavano adeguata smentita nelle argomentazioni prospettate dalla Corte territoriale e, in ogni caso, la consulenza medico-legale non era allegata ai fini dell'autosufficienza del ricorso.
Relativamente alla posizione di garanzia del C.A., va richiamato il principio di diritto affermato da questa Corte, secondo il quale, in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza, che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto (Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Porterà, Rv. 265661, relativa a fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del coordinatore per la sicurezza in relazione al crollo di un'impalcatura).
E' proprio alla configurazione complessiva dell'attività, e non già ad una situazione contingente, che i giudici di merito concordemente riconducono la sottovalutazione da parte del C.A. del pericolo di precipitazione da un ponteggio, come purtroppo accaduto, in relazione ad un'area di lavoro di modeste dimensioni, priva di adeguata sottolineatura del rischio, e comunque non provvista di accorgimenti idonei, ad esempio un'imbracatura o un parapetto (che qui mancava per sette metri), a trattenere una persona che poteva sporgersi.
Ferma la costruzione della responsabilità della figura del coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva in termini di omissione della prescritta "alta vigilanza" (Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017, Prina, Rv. 271026; Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, Revello, Rv. 270991), i giudici di merito hanno, con motivazione congrua e logica, dato atto che l'imputato non aveva verificato l'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e non aveva preso atto del serio pericolo - per l'incolumità e persino per la vita dei dipendenti - rappresentato dalla presenza di un ponteggio inadeguato.
2. Il secondo motivo del ricorso del C.A. e l'ottavo del ricorso del P.S., con cui si censura il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sono infondati.
Secondo i giudici di merito, non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto il limitato consenso all'acquisizione degli atti consentiva un effetto deflattivo valutabile in non più di una o di due udienze dibattimentali.
Nella sentenza impugnata, quindi, è stato correttamente applicato il consolidato principio affermato da questa Corte, secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62 bis cod. pen., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice legittimamente non ha preso in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dagli imputati o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il suo riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
La Corte territoriale, pertanto, ha esaurientemente valutato e considerato non significativi gli aspetti segnalati dai ricorrenti, attinenti alla giovane età, allo stato di incensuratezza e al comportamento processuale.
3. Il terzo motivo di ricorso, con cui il C.A. si duole dell'entità della pena irrogata nei suoi confronti, è manifestamente infondato.
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 8085 del 15/11/2013, Masciarelli, non massimata; Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l'enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).
La pena applicata non eccede la media edittale, e in relazione ad essa non era dunque affatto necessaria un'argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
Tale ipotesi non ricorre nella fattispecie, laddove la commisurazione della pena è stata correttamente giustificata in riferimento alla gravità del reato commesso, in quanto caratterizzato da grossolane violazioni delle norme per la prevenzione e per la sicurezza dei lavoratori. Né può sindacarsi la scelta della Corte veneta di irrogare la medesima pena per i due imputati, dovendosi escludere peraltro una minore incidenza causale della condotta del C.A..
4. Il quarto motivo di ricorso, con cui il C.A. chiede il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale, è infondato. 
Va premesso che il beneficio della non menzione della condanna di cui all'art. 175 cod. pen. è fondato sul principio dell'"emenda" e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l'obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Iannaccone, Rv. 275813).
Occorre però sottolineare che i presupposti per il suo riconoscimento sono diversi da quelli della sospensione condizionale della pena perché, mentre quest'ultima ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un'efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicità quale particolare con-seguenza negativa del reato, sicché non è contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell'altro, fermo restando l'obbligo del giudice di merito di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 51580 del 18/09/2018, M., Rv. 274106; Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269638; Sez. 6, n„ 34489 del 14/06/2012, Del Gatto, Rv. 253484; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251509).
Ciò posto, nella fattispecie il complessivo giudizio altamente negativo della vicenda criminosa e i frequenti richiami ai parametri commisurativi della pena di cui all'art. 133 cod. pen. consentono di ritenere adeguatamente argomentato il diniego del beneficio della non menzione, sebbene debba escludersi la congruità della motivazione, nella parte contenente il riferimento al «significato rilievo nel dibattito pubblico» della tematica degli infortuni sul lavori.
5. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno rigettati.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).




P.Q.M.




Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 18 febbraio 2020.



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