Cassazione Penale, Sez. 4, 29 marzo 2021, n. 11650 - Infortunio con una macchina macina pneumatici: responsabilità del RSPP per non aver valutato il rischio connesso alla sostituzione delle cinghie
Con la sentenza indicata in epigrafe è stata confermata la pronuncia emessa dal Tribunale di Bergamo con la quale B.P. era stato giudicato colpevole del reato di lesioni personali colpose commesse in danno di F.J. e condannato al pagamento di 1.800,00 euro di multa e delle spese processuali.
Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito il 10.12.2011 il F.J., dipendente della O.R.P. s.r.l. stava procedendo alla sostituzione di due cinghie rotte della macchina macina pneumatici quando rimaneva incastrato con il mignolo della mano destra tra il rullo e la cinghia, riportando la sub-amputazione P3 del mignolo, dalla quale derivava una malattia guarita in un tempo superiore a quaranta giorni. Al B.P., che nel contesto della O.R.L. s.r.l. rivestiva la qualifica di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, è stato ascritto di non aver rilevato il rischio connesso alle operazioni di manutenzione della macchina macina pneumatici, ed in specie all'operazione di sostituzione delle cinghie, pur essenziale per il funzionamento dello stabilimento. In tal modo il B.P. era venuto meno ai suoi doveri di contribuzione tecnica alla valutazione del rischio e alla predisposizione di misure organizzative necessarie a fronteggiarlo.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione con atto sottoscritto dal difensore avv. Claudio S., articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo lamenta la violazione degli artt. 28, co. 2 e 33 d.lgs. n. 81/ 2008. Ad avviso dell'esponente la Corte di appello non ha operato la doverosa distinzione tra le posizioni rispettive del datore di lavoro e del RSPP. Si contesta al B.P. non di aver omesso di segnalare al datore di lavoro le situazioni di rischio ma la assenza nel DVR dell'indicazione di specifici rischi attinenti alla macchina macina pneumatici. Tuttavia, non è stato esaminato il datore di lavoro, sicchè nessuna prova è stata acquisita in merito ai suggerimenti forniti dal B.P. in osservanza dell'art. 33 d.lgs. 81/2008. Pertanto, si è fatta discendere in modo automatico la responsabilità del ricorrente, che rivestiva un ruolo di mero consulente del datore di lavoro, privo di poteri decisionali e quindi della titolarità di una posizione di garanzia. L'eventuale responsabilità del RSPP è ipotizzabile solo ai sensi dell'art. 113 cod. pen., in associazione alla responsabilità del datore di lavoro, allorquando l'evento infausto derivi da suggerimenti errati o dalla mancata segnalazione di un rischio da parte del RSPP. Ma nel caso di specie la Corte di appello non ha reso idonea motivazione in merito alla effettiva violazione dell'art. 33 operata dal B.P.; non c'è prova che questi non avesse fornito i suggerimenti necessari.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione sotto il profilo del travisamento della prova e della contradittorietà. La sentenza impugnata da un verso sostiene l'assenza di ogni valutazione circa i rischi connessi all'espletamento delle attività di manutenzione e per altro riconosce che l'attività di manutenzione era stata strutturata in tre fasi distinte. Il travisamento della prova, poi, si rinviene laddove la Corte di appello omette di considerare che il DVR contempla il soggetto cui compete l'intervento manutentivo (il P.) e quanto dichiarato dal teste L. sulla presenza della valutazione del rischio della manutenzione.
2.3. Il terzo motivo censura l'erronea applicazione degli artt. 28, co. 2 lett. d) e 33 d.lgs. n. 81/2008, per aver la Corte di appello fondato la responsabilità del B.P. sulle dichiarazioni dei F., M., J. e A., nonostante dalle stesse non emerga che il RSPP suggerisse di tollerare una sorta di anarchia organizzativa, in contrasto con le prescrizioni del DVR. Travisamento della prova si rinviene a proposito delle dichiarazioni di F.M. e la mancanza di motivazione in relazione a quanto emerge da pg. 21 e 22 del DVR. In sintesi, dal compendio probatorio, ad avviso dell'esponente, emerge che le operazioni di manutenzione erano state assegnate al solo P., che effettivamente le svolgeva in via esclusiva; la Corte di appello ha omesso di valutare le prove che depongono in tal senso. Si aggiunge che la Corte di appello ha anche omesso di valutare quanto emerge dal libro delle manutenzioni delle macchine circa la sostituzione delle cinghie con cadenza annuale; se ne deriva che prima dell'infortunio, nel tempo dell'occupazione della persona offesa presso la O.R.L. s.r.l. (quattro anni), tale operazione era stata eseguita solo tre volte, sempre dal solo P.. Sicchè non si comprende in quale altra occasione il F.J. abbia eseguito l'operazione. Da ciò consegue l'abnormità della condotta dell'infortunato, che svolgeva esclusivamente mansioni di pulizia e tenne un comportamento esorbitante ed imprevedibile.
2.4. Si lamenta, ancora, il vizio di motivazione per non essere stata valutazione l'assoluzione del datore di lavoro. Si ribadisce che il RSPP non può essere chiamato a rispondere direttamente ma solo in cooperazione colposa con il datore di lavoro.
2.5. Con il quinto motivo si censura il vizio della motivazione in ordine al giudizio di attendibilità della persona offesa e all'affermato trasferimento agli operai F.J. del compito di decidere se intervenire in prima persona sulla macchina o richiedere l'intervento del P.. Viene rilevato, sul punto, il contrasto tra le dichiarazioni di F.M. e quelle dei figli e le contraddizioni interne alle dichiarazioni di F.A. nonché l'omessa valutazione delle dichiarazioni del P. e del B.P. nella parte attinente alla circostanza che nessuna attività manutentiva era stata mai concessa agli operai.
Diritto
3. Occorre prendere le mosse dal rilevare che per il reato ascritto al B.P. è decorso il termine massimo di prescrizione. Poiché è stato correttamente instaurato il rapporto processuale, non ravvisandosi l'inammissibilità del ricorso (cfr. Sez. u, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818), e non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità del condannato, per una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell'art. 129 co. 2 cod. proc. pen. va dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, agli effetti penali.
Le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata non solo escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma anche valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal B.P., che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l'art. 578 c.p.p. prevede che il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall'art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).
Anche sotto lo specifico profilo ora menzionato le doglianze proposte non sono fondate.
4.1. È da osservare, quanto al primo e al quarto motivo di ricorso, che l'insegnamento delle Sezioni Unite indica nel responsabile del servizio di prevenzione e protezione un soggetto tenuto a prestare la propria opera (di supporto tecnico al datore di lavoro in rapporto alla valutazione dei rischi e alla connessa identificazione delle misure prevenzionistiche da adottare), che può essere chiamato a rispondere della sua attività ove svolta in violazione di regole cautelari) e causalmente incidente sulla verificazione dell'evento tipico ("In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri": S.U., n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.c ., Espenhahn e altri, Rv. 261107).
Tenendo presente tale principio risulta manifestamente infondata l'affermazione del ricorrente secondo la quale gli sarebbe stata attribuito un dovere spettante unicamente al datore di lavoro. D'altro canto, tale affermazione è poi abbandonata dal ricorrente medesimo che, lamentando l'assenza di istruttoria prima e di motivazione poi in merito all'uso che il datore di lavoro avrebbe fatto delle indicazioni fornitegli dal B.P., assume implicitamente di aver tenuto la condotta che gli si rimprovera di non aver tenuto. Orbene, si tratta di prospettazione del tutto nuova, posto che con l'appello era stata censurata la sentenza di primo grado rappresentando che non sta al RSPP procedere all'identificazione dei rischi, che il DVR aveva considerato il rischio connesso all'operazione di sostituzione delle cinghie, che egli non aveva ricoperto il ruolo di RSPP, che non potevano sovrapporsi i compiti di quest'ultimo e quelli del datore di lavoro, che il comportamento del lavoratore aveva determinato l'interruzione del nesso causale.
Pertanto si tratta di motivi non consentiti, giacché..
4.2. Anche il secondo motivo non è consentito, concretandosi nella sollecitazione a questa Corte di far propria una ricostruzione dell'accaduto alternativa a quella definita dai giudici di merito. Al di là delle evocazioni di vizi denunciabili in sede di legittimità, quel che si pretende è l'avallo della tesi già confutata della Corte di appello secondo la quale il rischio implicito nelle operazioni di sostituzione delle cinghie della macchina macina pneumatici era stato fatto oggetto della valutazione prevista dall'art. 28 D.lgs. n. 81/2008. A tal proposito, a prescindere dai limiti propri al tipo di censura avanzata (incidenti, ad esempio sulla denuncia di travisamento delle dichiarazioni del L.), va precisato che non sussiste alcun travisamento della prova documentale, avendo la Corte di appello correttamente letto i documenti prodotti dalla difesa; sia quello nel quale si distinguono le tre attività e le interne fasi di lavoro (documento rappresentato a pg. 12 del ricorso), che quello nel quale si indicano i rischi connessi alla sostituzione delle lame delle macchine operatrici (documento rappresentato a pg. 14 del ricorso). Da tali atti emerge che la manutenzione era prevista per tre fasi tra le quali non c'era la sostituzione delle cinghie, che il rischio di schiacciamento era previsto solo per la lavorazione 'sostituzione delle lame delle macchine operatrici', risultando così confermato che non era stato valutato il rischio connesso alla sostituzione delle cinghie.
Le pertinenti valutazioni della Corte di appello, secondo la quale sarebbero mancate sia l'individuazione delle misure da adottare (divieto specifico per gli operai di effettuare interventi di manutenzione) sia l'individuazione dei soggetti competenti per l'intervento, appaiono quindi non contraddette da tali documenti e argomentate in modo non manifestamente illogico.
4.3. Quanto al terzo e al quinto motivo, muovendo dall'assunto del ricorrente secondo il quale il P. era stato individuato dal B.P. quale unico addetto alla manutenzione, va rilevato come esso non consideri che la Corte di appello non ha negato il dato formale che depone nel senso indicato ma ha rimarcato l'assetto effettivo delle operazioni di manutenzione. A pg. 7 si legge che dalle testimonianze di F.J. e di F.A. si ricava che quando si verificavano problemi di funzionamento dei macchinari "si dovesse richiedere l'intervento del responsabile della manutenzione P. solo in caso di un intervento che gli operai non riuscissero a fare da soli". La corte distrettuale ne ha dedotto, in modo non manifestamente illogico, che "il funzionamento dello stabilimento era affidato in caso di assenza del P. alla prudenza e alla discrezionale scelta dei dipendenti tra l'operare direttamente l'intervento di manutenzione, ove possibile, e il richiedere l'intervento del collega designato per la manutenzione" .
Tali considerazioni sono attaccate dal ricorrente rappresentando che la Corte di appello non avrebbe sottoposto a vaglio critico le testimonianze dei fratelli F. e che non avrebbe spiegato perchè esse non sono contraddette dalla deposizione del padre M..
Ma si tratta di censure che non attengono al nucleo del giudizio, che non è rappresentato dall'aver instaurato una prassi pericolosa ma dal non aver rilevato la esistenza di un rischio connesso alle operazioni di smontaggio delle cinghie e pertanto non aver segnalato al datore di lavoro perché fosse oggetto di valutazione. Che l'intervento nel corso del quale il F.J. riportò le lesioni sia stato unico o invece replica di precedenti analoghi interventi è questione che non incide sulla conoscibilità del rischio del quale ci si sta occupando e sulla sua omessa valutazione.
Né la prospettazione assume maggior rilevanza in relazione al profilo della incidenza del comportamento del lavoratore infortunatosi sulla sequenza causale, dovendosi escludere, in ragione del costante orientamento espresso dal questa Corte al proposito, che la Corte di appello abbia fatto errata applicazione dell'art. 41 cod. pen. laddove ha negato che quel comportamento abbia assunto valenza di causa da sola sufficiente a cagionare l'evento, proprio perché radicato nell'assenza di divieti specifici, sorvegliati da appropriate sanzioni, congegnati quali misura di prevenzione all'esito di una puntuale valutazione dello specifico rischio.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato agli effetti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/10/2020.