Cassazione Penale, Sez. 4, 19 febbraio 2021, n. 6486 - Infortunio con la macchina per la tintura dei tessuti. Responsabilità del delegato con procura speciale in qualità di responsabile della direzione e della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro

2021


1. La Corte di appello di Brescia il 30 ottobre 2019, in parziale riforma della sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Bergamo il 12 aprile 2016, all'esito del dibattimento ha riconosciuto L.P. responsabile del delitto di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 25 marzo 2013, in conseguenza condannandolo, riconosciute le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti all'aggravante, in ragione dell'avvenuto integrale risarcimento dei danni alla persona offesa (che nel corso del processo ha revocato la costituzione di parte civile), alla pena pecuniaria di giustizia, ha concesso il beneficio della non menzione; con conferma nel resto.

2. Il fatto storico, in sintesi, come ricostruito dai giudici di merito.
2.1. Il 25 marzo 2013 A.F. operaio dipendente della s.r.l. "Tiba", era addetto ad una macchina per la tintura dei tessuti e, in particolare, stava inserendo all'interno di essa la "testana" cioè 150 metri di tessuto di poliestere, usata per la pulizia dei rulli e per l'instradamento tra i cilindri della stoffa, applicato mediante cucitura al tessuto vero e proprio da tingere, quando, essendosi prodotte delle pieghe al tessuto in ragione del non perfetto inserimento dello stesso, l'operaio era intervenuto sul dispositivo di blocco di emergenza del macchinario (detto "fune di guardia"), al fine di poter estrarre il tessuto e poi riposizionarlo in maniera adeguata. Sennonché il macchinario non si era completamente fermato, avendo continuato a funzionare la centralina idraulica (che era indipendente dal resto), e, in conseguenza, avendo continuato a circolare i rulli, gli stessi trascinavano il braccio e la mano dell'operatore, che riportava plurime fratture guaribili in più di quaranta giorni.
2.2.La posizione di garanzia che si è ritenuto ricoprire l'imputato è quella di delegato, con procura speciale conferitagli dall'amministratore unico della società "Tiba", in qualità di "responsabile della direzione e della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro," e, pertanto, di "datore di lavoro" nell'accezione di cui all'art. 2, comma 1, lett. b) del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, secondo cui si intende per « "datore di lavoro": il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unita' produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa».
2.3.I profili di colpa ritenuti sussistenti a carico dell'imputato sono sia di tipo generico (negligenza, imprudenza, imperizia) che specifico, avendo i giudici di merito ritenuto violato l'art. 71, comma 1, del d. lgs. n. 81 del 2008, per avere L.P. messo a disposizione del lavoratore un macchinario privo dei dispositivi di sicurezza, sia in quanto all'azionamento del dispositivo di sicurezza non seguiva il blocco completo della macchina, che lasciava in funzione la centralina oleodinamica che continuava ad avvolgere il tessuto, sia in relazione alla possibilità per l'operatore di entrare a diretto contatto con i rulli in movimento, la cui zona di azione non era segregata.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensori di fiducia, affidandosi a tre motivi, con i quali denunzia difetto di motivazione (tutti i motivi) e violazione di legge (il primo motivo).
3.1. Con il primo motivo, in particolare, censura la ritenuta violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. per omessa valutazione della prova e per mancanza di motivazione, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa.
Richiama il ricorrente parte del contenuto della relazione scritta, acquisita al fascicolo, redatta dal consulente tecnico nominato dalla difesa dell'imputato, ing. Giuseppe B., in cui si precisa che il formarsi delle pieghe sulla testana è fenomeno fisiologico e che non ha alcuna rilevanza eliminarle, tanto che si tratta di manovra non prevista nella procedura e nelle schede tecniche, e la conforme valutazione espressa all'udienza del 9 ottobre 2015 dal teste Luca M..
Ciò posto, osserva il ricorrente come su tale circostanza, emersa dall'istruttoria e che è stata oggetto di discussione tra le parti, i giudici non si siano pronunziati in alcun modo, limitandosi a dare atto (alla p. 7 della sentenza impugnata) che l'intervento manuale dell'operaio fu effettuato non sul tessuto ma sulla "testana" che serviva per instradare tra i rulli il tessuto vero e proprio.
In conseguenza le sentenze di merito avrebbero male inteso e male affrontato la questione, che si stima essere nodale, non già della formazione delle pieghe, ma della necessità di eliminarle, ritenendo la Corte di merito tale necessità connaturata al ciclo produttivo: e ciò in base a quanto dichiarato a dibattimento dall'infortunato e dal suo collega, l'operaio N., in contrasto però - si sottolinea - con le riferite emergenze istruttorie.
La relazione scritta del consulente tecnico di parte ing. B. spiega anche (alla pp. 20-21) che il ciclo di funzionamento della macchina non prevede la necessità di interventi manuali durante il funzionamento.
Ancora: nella richiamata relazione (alla p. 21) l'ing. B. ha definito "assolutamente abnorme" l'operazione consistita nel tirare la testana da parte dell'operaio, perché operazione ritenuta dal C.T. "inutile e visibilmente impossibile da eseguire"; valutazione confermata in udienza dall'esperto (p. 10 della trascrizione del 26 gennaio 2016).

Data la velocità di scorrimento della testana e la impossibilità per l'operatore di contrastare la potenza di rotazione dei cilindri, si domanda il ricorrente (p. 7)
«se l'infortunio si è verificato all'interno del contesto riferito dal A.F., [...] sul piano logico, come mai il lavoratore infortunato, avendo constatato che non riusciva a trattenere la testana [alla quale non era vincolato in alcun modo] che lo trascinava, non ha preferito istintivamente "mollare la presa" piuttosto che finire con la mano tra i cilindri, ed evitare così facendo l'infortunio».
L'infortunato ed il teste N. hanno riferito a dibattimento di avere sempre visto i colleghi fare così e che nessuno aveva loro spiegato la necessità di eliminare le pieghe dalla testana, necessità che - si sottolinea - non esiste: ad avviso del ricorrente, «queste dichiarazioni [...] dimostrano inequivocabilmente che all'interno del processo produttivo non era stata considerata la necessità di eliminare le pieghe dalla testana e, di conseguenza, non era stata impartita alcuna istruzione in proposito. In altri termini, eliminare le pieghe dalla testana non serviva e non serve tuttora a niente. Quanto dichiarato dall'infortunato e dal teste N., chiaramente contraddetti dai teste M. Luca e da CTP, come si è già osservato, è del tutto irrilevante nello scenario del vizio di legittimità in discussione; tali dichiarazioni, infatti, sono a tutto concedere espressioni di una anomalia del comportamento ma non dimostrano con certezza la sussistenza di un difetto,organizzativo» (così alla p. 8 del ricorso).
Non avendo considerato il contributo conoscitivo dell'ing. B. e del teste M., sarebbe stato violato da parte dei giudici di merito l'art. 192 cod. proc. pen., che impone di valutare tutte le prove: la incompletezza del ragionamento della Corte di appello deriverebbe, dunque, «dall'omessa valutazione delle due circostanze probatorie di cui si è già detto [i.e.: 1. irrilevanza del formarsi di pieghe sulla "testana"; 2. inutilità/impossibilità/abnormità della manovra di tiraggio posta in essere dalla p.o.], delle quali la Corte territoriale [...] avrebbe dovuto escludere la rilevanza, proponendo adeguato ragionamento logico che, invece, è del tutto assente nella motivazione dell'impugnata decisione» (così alla p. 9 del ricorso).
La motivazione sarebbe, dunque, mancante circa la - ritenuta - inattendibilità ovvero minore attendibilità del teste M. rispetto alla vittima, non rendendosi conto i decidenti che il ragionamento incentrato in sostanza sul passaggio "non si vede davvero perché mai A.F. avrebbe dovuto mentire" (p. 9) non è idoneo a sostenere la maggiore credibilità di A.F. rispetto a M., del quale pure si potrebbe in ipotesi, allo stesso modo, dire "perché mai avrebbe dovuto riferire cosa non vera..."; del tutto mancante sarebbe, poi, la spiegazione circa la irrilevanza della circostanza riferita dal consulente.

3.2. Mediante il secondo motivo L.P. lamenta contraddittorietà della motivazione quanto al tema del "rischio residuo".
Richiamate le circostanze di fatto già ampiamente sottolineate nel primo motivo a proposito delle pieghe sulla testana e della inutilità/impossibilità di tirare la stessa, si sottopone a censura quella parte della motivazione in cui si tratta dei due interventi per migliorare la sicurezza posti in essere dopo l'infortunio, ossia: 1) collegamento anche della centralina idraulica che comanda i rulli al sistema di arresto di emergenza; 2) immersione totale nella vasca con la vernice dei rulli ove in movimento.
Riferite per stralcio le dichiarazioni rese dal teste della A.S.L. S.B., secondo il quale dopo le riferite modifiche, rimarrebbe comunque un rischio assai basso ("in minima parte"), detto "rischio residuo", e le considerazioni che si rinvengono in sentenza sul punto (pp. 7-8), si evidenzia la ritenuta contraddittorietà della giustificazione, che emergerebbe dai seguenti rilievi:
in primo luogo, l'ispettore S.B. non ha verificato se fosse necessario o meno eliminare le pieghe dalla testana;
l'isp. S.B., per sua ammissione, non ha nemmeno messo in funzione la macchina;
l'affermazione che il rischio di contatto con i rulli è, dopo gli interventi, non già eliminato radicalmente ma "molto ridotto" non tiene conto che la vasca - e l'immersione in essa dei rulli - non è un dispositivo di sicurezza e che la soluzione adottata, a ben vedere, è un mero espediente che si limita a ridurre, senza poter eliminare in assoluto, la possibilità di pericolosi contatti con gli organi in movimento: donde la illogicità della motivazione sul punto, poiché, ad avviso del ricorrente, «ragionando ex ante non è possibile sostenere che la stessa misura sia dotata di una efficacia protettiva a "mezzo servizio"; o è efficace o non è efficace, "tertium non datur"» (così alla p. 16 del ricorso).
Le misure di protezione presenti al momento dell'infortunio erano, invece, secondo la difesa, efficaci e l'infortunato era a conoscenza, per sua ammissione, del divieto di operare sulla macchina in movimento, divieto peraltro risultante dal documento di valutazione dei rischi, come dichiarato dal teste S.B..
Peraltro, nessuno ha chiesto all'operaio di rimediare al fatto che la testana era piegata e, per di più, di farlo a macchina in movimento. Né potrebbe ritenersi - sostiene il ricorrente - che "nessuno gli avesse mai detto di non fare quella cosa", in quanto il datore di lavoro aveva stabilito, per così dire, " a monte" che la macchina dovesse essere sempre fermata prima di eseguire qualsiasi intervento. In conseguenza, «non vi era alcuna necessità di dire o formalizzare che "quella cosa non dovevo farla". L'infortunato, pertanto, non può pretendere che, dopo avere deciso deliberatamente di infrangere la regola che il datore di lavoro aveva disposto per la sua sicurezza, si aspetti che qualcuno gli dica che non può fare "quella cosa"» (così alla p. 20 del ricorso).
Quanto alla valutazione operata dalla Corte di appello in termini di "ragionevole certezza" dell'effetto salvifico del nuovo sistema di blocco, ove esso fosse già stato installato ab origine, tale ragionamento sarebbe non solo privo di riscontri probatori ma non terrebbe conto che è emerso dalla testimonianze del teste della ASL S.B. che è stato proprio l'azionamento del meccanismo tramite fune di emergenza che ha provocato l'apertura dei rulli e, quindi, la possibilità per l'infortunato di estrarre rapidamente da solo la mano dal macchinario, sicché - si assume - «non è possibile che la mano dell'infortunato sia rimasta ancora incastrata dopo l'apertura dei cilindri» (così alla p. 17 del ricorso).
Infine, si lamenta ulteriormente la erroneità ed illegittimità della decisione, per avere addebitato all'imputato, che non era l'amministratore ma un semplice delegato, il profilo di colpa della messa a disposizione di un macchinario privo dei requisiti di sicurezza, obbligo posto dall'art. 71 del d. lgs. n. 81 del 2008 esclusivamente nei confronti del datore di lavoro, senza considerare che l'adempimento di tale obbligo avviene in sede di valutazione dei rischi, obbligo quest'ultimo non delegabile come si desume dagli artt. 17, comma 1, lett. a), e 71, comma 2, del d. lgs. n. 81 del 2008: «Non è stato l'imputato a decidere tale misura della quale ha preso soltanto atto. La delega non prevede mai che il delegato debba verificare la correttezza di quanto il datore di lavoro, con il contributo dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione, ha dichiarato all'interno della relazione contenente la valutazione dei rischi, con riferimento alla conformità delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori ai requisiti di sicurezza. La Corte territoriale nulla dice in proposito limitandosi a condividere l'impostazione del primo giudice [...]» (così alla p. 22 del ricorso).
3.3. Infine, con l'ultimo motivo il ricorrente si duole della manifesta illogicità della motivazione in relazione a tre aspetti: 1) la formazione dell'infortunato; 2) il comportamento asseritamente abnorme dello stesso; 3) la prassi aziendale.
Richiamati i passaggi della motivazione della sentenza impugnata relativi ai tre temi indicati, si sottopone la stessa a censura, con particolare riferimento: alla distinzione, valorizzata dalla Corte di appello, tra la formazione "generale", in effetti impartita, e quella "specifica", che sarebbe stata, invece, mancante; alla esclusione della abnormità della condotta pur scientemente posta in essere dal lavoratore, conscio del divieto di operare sulla macchina in movimento, peraltro in palese violazione del precetto penale posto nei confronti dello stesso lavoratore dal combinato disposto degli artt. 20, comma 2, lett. b), e 59, comma 1, lett. a), del d. lg.s n. 81 del 2008; ed al riconoscimento della esistenza di pericolose prassi aziendali, la prova delle quali, in realtà, non sussisterebbe, essendo la sentenza sul punto affidata a mere apodittiche deduzioni, quali la - si ritiene - solo asserita prassi che "non poteva essere ignorata" (così alla p. 31 del ricorso) da parte dei titolari di posizioni di garanzia.
Si chiede, dunque, l'annullamento delta sentenza impugnata.

4.II P.G. il 3 novembre 2020 ha concluso per iscritto (art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137) chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

5.Infine, con memoria pervenuta il 10 novembre 2020 la difesa dell'imputato ha replicato alle conclusioni del P.G. ed ha insistito per l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate.



Diritto



1. Premesso che il reato non è prescritto (infatti: fatto del 25 marzo 2013 + sette anni e sei mesi = 25 settembre 2020 + 64 giorni ex art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella l. 24 aprile 2020, n. 27), il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.

2. Appare opportuno trattare congiuntamente tutte le doglianze della difesa, data la stretta interdipendenza tra gli argomenti svolti.
2.1. Il ricorso richiama solo apparentemente la categoria della violazione di legge (primo motivo di impugnazione): al riguardo, si osserva che non è consentito, in realtà, lamentare tramite ricorso di legittimità la ritenuta violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. Infatti, «Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata» (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191-02). Residuano, dunque, solo asseriti difetti di motivazione che vengono censurati, pur in presenza di doppia conforme, senza che nemmeno sia denunziato da parte del ricorrente alcun travisamento.
2.2. Sotto il profilo dei plurimi difetti di motivazione denunziati (di cui si è detto nel "ritenuto in fatto"), la sentenza impugnata resiste a tutte le censure difensive. Essa, infatti, a ben vedere, motiva adeguatamente e logicamente a proposito di tutti i temi sui quali cadono le critiche del ricorrente, che, come segnalato dal Procuratore Generale della S.C., si limita a reiterare doglianze già poste dalla difesa nel dibattimento di primo grado e nell'impugnazione di merito, doglianze già tutte adeguatamente risolte da parte dei decidenti.
Si osserva, infatti, quanto segue.
2.2.1. Il pericoloso intervento - spiegano giudici di merito, con ragionamento congruo e non sindacabile in sede di legittimità - fu operato non direttamente sul macchinario ma sulla "testana" e, indirettamente, sui rulli, con le conseguenze dannose di cui si è detto, da parte di lavoratore che si è detto essere impiegato come "jolly" in varie attività ed essere stato - sì - genericamente formato dall'azienda ma non già con specifico riferimento alla macchina in questione cui pure era concretamente addetto.
L'affermazione è conforme al principio di diritto secondo il quale il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi (cfr., tra le numerose, Sez. 4, n. 11112 del 29/11/2011, dep. 2012, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729- 01; Sez. 4, n. 39765 del 19/05/2015, Vallani, Rv. 265178-01; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042-01; Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603-01).
2.2.2. Il ragionamento circa il "rischio residuo" dopo gli interventi innovativi, con specifico riferimento alla collocazione dei rulli nella vasca contenente la vernice (pp. 7-8 della sentenza), è svolto dalla Corte di merito, a ben vedere, solo ad adiuvandum rispetto alla struttura centrale nella motivazione, che valorizza quale elemento di centrale importanza la innovativa introduzione di un unico meccanismo di blocco per l'intero macchinario, poiché prima di tale intervento - hanno spiegato i giudici di merito - all'azionamento del meccanismo di sicurezza non seguiva il blocco completo della macchina, che continuava ad avvolgere il tessuto, senza "segregazione" dell'area in cui erano in movimento i pericolosi rulli, ciò che spiega la dinamica dell'infortunio.
Si tratta di affermazione in linea con il consolidato principio secondo il quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le disposizioni di cui agli artt. 41 e 68 d.P.R. n. 547 del 1955 circa la necessità della messa in sicurezza delle parti pericolose delle macchine, hanno un carattere generale e trovano applicazione, senza lasciare alcun margine di discrezionalità ai soggetti cui incombe il rispetto della norma, in tutti i casi in cui vengano adoperati macchinari che presentino elementi di pericolo per il lavoratore (ex plurimis, Sez. 4, n. 2991 del 06/12/2007, dep. 2008, P.G. in proc. Gnutti, Rv. 238671-01; Sez. 4, n. 4066 del 23/02/1996, De Ponti, Rv. 204978-01).
2.2.3. La questione della titolarità in capo al solo datore di lavoro dell'obbligo, non delegabile ad altri, di valutare il rischio costituisce, a ben vedere, denunzia non già di vizio di motivazione ma di violazione di legge (cfr. art. 17, comma 1, lett. a, del d. lgs. n. 81 del 2008), che, però, non è stata previamente oggetto di censura in appello (v. impugnazione di merito), con la conseguenza della inammissibilità in parte qua, in applicazione dell'art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen.
2.2.4. Quello che risulta pacifico, invece, è che L.P. era il delegato, con procura speciale conferitagli dall'amministratore unico, in qualità di "responsabile della direzione e della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro" cioè era, sotto il profilo della sicurezza, figura datoriale.
2.2.5. Circa il dubbio che avanza la difesa circa la esatta dinamica dell'infortunio, ha già risposto la sentenza impugnata alle pp. 8-9, conformemente peraltro a quella del Tribunale , da valutarsi unitariamente, in quanto le due decisioni si integrano a vicenda (infatti, secondo tradizionale insegnamento della S.C., da cui non vi è ragione alcuna di discostarsi, «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile», così la risalente decisione di Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti ed altri, Rv. 225671; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano ed altri, Rv. 224079; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Scauri, Rv. 197497; più di recente, v. Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro, Rv. 266617). Si tratta comunque, a ben vedere, di doglianza di fatto, svolta, per di più, in maniera meramente ipotetica, non scrutinabile da parte del giudice di legittimità.
2.2.6. Sul tema del livello di formazione del lavoratore infortunato si rinviene idonea motivazione alla p. 10 della sentenza impugnata, oltre che alla p. 5 di quella del Tribunale.
2.2.7. Anche quanto all'aspetto della esclusione dell'abnormità della condotta del lavoratore infortunato si rinviene adeguata motivazione alle pp. 10- 11 della sentenza impugnata ed alle pp. 6- 7 della sentenza di primo grado. Sullo specifico punto, occorre tenere conto che, come noto, in tema di infortuni sul lavoro, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Pmt in proc. Musso, Rv. 275017-01; Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222-01; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603-01; Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 2014, Rovaldi, Rv. 259313-01).
2.2.8. Infine, anche in ordine al tema della prassi aziendale si rinviene sufficiente, non illogica e non incongrua motivazione, immune da vizi censurabili in sede di legittimità, alle pp. 9 e 11 della sentenza di appello ed alle pp. 6-7 di quella del Tribunale.

3. Discende da tutte le considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.



P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/11/2020.


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