Cassazione Penale, Sez. 4, 18 novembre 2021, n. 42086 - Sfondamento del tetto e morte del lavoratore autonomo. Responsabilità del rappresentante legale della ditta affidataria che si avvale di terzi per la realizzazione dell'opera commissionata
Fatto
1. La Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Rovigo, con la quale N.S. era stato condannato - nella qualità di rappresentante legale di STEL srl - per il reato di cui all'art. 589, c. 2, cod. pen. ai danni del lavoratore P.G., reato aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha riconosciuto all'imputato la circostanza attenuante di cui all'art.62 n. 6, cod. pen., ritenuta - in uno con le già concesse generiche - prevalente sull'aggravante e conseguentemente ridotto la pena, confermando nel resto.
2. In particolare la STEL srl era ditta affidataria dei lavori di installazione - sulla copertura di un capannone di proprietà delle OFFICINE MORA srl, locato a una ditta che vi svolge attività metalmeccanica - di un traliccio metallico a supporto di un impianto tecnologico per la diffusione del segnale Wi-Fi, lavori sub-appaltati dalla stessa STEL srl alla ditta SDT che, a sua volta, aveva affidato l'esecuzione a due lavoratori autonomi, tra i quali la vittima. Si è contestato al N.S., nella doppia qualità di committente dei lavori e datore di lavoro della ditta affidataria, di aver cagionato la morte del P.G., il quale - a causa dello sfondamento del tetto, sul quale stava operando in esecuzione dei lavori affidatigli - cadeva a terra da un'altezza di oltre 10 metri, decedendo in conseguenza dei traumi e della emorragia riportati, il tutto a causa della violazione delle norme cautelari antinfortunistiche indicate.
Quanto a quest'ultime (artt. 97, c. 1, 97, c. 2, 97, c.3 lett. a, 97, c. 3, lett b; 96, c. 1 lett. g, 93, c. 2, d. lgs. 81/2008), si legge nella sentenza impugnata che all'imputato si è rimproverato di non aver verificato la capacità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi, le condizioni di sicurezza del cantiere (con specifico riferimento ai sistemi anti-caduta, che non erano neppure certificati e alla mancata adozione di parapetti o recinzioni atti a mettere in sicurezza, mediante apposita segregazione in area protetta, le maestranze impegnate nella installazione del traliccio) e, ancor prima, di aver previsto nel PSC un'unica misura inidonea, evidenziata la immediata percepibilità del pericolo, in relazione alla fase della lavorazione (messa in opera dei tiranti). Inadeguato è stato giudicato anche il POS che prevedeva che i lavoratori restassero sempre sulla trave a Y della copertura, il che si era accertato esser incompatibile con la esecuzione di quel lavoro che imponeva spostamenti in diagonale, atteso che le lastre di copertura avevano una larghezza di 2 metri, tale dunque da non consentire di essere superate con un passo.
3. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando quattro motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in punto ingerenza dell'imputato nella esecuzione dell'opera appaltata a SDT snc e, dunque, in ordine alla attribuzione della posizione di garanzia, quale datore di lavoro dell'impresa affidataria.
Osserva la difesa che, a tal fine, è insufficiente l'attribuzione della qualifica nello schema riepilogativo del PSC, in difetto di una delega formale, così come assume esser irrilevante il fatto che il N.S. avesse conferito incarico di CSP-CSE a un tecnico e trasmesso la DIA, trattandosi di adempimenti propri del committente. Sotto altro profilo, si è evidenziato che l'intervento di STEL srl era successivo alla realizzazione della infrastruttura (di integrale competenza di SDT snc) e limitato alla sola manutenzione; infatti, sia nei giorni precedenti, che in quello del sinistro, nessun lavoratore STEL era stato presente in cantiere; l'infortunio, inoltre, si era verificato in una situazione di pericolo non direttamente dominabile dal N.S., atteso che il lavoratore stava lavorando sotto la diretta sorveglianza di un socio di SDT snc.
A fronte di tali osservazioni, la Corte d'appello avrebbe illogicamente valorizzato il ruolo del N.S. come responsabile dei lavori, essendo i doveri di quest'ultimo sovrapponibili a quelli del committente che lo ha nominato, il N.S. rivestendo entrambi i ruoli. Secondo il ricorrente, sarebbe difficile ipotizzare un'ingerenza nel caso in cui l'accusato sia il datore di lavoro di un'impresa il cui intervento esecutivo sia programmato dopo quello della impresa che si assume aver subito l'ingerenza.
Con il secondo motivo, è stato dedotto vizio della motivazione in ordine alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio, con riferimento alla fase della lavorazione durante la quale si è verificata la caduta. Sul punto, la difesa ha rilevato che la testimonianza C. non aveva fornito elementi utili e la Corte non avrebbe dovuto basarsi sull'ipotesi ricostruttiva fornita dall'organo accertatore, secondo cui il lavoratore, data la inidoneità dei sistemi di protezione individuale, si sarebbe trovato in oggettiva difficoltà nello svolgimento della mansione e, per tale motivo, si sarebbe determinato a sganciare la imbracatura. Al contrario, secondo la difesa, dalla testimonianza C. era emerso che la vittima, poco prima di precipitare, si trovava su una trave in cemento armato, alla base del traliccio, intenta a aprire una matassa di tiranti destinati a altro lavoratore, situazione che il deducente ritiene inconciliabile con la dinamica del sinistro fatta propria dalla Corte territoriale, il cui presupposto logico è che il lavoratore fosse in movimento poco prima di cadere.
Con il terzo motivo, è stato dedotto analogo vizio quanto alla ritenuta inidoneità dei presidi di sicurezza previsti nel PSC e nel POS di STEL srl. La Corte del gravame avrebbe omesso di considerare gli argomenti difensivi a confutazione del giudizio di inidoneità di essi, trattandosi di valutazione da condurre, in ogni caso, ex ante.
Con il quarto motivo, infine, la difesa ha dedotto violazione di legge in punto responsabilità del committente e responsabile dei lavori con riferimento all'obbligo di verifica nei confronti dell'adempimento, da parte CSP-CSE, degli obblighi previsti a suo carico. La Corte avrebbe errato nel ritenere che, tra i doveri del committente/responsabile dei lavori, rientri anche quello di verificare le scelte tecniche del coordinatore, ciò non ricavandosi dalla legge.
4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Delia CARDIA, ha rassegnato conclusioni, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
5. La difesa ha rassegnato proprie conclusioni scritte, con le quali ha sviluppato le argomentazioni difensive di cui ai motivi di ricorso, insistendo per il loro accoglimento.
Diritto
1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte veneziana ha esaminato le doglianze difensive veicolate con l'atto di appello, muovendo dalla questione inerente alla posizione di garanzia ricoperta dall'imputato, per affermare la infondatezza della dedotta preclusione alla coesistenza dei due ruoli rivestiti dal N.S., quale responsabile dei lavori e datore di lavoro della ditta affidataria e della asserita irrilevanza delle condotte dalle quali era stata inferita l'ingerenza dell'imputato, attesa la normale riferibilità di essa alla figura del committente.
Quanto al primo aspetto, ha rilevato che l'invocato art. 89 del d. lgs. n. 81/2008 contiene una serie di definizioni per identificare le diverse figure soggettive coinvolte nel contesto della sicurezza dei luoghi di lavoro, senza tuttavia porre alcuna preclusione alla titolarità, in capo al medesimo soggetto, di plurime posizioni di garanzia. E, proprio con riferimento a tale specifico aspetto, ha rilevato come la presente vicenda sia connotata per l'appunto dalla duplicità delle posizioni di garanzia attribuibili al N.S., chiamato a rispondere, non solo della violazione dell'art. 93, c. 2, TUS, quale committente dei lavori, ma anche della violazione dell'art. 97, c. 1, 2 lett. a) e b) e dell'art. 96, c. 1 lett. g) stesso TU, quale datore di lavoro della ditta affidataria dei lavori da svolgersi nel cantiere, teatro del mortale infortunio.
L'ipotesi d'accusa, inoltre, era confermata dall'esito degli accertamenti del personale SPISAL.
Fatta tale premessa, i giudici veneziani hanno precisato che era rimasta incontestata la qualifica di committente dei lavori in capo alla M. e V. srl, anche quale fruitore del servizio offerto da STEL attraverso la infrastruttura che la stessa era stata incaricata di realizzare, incarico che risaliva alla prima proposta contrattuale, nella quale era stata prevista la possibilità, per STEL, di vendere a terzi il segnale utilizzando la realizzanda infrastruttura. Di qui l'attribuzione, anche a STEL, della qualifica di committente e la presenza, dunque, di due distinte committenze, individuate, ai sensi dell'art. 89, c. 1 lett. b) citato, nei soggetti per conto dei quali l'opera veniva realizzata e, al contempo, il ruolo di appaltante, rispetto alla M. e V., in quanto ditta installatrice del traliccio e datore di lavoro ai sensi dell'art. 26 del TUS.
Quanto al contenuto dell'appalto, la Corte territoriale ha precisato come, dal relativo documento acquisito, fosse emerso che la STEL si era impegnata, non solo a montare il traliccio, ma anche a svolgere tutte le connesse attività, tra le quali i lavori in quota con realizzazione di punti di aggancio, supporto del traliccio stesso e utilizzo di gru, da effettuarsi mediante ditte sub appaltatrici, delle quali STEL restava direttamente responsabile.
L'effettività di tali posizioni di garanzia, poi, è stata correlata, sempre sulla scorta degli accertamenti compiuti dallo SPISAL, ad alcune condotte tenute dal N.S.: costui aveva rivestito il ruolo di responsabile dei lavori e provveduto alla nomina del coordinatore per le fasi della progettazione e esecuzione dell'opera e del direttore dei lavori; aveva inoltre presentato la denuncia di inizio attività del cantiere. Ulteriore riprova documentale di ciò è stata ricavata dal DUVRI, documento nel quale era previsto che l'affidataria dei lavori era STEL, che avrebbe agito insieme alla SDT di BOLOGNA.
La Corte, su tale ultimo punto, ha disatteso le censure difensive a mente delle quali le lavorazioni affidate a STEL sarebbero state del tutto distinte rispetto a quelle da eseguirsi da parte di SDT: quand'anche le due fasi di lavorazione fossero state temporalmente sfalsate, la STEL aveva sub-appaltato i lavori, in forza dell'accordo con M. e V., cosicché la circostanza che parte di essi dovesse essere eseguita prima dell'intervento esecutivo della STEL, non esimeva il N.S., nella qualità di cui all'art. 26 TUS, dal verificare le condizioni di sicurezza e la idoneità delle misure preventive adottate nel PSC e nel POS, il sub-appalto non escludendo la responsabilità dell'appaltatore, ma configurando, al contrario, un obbligo di collaborazione in capo alle diverse ditte coinvolte.
Quanto, poi, all'argomento difensivo che faceva leva su un'asserita mancanza di prova circa l'esatta dinamica dell'infortunio, la Corte d'appello ha precisato come, sulla scorta delle raccolte testimonianze, fosse emerso che il B., nell'occorso, si trovava sul traliccio per la realizzazione del fissaggio dei componenti della struttura, mentre la vittima, unitamente al C., si trovava sul tetto intento nella predisposizione di alcuni tiranti, previo srotolamento della matassa sui due lati opposti, sì da passarne due al B. e provvedere poi a raggiungere il punto di aggancio del tirante che, per funzionare, doveva evidentemente essere fissato a metri di distanza dalla base del traliccio. Secondo le risultanze SPISAL, poi, era emerso che la lavorazione richiedeva che gli operatori si muovessero sulla copertura con le mani impegnate di attrezzi e elementi strutturali pesanti e ingombranti. Da ciò quel giudice ha tratto la conclusione che il P.G. si fosse sganciato per avere maggiore possibilità di manovra, stante la scarsa estensione del cordino di sicurezza che la Corte ha precisato essere attestata dagli atti. Ha, dunque, disatteso l'argomento difensivo secondo cui la vittima, nel momento in cui cadde, si sarebbe trovata sulla trave in cemento e non in movimento sul tetto, rilevando che il C., impegnato a svolgere il suo lavoro, non aveva contribuito a descrivere i momenti della caduta e che, tra le due possibili spiegazioni, era logica quella operata dallo SPISAL e fatta propria dal Tribunale, siccome basata sulle condizioni in cui i lavoratori erano costretti a operare. Il P.G., intento a srotolare la matassa, per aprirla con maggiore facilità si era mosso dalla parte stabile di appoggio, finendo sulla parte debole della copertura in fibrocemento che aveva ceduto, facendolo precipitare nel vuoto.
Peraltro, la ricostruzione trovava conforto nei riscontri effettuati dallo stesso SPISAL: era stato accertato che il sistema di sicurezza approntato, oltre a non essere certificato ai sensi di legge, era di pressoché impossibile realizzazione, poiché gli operanti si muovevano sul tetto con le mani impegnate e a rischio di inciampo, dovendo far scorrere manualmente le corde sul dispositivo di blocco collegato all'imbracatura di sicurezza. Di qui il comportamento imprudente, certamente tenuto dalla vittima, del tutto prevedibile e non abnorme, alla stregua delle complessive condizioni lavorative in cui egli era costretto a operare. Anche il teste C., del resto, aveva confermato la circostanza che i lavoratori erano costretti a una circolazione estremamente difficile sul tetto, tale da rendere impossibile il portare a termine il lavoro affidato, il che dimostrava la plausibilità e logicità della conclusione che gli stessi fossero costretti a spostarsi dalle travi in cemento sicure alle parti in fibrocemento non sicure.
Di contro, tale tipo di attività avrebbe richiesto ben altro sistema di sicurezza, costituito da una torre di accesso con idoneo ponteggio fisso, ancorato alla struttura del capannone, la predisposizione di camminamenti sicuri (tavole o passerelle metalliche) tra il punto di accesso e il punto di fissaggio del traliccio e da questo ai vari punti di ancoraggio dei tiranti, un ballatoio di adeguate dimensioni e con parapetto o recinzione di sicurezza che avrebbe scongiurato la caduta, presidio quest'ultimo previsto, a differenza di quanto affermato dagli organi accertatori, ma non realizzato. La necessità di una segregazione ex ante dei lavoratori in un'area protetta, dunque, costituiva la regola cautelare a presidio del rischio che avrebbe determinato una lievitazione sostenibile dei costi di realizzazione, ma un aggravio sui tempi di essa.
La inidoneità dei sistemi di prevenzione previsti e approntati era certamente rilevabile dal N.S., nella doppia qualità, essendo pure emerso che la STEL aveva preso parte tramite S.Z. al sopralluogo sul tetto, allorché si era verificato che non vi erano strutture di protezione sotto le lastre di fibrocemento e che le stesse erano impraticabili.
Né la nomina di un coordinatore per la progettazione e la esecuzione poteva esimere il committente e il responsabile dei lavori dalla responsabilità di redigere il POS e dal dovere di vigilanza sul coordinatore medesimo in ordine all'effettivo svolgimento dell'attività di coordinamento e controllo sulla osservanza delle disposizioni contenute nel POS stesso.
4. Prima di procedere all'esame dei singoli motivi di ricorso, pare utile richiamare preliminarmente il diritto vivente in ordine al diverso protocollo di verifica della struttura giustificativa della sentenza censurata, per il caso di doppia conforme, come nella specie (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250; sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615) e ribadire, sempre alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'estraneità al presente vaglio degli aspetti di giudizio che si sostanzino nella valutazione del significato degli elementi probatori, attinenti interamente al merito, che non possono perciò essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), nuovamente affermandosi che è precluso a questo giudice sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).
4.1. Nella specie, tali principi fondano direttamente la manifesta infondatezza della seconda doglianza, avendo la difesa opposto una diversa lettura dei dati probatori rispetto a quella operata dai giudici di merito, la cui ricostruzione della dinamica non è affidata, come assume la difesa, a inammissibili congetture, ma ancorata a dati probatori che dimostrano come, nella specie, il lavoratore si fosse trovato, proprio per eseguire la lavorazione affidatagli, nella parte non sicura del piano di calpestio, non potendo altrimenti operare l'aggancio del tirante alla distanza necessaria dalla base di esso. Tale ricostruzione è stata ritenuta l'unica possibile sulla scorta del parere dei tecnici SPISAL, ma anche delle testimonianze acquisite, dalle quali sono emerse le condizioni in cui i lavoratori si trovavano a operare sul tetto e le caratteristiche della imbracatura presente (da manovrarsi manualmente da parte di soggetti con le mani impegnate da attrezzi e cavi), la difesa avendo omesso di confrontarsi soprattutto con tale ultima affermazione e avendo proposto una inammissibile rilettura delle prove.
4.2. Quanto, invece, alla prima censura, la stessa è infondata, sebbene la impostazione seguita dai giudici di merito vada corretta.
Secondo la ricostruzione contenuta in sentenza, operata sulla base delle raccolte evidenze - anche documentali - neppure contestate, la committente M. e V. aveva appaltato i lavori alla STEL (come emerge anche dal DUVR della prima); oggetto dell'appalto erano non solo il montaggio del traliccio e il suo collaudo, da eseguirsi direttamente dalla appaltatrice STEL, ma anche altre attività (tra le quali la realizzazione dei punti di aggancio dell'opera, fase durante la quale si è verificato l'infortunio) che l'affidataria avrebbe realizzato avvalendosi di una ditta sub appaltatrice, che a sua volta aveva sub appalatato l'esecuzione di alcuni interventi a due lavoratori autonomi, tra i quali la vittima.
La Corte territoriale ha focalizzato lo sforzo argomentativo nel tentativo di giustificare, in capo al N.S., una concorrente posizione di garanzia quale committente dell'opera (oltre quella, invero incontestata, di rappresentante legale della ditta affidataria), evocando l'incerto criterio dell'utilità riflessa che STEL avrebbe ricavato dalla installazione del traliccio.
Tale argomentare è errato.
In base alla definizione contenuta nell'art. 89 del d. ls. n. 81 del 2008, committente è intanto il soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione. Orbene, il fatto che alla STEL del N.S. sia stato consentito l'utilizzo del ripetitore per rivenderne a terzi il segnale non può fondare l'assunto secondo cui l'opera sarebbe stata ideata e realizzata anche nell'interesse di questa, atteso che l'utilità mediata che la STEL ne avrebbe successivamente tratto riguarda un diverso negozio giuridico, eventualmente perfezionatosi tra la committente M. e V. s.r.l., conduttrice del capannone (o, al limite, tra la ditta proprietaria di esso, OFFICINE MORA s.r.l.) e la affidataria dei lavori STEL. Cosicché questa, rispetto all'utilizzo del traliccio (o anche solo del segnale del ripetitore), deve considerarsi un semplice locatario (o sub locatario), essendo stata la struttura commissionata unicamente dalla conduttrice dell'immobile, M. e V. s.r.l., come emerso dalle evidenze esaminate dai giudici territoriali.
La precisazione, pur imponendosi per la correzione di un errore giuridico contenuto nella decisione censurata, non si riflette tuttavia sull'identità del fatto contestato al N.S. e ritenuto in sentenza, alla stregua dei chiari riferimenti contenuti nel capo d'imputazione, nel quale la condotta del N.S. è stata descritta esattamente nei termini sopra riportati. La sua posizione, infatti, resta quella di rappresentante legale della ditta affidataria dei lavori che, in base al disposto di cui all'art. 97, d. lgs. n. 81 del 2008, è tenuto a verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e al quale sono riferibili anche gli obblighi elencati nell'articolo 26, stesso d.lgs., proprio per il caso di appalto/sub appalto dei lavori.
In tale specifica posizione, al medesimo compete, pertanto, di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, non solo nei confronti dei propri dipendenti, quale datore di lavoro di costoro, ma anche nei confronti dei dipendenti delle ditte sub appaltatrici e dei lavoratori autonomi, ai quali abbia affidato la realizzazione di parte dell'opera (cfr., sugli obblighi di verifica della sicurezza del luogo di lavoro in capo al titolare della ditta affidataria, sez. 4. N. 10544 del 25/1/2018, Scibilia e altri, Rv. 272240; sez. 3, n. 19505 del 26/3/2013, Bettoni, Rv. 254993, in cui, nel rilevarsi che gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere edile predisposto dall'appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, il quale ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, si è tuttavia ribadito che l'organizzazione del cantiere è direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali; sez. 4, n. 42447 del 16/7/2009, Cornei/i, Rv. 245786).
4.3. Così inquadrata giuridicamente la condotta ascritta al N.S., vanno dunque respinte le doglianze formulate con ,il primo motivo, laddove quelle veicolate con l'ultimo motivo (quanto agli obblighi di controllo del committente/datore di lavoro sul coordinatore per la sicurezza nella fase della progettazione e della esecuzione dell'opera), devono considerarsi del tutto de-assiali rispetto al rischio considerato e alla posizione di garanzia assunta dall'imputato. Gli addebiti mossi al N.S., infatti, sono propri della figura del rappresentante legale della ditta affidataria che si sia avvalsa anche di terzi per la realizzazione dell'opera commissionata, cosicché del tutto irrilevanti sono le argomentazioni spese da parte ricorrente in ordine agli obblighi di controllo del committente sul coordinatore.
4.4. La manifesta infondatezza del terzo motivo discende dalla sua genericità. La difesa ha omesso di confrontarsi con la motivazione rinvenibile nella sentenza censurata, laddove puntualmente la Corte territoriale ha dato conto del rischio generico di caduta dall'alto proprio delle lavorazioni in quota; delle caratteristiche della copertura del capannone, data la
presenza di ampie zone di calpestio insicure; della sostanziale inutilità delle linee vita presenti, in relazione alla specifica attività lavorativa da eseguire; della inidoneità, accertata dallo SPISAL, delle misure indicate nel POS e nel PSC, quanto ai sistemi anti caduta,· neppure certificati; della mancanza di parapetti o altre recinzioni utili a segregare i lavoratori; della impossibilità di camminare solo sulle travi di cemento. Nessuno di tali specifici argomenti ha costituito oggetto di effettiva critica da parte della difesa che si è limitata a contestare le rassegnate conclusioni e a richiamare alcuni arresti giurisprudenziali che in alcun modo incrinano la correttezza delle conclusioni rassegnate dai giudici del merito.
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso il 5 ottobre 2021