Cassazione Penale, Sez. 4, 18 maggio 2021, n. 19557 - Infortunio con la segatrice circolare per legno priva di spingitoi
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia del 28 ottobre 2013, con cui M.M. era stato condannato alla pena di mesi uno di reclusione, coi benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, per il reato di cui all'art. 590, commi primo e terzo, cod. pen. in relazione all'art. 583 cod. pen., perché, in qualità di consigliere delegato della società Cifralluminio s.r.l. con sede legale e stabilimento in Brescia, e datore di lavoro dell'infortunato, cagionava a A.D. lesioni personali gravi consistite in "ferita lacero contusa P3 02 mano sinistra con perdita di sostanza", giudicate guaribili in settantasei giorni, in quanto, mentre l'A.D., adibito alla segatrice circolare per legno marca SCM mod. SI 16W nr. AB39132, effettuava il taglio di una lastra di plexiglass sulla segatrice predetta, senza l'uso di spingitoi (aventi funzione di protezione contro il contatto accidentale con l'utensile in movimento), la mano sinistra andava a contatto con la superficie della lama in movimento, subendo così le descritte conseguenze lesive; colpa generica e per inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, per omessa adozione delle misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed in particolare nella violazione: dell'art. 71, comma 3, D.Lgs. n. 81 del 2008 in relazione al punto 9, all. VI, D.Lgs. cit., in quanto era consentito o comunque tollerato che per consuetudine si operasse sulla segatrice di cui sopra in modo scorretto, ovvero non impiegando i dispositivi di protezione (spingitoi portapezzi e simili) durante la lavorazione dei pezzi di plexiglass, al fine di allontanare le mani dell'utensile durante il taglio dei pezzi stessi; con l'aggravante di aver cagionato lesioni gravi e con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (in Brescia il 17 novembre 2011).
1.1. Secondo la ricostruzione della vicenda criminosa operata dal Tribunale, all'interno dello stabilimento della Cifralluminio s.r.l., il dipendente A.D., mentre stava effettuando il taglio di una lastra in plexiglass lunga circa 30-40 cm. ed alta cm. 4-5 m. circa ad una macchina segatrice circolare per legno, riportava lesioni ad una mano (ferita lacero contusa P3 02 dalla quale derivava una malattia di durata superiore a giorni quaranta con sub amputazione FD del nono dito mano sinistra).
Erano sentiti i testi T.A. e A.D. e il teste di difesa S.S. in ordine alle cause dell'infortunio. La difesa produceva documentazione attestante l'intervenuta ottemperanza alle prescrizioni dell'ASL con relativa oblazione.
L'attività consisteva nel ricavare da detta lastra delle lunghe circa 30- 40 cm. alte circa . Il taglio era effettuato dall'A.D. spingendo il pezzo da tagliare contro la lama e facendolo scorrere lungo la linea di taglio. Il secondo dito della mano sinistra restava aderente ad una parte della porzione di plexiglass che aveva urtato la lama. Ciò era avvenuto, a suo parere, per la presenza di un biadesivo che aveva bloccato/appiccicato il dito sul plexiglass nella zona di taglio e aveva impedito alla mano di scivolare in posizione sicura durante la spinta della striscia di plexiglass contro la lama. La dinamica del fatto, le caratteristiche del pezzo da tagliare e della macchina utilizzata per il taglio rendevano evidente la riconducibilità dell'evento al mancato impiego, da parte del lavoratore, di opportuni attrezzi atti a mantenere la necessaria distanza fra mani e zona di taglio e, cioè, degli spingitoi, espressamente previsti per il taglio di oggetti di piccole dimensioni.
A fronte di strisce di plexiglass larghe solo 4-5 cm., era concreto il rischio che (per scivolamento, sbadataggine, presenza di biadesivi o altro) la mani del lavoratore, spingendo il pezzo nella zona di taglio, potessero facilmente venire a contatto con la lama della sega. Il datore di lavoro non aveva impartito istruzioni specifiche al lavoratore in ordine alle modalità di taglio dei pezzi di piccole dimensioni e non aveva dotato il lavoratore i necessari attrezzi (spingitoi) per compiere detta attività.
Contrariamente alla tesi difensiva, l'infortunio non era addebitabile al responsabile del servizio prevenzione e protezione S.S.: tale figura professionale è priva di potere e di obblighi di garanzia, in quanto è un organo consultivo inidoneo a veicolare qualsiasi tipo di responsabilità del datore di lavoro sul preposto al servizio.
1.2. Per quanto rileva nella presente sede di legittimità, va osservato che la Corte di appello ha esaminato la censura difensiva relativa l'efficacia degli spingitoi al fine di evitare l'infortunio.
La testimonianza dell'A.D. riguarda la non abitualità della lavorazione di pezzi così piccoli e l'opinione che utilizzando gli spingitoi il lavoro sarebbe stato di difficile realizzazione. Al momento del sopralluogo della ASL era stato fatto trovare uno spingitoio, peraltro inidoneo ed autocostruito; l'A.D. riferiva che all'epoca dell'infortunio non erano presenti spingitoi in azienda. Nessuna valenza aveva, poi, la sua opinione, secondo il quale si trattava di una fatalità. Con l'uso degli spingitoi l'operaio avrebbe dovuto prestare maggior attenzione, in quanto sarebbe stato interdetto il contatto tra la lama e il suo arto e non si sarebbe infortunato.
2. Il M.M., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione degli artt. 590, 40 e 43 cod. pen. ed illogicità e contraddittorietà della motivazione.
I giudici di merito hanno ritenuto provata la penale responsabilità del M.M., escludendo che l'infortunio si sarebbe verificato in caso di uso di uno spingitoio, affermazione contrastante con quanto emerso in dibattimento. Nel corso dell'esame dibattimentale l'A.D. evidenziava la presenza della cuffia e l'impossibilità di eseguire tale operazione tramite gli spingitoi.
Il teste dell'ASL T. riferiva che il dispositivo di protezione specifico per tale macchina non era uno spingitoio bensì il copri lama regolabile. La Corte di merito, illogicamente, non ha valorizzato le sue dichiarazioni sulla corretta regolazione del copri lama, giungendo a ritenere che la macchina non doveva essere utilizzata.
Diversamente da quanto indicato dalla Corte di merito, l'A.D. aveva parlato non di difficoltà bensì di impossibilità di esecuzione. L'esecuzione dell'operazione tramite gli spingitoi può comportare un rischio superiore per il lavoratore. La macchina era dotata di presidi di sicurezza, per cui era impossibile muovere rimproveri a titolo di colpa al datore di lavoro, imponendogli l'installazione di un attrezzo inidoneo all'im piego su quel macchinario, che non avrebbe escluso il rischio di un infortunio.
2.2. Erronea applicazione degli art. 62 bis e 133 cod. pen. nonché per manifesta illogicità, mancanza e contraddittorietà della motivazione sul punto relativo alla mancata concessione con giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche e alla mancata irrogazione della sola pena pecuniaria.
La motivazione su tali punti era manifestamente apparente. Anche il Tribunale si era limitato, con un generico richiamo alla valutazione dei criteri dell'art. 133 cod. pen., a ritenere pena equa quella di mesi uno di reclusione.
La gravità dell'infortunio non poteva essere desunta dalla sola sussistenza di una mera ferita lacero contusa alla mano sinistra, con prognosi iniziale di giorni dieci, senza danni quindi all'osso, ai nervi e alla mobilità. Il lavoratore percepiva l'infortunio allo stesso modo, definendo l'evento occorsogli come una fatalità in cui si era "pizzicato il dito". Anche la gravità della colpa doveva escludersi: la Cifralluminio s.r.l., avente undici dipendenti nel 2011, era organizzata: il RSPP S.S. aveva redatto il DVR; il capofficina e l'A.D. (assunto nel 1997) erano lavoratori formati attraverso i corsi organizzati dall'azienda.
Diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Col primo motivo di ricorso si deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, i meccanismi di sicurezza più idonei ad evitare l'infortunio non erano gli spingitoi, inutilizzabili per l'operazione da svolgere, bensì i copri lama regolabili.
Va premesso che, secondo il principio consolidato affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l'art. 18, comma 1, lett. d), D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che impone di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 28 D.Lgs. cit. (Sez. 4, n. 45842 del 12/09/2017, Tinini, non massimata; Sez. 3, n. 13096 del 17/01/2017, Molino, Rv. 269332).
E' altresì costantemente affermato l'obbligo giuridico, gravante sul datore di lavoro, di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261103).
2.1. Ciò posto sui principi operanti in materia, deve rilevarsi che, in ordine al nesso causale, la Corte territoriale, con corretto ragionamento controfattuale, ha attribuito l'incidente all'omesso utilizzo da parte del lavoratore degli spingitoi, strumenti necessari ad evitare rischi di lesioni alle mani, che il datore di lavoro non aveva messo a sua disposizione. Gli spingitoi, infatti, avrebbero consentito di muovere il pezzo incontro alla sega e di mantenere le mani a debita distanza, senza farle entrare in contatto con la lama.
Nella sentenza impugnata si è dato atto dell'inesistenza di altri tipi di protezione per le mani e si è evidenziato che il copri lama serviva solo a proteggere il macchinario e non il lavoratore e che la lama risultava protetta da un'apposita cuffia, la quale, però, al fine di permettere il taglio, risultava scoperta per circa cm. 1,5.
Si è altresì sottolineata l'erroneità della valutazione dello stesso teste persona offesa circa l'impossibilità di utilizzare quel macchinario con gli spingitoi, tanto vero che, successivamente all'incidente, i medesimi dispositivi di protezione erano stati adoperati per l'esecuzione delle operazioni materiali e che il titolare dell'azienda aveva proibito ulteriori lavorazioni dei pezzi aventi una larghezza inferiore al metro quadro (vedi dichiarazioni del teste T.).
Nel caso di specie, le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, degli elementi di fatto e delle risultanze d'indagine che il giudice a quo giudicava idonei a integrare il compendio probatorio.
3. Col secondo motivo di ricorso si censura la mancata formulazione di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti e l'irrogazione di una pena detentiva anziché di una pena pecuniaria.
3.1. In linea generale, va osservato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 31543 dell'08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450).
In tema di concorso di circostanze, peraltro, il giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato, quando il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale previsto dall'art. 69 cod. pen. scelga la soluzione dell'equivalenza, anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017, Pistilli, Rv. 270481).
Tanto premesso, nella fattispecie, la Corte di appello, con motivazione logica e coerente, ha ritenuto di confermare il giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti e le attenuanti generiche, alla luce della gravità dell'infortunio e del numero delle aggravanti contestate.
3.2. Relativamente alla censura sull'irrogazione di pena detentiva, va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l'enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).
La pena applicata non eccede la media edittale e, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un'argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
Al contrario, nella fattispecie, l'irrogazione di pena detentiva è stata correttamente giustificata in riferimento all'entità delle lesioni cagionate e dei plurimi fattori negativi (circostanze aggravanti) incidenti sulla valutazione della vicenda.
La motivazione appare congrua, tenuto conto dell'entità esigua della pena detentiva e della concessione dei benefici di legge (sospensione condizionale della pena e non menzione nel certificato del casellario giudiziale).
Né appare obbligatorio che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli dedotti dalla parte, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.
4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2021.