Cassazione Penale, Sez. 4, 17 settembre 2020, n. 26130 - Stalliere morso dal cavallo: mancanza dei necessari DPI
Con sentenza pronunciata in data 21/07/2014, il Tribunale di Lecce assolveva P.O. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. L'imputato era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 590, comma 3, c.p., 18, comma 10, lett. d), d.lgs. n.81/08, per avere, per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza ed inosservanza delle norme della prevenzione degli infortuni sul lavoro, in qualità di responsabile legale della ditta omonima esercente l'attività di "istruttore ippico", omesso di adottare adeguate misure tecniche ed organizzative tali da ridurre i rischi particolari connessi all'attività di "stalliere" ogni qualvolta il lavoratore venga a contatto con gli animali, non fornendo a DS., lavoratore alle sue dipendenze, i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (nella specie, il lavoratore, mentre era intento a curare la pulizia di uno stallone nero, sprovvisto dei dispositivi di protezione del tronco "corsetto" e di altri mezzi idonei di difesa quali schermi adeguati, grembiuli, pettorali, gambali o uose previste ex art. 18 comma 1, lett. d), d.lgs. 81/08 veniva, improvvisamente morso dall'animale all'altezza dei genitali); cagionando così a DS., lesioni personali gravi in quanto sicuramente giudicate guaribili in più di 40 giorni con verosimile indebolimento permanente dell'organo sessuale . In Lecce il 31/07/10.
1.1. Con la sentenza n. 93/19 del giorno 18/01/2019, la Corte di Appello di Lecce, adita dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava il predetto P.O. colpevole del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di cinque mesi di reclusione nonché al pagamento della somma di € 10.000,00 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva in favore della parte civile, con la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della suddetta provvisionale nel termine di giorni 90 dal passaggio in giudicato della sentenza, oltre al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio in favore dell'Erario, comprese quelle sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato .
2. Avverso tale sentenza d'appello propone ricorso per cassazione P.O., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) vizi motivazionali in relazione al punto inerente alla compatibilità delle lesioni lamentate dalla persona offesa con il morso di un cavallo (stallone) agli organi genitali e, quindi, la stessa verificazione dell'infortunio denunciato dal DS. nonché per violazione dell'obbligo di motivazione"rafforzata" della sentenza di appello di totale riforma della pronuncia assolutoria di primo grado. Deduce che la dinamica del presunto infortunio ritenuta in sentenza appare esclusivamente frutto dell'erronea ideazione del giudicante, in totale distonia con quanto univocamente dichiarato ab origine e ribadito da DS..
Sostiene che la complessiva documentazione medica prodotta dalla persona offesa attesta esclusivamente una lesione interna dell'asta del pene (rottura della tunica albuginea, ossia della cartilagine sottostante alla cute), senza che invece vi sia alcuna evidenza traumatica sub specie di ferita, escoriazione, lesione cutanea o anche solo ematoma che interessi lo scroto, i testicoli o la regione inguinale.
Afferma che, nella sentenza di assoluzione di primo grado, il Tribunale di Lecce, condividendo le univoche valutazioni e conclusioni del perito, Dott. B. Causo, aveva ritenuto l'incompatibilità delle lesioni lamentate dal DS. con la dinamica dell'infortunio dallo stesso riferita, ma la Corte di Appello, "superando" le valutazioni e conclusioni del perito, non ha condiviso e ha totalmente riformato il detto decisum del Tribunale.
Assume che l'astratta possibilità di una "rottura dell'asta" in condizioni di riposo non è idonea, sul piano logico, a privare di validità il concreto giudizio di incompatibilità del morso del cavallo con la lesione al pene, che il perito ha espresso in ragione della rilevata assenza di lesioni cutanee nel caso di specie.
Rimarca che, come correttamente rilevato dal perito dott. Causo ed anche dal consulente tecnico dell'imputato dott. M. Del Coco, la lesività riportata dal DS. e descritta nella documentazione in atti non assume le caratteristiche morfologiche di un morso di animale, in quanto mancano i criteri caratteristici (lesione contusivo-escoriativa di aspetto figurato), e, dunque, non è possibile affermare tale ipotesi, poiché nessun criterio medico legale, ad eccezione di quello topografico, risulta soddisfatto (cronologico, di efficienza lesiva, di continuità fenomenica, di esclusione di altre cause).
Ribadisce che la Corte di Appello, nel riformare la pronuncia di assoluzione di primo grado "superando" le univoche conclusioni del Perito di ufficio, si è occupata non di rinvenire elementi logici, scientifici ed esperienziali, idonei a comprovare positivamente la verificazione dell'infortunio per come denunciato dal DS., ma solo ed esclusivamente di confutare, attraverso mere congetture illogiche e contraddittorie, le rigorose ed oggettive valutazioni e conclusioni del dott. Causo, che correttamente erano state invece condivise dal Tribunale e ciò risulta contrario agli imprescindibili canoni di accertamento della penale responsabilità "oltre ogni ragionevole dubbio".
Eccepisce che la medesima motivazione è tutt'altro che idonea e sufficiente ad integrare quella "motivazione rafforzata" cui il giudice di appello è obbligato quando, come nel caso di specie, venga totalmente riformata una pronuncia di assoluzione di primo grado; infatti, secondo il condivisibile insegnamento della Corte Suprema, la radicale riforma, in appello, di una sentenza di assoluzione non può essere basata su valutazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio, qualificate da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quelle sviluppate dalla sentenza di primo grado, ma deve fondarsi su elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio immanente nella delineatasi situazione di conflitto valutativo delle prove: ciò in quanto il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, bensì la semplice non certezza - e, dunque, anche il dubbio ragionevole - della colpevolezza.
II) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla violazione dell'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nonché in relazione all'ordinanza di revoca del provvedimento ammissivo dell'esame del teste Z. resa all'udienza del 18/01/2019 e mancata assunzione di una prova decisiva. Deduce che, con ordinanza pronunciata all'udienza del 07/05/2018, la Corte territoriale disponeva la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale con l'ascolto dei testimoni DS., di Z., del perito Bruno Causo e del consulente della parte civile Alberto Tortorella mentre all'udienza del 18/01/2019 rilevato il mancato perfezionamento della notifica della citazione testimoniale a Z., la Corte territoriale, nonostante l'espressa opposizione della difesa, "ritenuto che dopo l'esame della parte civile non è più necessario, ai fini di prova, procedere all'esame testimoniale di Z. la cui posizione peraltro non è stata presa in considerazione nella sentenza impugnata", ha revocato l'ordinanza ammissiva della testimonianza del predetto Z. e ciò in violazione del rigoroso precetto previsto dall'art. 603, comma 3-bis c.p.p., introdotto con L. 103/2017, con motivazione palesemente contraddittoria rispetto ai principi ed alle ragioni espresse dalla medesima Corte di Appello nell'ordinanza del 07/05/2018, con cui era stata disposta l'obbligatoria rinnovazione dell'istruzione dibattimentale con l'ascolto, tra gli altri, anche del teste Z..
Sostiene che, nel caso di specie, è agevolmente constatabile che anche le dichiarazioni di Z. sono state valorizzate a fini di prova nell'atto di impugnazione del pubblico ministero ed anzi sono state assunte quale decisivo elemento di riscontro del racconto e dell'attendibilità della persona offesa, sia in ordine alla verificazione del presunto infortuno che in relazione alla dinamica dello stesso: infatti, alle pagine 4 e 5 dell'atto d'appello del pubblico ministero emerge la centralità della testimonianza dello Z.. Afferma che, ovviamente, le dichiarazioni dello Z. non erano state prese in considerazione nella motivazione della sentenza di assoluzione di primo grado solo perché il Tribunale, avendo ritenuto le valutazioni e conclusioni del perito dott. Causo decisive nel senso dell'incompatibilità delle lesioni al pene del DS. con il morso di un cavallo.
Rimarca che il rilevato vulnus della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale appare ancor più grave se si considera che il secondo Giudice, dopo avere ritenuto che "non è più necessario, ai fini di prova, procedere all'esame testimoniale di Z.", ha poi, in maniera palesemente contraddittoria, utilizzato le dichiarazioni del predetto quale decisivo elemento di necessario riscontro del racconto del DS. (si vedano le pagg. 4, 5, 8 e 11 della sentenza d'appello).
Evidenzia che l'esame del teste Z. si rendeva tanto più necessario, anche ai fini della valutazione della sua attendibilità, proprio in ragione delle oggettive "criticità" logiche e scientifiche della vicenda per come emerse dall'accertamento del perito dott. Causo, nonché del fatto che nel presente processo il predetto testimone non è mai stato ascoltato nel contraddittorio delle parti, per essere state in primo grado acquisite (all'udienza del 23/01/2013) le sue dichiarazioni rese agli Ispettori della Direzione Provinciale del Lavoro di Lecce.
III) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro tra l'imputato e la persona offesa nonché in relazione all'art. 590, comma 3, c.p.
Deduce che la contestata fattispecie incriminatrice presuppone l'esistenza e, quindi, l'accertamento di un rapporto di lavoro tra il P.O. ed il DS..
Sostiene che la difesa, in sede d'appello, aveva già indicato testi e prodotto la sentenza n. 4224/17 del 16/11/2017, con l'attestazione dell'avvenuto passaggio in giudicato, con la quale il Giudice del Lavoro di Lecce, pronunciandosi nel procedimento n. 6942/12 R.G. promosso dal DS. nei confronti del P.O. all'esito di una complessa istruttoria (deposizioni testimoniali, verbale ispettivo e dichiarazioni rese agli Ispettori del Lavoro dal DS. e da Z.), ha escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le dette parti, ma la Corte d'Appello ha ritenuto che la sussistenza di un rapporto di lavoro non risultava "smentita da elementi di segno contrario"; in vero il Giudice penale non ha neppure considerato le dichiarazioni rese, nel dibattimento penale, dai testimoni P. e C..
IV) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla concessione della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della provvisionale immediatamente esecutiva.
Deduce che la gravata sentenza si limita ad argomentare solo il mancato ristoro dei danni patiti dalla parte civile senza considerare che stante l'intervenuta assoluzione di primo grado, il P.O. non aveva alcun motivo per corrispondere alla persona offesa una qualche somma di denaro a titolo di risarcimento dei danni.
Sostiene che la Corte territoriale non ha neppure apprezzato le condizioni economiche dell'imputato e la sua concreta possibilità di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario malgrado il dictum n. 4527 del giorno 08/02/2011 della Sez. 6 della Suprema Corte, secondo cui è necessario che il Giudice procedere, con apprezzamento motivato, alla valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni economiche dell'imputato e della sua concreta possibilità di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario.
Diritto
3. La fondatezza della censura sub II) assorbe le altre doglianze.
4. Occorre preliminarmente osservare come il tema del ribaltamento in appello del giudizio liberatorio di primo grado sia stato in passato oggetto di un intenso dibattito giurisprudenziale, sfociato in diverse pronunce di questa Corte regolatrice riunita nel suo più ampio consesso. Già nel 2005, le Sezioni Unite ebbero ad affermare, sulla scia delle indicazioni tracciate dalla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo (in particolare, nella sentenza resa nel caso Dan contro Moldavia del 5 luglio 2011), che la sentenza che riformi totalmente, in senso assolutorio come di condanna, la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638).
Secondo tale principio di diritto, il Collegio del gravame che condanni l'imputato assolto in primo grado ha dunque l'obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza del primo giudice, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da una completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. In breve, la decisione d'appello che vada di contrario avviso rispetto al
decisum di primo grado in punto di penale responsabilità deve essere sorretta da una motivazione c.d. rafforzata. In altri termini, ai giudici del secondo grado, è imposto un obbligo di motivazione c.d. rafforzata per giustificare il differente apprezzamento come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base di elementi di prova diversi o diversamente valutati a confutazione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie del primo giudizio. Ciò anche in considerazione del fatto che l'imputato -che, poiché assolto, non ha presentato appello- non ha più la possibilità di confutare il nuovo apprezzamento di merito, se non nel limitato ambito dell'impugnazione della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p. (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674; sez. 6, n. 22526 del 10/03/2015).
4.1. Sotto diverso aspetto, ma sempre prendendo le mosse dalla sopra richiamata giurisprudenza della Corte EDU, le Sezioni Unite hanno successivamente chiarito che la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, impone la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale a norma dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., dandosi altrimenti luogo ad un vizio di motivazione rilevante ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Regula iuris ritenuta dalle Sezioni Unite necessitata anche dal canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", codificato dall'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., e dai principi del "contraddittorio", "oralità", "immediatezza" nella formazione della prova e "motivazione" del giudice di merito che regolano il processo (v. Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492). In questa stessa pronuncia, il più ampio consesso della Corte ha precisato come la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio, delle prove dichiarative ritenute decisive costituisca una scelta obbligata (v. Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489).
4.2. Ritiene il Collegio che il principio di diritto testé delineato appare corroborato all'esito dell'entrata in vigore del comma 3-bis dell'art. 603 cod. proc. pen., con cui il legislatore ha statuito che "nel caso di appello del pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa il giudice dispone la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale".
Ed invero, il disposto dell'art. 603, comma 3-bis, nel fissare la disciplina per il caso di riforma della decisione di primo grado su appello del P.M., recepisce una regola che non può non avere carattere generale.
Risulta chiara la stretta correlazione tra il dovere di motivazione rafforzata da parte del giudice della impugnazione in caso di dissenso rispetto alla decisione di primo grado, il canone "al di là di ogni ragionevole dubbio", il dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale e i limiti alla reformatio in peius.
4.3. Sulla scia dei citati arresti, il Supremo Collegio, con la sentenza Sez. Un., n. 18620 del 19/01/2017 Ud. -dep. 14/04/2017- Rv. 269785, ha poi affermato che è affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni.
5. Tanto premesso quanto all'immanente validità della regula iuris in tema di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, non può sfuggire come di essa non abbia tenuto conto la Corte territoriale nel momento in cui ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento delle prove dichiarative dei testimoni, senza, purtuttavia, rinnovare in maniera compiuta l'istruttoria dibattimentale.
La Corte del merito ha omesso, in particolare, l'escussione (pur originariamente ammessa e disposta) del teste Z. le cui dichiarazioni sono state valorizzate a fini di prova sia nell'atto di impugnazione del Pubblico Ministero sia nella motivazione resa dallo stesso Giudice dell'appello (addirittura quale decisivo elemento di riscontro del racconto e dell'attendibilità della persona offesa, in ordine alla verificazione del presunto infortunio e in relazione alla dinamica dello stesso); e ciò senza considerare che il predetto testimone non è mai stato ascoltato nel contraddittorio delle parti, per essere state in primo grado acquisite le sue dichiarazioni rese solo agli Ispettori della Direzione Provinciale del Lavoro di Lecce.
Mette conto, ancora, rilevare che, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ex art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" devono intendersi non solo quelli concernenti la questione dell'attendibilità dei dichiaranti, ma tutti quelli che implicano una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative, posto che un "fatto" non sempre presenta una consistenza oggettiva di natura astratta e asettica, ma è talvolta mediato attraverso l'interpretazione che ne dà il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente di tale mediazione che incide sull'approccio valutativo del giudice, ;rnch'esso pertanto mediato (cfr. Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019 Ud. -dep. 21/06/2019- Rv. 276987).
5.1. L'operazione di riesame, gravante sul giudice dell'appello, nel caso in scrutinio, è stata, invero, incompleta e, pertanto, non idonea a conferire, riguardo alle parti non condivise della prima sentenza, una diversa e più convincente struttura della motivazione in grado di dare ragione delle difformi conclusioni assunte (v. anche ex plurimis, Sez. 6, n. 12215 del 12/02/2019 Ud. - dep. 19/03/2019- Rv. 275167).
6. Tuttavia, mette conto rilevare l'intervenuta prescrizione del reato; d'altra parte, l'impugnazione non è manifestamente infondata alla stregua delle doglianze esposte né, infine, alla luce delle pronunzie di merito si configura l'evidenza della prova che consente l'adozione di pronunzia liberatoria nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
Ne deriva l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., al giudice civile competente in grado d'appello, in applicazione del principio secondo cui il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell'imputato comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza stessa e, ove questa contenga anche la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, l'annullamento delle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (cfr. Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016 Ud. dep. 13/07/2016- Rv. 267844; Sez. 3 Civile, n. 15182 del 20/06/2017, Rv. 644747-
01).
6.1. Occorre qui rammentare che l'art. 622 c.p.p. dispone, in vero, una piena translatio del giudizio sulla domanda civile superstite a quello penale operata dal giudice di legittimità penale che, nel caso in esame, ha accertato come si è visto l'estinzione per maturata prescrizione del reato.
7. Conclusivamente, le ragioni sopra esposte impongono, come detto, un nuovo giudizio -ai soli effetti civili- da compiersi da parte del giudice civile competente per valore in grado di appello, cui gli atti vanno trasmessi anche ai fini della determinazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per intervenuta prescrizione. Annulla agli effetti civili la medesima sentenza e rinvia, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado d'appello, al quale demanda il regolamento delle spese di questo grado di giudizio.
Così deciso il 26/02/2020