Cassazione Penale, Sez. 4, 17 marzo 2021, n. 10188 - Sfruttamento di lavoratori

2021

Con sentenza emessa il 24/04/2019, il Tribunale di Mantova dichiarava D.B. responsabile del delitto di cui all'art. 603-bis c.p. e, concesse le attenuanti generiche valutate equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva, lo condannava alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione e €10. 500,00 di multa, disponendo altresì la confisca di beni di cui D.B., anche per interposta persona, ha la disponibilità, da individuarsi in sede esecutiva, per il valore corrispondente ad € 10.800,00.
1.1. Con la sentenza n. 731/2020 del giorno 03/03/2020, la Corte di Appello di Brescia, adita dall'imputato, in parziale riforma della sentenza impugnata, riduceva la sola pena pecuniaria ad euro 7.700,00 di multa, confermando nel resto.

2. Avverso tale sentenza d'appello propone ricorso per cassazione D.B., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.): vizi motivazionali.
a) In ordine alla prova della responsabilità del ricorrente:
deduce che ritenere, come pretende la Corte d'Appello, che la descrizione delle modalità di lavoro di numerosi lavoratori si basi sulle "insuperabili dirette osservazioni dei carabinieri" costituisce un evidente difetto motivazionale, poiché l'osservazione delle fasi lavorative di pochi minuti da parte degli operanti non può superare prove di ben altra consistenza; in sentenza, infatti, non viene attribuito alcun valore probatorio alle dichiarazioni testimoniali tese a fornire una diversa ricostruzione rispetto a quanto percepito dai Carabinieri.
Sostiene che è affetta di illogicità anche la parte motiva che sancisce la totale inattendibilità del teste H.M.H. e attribuisce l'assoluta credibilità agli altri lavoratori escussi malgrado le testimonianze di questi ultimi siano risultate quasi per intero inconferenti rispetto alle SIT rilasciate durante le indagini. Nessun testimone escusso parlava o comprendeva la lingua italiana e ma solo H.M.H. è stato ritenuto inattendibile.
Assume che la Corte d'Appello ha ritenuto sufficiente fondare le proprie convinzioni sulle dichiarazioni di due lavoratori al terzo giorno di lavoro che avrebbero pattuito (non si comprende in che lingua visto che l'appellante è bengalese e i due lavoratori senegalesi e senza conoscenza alcuna della lingua italiana), l'infima paga oraria.

b) In ordine agli indici sintomatici della condizione di sfruttamento:
bl) in relazione alla reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi:
deduce che le conclusioni assunte dalla Corte d'Appello di Brescia appaiono meramente assertive per quanto attiene agli indici sintomatici della condizione di sfruttamento dei lavoratori e si limitano a riprodurre il contenuto della norma ma questa non punisce l'accordo delle parti e richiede espressamente "la reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato alla quantità o qualità del lavoro prestato". Nella specie, di contro, viene sanzionato un presunto e indimostrato accordo tra le parti contrattuali che avrebbe determinato in 2 o 2,50 euro il costo orario della retribuzione: ritenere "reiterata corresponsione" il versamento di una somma dopo due giornate di lavoro non può che rendere illogica l'impugnata sentenza che parifica la promessa di una paga oraria ad una effettiva corresponsione.
b2) in relazione alla reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro:
deduce che ritenere, come indicato in sentenza, che, per due soli giorni, possa configurarsi una "reiterata violazione della normativa" appare illogico.
b3) in relazione alla sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro e alla sottoposizione del lavoratore a condizione di lavoro degradanti:
deduce che pretendere che d'estate un lavoratore deputato alla raccolta a terra degli ortaggi indossi le scarpe antinfortunistiche (previste nel settore dell'edilizia e della metalmeccanica) è una evidente forzatura logica; nella specie il datore di lavoro aveva fornito i lavoratori di stivali e di cappelli anche se non indossati al momento dell'intervento degli operanti;
sostiene che l'istruttoria non è riuscita a provare che lavoratori fossero stati sottoposti a condizioni degradanti.
c) In ordine alla confisca:
deduce che il primo Giudice ha determinato la somma di € 10.800,00 stimando in circa due settimane il periodo di lavoro poiché si trattava della raccolta della frutta e la Corte d'appello afferma che tale somma non può considerarsi eccessiva "ben potendo tollerare anche una certa approssimazione nel periodizzare la durata della condotta delittuosa"; un'approssimazione non prevista da norme. Al più, la confisca avrebbe dovuto essere commisurata ai due giorni di lavoro effettivamente svolto e non a non provati periodi di raccolta della frutta arbitrariamente stabiliti dal giudicante.



Diritto



3. Il ricorso è manifestamente infondato.

4. Innanzitutto, va evidenziato che, nel casa di c.d. "doppia conforme", le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
4.1. Occorre, inoltre, rimarcare che il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
4.2. La Corte territoriale ha, in vero, fornito adeguata spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
4.3. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.4. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).

4.5. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.6. In realtà il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

5. Ciò posto, in replica alle censure, occorre rilevare che (come si evince dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal Mar. M.) la vicenda trae origine dall'intervento di operanti dell'Arma che, transitando nei pressi di campi coltivati, avevano notato 15 cittadini di origini extracomunitarie intenti nei lavori agricoli e avevano proceduto per identificarli e per verificarne la regolare assunzione; alcuni di essi, al sopraggiungere dell'auto di servizio, si erano dati alla fuga. Lo stesso teste riferiva che quei braccianti non erano dotati di mezzi di protezione o di scarpe adeguate, né vi era luoghi attrezzati per consentire la pausa dal lavoro o per eventuali necessità fisiologiche; in particolare, l'unica attrezzatura presente era una tenda posizionata in un campo adiacente a quello di lavoro e al cui interno si trovavano un materasso maleodorante, dei vestiti messi ad asciugare e delle bottigliette di acqua.
Dall'escussione di altro operante (il Mar. S.) emergeva, inoltre, che cinque lavoratori identificati non risultavano regolarmente assunti e, comunque, come gli altri, non erano stati sottoposti alle necessarie visite mediche per essere ammessi al lavoro nei campi.
Tali elementi risultano confermati dalle dichiarazioni rese da B.O., bracciante senegalese, il quale riferiva di essere sprovvisto di un contratto di lavoro, di lavorare per 10 ore al giorno per una paga giornaliera 20 euro (2 euro/h), che l'orario di lavoro andava dalle ore 8 alle ore 20 con due ore di pausa, che non gli erano fornite dotazioni di lavoro, che doveva portarsi da casa il cibo e l'acqua. Nello stesso senso le dichiarazioni del suo connazionale, O. Obasi, che riferiva di aver lavorato per l'imputato da 3 giorni, per 9 ore al giorno, per 2 euro e mezzo all'ora; non gli era stato proposto alcun contratto, ed era stato pagato in contati ma solo nei giorni successivi. all'intervento dei Carabinieri con denaro consegnatogli dal fratello dell'imputato.
5.1. Evidenzia la corte territoriale che «il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione quanto dichiarato dai sottufficiali dei Carabinieri ma limitatamente a quanto essi constatarono sulla presenza di persone in quel campo, sulla loro posizione lavorativa desunta dai documenti e sulle condizioni materiali in cui si trovavano e inoltre sulle dichiarazioni rese direttamente al giudice da alcuni di quei lavoratori che, laddove incapaci di esprimersi in italiano, sono stati debitamente assistiti da un interprete».
5.2. Quanto inaffidabilità delle opposte dichiarazioni rese da H.M.H., i giudicanti del merito, con adeguata motivazione, hanno -tra l'altro- ritenuto che «i Carabinieri, all'atto del loro intervento, hanno rilevato una situazione di fatto che non è certamente quella descritta dal testimone le cui parole, quindi, non possono sovvertire il portato delle prove per prime esaminate».
5.3. Quanto ai c.d. "indici sintomatici", mette conto osservare che gli indici di sfruttamento, come chiaramente affermato nella relazione ministeriale di accompagnamento alla legge, non fanno parte del fatto tipico; possono, invero, costituire delle linee guida che, secondo le intenzioni del legislatore, orientano l'interprete nell'individuazione di condotte distorsive del mercato del lavoro, elemento centrale del reato contestato. La tipologia degli indici individuati dal legislatore - ovvero la remunerazione, il tempo di lavoro, le condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro, i metodi di sorveglianza e le situazioni alloggiative - è la stessa che già la giurisprudenza aveva enucleato rispetto alla fattispecie di cui all'art. 600 c.p.
Vale considerare che, per l'ermeneusi della fattispecie in parola, lo sfruttamento, sostanzialmente, si caratterizza per la violazione "reiterata" della normativa giuslavoristica posta a presidio dei diritti fondamentali del lavoratore. Prima ancora dell'offesa diretta alla libertà di autodeterminazione e alla dignità della persona, è rilevabile una lesione della sua libertà contrattuale, che si manifesta nella violazione di norme extrapenali poste a tutela della sua dignità, appunto, di lavoratore. Occorre, a tal fine, valorizzare tutti gli elementi di contesto, delineati dal legislatore proprio attraverso gli indici di sfruttamento. Anche l'indagine empirica colloca il fenomeno dello sfruttamento lavorativo in un contesto criminoso, caratterizzato da ripetute e diversificate lesioni della dignità e della libertà del lavoratore.
5.3.1. Il primo degli indici di sfruttamento lavorativo è rappresentato dalla "reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali", in luogo della formulazione precedente alla novella n. 199/2016, che prevedeva invece "la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali": la "sistematica" retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi diviene "reiterata", il ché induce a ritenere che si è in presenza di sfruttamento lavorativo anche nella ipotesi in cui la mera ripetizione (sebbene limitata a pochi giorni) del comportamento è idonea a ledere la libertà e la dignità del lavoratore; specie se tale comportamento si connota nella mancata corresponsione del pur miserabile salario promesso.
5.3.2. Il secondo indice di sfruttamento lavorativo concerne la "reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie". Anche in questa seconda ipotesi si segnalano alcune rilevanti novità. Si assiste, infatti, ancora al passaggio da una condotta "sistematica" ad una condotta "reiterata", come nel primo indice di sfruttamento; per la sussistenza della "reiterazione" della violazione potrà, quindi, essere sufficiente la verifica compiuta in un arco temporale anche di pochi giorni.
5.3.3. Il terzo indice di sfruttamento lavorativo consiste nella "sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro". Anche questo indice è stato modificato nella sostanza dalla L. n.199/2016 che ha espunto il requisito per cui la situazione di sfruttamento poteva essere accertata solo quando le violazioni della normativa in materia di sicurezza fossero tali da esporre il lavoratore ad un pericolo per la sua salute o la sua sicurezza o incolumità personale: abbassata la soglia di significatività penale del comportamento è ora sufficiente l'offesa alla dignità della persona.
5.4. Posto quanto sopra, si deve rimarcare che, ai sensi del comma 3 dell'art. 603-bis c.p., costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di "una o più" delle condizioni sopra riportate. Orbene, nel caso che occupa, i giudici del merito hanno ben rappresentato la sussistenza, oltre che del primo "indice" della reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, di violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro e della sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro degradanti. Valga evidenziare, per orario di lavoro effettivamente imposto ai lavoratori in quel periodo, le dichiarazioni dei testi B.O. e O. e, per il resto, l'obiettiva situazione rilevata dai Carabinieri all'atto del loro intervento «ai lavoratori non erano stati forniti indumenti (quali i copricapo) adatti per sopportare ore di lavoro in pieno campo e sotto il sole e comunque adeguate calzature (degli stivali di cui ha parlato lo stesso imputato non è stata reperita traccia e le fotografie scattate dai militari raccontano una ben diversa situazione: i lavoratori operavano nei campi con ai piedi le misere calzature che si trovavano ad avere); nessuno di loro era stato sottoposto a visita medica prima di essere avviati al lavoro (cfr., ancora una volta, le dichiarazioni di O. e di B.O.); non erano messi a loro disposizione gli opportuni punti di accesso all'acqua potabile (H. ha dichiarato che D. provvedeva a fornire loro acqua, succo e frutta a volontà, ma sul campo si è trovata solo qualche bottiglietta d'acqua esposta al sole verosimilmente procurata dagli stessi lavoranti, come del resto dichiarato da B.O.); per il riposo meridiano essi avevano a disposizione sol.tanto quel precario riparo le miserevoli e antigeniche condizioni del quale hanno riferito i Carabinieri operanti. A quest'ultimo riguardo e per replicare alle osservazioni dell'appellante, va rilevato che se è vero che sia B.O. che O., secondo le loro stesse dichiarazioni, durante la pausa se ne tornavano nella vicina Q. a pranzare a casa di un amico, i lavoranti che portavano con loro "la mangia" (così B.O.) la consumavano in loco e non si vede dove altrimenti avrebbero potuto mettersi, non volendo restare sotto il sole in aperta campagna, se non sotto quella tenda in mezzo alla sporcizia ( e non altrimenti si spiega la presenza, là sotto, del sordido materasso fotografato dai Carabinieri ovvero degli indumenti stesi)».
5.5. Quanto al requisito dello stato di bisogno, mette conto evidenziare che la Giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che lo stato di bisogno non può essere ricondotto alla mera impossibilità economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente, ma deve essere riconosciuto soltanto quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza dei mezzi idonei, atti a far fronte alle esigenze primarie; relative, cioè, ai beni oggettivamente essenziali (v. anche Sez. 2, n. 18778 del 25/03/2014 Cc. -dep. 07/05/2014- Rv. 259962; Sez. 2, n. 43713 del 11/11/2010 Ud. -dep. 10/12/2010- Rv. 248974). In altri termini, versa in stato di bisogno il soggetto che si trovi in una situazione tale da compromettere fortemente la sua libertà contrattuale in ambito lavorativo.

5.5.1. Ineccepibilmente, quindi, la Corte del merito ne ha ritenuto la sussistenza, affermando che «lo stato di bisogno è la condizione di impellente assillo economico che, limitando la volontà del contraente debole, lo induce ad accettare condizioni contrattuali (non negoziabili) apertamente sperequate nei corrispettivi e ampiamente degradanti nelle modalità esecutive del lavoro. O., B.O. e D. (ma, verosimilmente, anche M. e Mi. e cioè gli altri regolarizzati " postumi" ), erano tutti rifugiati che vivevano ospiti di strutture di accoglienza e dunque affidati per la loro sopravvivenza alla pubblica assistenza; quelle strutture costituivano all'evidenza il serbatoio al quale l'imputato attingeva manodopera disposta, pur di racimolare qualche soldo e nella speranza di ottenere un regolare contratto utilmente spendibile presso le Questure (si vedano sul punto le acquisite s.i.t. di R.), a sopportare condizioni di lavoro neppure proponibili sul normale mercato del lavoro».
5.6. In ordine, infine, alla determinazione della somma sottoposta a confisca, occorre solo osservare quanto, condivisibilmente, affermato dal collegio territoriale che ha diffusamente e congruamente esposto le ragioni per cui l'importo stabilito dal Tribunale doveva essere confermato : «il calcolo eseguito nella sentenza impugnata è stato senza dubbio prudenziale perché si è basato sull'impiego, da parte di D., di una decina di lavoratori quando invece i Carabinieri ne videro all'opera ben quindici, tutti sottoposti alle medesime condizioni di lavoro. Ma, inoltre e in via generale, occorre anche considerare che il raffronto da cui deve scaturire la misura del profitto del reato non può essere limitato al solo dato salariale considerato dal primo giudice ma deve essere senz'altro più ampio. Vanno infatti poste a raffronto le complessive condizioni in cui si trovavano a lavorare i dipendenti di D. e una situazione di pieno rispetto non solo delle retribuzioni previste dai contratti collettivi nazionali o locali ma anche delle norme in tema di sicurezza e igiene sul lavoro relative sia alla fornitura di adeguati d.p .i. sia alla predisposizione di strutture adeguate al riposo nelle soste e al benessere dei lavoranti durante l'attività lavorativa (il riferimento è a un sufficiente rifornimento di acqua). Inoltre, non si può trascurare che il mancato rispetto dell'orario di lavoro ha consentito al datore di lavoro di "risparmiare" sulle assunzioni impiegando nell'attività agricola un numero di avventizi inferiore a quello che sarebbe stato invece necessario laddove ai dipendenti fosse stato consentito il rispetto delle 8 ore contrattuali».

6. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso si riduca all'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. ex multis Sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).

7. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di€ 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.



P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/02/2021


ReCaptcha

Questo servizio Google viene utilizzato per proteggere i moduli Web del nostro sito Web e richiesto se si desidera contattarci. Accettandolo, accetti l'informativa sulla privacy di Google: https://policies.google.com/privacy

Google Analytics

Google Analytics è un servizio utilizzato sul nostro sito Web che tiene traccia, segnala il traffico e misura il modo in cui gli utenti interagiscono con i contenuti del nostro sito Web per consentirci di migliorarlo e fornire servizi migliori.

YouTube

I video integrati forniti da YouTube sono utilizzati sul nostro sito Web. Accettando di guardarli accetti le norme sulla privacy di Google: https://policies.google.com/privacy

Google Ad

Il nostro sito Web utilizza Google Ads per visualizzare contenuti pubblicitari. Accettandolo, si accetta l'informativa sulla privacy di Google: https://policies.google.com/technologies/ads?hl=it