Cassazione Penale, Sez. 4, 17 marzo 2021, n. 10181 - Grave infortunio dell'operaio escavatorista che sprofonda con il mezzo all'interno di una cisterna. Responsabilità del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione
Con sentenza del 1^ marzo 2019 la Corte di Appello di Lecce, dichiarando non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, ha confermato le statuizioni civili di cui alla sentenza del Tribunale di Lecce con cui F.M., é stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 113, 590, commi l", 2" e 3" cod. pen., perché, nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione del cantiere, in cooperazione colposa con G.M., legale rappresentante della M. Asfalti s.r.l., con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e nella violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, cagionava a C.G. lesioni personali consistite nella frattura da scoppio soma L1 con riduzione dell'ampiezza del canale vertebrale, da cui residuavano postumi permanenti. In particolare, a G.M., quale datore di lavoro, è stato ascritto di non avere provveduto a valutare la natura del terreno dell'area contigua allo scavo ed a delimitare - all'interno del cantiere nel quale dovevano essere svolte opere di splateamento e sbancamento a mezzo di escavatore, mediante opportune segnalazioni rimovibili, da riposizionarsi con la prosecuzione delle opere- l'area di scavo, separandola da quella adiacente ove era presente un pericolo preesistente, rappresentato dalla copertura di una fossa settica, così non impedendo a C.G., dipendente della M. Asfalti s.r.l., escavatorista, di operare nella zona non interessata dalle opere di scavo, oggetto dell'appalto, manovrando una pala meccanica proprio sopra il tetto del solaio che, a causa del peso, cedeva facendo sprofondare il mezzo nella sottostante cisterna. A F.M., nella sua qualità di coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione delle opere è stato addebitato di avere omesso di verificare e controllare la corretta applicazione delle procedure di lavoro previste nel Piano di sicurezza e coordinamento, con particolare riferimento alla predisposizione di percorsi di circolazione dei mezzi, non provvedendo a delimitare, con apposita segnaletica e recinzione, la zona di cantiere non interessata allo scavo, così consentendo il transito dei mezzi pesanti sopra il solaio della cisterna.
2. Il fatto, per come descritto dalle sentenze di merito può essere descritto, nella sua materialità, come segue: il giorno 23 febbraio 2009, all'interno del cantiere per la costruzione di un complesso turistico ricettivo, l'operaio escavatorista C.G., dipendente della M. Asfalti s.r.l. - cui la Costruzioni Gran Turismo s.r.l., rappresentata legalmente da D.Z. aveva affidato lo sbancamento per la costruzione delle fondamenta- terminati i lavori di scavo con l'escavatore, servendosi di una motopala, si dirigeva in un'area contigua a quella interessata dalle opere, e, al fine di pulire la zona da arbusti e sterpaglie ivi presenti, saliva su una piattaforma in cemento, posta al di sopra di una cisterna, di cui costituiva il solaio, che per il peso del mezzo cedeva, facendolo precipitare al suo interno.
3. Avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce propone ricorso F.M., a mezzo del suo difensore, affidandolo a tre motivi.
4. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett. e) cod. proc. pen. il vizio di motivazione sotto il profilo dell'illogicità e del travisamento della prova documentale, per avere la Corte di appello, confermando la responsabilità di F.M., ripreso la motivazione del giudice di prima cura nella parte in cui ha affermato che la zona del cantiere teatro dell'infortunio non era stata transennata, come previsto dal Piano per la sicurezza ed il coordinamento dei lavori, redatto da F.M.. E ciò, nonostante il P.S.C. non contenesse affatto la prescrizione di delimitazione dell'area ove è intervenuto l'infortunio e nonostante le decisioni non indichino per quale ragione la zona avrebbe dovuto essere recintata, non essendo nota ad alcuno la presenza della cisterna o di altra insidia sui luoghi, come riconosciuto anche dalla sentenza di primo grado, che attesta la mancanza di conoscenza dell'esistenza della fossa settica. Contesta l'omesso confronto fra il contenuto del P.S.C. (pur acquisito) e quanto affermato dal teste M., tecnico della Prevenzione presso lo Spesai, intervenuto sui luoghi., il quale, commettendo un evidente errore mnemonico, ha indicato nel documento la fonte di un'informazione che, in realtà, non vi è contenuta. Al contrario, il P.S.C. esclude particolari situazioni di pericolosità nell'area di cantiere e si limita all'indicazione di prescrizioni organizzative di carattere generale sull'interferenza fra i mezzi impegnati nelle lavorazioni, non essendo interdetta la manovra nella zona non soggetta allo scavo, in assenza di pericolo noto. Del tutto insussistente, dunque, è la violazione dell'art. 92, comma 1 d.lgs. 81/2008, inerente alla mancata verifica dell'applicazione delle prescrizioni organizzative in tema di percorsi carrabili, mentre manca qualsivoglia collegamento logico fra l'assenza della delimitazione del percorso carrabile e la serie causale che ha condotto all'evento lesivo. Invero, l'esistenza di una limitazione visiva del percorso carrabile non avrebbe distolto la persona offesa, non incaricata dell'incombente, dall'intenzione di pulire con la pala meccanica dagli arbusti, un'area non interessata dallo scavo, non essendo noto il pericolo da evitare.
5. Con il secondo motivo lamenta la violazione della legge processuale, della legge penale ed il vizio di motivazione. Sostiene che la Corte territoriale ha mancato di procedere all'effettiva valutazione delle doglianze proposte con l'atto di appello, limitandosi all'apodittica conferma della statuizione del primo giudice, a mezzo della semplice condivisione deçJli argomenti esposti nella sentenza appellata. Osserva che il giudice del gravame ha eluso la censura relativa alla posizione di garanzia dell'imputato Francesco Marvulli, non rientrando fra compiti del C.S.E. la sorveglianza specifica sui lavoratori, di competenza di altre figure professionali, quali il datore di lavoro, il responsabile della sicurezza ed il preposto. Sicché una volta ritenuto che G.M., datore di lavoro, ha omesso di verificare l'esistenza di sottoservizi nell'area ove era ubicata la cisterna coperta di cemento, nella quale è precipitato il lavoratore -come accertato dalle sentenze- si sarebbe dovuta escludere la responsabilità di F.M., incombendo al datore di lavoro ed al responsabile della sicurezza rappresentare all'imputato i pericoli dello stato dei luoghi, peraltro non interessati dallo scavo. In ogni caso, nessuna rilevanza causale rivestono le omissioni di controllo, come configurate dai giudici di merito, essendo rimasta ignota sino al giorno del sinistro la presenza della fossa ubicata nella parte di cantiere non interessato dagli scavi. La sua ignota presenza, tuttavia, ha aperto un nuovo scenario di rischio, rispetto a quello governato dall'imputato, incidente sull'apprezzamento del comportamento alternativo dovuto ed idoneo ad impedire l'evento. Il primo ed il secondo giudice però hanno eluso l'apprezzamento del fatto alla stregua del disposto degli artt. 40 e 41, comma 2 cod. pen., statuendo sulla responsabilità dell'imputato solo in ragione della ritenuta posizione di garanzia attribuita al C.S.E., senza verificare se il compimento delle azioni omesse avrebbe evitato l'evento.
6. Con il terzo motivo chiede che la Corte di cassazione, stante l'applicabilità del disposto dell'art. 129 cod. proc. pen. in qualunque stato e grado del processo, pronunci sentenza di annullamento senza rinvio, essendo l'innocenza dell'imputato constatabile dalla mera lettura della sentenza impugnata e dagli atti allegati al ricorso.
7. Con memoria ritualmente depositata l'imputato ha proposto nuovi motivi, con cui vengono sostanzialmente ribadite la argomentazioni già espresse con il ricorso. In particolare, dopo avere ricordato il contenuto dell'art. 92, comma 1 lett. a) d.lgs. 81/2008, sostiene che non rientri fra il compiti del C.S.E. la presenza assidua in cantiere e che, peraltro, come emerso dalla testimonianza dell'escavatorista, la cisterna non era visibile, essendo coperta da erbacce e da oggetti vari ivi ammassati. Nondimeno, ciò non può essere addebitato all'imputato, rientrando fra gli obblighi del datore di lavoro valutare la natura dell'area contigua al cantiere. Mentre, nessuna analisi è stata formulata, da parte dei giudici del merito, in ordine agli obblighi della persona offesa, che rivestiva la funzione di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché di quelli del preposto, cui spettava la vigilanza specifica sulle prescrizioni in materia di sicurezza. Così come nessun apprezzamento è stato dedicato alla circostanza che l'escavatorista infortunato, nel momento in cui precipitò, aveva già pulito la piattaforma che copriva la cisterna, secondo quanto riferito di testi Z. e L. e rilevabile dai rilievi fotografici. Prove queste ignorate dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, e che dimostrano, per altro verso, l'apertura di un nuovo scenario di rischio, non riferibile all'area di garanzia coperta dall'imputato. Conclude per l'accoglimento del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Per dare risposta ai motivi proposti con il gravame conviene, innanzitutto, ricordare l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui "All'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma secondo, cod. proc. pen." (Sez. Unite, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273; successivamente ex multis Sez. 5, Sentenza n. 28289 del 06/06/2013, Rv. 256283; Sez. 5, Sentenza n. 3869 del 07/10/2014, dep. 27/01/2015, Rv. 262175; Sez. 2, Sentenza n. 29499 del 23/05/2017, Rv. 270322). Il giudice, dunque, è tenuto ad esaminare tutto quanto rilevi ai fini della responsabilità civile e, se da detto esame emerga la prova dell'innocenza, deve ricorrere alla corrispondente formula assolutoria, non potendo l'accertamento effettuato (sia pure ad altri fini) essere posto nel nulla attraverso la mera declaratoria di estinzione del reato" (Sez. 4, Sentenza n. 33309 del 08/07/2008, Rv. 241962).
3. Si tratta di una premessa necessaria per affrontare le doglianze proposte con il ricorso che contestano non tanto la declaratoria di prescrizione del reato, quanto piuttosto l'affermazione della responsabilità colposa dell'imputato sottesa alla conferma delle statuizioni civili, in assenza di violazioni di regole cautelari a lui imputabili e, sinanco, in assenza di una posizione di garanzia del medesimo prospettabile in relazione al rischio concretizzatosi.
4. Il primi due motivi, strettamente connessi, sono manifestamente infondati.
5. La censura, con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta violazione dell'obbligo di verificare l'applicazione delle prescrizioni organizzative contenute nel P.S.C., in particolare in relazione ai percorsi carrabili, manca, in realtà, di confrontarsi con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata. Si sostiene, infatti, in primo luogo, che la Corte territoriale ascrivendo all'imputato l'omesso controllo sull'applicazione delle disposizioni di cui al piano di sicurezza e coordinamento, ne abbia tratto il contenuto dalle dichiarazioni del teste M., tecnico dello Spesai, senza verificare se il documento effettivamente prevedesse una delimitazione dell'area nella quale è intervenuto il sinistro e senza, pertanto, avvedersi che il P.S.C. escludeva l'esistenza di particolari condizioni di pericolosità all'interno del cantiere. In secondo luogo, si sottolinea che la decisione impugnata omette di chiarire per quale ragione la zona avrebbe dovuto essere recintata essendo ignota l'esistenza della cisterna o di qualsiasi altra insidia che giustificasse un intervento di delimitazione.
6. Invero, le decisioni di merito, le cui motivazioni si saldano in un unico tessuto motivazionale, ascrivono a F.M., nella sua qualità di coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dell'opera, non solo la mancata sorveglianza sulle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, ma ancor prima la mancata predisposizione di percorsi per la circolazione dei mezzi all'interno del cantiere, e l'omissione della delimitazione dell'area non interessata dalla scavo, condotte entrambe ascrittegli con l'imputazione.
7. Si tratta, dunque, di verificare se gli obblighi che si assumono violati rientrino nelle competenze del coordinatore per la progettazione e la sicurezza o se, come sembra intendere il ricorrente, i rischi che ne derivano siano esclusi dalla sua gestione.
Per farlo occorre, in prima battuta, pur senza dilungarsi su formule ampiamente condivise in giurisprudenza, richiamare la ricognizione normativa e l'evoluzione giurisprudenziale tratteggiata da questa Corte sulla due figure ricoperta dall'imputato.
Precipuo compito del coordinatore per la progettazione è, ai sensi dell'art. 91 d.lgs. 81/2008 quello di redigere "il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 100, comma 1 del medesimo decreto legislativo, i cui contenuti sono dettagliatamente specificati nell'Allegato XV". Il PSC deve contenere: a) l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi e le procedure necessarie, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori nonché la stima dei relativi costi; b) le misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla presenza simultanea o successiva di plurime imprese ovvero, laddove previsto, di lavoratori autonomi; e) la previsione, quando ciò risulti necessario, delle modalità di utilizzazione degli impianti comuni quali infrastrutture, mezzi logistici e di protezione collettiva.
Al coordinatore per l'esecuzione invece, la cui posizione di garanzia si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettano, ai sensi dell'art. 92 d.lgs. 81/2008 compiti di 'alta vigilanza', consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute e nella verifica dell'adeguamento delle imprese esecutrici ai rispettivi P.O.S. (Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017 - dep. 05/10/2017, Prina, Rv. 271026; Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016 - dep. 23/01/2017, Bellotti e altro, Rv. 269046; Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013 - dep. 07/11/2013, Lorenzi e altri, Rv. 257167).
L'alta vigilanza, in altre parole, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non va confusa con quella operativa propria del datore di lavoro e delle figure che da esso ricevono poteri e doveri, quali il dirigente ed il preposto (Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010 - dep. 13/05/2010, Cellie e altro, Rv. 247536). Tanto è vero che il C.S.E. articola le sue funzioni in modo formalizzato e solo laddove possa verificarsi un'interferenza fra le lavorazioni, cioè un contatto rischioso fra lavoratori appartenenti ad imprese diverse che operino nello stesso luogo di lavoro.
Per distinguere fra l'area di rischio governata dal C.S.E. e quella di competenza del datore di lavoro -o dei soggetti da lui delegati- può farsi ricorso, secondo l'elaborazione giurisprudenziale (c:fr. Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity James e altro, Rv. 273257; da ultimo, nello stesso senso Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018 - dep. 16/01/2019, Perano Gianfranco, Rv. 275077; in precedenza: Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016 P.C. e altri in proc. Carfi' e altri, Rv. 267687; Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini e altro, Rv. 264957) all'ambito di intervento del C.S.E come delineato, ai sensi del disposto dell'allegato XV, dal piano di sicurezza e coordinamento, che ne determina le aree estendendole: ai rischi connessi all'area di cantiere (punto 2.2.1.); rischi connessi all'organizzazione del cantiere (punto 2.2.2.); ai rischi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rischi da interferenze (punto 2.2.3.).
Sono, quindi, esclusi i rischi specifici 'propri' dell'attività di impresa.
Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro è, infatti, legato "alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine" generalmente mancante in chi opera in settori diversi (Sez. 4, n. 31296 del 17/05/2005 - dep. 19/08/2005, Mogliani, in motivazione e con riferimento al disposto dell'art. 7 comma 3 u.p. d.lgs. 626/1994,; cfr. anche Sez. 4, n. 14440 del 05/03/2009 - dep. 02/04/2009, P.C., Ferrara e altri, Rv. 243882). E', dunque, un rischio connesso alle competenze proprie del datore di lavoro in relazione al settore di appartenenza, come si evince dalle stesse parole del legislatore che già con l'art. 7 comma 3 d.lgs. 626/19947 ed ora con l'art. 26, d.lgs. 81/2008, che nel delimitare il rischio interferenziale, ne ha escluso l'estensione "ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi" (art. 7 cit., comma 3 u.p. ed art. 26, comma 3 cit.).
Si è detto anche che il rischio specifico del datore di lavoro "è il negativo di quello affidato alle cure del coordinatore per la sicurezza" (cfr. Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Bellotti e altro, in motivazione), in qualche modo individuando 'a contrario' il contenuto del rischio specifico, rispetto a quello generico, che inerisce solo all'interferenza fra attività lavorative facenti capo ad imprese e soggetti diversi che operano nello stesso spazio lavorativo (committente ed appaltatore o imprese diverse che svolgano la loro attività nel medesimo luogo, cantiere o sede aziendale).
8. Questa premessa generale è indispensabile per qualificare la natura del rischio realizzatosi nel caso di specie, che identifica il titolare della posizione di garanzia che quel rischio doveva prevedere ed evitare.
Ora, l'allegato XV al punto 2.2.3, stabilendo che al C.S.E. spetti il compito di suddividere le singole lavorazioni in fasi di lavoro e, quando la complessità dell'opera lo richiede, in''sottofasi di lavoro" al fine di eseguire "l'analisi dei rischi presenti, con riferimento all'area e alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze, ad esclusione di quelli specifici propri dell'attività dell'impresa", indica alcuni fra i rischi che formano oggetto delle prescrizioni di competenza del C.S.E. e degli obblighi sul medesimo incombenti, ai sensi dell'art. 92 d.lgs. 81/2008.
Nondimeno, come è stato già sottolineato in altra occasione (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Bellotti e altro, in motivazione), i rischi indicati al punto 2.2.3 dell'allegato XV, non sono necessariamente rischi generici di competenza del C.S.E., ben potendo detti rischi realizzarsi al di fuori degli ambiti di interferenza fra lavorazioni, qualora costituiscano espressione concreta di rischi specifici del datore di lavoro. Ciò che connota la specificità o la genericità del rischio, così individuandone anche il garante, infatti, è la sua derivazione dall'interazione delle lavorazioni nel cantiere (o comunque nello spazio lavorativo ove operi più di un'impresa). Laddove siffatta interazione non ci sia ed il rischio, pur elencato dal punto 2.2.3 dell'allegato XV, si realizzi all'interno della sfera di competenza del singolo datore di lavoro -inerendo alla sua attività, ai macchinari da lui usati, alle procedure seguite nella sua produzione- esso va qualificato come 'rischio specifico' estraneo all'ambito di intervento del C.S.E..
9. Ecco, dunque, che per determinare l'estensione della posizione di garanzia occorre prima inquadrare la natura del rischio realizzatosi.
10. Ora, non vi è dubbio che nel cantiere della Costruzioni Gran Turismo, relativo alla costruzioni di tre corpi di fabbrica, per la realizzazione di quarantacinque unità abitative, dovessero operare più imprese, di cui la M. Asfalti, incaricata delle opere di scavo, non era che la prima. E che proprio in relazione all'intervento di una pluralità di soggetti fosse stato predisposto il P.S.C., la cui redazione era stata affidata a F.M.. Parimenti è incontestato che la M. Asfalti avesse recintato l'intera area di cantiere, al suo ingresso sul terreno di proprietà della Costruzioni Gran Turismo, su cui doveva essere realizzata l'opera, senza operare al suo interno alcuna suddivisione, posto che i mezzi utilizzati dalla M. Asfalti avevano necessità di una zona di manovra.
Occorre, nondimeno, distinguere, proprio al fine di individuare la specificità o genericità del rischio fra i rischii proprii del cantiere, in quanto tale, ed i rischi generati dall'uso dei macchinari del datore di lavoro, incombendo i primi sia sul coordinatore per la progettazione, in quanto soggetto che deve provvedere alla loro individuazione, analisi e valutazione, che sul coordinatore per l'esecuzione, cui compete l'organizzazione del cantiere.
Ebbene, è chiaro che al di là dell'apposizione della recinzione, l'individuazione di aree non praticabili all'interno dell'area di cantiere non può che rientrare negli obblighi di colui che ne deve pianificare l'organizzazione, individuando, fra l'altro, i percorsi carrabili, ciò inerendo allo 'spazio' all'interno del quale insiste il cantiere. E', infatti, l'Allegato XV al punto 2.2.1., che disciplina i contenuti minimi del PSC, che alla lettera c) stabilisce l'obbligo di redigere un relazione concernente 'l'individuazione l'analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all'area ed all'organizzazione del cantiere' oltre a quelli relativi alle lavorazioni ed alle loro interferenze'.
Di nessun rilievo, pertanto, è la difesa del ricorrente che sottolinea come nel P.S.C. non fosse prevista la recinzione dell'area, posto che l'imputazione ascrive a F.M., nella sua qualità di coordinatore per la progettazione e di coordinatore per la sicurezza e la mancata predisposizione di percorsi per la circolazione dei mezzi, che precludessero l'accesso nelle zone pericolose.
Si tratta di un tema approfondito dalla sentenza di primo grado che sottolinea l'assenza di una verifica anche solo sommaria della natura del terreno all'interno del quale si svolgevano le opere, nonché dell'accertamento della presenza di sottoservizi, stante anche la visibilità della piattaforma in cemento che, seppure coperta di arbusti e masserizie varie, rappresentava comunque un elemento di discontinuità con il resto dell'area.
La decisione impugnata, dunque, che ascrive a F.M. nella sua duplice qualità di coordinatore per la progettazione e di coordinatore per l'esecuzione dell'opera la responsabilità dell'infortunio, per avere omesso di analizzare i rischi e di predisporre le necessarie cautele, appare scevra dai vizi che le vengono addebitati.
11. Il terzo motivo è assorbito.
12. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/12/2020