Cassazione Penale, Sez. 4, 17 aprile 2020, n. 12357 - Infortunio durante la pulizia dell'impianto di lavorazione del caffè
1. Con sentenza del 6 luglio 2016 il Tribunale di Trieste dichiarava S.C. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. e, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti rispetto alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di euro 280 di multa.
1.1. Al predetto imputato, nella qualità di legale rappresentante della Cooperativa Triestina Lavori di Facchinaggio s.c.a.r.l., società appaltatrice dei servizi di facchinaggio presso il Magazzino n. 67 sito all'interno del Punto Franco Nuovo del Porto di Trieste in concessione alla Romani s.p.a., veniva contestato, in concorso con S.A., giudicato separatamente, di avere cagionato al dipendente B.E. lesioni personali per colpa consistente nella violazione dell'art. 71, comma primo, d.lgs. n. 81/2008 per non avere provveduto ad adeguare le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori ai prescritti requisiti di sicurezza.
1.2.Il giudice di primo grado riteneva comprovato che l'infortunio si era verificato in occasione delle operazioni di pulizia eseguite da B.E. sull'impianto di lavorazione del caffè verde dallo stesso intraprese in ragione del momentaneo blocco del macchinario "elevatore del caffè" adibito al trasferimento meccanico dei chicchi dalla tramoggia di carico al silos di stoccaggio; eseguito un primo intervento nella parte inferiore del macchinario rivelatosi insufficiente a ripristinarne il funzionamento, dopo avere provveduto a spegnere i quadri elettrici, apriva la protezione superiore intervenendo dapprima con una sessola (ovvero con una sorte di paletta in plastica) e poi inseriva la mano e il braccio negli ingranaggi; in quel momento sopraggiungeva S.A. il quale, non accortosi dei lavori di pulitura in corso, riattivava il macchinario i cui organi in movimento cagionavano le lesioni contestate.
2.Con sentenza del 25 febbraio 2019 la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della pronuncia di primo grado appellata sia dal Procuratore Generale che da S.C. (da quest'ultimo, in via principale ed incidentale), ha aumentato la pena a mesi uno di reclusione con concessione, ex officio, dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
L'appello principale del S.C. è stato dichiarato inammissibile perché proposto oltre i termini previsti dall'art. 585, comma primo, lett.c) cod. proc. pen. mentre quello incidentale sulla statuizione inerente al trattamento sanzionatorio è stato rigettato.
2.1.In particolare i giudici di secondo grado, dopo avere precisato che la disamina dei motivi formulati dal S.C. nell'atto di appello principale, ove veniva contestata l'affermazione di responsabilità, era preclusa, anche nella riformulazione impropriamente inserita nell'appello incidentale, hanno affermato l'insussistenza dei presupposti per una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell'art. 129, comma primo, cod. proc. pen. non ravvisando profili di abnormità nella condotta del lavoratore B.E..
L'appello principale del Procuratore Generale inerente alla statuizione concernente al trattamento sanzionatorio è stato accolto, con rigetto, al contempo, dell'impugnazione incidentale proposta dall'imputato su quel medesimo punto della pronuncia.
3. S.C., a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza lamentando, con un unico motivo, l'inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione all'art. 590, comma 3 cod. pen. e all'art. 71, comma 1, dlgs. n. 81/2008 e il vizio motivazionale.
Sostiene che il macchinario era conforme alle regole di sicurezza mentre il gesto del dipendente B.E. di inserire il braccio negli ingranaggi del macchinario veniva compiuto su sua unilaterale iniziativa, senza alcuna richiesta da parte del datore di lavoro, ed assumeva così connotati di abnormità ponendosi al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
4. Il ricorso è inammissibile.
5. Osserva il Collegio che la Corte distrettuale ha dichiarato inammissibile per tardività l'appello principale con il quale S.C. contestava l'affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. ed ha correttamente precisato che i relativi motivi non possono trovare spazio nell'ambito dell'appello incidentale proposto in contrapposizione a quello del Procuratore Generale incentrato sul trattamento sanzionatorio. Ed invero la ratio di tale istituto che svolge una funzione antagonista rispetto a quello proposto dall'altra parte processuale va ravvisata nell'esigenza di realizzare un sostanziale contraddittorio sul thema decidendum devoluto al giudice della impugnazione, ovvero solo in relazione ai punti della decisione oggetto dell'appello principale nonché a quelli che hanno una connessione essenziale con essi (Sez. U. n. 10251 del 17/10/2006 - dep. 2007- , Rv. 235699).
Ciò premesso, osserva il Collegio che l'inammissibilità originaria dell'appello principale proposto da S.C. preclude la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione per cui non sono proponibili, come motivi di ricorso per cassazione, questioni diverse da quelle dirette a contestare specificamente la preliminare e pregiudiziale declaratoria che ha valore ricognitivo e produce effetti ex tunc (Sez. 4, n. 1270 del 24/10/2017 - dep. 2018 Rv. 271703; Sez. 2, n. 38860 del 21/09/2007 Rv. 238219; Sez. 5, n.7557 del 23/03/1999, Rv.213782).
6. Alla stregua di quanto sopra esposto va pronunciata la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 19/02/2020