Cassazione Penale, Sez. 4, 15 settembre 2021, n. 33976 - Infortunio mortale durante la trinciatura di un terreno: operaio colpito all'occhio da un filamento metallico. Uso di un macchinario imprevisto che stravolge la VDR: assoluzione del datore di lavoro
Fatto
1. Con sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Latina del 21 marzo 2013, ha ridotto ad anni uno di reclusione la pena, già condizionalmente sospesa, inflitta nei confronti di V.A. in relazione al reato di cui all'art. 589, commi primo e secondo, cod. pen., poiché quale datore di lavoro dell'azienda agricola "P.V. s.r.l.", cagionava la morte di DG.G. per colpa generica nonché per violazione delle disposizioni di cui agli artt. 3 e 4, comma 1, d. lgs. n. 626 del 1994; in particolare, il 6 aprile 2006, DG.G., operaio comune di V livello addetto all'allevamento dei bufali all'interno dell'azienda agricola "P.V. s.r.l.", stava effettuando operazioni di trinciatura su parte del terreno dell'azienda agricola, utilizzando un trattore con annessa macchina trinciatrice su un terreno erboso non lavorato da diverso tempo e non precedentemente ripulito; durante le operazioni di taglio dell'erba un filamento metallico, presente sul sito, si avvolgeva al rotore della trinciatrice ed una particella, dopo essersi spezzata, era proiettata in alto ed in avanti verso il posto guida del trattore condotto dal DG.G. e lo colpiva all'altezza dell'occhio destro, penetrando in profondità e provocando un'emorragia celebrare che ne determinava il decesso; inoltre, in violazione dell'art. 89, commi 1 e 2, in relazione all'art. 4, commi 1 e 2, d. lgs. n. 626 del 1994, poiché non effettuava la corretta valutazione dei rischi e del pericolo presenti sul luogo di lavoro mediante apposito sopralluogo e non individuava le misure di prevenzione in modo da pianificare la bonifica del terreno, prima che sullo stesso fosse svolta qualsivoglia attività ed ometteva di scegliere attrezzature da la voro appropriate alla lavorazione da effettuare, in modo tale da eliminare il rischio.
In Latina, il 12 aprile 2006.
1.1. Il Tribunale osservava che il terreno in questione non aveva formato oggetto di falciatura da molti anni e che su di esso erano disseminati residui di metallo riconducibili a strutture in cemento armato disgregate e pezzi di calcestruzzo di discrete dimensioni. F. Enzo, tecnico dell'A.S.L. di Latina, riferiva che sul terreno erano depositati materiali provenienti soprattutto da lavorazione edilizia, dall'esterno dell'azienda. Il tecnico Z. confermava che il terreno presentava materiale di risulta utilizzato in edilizia, quali tondini in ferro, porzioni di cordoli in cemento, filamenti metallici costituenti l'armatura dei cordoli stessi e pietre di diverse dimensioni. Secondo il Tribunale, il compimento di un sopralluogo preventivo, finalizzato a valutare l'effettiva conformazione dei luoghi e ad una ripulitura o bonifica preliminare atta all'eliminazione di eventuale materiale ferroso, lo svolgimento di un'adeguata formazione del lavoratore sulla natura delle operazioni da espletare e sui rischi connessi, la predisposizione di cautele e di attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ed idonee ai fini della sicurezza e della salute del dipendente, la vigilanza del datore di lavoro sull'esecuzione dell'opera costituiscono condotte che, se adottate dall'imputato, avrebbero impedito la verificazione dell'evento lesivo. Il datore di lavoro deve attivarsi per organizzare le attività lavorative in sicurezza, garantendo anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi (es. dispositivi di protezione individuale).
La responsabilità del V.A. non poteva essere esclusa dal concorrente comportamento del lavoratore. Le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo lo scopo di impedire l'insorgere di pericoli, anche se eventuali e remoti, sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti derivanti da un suo comportamento colposo e dei quali, conseguentemente, l'imprenditore è chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive, pure in presenza di condotta imprevidente e negligente del lavoratore.
1. 2. La Corte di appello ha ritenuto correttamente accertata la sussistenza della colpa specifica concretatasi nella violazione degli artt. 3 e 4, comma 1, d. lgs. n. 626 del 1994.
Il comportamento del DG.G. non era abnorme, perché aveva deciso di utilizzare uno strumento adatto alla lavorazione affidatagli. A prescindere dalla potenza dell'attrezzo utilizzato, in un apposito sopralluogo, il V.A. avrebbe dovuto verificare la presenza dei materiali estranei al terreno e disporne la rimozione, al fine di consentire lo svolgimento dell'operazione di ripulitura del terreno in assenza di pericoli.
Non era condivisibile il rilievo secondo cui, al momento dell'evento, nel terreno non erano presenti altri residui ferrosi oltre quelli rinvenuti, perché invece v'erano numerosi residui (strutture in cemento armato disgregate e di pezzi di calcestruzzo di discrete dimensioni); un attento controllo dei luoghi avrebbe consentito di individuare e di rimuovere i rondini di ferro finiti negli ingranaggi della trinciatrice.
2. Il V.A., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di impugnazione.
2.1. Assenza di motivazione con riferimento all'art. 125, comma 3, cod. proc. pen.. Si deduce che la Corte territoriale non ha esaminato le questioni prospettate coi motivi di appello, attinenti alla posizione di garanzia, all'inesigibilità della condotta, alla prevedibilità e alla prevenibilità dell'evento e al giudizio controfattuale.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 589, commi primo e secondo, cod. pen. e 89, commi 1 e 2, 4, commi 1 e 2, d. lgs. n. 626 del 1994.
Si osserva che, il 6 aprile 2006, il V.A. e il DG.G. avevano preventivamente programmato l'intervento di ripulitura del terreno dopo aver effettuato un sopralluogo; constatata l'elevata altezza dell'erba, i due avevano convenuto di effettuare tale lavorazione col c.d. RIP che, trainato da un trattore, essendo munito di "zanne" che si infilano nel terreno, avrebbe predisposto lo stesso ad una migliore falciatura delle erbe ripulendo il terreno da eventuali materiali inerti.
Il DG.G., nonostante la sua giovane età, era dotato di superiori capacità sul lavoro, tanto da farlo ritenere un elemento fondamentale nell'organizzazione del lavoro quotidiano proprio e degli operai da lui diretti; pertanto, godeva di ampia autonomia nell'organizzazione del lavoro, costituiva il punto di riferimento per i lavoratori dell'azienda e decideva quotidianamente le attività prioritarie. Ciò induceva il V.A. ad escludere che il DG.G. potesse porre in essere condotte impreviste ed impre vedibili, al di fuori di quanto concordato, tali da mettere a repentaglio la sua vita.
Il giorno della disgrazia, il DG.G. decideva autonomamente di ripulire il terreno, avvalendosi, anziché del RIP, di un macchinario complesso, la trinciatrice, non presente in azienda. S.T., proprietario dell'azienda confinante, dichiarava che, mezz'ora prima dell'incidente, per la prima volta, il lavoratore gliel'aveva richiesta, a riprova dell'estemporaneità della decisione, assunta dalla vittima in assenza del datore di lavoro, nell'immediatezza degli eventi. Collegata la trinciatrice ad un trattore, ripuliti pochi metri, il DG.G. si accasciava sul sedile del trattore, in quanto era attinto all'occhio destro da un oggetto proveniente presumibilmente dagli ingranaggi della trinciatrice. Soccorso e trasportato in ospedale, decedeva il 12 aprile 2006. I Carabinieri intervenuti sul posto rinvenivano nella striscia di terreno lavorata 2 tondini di ferro lunghi 40 cm. e di spessore di 5 mm., cioè piccoli frammenti di ferro utilizzato nelle lavorazioni agricole (v. esame di Z. Carmine della A.S.L. pagg. 35 e 36 ), ma non residui di materiali da costruzione (come erroneamente ritenuto nella sentenza di primo grado). Solo durante un successivo sopralluogo erano reperiti, ma solo in zone limitrofe al terreno lavorato, altri residui ferrosi.
Il profilo di responsabilità, a titolo di colpa specifica per omissione, contestato al V.A., testimonia l'assenza di violazioni in materia di prevenzione infortunistica. Il capo di imputazione non conteneva contestazioni relativamente alle attrezzature utilizzate dal DG.G., alla formazione del lavoratore ed all'organizzazione aziendale. All'imputato era addebitata esclusivamente l'omessa valutazione del rischio presente sul luogo di lavoro, per non avere svolto un sopralluogo preventivo sul terreno, in modo da effettuare una previa bonifica e di non aver scelto una attrezzatura adeguata. L'imputato non aveva mai deciso di utilizzare la trinciatrice, addirittura neanche posseduta dalla P.V. s.r.l.. Anzi, il V.A. aveva effettuato il sopralluogo col DG.G., concordando con lui di pulire il terreno col RIP, munito di apposite "zanne", adeguato alle lavorazioni programmate e non pericoloso in caso di presenza di residui ferrosi nel terreno.
Il S.T. aveva assunto la posizione di garanzia, rispetto all'utilizzo della trinciatrice, arbitrariamente prestandola al DG.G., all'insaputa del suo datore di lavoro, senza accertarne le modalità di utilizzo e senza eliminare, al momento della consegna, la situazione di rischio connessa all'uso di un'attrezzatura di elevata potenza distruttiva.
Il V.A. aveva correttamente valutato il pericolo in occasione del sopralluogo effettuato insieme alla vittima, decidendo con essa l'impiego del RIP. Non avrebbe mai potuto adottare le necessarie misure di sicurezza in relazione all'impiego di una trinciatrice non presente in azienda, deciso all'ultimo istante dal lavoratore in violazione delle direttive impartitegli. Non poteva prevedere l'evento lesivo verificatosi, essendosi concretizzato un rischio diverso da quello da lui evitabile con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste.
L'adozione del RIP avrebbe comportato una bonifica "morbida" del terreno, prima di procedere al concordato sfalcio dell'erba alta; al contrario, il DG.G. si faceva prestare da un vicino, per la prima volta, un macchinario complesso mai utilizzato dalla P.V. e non presente in azienda, il cui utilizzo non era assolutamente ipotizzabile dal V.A.. Anche la contestazione di non aver bonificato il terreno prima di esecuzione di attività sullo stesso era destituita di fondamento avendo il V.A. disposto di ripulire preventivamente il terreno col rastrello RIP prima di procedere allo sfalcio. L'evento si realizzava con modalità tali da indurre il consulente della difesa ad affermare l'esistenza di una probabilità su 50.000 che potesse accadere. Occorreva verificare se la previa bonifica del terreno lo avrebbe evitato. In quel terreno non erano presenti scarti di lavorazioni edilizie (vedi la foto n. 2, che documentava, nell'immediatezza del fatto, il tratto di terreno lavorato dal DG.G., e le dichiarazioni dell'Ufficiale di P.G. Z. Carmine).
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 133, 62 bis, 62, n. 6, e 175 cod. pen..
Si censurano l'entità eccessiva della pena irrogata, l'omessa formulazione di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante, il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen. e l'omesso riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna. Inoltre, stante l'integrale risarcimento del danno agli eredi, si chiede la revoca delle statuizioni civili.
Diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente, assume rilievo la questione prospettata dalla difesa circa il comportamento abnorme del lavoratore DG.G., tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta ascritta a V.A. e l'evento per cui è processo.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695). In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute (Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanina, Rv. 236991; Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721).
Si è poi affermato, sempre in tema di rilevanza esclusiva del comportamento del lavoratore, secondo un primo orientamento interpretativo circoscritta a condotte tenute in ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e come tali imprevedibili da parte del garante - che può essere considerato imprudente e quindi abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte dei lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2008, dep. 2009, Musso, Rv. 275017).
Per concludere sul punto, partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
Nel caso di specie va dunque valutato se la condotta tenuta dalla vittima fosse o meno prevedibile per il titolare della società coinvolta nell'attività di lavoro, sì da attribuire efficacia causale alle sue eventuali omissioni.
3. La soluzione offerta dalla Corte di appello non è sufficiente ed adeguata a sostenere la pronuncia di responsabilità dell'imputato, non avendo fatto buon governo dei principi sopra riportati.
Va premesso che il V.A. e il DG.G. avevano preventivamente svolto un sopralluogo nell'appezzamento di terreno, al fine di stabilire le modalità di esecuzione dell'intervento di ripulitura dell'appezzamento di terreno; constatata l'elevata altezza dell'erba i due avevano concordato di eseguire tale lavorazione mediante un macchinario presente in azienda chiamato RIP, un attrezzo agricolo, che permette il taglio verticale del terreno in profondità (anche fino ad un metro), senza comportare il rimescolamento degli strati del terreno; esso, infatti, trainato da un trattore, essendo munito di zanne che si infilano nel terreno, avrebbe predisposto lo stesso ad una migliore falciatura delle erbe, ripulendo il terreno anche da eventuali materiali inerti. Il DG.G., dipendente capace ed affidabile tanto da trovarsi in posizione preminente rispetto agli altri operai, solo mezz'ora prima dell'evento letale, di sua iniziativa e senza avvertire il V.A., si rivolgeva al vicino S.T., chiedendogli in prestito una trinciatrice, macchina agricola trasportata e messa in movimento da un trattore usata per abbattere e triturare residui vegetali (erba incolta, residui di coltivazione), non disponibile in azienda.
La trinciatrice è progettata e costruita per lavorare su un terreno agrario/vegetale, cioè libero da materiale metallico del tipo di quello ritrovato sul terreno dell'azienda agricola P.V. s.r.l., sul quale stava lavorando il DG.G..
L'eccessiva potenza della trinciatrice comportava il tranciamento del filo metallico e la sua espulsione ad elevatissima velocità, mentre il RIP pulisce il terreno con una azione di rastrellamento, per cui non avrebbe potuto provocare la situazione di rischio che aveva determinato l'evento. L'oggetto esterno proveniente presumibilmente dagli ingranaggi della trinciatrice attingeva il V.A. all'occhio destro e cagionava l'emorragia che poi provocava la morte.
Alla luce di tale ricostruzione dei fatti, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente una culpa in vigilando del datore di lavoro, perché aveva consentito l'utilizzo di un macchinario non adatto alla tipologia di terreno da trattare, contenente materiali di risulta che potevano essere rilanciati ad elevata velocità e colpire il manovratore del trattore.
Effettivamente, incombe sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro, in quanto il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020, Chironna, Rv. 278608; Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960).
Nel caso in esame, però, il datore di lavoro era del tutto impossibilitato a prevedere la pericolosità del macchinario adoperato dal lavoratore, perché aveva condiviso assieme a quest'ultimo la scelta di uno di tipologia del tutto diversa (avente l'effetto di trascinare i residui e non di ruotare, col rischio di espellerli ad elevata velocità).
Né il V.A. poteva immaginare che il DG.G. avrebbe adoperato un macchinario (la trinciatrice), senza il suo consenso, di potenza tale da determinare l'espulsione di detriti e di corpi metallici ad elevata velocità. In tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, l'obbligo di formazione e informazione gravante sul datore di lavoro riguarda tutti i rischi presenti nel luogo di lavoro, anche non specificamente connessi alle mansioni affidate ai lavoratori, ma non le attività eccentriche rispetto a quelle proprie di quel tipo e luogo di lavoro (Sez. 4, n. 22034 del 12/04/2018, Addezio, Rv. 273589, in fattispecie in cui la Suprema Corte ha confermato l'assoluzione del datore di lavoro in relazione alle lesioni subite dal dipendente di altra ditta operante nel medesimo cantiere, provocate dalla condotta di altro lavoratore del tutto imprevedibile ed eccentrica rispetto alle mansioni assegnate nell'ambito del ciclo produttivo; Sez. 4, n. 45808 del 27/06/2017, Catrambone, Rv. 271079).
Il datore di lavoro aveva svolto un'adeguata analisi ed una corretta valutazione del rischio. In ogni caso, la valutazione del rischio non ha natura direttamente cautelare, sicché dalla sua mancanza o inadeguatezza non può farsi discendere automaticamente l'addebito colposo in relazione ad uno specifico evento lesivo; il rimprovero può essere mosso solo quando l'inadempimento abbia concretamente impedito l'apprestamento di uno strumentario cautelare, che avrebbe evitato l'infortunio. Il V.A. aveva ragionevolmente escluso da ogni valutazione la possibilità di utilizzo di un macchinario imprevisto, più potente, diverso da quello stabilito e non disponibile in azienda. La lavorazione era stata programmata mediante l'uso del RIP e non della trinciatrice, ma la repentina ed inaspettata decisione del DG.G. di modificare le modalità di intervento aveva totalmente stravolto la valutazione del rischio correttamente operata dal datore di lavoro.
Inoltre, non risulta accertato che, per la tipologia di lavorazione in questione, fosse prevista inderogabilmente l'adozione di meccanismi di protezione al volto e ad altre parti del corpo (impiego di trattore con vetri laterali, utilizzo di visiere, ecc.).
Il giorno del fatto, l'utilizzazione di un macchinario pericoloso per il tipo di terreno su cui operare, diverso da quello concordato, acquisito solo pochissimo tempo prima della lavorazione e all'insaputa del datore di lavoro, da parte di un dipendente di notevole esperienza, costituivano fattori - complessivamente considerati - di natura eccezionale ed imprevedibile, frutto di un'iniziativa autonoma, che si svolgeva in un ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e che introduceva un rischio nuovo non preventivabile ed evitabile.
La natura abnorme della condotta del lavoratore, pertanto, interrompeva il rapporto di causalità tra le omissioni contestate nell'imputazione e l'evento mortale, per cui, restando assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Non vanno disposte ulteriori statuizioni in relazione al risarcimento dei danni di sposto in favore della parte civile, in quanto la stessa non è più presente all'interno del processo.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso in Roma il 17 marzo 2021.