Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2020, n. 12177 - Infortunio durante lo spostamento di una barra di acciaio. Responsabilità del direttore di stabilimento per mancanza di informazione, formazione e addestramento dei lavoratori
1. La Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale cittadino, con la quale P.G. era stato condannato per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. ai danni del lavoratore DM.A.G., aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha assolto la società FOMA S.p.A. dall'illecito amministrativo contestato perché il fatto non sussiste, rideterminando la pena inflitta all'imputato, con giudizio di prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen.
Si è contestato al P.G., nella qualità di institore e direttore tecnico di uno stabilimento della FOMA S.p.A., esercente attività di fonderia metalli, di avere colposamente procurato le lesioni personali gravi meglio descritte nella imputazione al lavoratore DM.A.G., per negligenza, imprudenza e imperizia e per inosservanza del disposto di cui agli artt. 71 comma 7 e 73 comma 4 d.lgs. n. 81 del 2008, non avendo impartito - ai lavoratori impegnati nell'attività di movimentazione dei carichi con impiego di un sollevatore magnetico, che richiedeva conoscenze particolari in relazione ai rischi specifici connessi - informazione, formazione e addestramento adeguati ad assicurare l'uso in sicurezza di tale sistema di sollevamento, nel rispetto dei limiti ponderali del carico, in funzione della sua conformazione, consentendo che gli operai agissero ignorando il peso dei pezzi da trasportare, i limiti ponderali di sollevamento del magnete in funzione della conformazione dei carichi, consentendo che la capacità di carico del magnete fosse testata empiricamente con brevi sollevamenti preventivi, inadeguati e insufficienti per stabilire l'effettiva e duratura tenuta del sistema. In particolare, nell'occorso, impegnato nello spostamento di una barra di acciaio insieme a un collega che manovrava un carrello elevatore, al cui braccio di sollevamento era stato legato mediante catene un magnete, il DM.A.G., intento a direzionare il carico, aveva riportato lo schiacciamento delle dita della mano destra a seguito della caduta della barra, staccatasi improvvisamente dal magnete.
2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla valutazione del comportamento della vittima, rilevando che la caduta della barra non era stata accidentale, bensì conseguenza di un'errata manovra del DM.A.G. sul sistema di sganciamento della stessa dal magnete, elemento alla luce del quale rimarrebbe del tutto irrilevante ogni discettazione sull'inadeguatezza del magnete al sollevamento della barra.
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La Corte bresciana, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, suffragata dalle risultanze processuali pure indicate in sentenza, mediante un richiamo di quella appellata, ha precisato, con specifico riferimento al comportamento del lavoratore, qui d'interesse alla luce delle doglianze veicolate con il ricorso, che la leva utilizzata per il sollevamento era dotata di un riscontro fisso con funzione di blocco atto a prevenire una smagnetizzazione accidentale del carico.
Oltre a ciò, gli accertamenti del personale incaricato ASL avevano consentito di appurare che il magnete impiegato riusciva ad alzare la barra, ma non a trattenerla del tutto garantendone la tenuta, poiché - durante la discesa - essa si staccava, lo stesso collega di lavoro del DM.A.G., partecipe della sfortunata operazione, avendo riconosciuto che durante le prove eseguite per saggiare la idoneità del sollevatore, esso era riuscito a sollevare la barra, ma nelle manovre per riabbassarla, la stessa si era staccata. Cosicché doveva escludersi un intervento umano, anche colposo, del lavoratore infortunato.
In via risolutiva, peraltro, quel giudice ha osservato che, anche a volersi si riconoscere una imprudenza del lavoratore infortunato, essa avrebbe semmai avvalorato la prova della responsabilità del direttore dello stabilimento, quale conseguenza del difetto di informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, oggetto della contestazione.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
Richiamato il consolidato orientamento per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), si osserva che gli assunti difensivi sono smentiti dai principi regolatori in materia antinfortunistica, elaborati in tema di affidamento, di obblighi di garanzia dello stesso lavoratore all'interno della realtà produttiva e, soprattutto, di rilevanza - sotto il profilo causale - della condotta imprudente o negligente di questi.
In materia di prevenzione antinfortunistica, si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/02/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
Tuttavia, pur dandosi atto che - da tempo - si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'Interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).
All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT cf Musso Paolo, rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
4. Data tale premessa in diritto, non si rinviene - nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito - alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto nella sentenza censurata, le cui argomentazioni, al contrario, tengono in debito conto i principi sopra richiamati.
Al P.G., infatti, è stato contestato di non aver provveduto a impartire ai lavoratori addetti a quella delicata attività, tale in quanto presupponente la capacità di operare un preventivo e approfondito vaglio del peso e della conformazione del carico, in relazione alle capacità del sollevatore magnetico impiegato, adeguati formazione, informazione e addestramento, ciò che l'eventuale imprudenza del lavoratore non farebbe che convalidare, nonostante nell'occorso fosse stata esclusa una manovra non consona della vittima, la caduta della barra essendo dipesa, come pure accertato dagli ispettori ASL, dalla inidoneità del sollevatore rispetto a quel tipo di carico.
5. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle ammende.
In Roma il 27 febbraio 2020