Cassazione Penale, Sez. 4, 14 novembre 2019, n. 46194 - Caduta di una pompa idraulica manuale. Appartiene al preposto la sfera di responsabilità dell’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2019

Fatto

1. La Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha sostituito la pena detentiva inflitta a V.M.G. con la multa (pari ad euro mille), confermando nel resto la pronuncia appellata.
2. L'imputato è stato ritenuto colpevole del reato cui all'art. 590, commi 1,2 e 3 cod. pen. perché, quale legale rappresentante della V.M.G. s.r.l., esercente "lavori di manutenzione meccanica sul trasferitore a catena e piani abbassabili PP-QQ" nel reparto Treno-Nastri 2 - zona deposito bramme 2 dello stabilimento ILVA di Taranto, per colpa generica ed in violazione degli artt. 28, comma 2, lett. a), 29, comma 3 e 64, d. lgs. n. 81/08, omettendo di predisporre una procedura operativa in ordine al lavoro di manutenzione meccanica, cagionava al lavoratore dipendente S.R. lesioni personali gravi da cui derivava un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a quaranta giorni. Il 17/05/2013, il S.R., intento a smontare uno spinotto del pistone di sollevamento di un piano abbassabile, veniva investito, da un'altezza di circa 2,5 metri, dalla caduta di una pompa idraulica manuale che gli schiacciava la mano cagionandogli l'amputazione sub-totale del primo dito.
3. La sentenza impugnata ricorda come gli ispettori del dipartimento prevenzione infortuni sul lavoro, intervenuti subito dopo il fatto, oltre ad aver constatato come il luogo di lavoro fosse scarsamente illuminato, avessero rilevato che non era stata prevista una procedura operativa adeguata a garantire la sicurezza dei lavoratori, con specifico riferimento alla predisposizione di idonea difesa dei posti di lavoro e di passaggio, contro la caduta e l'investimento di materiali in dipendenza dell'attività lavorativa; e come il Piano di Sicurezza redatto dalla V.M.G. s.r.l., in data 08/05/2013, prevedesse esclusivamente la delimitazione con nastro di ogni area sottostante alle lavorazioni prescrivendo che queste fossero particolarmente sorvegliate. La Corte di appello affermava che tali previsioni non soltanto erano state disattese ma si rivelavano del tutto generiche, di improbabile attuazione ed inidonee allo scopo, atteso che l'apposizione del nastro non avrebbe certo evitato che venissero appoggiati materiali o strumentazioni in quell'area. Superava le considerazioni espresse dal primo giudice quanto all'effettività della delega attribuita a figure professionali interne all'azienda, ritenendo che il datore di lavoro sia comunque tenuto a controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente, impartitegli. La stabile mancanza, nei luoghi di lavoro, di una struttura, che rendesse agevole e sicura l'attività da svolgersi sotto il piano di campagna, costituiva, secondo l'impugnata sentenza, conseguenza dell'insufficienza del cantiere, addebitabile al datore di lavoro, non certo al preposto.
4. Il ricorso del difensore dell'imputato avverso la prefata sentenza consta di tre motivi. Con il primo, si deduce inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 590, comma 3, cod. pen., e vizio di motivazione con riferimento alla mancata attribuzione della responsabilità in capo al preposto ed alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico della colpa in capo al V.M.G.. Il Piano di Sicurezza redatto dalla V.M.G. s.r.l. in data 08/05/2013 non solo aveva previsto il rischio di caduta di materiali dall'alto ma aveva, altresì, stabilito una specifica procedura operativa relativa alla pulizia ed allo sgombero dei materiali dalle aree di lavoro, comunicata a tutti i lavoratori. Con questa si è espressamente imposto l'obbligo di ripulire i luoghi di lavoro da ogni materiale presente, prescrivendo uno specifico obbligo di vigilanza in capo a preposti, cui è stato demandato il controllo delle aree di lavoro al termine di ogni turno. Il datore di lavoro ha infatti nominato dei preposti, come da elenco contenuto nell'allegato IV del Piano di Sicurezza, i quali possono essere anche capisquadra, in ossequio alla definizione di preposto ex art. 2, d.lgs. 81/2008. L'impugnata sentenza si rivela manifestamente illogica e carente di motivazione con riguardo alla asserita scarsa illuminazione della zona di lavoro, stanti le dichiarazioni sul punto del consulente tecnico della difesa e di uno dei tre operai coinvolti nell'intervento in questione; manifestamente illogica laddove ritiene che la sorveglianza prevista dal Piano di Sicurezza avrebbe necessariamente imposto la "costante presenza nel corso delle lavorazioni sotto il piano di campagna di altro personale impiegato solo in tale compito. In realtà, l'obbligo di sorvegliare l'area di lavoro gravava unicamente in capo al preposto cui il Piano di Sicurezza aveva completamente demandato il controllo delle aree di lavoro al termine di ogni turno. Non ha, pertanto, alcun senso valutare necessaria l'assunzione di "altro" personale precipuamente preposto alla "sola" sorveglianza, dato che il Piano di Sicurezza aveva demandato tale onere al preposto. Né mai il V.M.G. era venuto meno ai suoi doveri di formazione e informazione ai lavoratori. Con il secondo motivo, si eccepisce inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione al riguardo. In particolare, si osserva che solo le lesioni gravissime (e non gravi, come nel caso di specie) sono ostative all'applicabilità dell'anzidetta norma. Con il terzo motivo, si lamenta inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 62-bis e 590, comma 3, cod. pen., nonché vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio sotto due profili, quello della quantificazione del minimo della pena e quello del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In ordine al primo profilo, osservato che la pronuncia di primo grado riportava nel dispositivo la condanna dell'Imputato a 3 mesi tre di reclusione, mentre nella motivazione aveva evidenziato la volontà del giudice di irrogare la sola pena della multa, si sostiene che la Corte distrettuale abbia completamente omesso di motivare l'applicazione di una pena (pecuniaria) pari al doppio del minimo edittale di euro 500 previsto dall'art. 590, comma 3, cod. pen., nonostante l'espressa richiesta della difesa in tal senso e nonostante il Tribunale di Taranto avesse comminato, nel dispositivo, la reclusione di mesi tre, corrispondente al minimo edittale della pena detentiva. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche si censura, in particolare, l'apparenza della motivazione.


Diritto

1. Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
2. I presupposti giuridici da cui parte il ragionamento della sentenza impugnata sono erronei per avere questa omesso di valutare adeguatamente l'ambito delle singole e rispettive posizioni di garanzia, id est del datore di lavoro e del preposto.
3. In tema di reati colposi, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’obbligo di prevenzione gravante sul datore di lavoro non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche l’adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i lavoratori, purché ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell’evento [Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016 (dep. 03/02/2017), Ferrentino e altri, Rv. 270380). La responsabilità per colpa, infatti, non fonda unicamente sulla titolarità di una posizione gestoria del rischio (sulla quale Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, in motivazione) ma presuppone l’esistenza - e la necessità di dare applicazione nel caso concreto a - delle regole aventi specifica funzione cautelare, perché esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire che l’evento temuto si verifichi [Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015 (dep. 24/03/2016), Barberi e altri, Rv. 267813]. Dovere di diligenza e regola cautelare si integrano definendo nel dettaglio il concreto e specifico comportamento doveroso; ciò assicura che non si venga chiamati a rispondere penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di responsabilità oggettiva.
4. Nel caso che occupa, la Corte distrettuale ha affermato la responsabilità penale del ricorrente su mere petizioni di principio e, in quanto tali, del tutto avulse dall'accertamento del nesso di causalità tra l'asserita condotta omissiva del datore di lavoro e l'infortunio occorso al lavoratore. La sentenza, invero, si limita ad assumere che i luoghi di lavoro fossero stabilmente privi di ogni struttura che rendesse agevole l'attività da svolgersi sotto il piano di campagna, deducendone una prassi in violazione in violazione del piano di sicurezza aprioristicamente ritenuta diretta conseguenza dell'insufficienza del cantiere medesimo, non addebitabile al preposto.
Nessun dubbio che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente, sul datore di lavoro gravi l’obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi che tali misure vengano osservate dai lavoratori. Ma nella maggioranza dei casi la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa [art. 2, co. 1, lett. d) d.lgs. 81/2008]; i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa [art. 2, co. 1, lett. e) d.lgs. n. 81/2008]. Pertanto, già nel tessuto normativo è previsto che il datore di lavoro vigili attraverso figure dell’organigramma aziendale che, perché investiti dei relativi poteri e doveri, risultano garanti della prevenzione a titolo originario.
Questa Corte ha già affermato il principio secondo il quale, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, quali quella in cui si è verificato l'infortunio di cui trattasi, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972). Pertanto, anche in relazione all’obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in considerazione; il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli. Quanto alle concrete modalità di adempimento dell’obbligo di vigilanza esse non potranno essere quelle stesse riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale, tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell’organizzazione aziendale (e viceversa).
5. Ciò posto, va detto che, nel caso di specie, l'obbligo di sorvegliare l'area di lavoro incombeva direttamente al preposto, deputato a governarne gli specifici rischi. L'infortunio, invero, era per l'appunto occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa. In conseguenza, nessun rimprovero può essere mosso al datore di lavoro, atteso che egli aveva redatto un Piano di Sicurezza e nominato i preposti e che il medesimo Piano aveva previsto il rischio di caduta di materiali dall'alto e stabilita una specifica procedura operativa relativa alla pulizia ed allo sgombero dei materiali dalle aree di lavoro, comunicata a tutti i lavoratori, stabilendo uno specifico obbligo di vigilanza in capo ai preposti, cui era demandato il controllo delle aree di lavoro al termine di ogni turno.
6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 10 settembre 2019


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