Cassazione Penale, Sez. 4, 10 dicembre 2020, n. 35057 - Grave infortunio durante la movimentazione del quadro elettrico di 800kg. Omissione di misure organizzative adeguate ad evitare il rischio di collisione
1. La Corte di Appello di Brescia, revocando d'ufficio la sospensione condizionale, ha confermato la sentenza di primo grado con cui C.I., in qualità di datore di lavoro e conducente del mezzo, concesse le generiche, è stato condannato, all'esito del rito abbreviato, alla pena di mesi 8 di reclusione per il reato di cui all'art. 590 cod.pen. (per avere cagionato lesioni gravi, da cui è derivata la perdita della funzione della deambulazione, al dipendente M.C.B., travolto, nel corso di operazioni di movimentazione, dal quadro elettrico del peso di 800 Kg, agganciato al braccio del merlo del mezzo da lui condotto ed appoggiato, non più in trazione, su un solaio, con colpa consistita nella mancata adozione di adeguate misure di sicurezza idonee e nella violazione dell'art. 71, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 in data 12 ottobre 2012).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l'imputato, che ha dedotto: 1) la violazione degli artt. 521, secondo comma, e 522 cod.proc.pen., essendo stata pronunciata condanna per le condotte colpose consistenti nella mancata adozione dei presidi di sicurezza e nello svolgimento della manovra in modo imprudente, differenti rispetto a quella contestata nel capo di imputazione, in cui si prospettava la mancata nomina di un capo-manovra, che si è, invece, accertato essere avvenuta, e priva di qualsiasi riferimento a eventuali profili di colpa generica, che, peraltro, sono stati indicati solo dal giudice dell'impugnazione; 2) l'erronea applicazione della legge in relazione all'art. 43 cod.pen., essendosi pervenuti alla condanna, senza individuare il comportamento alternativo lecito doveroso, che avrebbe evitato l'evento; 3) l'erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 41, comma 2, cod.pen. e 43 cod.pen., non essendo stata valutata né l'abnormità né l'eccentricità della condotta della persona offesa; 4) la nullità del decreto di citazione per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione, lamentando la discrasia tra l'imputazione di cui all'avviso ex art. 415bis cod.proc.pen. ed il decreto di citazione a giudizio ed insistendo, pertanto, nell'eccezione già rigettata, tempestiva, in quanto proposta già prima dell'istanza di rito abbreviato, e non sanata, ad avviso della difesa, dalla relativa scelta processuale; 5) la mancanza di motivazione e la violazione degli artt. 597, commi 1 e 3, 163 e 168 cod.proc.pen., in considerazione della revoca d'ufficio della sospensione condizionale della pena, prospettando altresì la questione di legittimità costituzionale dell'art. 164 cod. pen., nella parte in cui non differenzia tra reati dolosi e colposi,, per violazione dell'art. 3 Cost., anche in relazione alla diversa disciplina della recidiva; 6) l'erronea applicazione degli artt. 69, 133, 62-bis cod.pen. e la mancanza di motivazione in ordine alla negata prevalenza delle generiche sulle aggravanti, che non può, peraltro, essere fondata sulla gravità delle lesioni, elemento già valutato ai fini della quantificazione della pena.
3. L'imputato ha depositato ulteriore memoria in data 29 febbraio 2020, in cui, relativamente al primo ed al quarto motivo, ha lamentato anche il vizio motivazionale.
4. Il procedimento si è svolto con le modalità di cui all'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, pubblicato in Gazzetta ufficiale nella medesima data. La Procura Generale ha concluso per la inammissibilità del ricorso. Il ricorrente, nelle sue conclusioni scritte, ha eccepito preliminarmente la violazione del termine di comunicazione della requisitoria della Procura Generale e conseguentemente la violazione del diritto all'assistenza dell'imputato, chiedendo il rinvio dell'udienza.
Diritto
1.Il ricorso è manifestamente infondato.
In via preliminare va rigettata l'eccezione formulata dal ricorrente in ordine alla violazione del termine di comunicazione della requisitoria della Procura Generale. In primo luogo occorre osservare che l'art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, nel disciplinare le modalità di trattazione dei procedimenti ex artt. 127 e 614 cod.proc.pen., collegate all'emergenza sanitaria, ha previsto che entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il Procuratore Generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata e che la cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni. Dallo stesso dato letterale si evince che la disposizione de qua non ha stabilito alcun termine processuale e non ha attribuito alle parti private un lasso temporale minimo per la formulazione delle proprie conclusioni - lasso temporale di cui non avrebbero, del resto, potuto usufruire in caso di trattazione del procedimento secondo le forme ordinarie, sostituite in via eccezionale e provvisoria in considerazione dell'emergenza sanitaria: in caso di trattazione orale, difatti, le parti private avrebbero dovuto replicare subito alla Procura Generale, senza avere a disposizione alcun termine difensivo. L'avverbio "immediatamente" utilizzato nell'art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020 contiene, dunque, un mero criterio generale di carattere organizzativo, al cui mancato rispetto non è connessa alcuna specifica sanzione processuale. Da tali premesse consegue che l'eventuale ritardo nella comunicazione alle altri parti della requisitoria della Procura Generale può determinare il rinvio dell'udienza soltanto laddove abbia effettivamente pregiudicato l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e/o delle altri parti del procedimento: situazione che non si è verificata nel caso di specie, in cui il ricorrente, che, secondo le sue stesse allegazioni, ha ricevuto la requisitoria in data 9 novembre 2017, ha depositato tempestivamente le sue conclusioni scritte.
2. In ordine alla prima censura, avente ad oggetto la violazione del principio di correlazione tra accusa e pronuncia, il motivo risulta meramente ripetitivo di quello già proposto in appello ed adeguatamente rigettato dalla Corte.
In proposito va, del resto, ribadito che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (così Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 ud. - dep. 19/08/2014, Rv. 260161 - 01, in una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori).
Si è, anche, affermato che nei procedimenti per reati colposi, il mutamento dell'imputazione, e la relativa condanna, per colpa generica a fronte dell'originaria formulazione per colpa specifica non comporta mutamento del fatto e non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018 ud. - dep. 29/11/2018, Rv. 274500 - 02).
A ciò si aggiunga che, in tema di incidenti sul lavoro, qualora l'evento, del quale il datore di lavoro è chiamato a rispondere a titolo di colpa, sia eziologicamente collegato all'omissione di condotte dovute in forza della posizione di garanzia da lui rivestita, non si ha violazione del principio di correlazione fra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, quando sia rimasta inalterata la condotta omissiva, intesa come dato fattuale e storico contenuto nell'imputazione, ma sia stata, bensì, dal giudice mutata solo la fonte (normativa, regolamentare o pattizia) in base alla quale l'imprenditore era tenuto a porre in essere la condotta doverosa omessa, atteso che non può ritenersi che la fonte di imputazione dell'obbligo sia parte del fatto e che incida, perciò, nella sostanza della fattispecie concreta, intesa come accadimento storico che si inquadra nell'ipotesi astratta prevista dalla norma incriminatrice (Sez. 4, n. 47365 del 10/11/2005 ud. - dep. 30/12/2005, Rv. 233182 - 01; più recentemente Sez. 4, n. 4622 del 15/12/2017 ud. - dep. 31/01/2018, Rv. 271948 - 01).
Il rigetto dell'eccezione formulata risulta del tutto conforme a tali orientamenti, tenuto conto che, peraltro, che, come evidenziato nella sentenza impugnata, la condotta accertata, per cui l'imputato è stato condannato, corrisponde a quella contestata, sin dall'origine, consistente nella mancata adozione di misure organizzative adeguate ad evitare il rischio di collisione ai lavoratori (ivi compreso il capo-manovra) che si trovano nella zona di movimentazione (e non solo nella violazione esclusa, consistente nella mancata nomina del capo-manovra). Il giudice di appello si è limitato a precisare che lo svolgimento delle operazioni, così come descritto nel capo di imputazione ed accertato nel giudizio, è caratterizzato oltre che dalla colpa specifica contestata, anche da profili di colpa generica, denotando negligenza, gravissima imprudenza e scarsissima perizia.
3. La seconda censura, avente ad oggetto la mancata individuazione del comportamento alternativo lecito, risulta infondata, in quanto i giudici di merito hanno evidenziato che la manovra ad alto rischio (di movimentazione del quadro elettrico, pericolosissimo per il suo peso) è avvenuta senza l'adozione di alcuna misura di sicurezza, destinata a tutelare il lavoratore colpito, anche se ipoteticamente qualificabile come capo-manovra - condotta doverosa ai sensi dell'art. 71, comma 3, del d.lg. n. 81 del 2008, che rinvia all'allegato VII, par. 2.2, ai sensi del quale si devono prendere misure organizzative atte e evitare che lavoratori a piedi si trovino nella zona di attività di attrezzature di lavoro semoventi e, qualora la presenza di lavoratori a piedi sia necessaria per la buona esecuzione dei lavori, si devono prendere misure appropriate per evitare che essi siano feriti dalle attrezzature. Si è, dunque, del tutto ragionevolmente individuato il comportamento alternativo lecito nell'adozione di accorgimenti e precauzioni o, comunque, di un'adeguata cautela nello svolgimento delle operazioni. La mancata dettagliata descrizione in sentenza delle misure appropriate al fine di evitare che i lavoratori, necessariamente coinvolti nelle operazioni, restino feriti, non ne esclude l'esistenza, atteso che l'impossibilità di svolgere l'operazione in sicurezza non è stata neppure dedotta dalla difesa e, comunque, avrebbe dovuto escludere l'espletamento stesso della manovra.
4. La terza doglianza, con cui si lamenta che la condotta del lavoratore non sia stata ritenuta tale da configurare causa interruttiva del nesso di causalità, non denuncia alcuna effettiva violazione di legge, ma tende a censurare le valutazioni dei giudici di merito, senza neppure evidenziarne contraddittorietà o manifeste illogicità. Come riportato dallo stesso ricorrente, nella sentenza impugnata si è precisato che "nel comportamento della persona offesa non si ravvisa alcun profilo di abnormità, posto che lo stesso era stato designato a stare in quel luogo per quella specifica manovra, in condizioni di rischio, senza precauzione alcuna e senza una minima programmazione atta a ridurre i pericoli nella singolare manovra". Tale motivazione è, del tutto conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, da un lato, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 ud. - dep. 14/02/2018, Rv. 272222 - 01) e, dall'altro, non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 ud. - dep. 19/02/2014, Rv. 259313 - 01). La Corte di appello ha, difatti, evidenziato che la condotta del lavoratore è stata posta in essere nell'ambito delle sue mansioni e che non si è discostata da comportamenti possibili e, quindi, prevedibili, seppure imprudenti. A fronte di tale motivazione, il ricorrente si è limitato ad asserire che la vittima, in modo inspiegabile, si è interposta tra il bordo dell'apertura della soletta ed il quadro, mentre avrebbe potuto spostarsi e evitare l'impatto.
Va, inoltre, ricordato che, in tema di infortuni sul lavoro, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 ud. - dep. 05/04/2018, Rv. 273247 - 01).
5. Relativamente alla quarta doglianza, con cui si è reiterata l'eccezione di indeterminatezza del capo di imputazione, è sufficiente rinviare al consolidato orientamento secondo cui la richiesta di giudizio abbreviato determina una cristallizzazione dell'imputazione da cui l'imputato ha scelto di difendersi; ne consegue l'impossibilità per quest'ultimo di eccepirne l'indeterminatezza salvo che dimostri che la genericità o l'indeterminatezza dell'imputazione gli abbia impedito di esercitare la sua difesa (Sez. 5, n. 33870 del 07/04/2017 ud.- dep. 11/07/201"/, Rv. 270475 - 01; v. anche Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011 ud. - dep. 01/06/2012, Rv. 252854 - 01, secondo cui, una volta instaurato il giudizio abbreviato condizionato, senza che vi sia stata alcuna modifica o integrazione dell'accusa da parte del pubblico ministero e senza che il giudice abbia rilevato vizi nella formulazione dell'imputazione, non è consentito all'imputato eccepire la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione.).
6. In ordine al quinto motivo, avente ad oggetto la revoca d'ufficio della sospensione condizionale, occorre premettere che non contravviene al divieto della "reformatio in peius" il giudice di appello che, pur in presenza di impugnazione proposto dal solo imputato, revochi il beneficio della sospensione condizionale, nelle ipotesi previste dai commi primo e terzo dell'art. 168 cod. pen., in quanto, in entrambi i casi, si tratta di provvedimenti dichiarativi, riguardanti effetti che si producono "ope legis" e presuppongono un'attività puramente ricognitiva e non discrezionale o valutativa, a differenza dell'ipotesi di cui al comma secondo del medesimo articolo che, invece, ha natura costitutiva e implica un giudizio sull'indole e sulla gravità del reato, rispetto al quale l'imputato deve essere posto nella condizione di potersi difendere (tra le tante, Sez. 2, n. 37009 del 30/06/2016 ud. - dep. 06/09/2016, Rv. 267913 - 01; cfr., tra le tante, anche la più -recente Sez. 6, n. 51131 del 15/11/2019 ud. - dep. 18/12/2019, Rv. _lv, 277570 - 01). Nel caso di specie, dal certificato del casellario giudiziale del ricorrente risutano plurimi precedenti, con condanne superiori ad anni 2 di reclusione (anche prescindendo dai / condoni e dall'indulto di cui il ricorrente ha beneficiato, residua, comunque, una condanna a anni 2 e mesi 8 di reclusione, oltre alla multa di €4.000.000).
Mentre è illegittima per violazione del divieto di "reformatio in peius", nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, la revoca della sospensione condizionale della pena disposta dal giudice d'appello ai sensi dell'art. 168, comma secondo, cod. pen., attesa la natura discrezionale e costitutiva di detto provvedimento (Sez. 2 n. 40989 del 11/04/2018 ud. - dep. 24/09/2018, Rv. 274301 - 01). Ne consegue che la revoca della sospensione condizionale è avvenuta ai sensi dell'art. 168, terzo comma, cod.proc.pen., in considerazione dei precedenti penali ostativi, sicché non si riscontra alcuna violazione dell'art. 597 cod.proc.pen.
Per mera completezza, va precisato che si presenta manifestante infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost, in relazione alla diversa disciplina della recidiva, che è limitata alla sola reiterazione di delitti non colposi. In proposito è sufficiente osservare che risulta del tutto ragionevole che i presupposti di un aggravamento della pena siano diversi da quelli che consentono di accedere al beneficio della sospensione condizionale.
7. L'ultimo motivo, relativo alla prevalenza delle generiche rispetto all'aggravante, è manifestamente infondato alla luce della puntuale motivazione del giudice di appello, che ha giustificato l'opposta scelta del giudice di primo in considerazione non solo dell'entità e irreversibilità delle lesioni, ma anche del grado della colpa. In proposito va ribadito che la regola per cui non può tenersi conto due volte dello stesso elemento a favore o contro il colpevole non si applica quando tale elemento non è l'unico rilevabile dagli atti, non è ritenuto assorbente rispetto agli altri ed influisce su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini e conseguenze, come il riconoscimento di una circostanza, il giudizio di bilanciamento con altre di segno opposto e la determinazione della pena, senza violare il principio del "ne bis in idem" sostanziale (Sez. 1, n. 1376 del 28/10/1997 ud. - dep. 05/02/1998, Rv. 209841 - 01; v. più recentemente Sez. 2, n. 45206 del 09/11/2007 ud. - dep. 04/12/2007, Rv. 238511 - 01).
8. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria, che si reputa equo liquidare in euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, 17 novembre 2020.