Cassazione Penale, Sez. 4, 07 dicembre 2020, n. 34739 - Caduta dall'alto durante il lavoro di impermeabilizzazione di una canna fumaria. Responsabilità del direttore di fatto dello stabilimento
1. Con sentenza del 5.3.2019 la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato la penale responsabilità di F.F. in relazione all'omicidio colposo di A.C., avvenuto per "frattura cranica" conseguente a caduta dall'alto: il lavoratore, salito su un tetto per svolgere un lavoro di impermeabilizzazione di una canna fumaria, cadeva dal tetto a causa della rottura di una lastra di eternit sulla quale stava camminando.
Al F.F. è stato addebitato, quale direttore di fatto della fabbrica ove è avvenuto il sinistro (Manifatture Ceramiche Salernitane), di avere violato la normativa antinfortunistica per quanto attiene alle modalità di spostamento sul tetto del lavoratore, eseguito senza che lo stesso fosse agganciato con una cintura di sicurezza e senza alcuna copertura del lucernario con tavole di legno; inoltre il A.C. non era specializzato né abilitato ad operare in quel modo, trattandosi di un semplice "stampista".
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del F.F..
Si deduce che la sentenza di primo grado aveva erroneamente ritenuto provata la qualità del F.F. di direttore di fatto dello stabilimento, affermando che costui si occupava dell'organizzazione del lavoro, per cui non poteva che essere stato lui a dare l'ordine al A.C. di salire sul tetto. L'errore della Corte territoriale, invece, si fonda sull'erroneo presupposto che il F.F. sia chiamato a rispondere nella sua qualità di amministratore unico della ditta e di datore di lavoro, qualità che invece apparteneva ad altro coimputato (FE.) nel frattempo deceduto. Non è stata svolta alcuna indagine circa il contesto organizzativo entro il quale il ricorrente era andato a collocarsi. Il ricorrente non ha mai svolto funzioni di direttore di fatto e le stesse deposizioni della moglie e del padre della persona offesa hanno riferito che a dare gli ordini in azienda era "V.F.", ed il teste L. ha dichiarato che la persona che avrebbe aiutato il A.C. a salire sul tetto era stato A.F. e non l'odierno ricorrente.
3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le censure dedotte sono in fatto, come tali esse non sono consentite in sede di legittimità. Di contro, la sentenza impugnata motiva adeguatamente circa il potere direttivo dell'imputato, spiegando che i fratelli F. erano d'accordo sull'esigenza dell'intervento affidato al A.C., ma F.F. in particolare era colui che gestiva l'organizzazione del lavoro, che aveva sottoscritto il documento per la valutazione dei rischi e che, dunque, assommava in sé la funzione di garanzia per la sicurezza sul lavoro ed anche quella mattina era presente in fabbrica, in occasione dell'incidente. La Corte territoriale ha evidenziato che dall'escussione di tutti i testimoni sia emerso che il potere direttivo era esercitato dal ricorrente all'interno dell'impresa. In particolare, il teste FO. aveva riferito che "era F.F. che dava ordini la mattina sul da farsi"; il teste B. aveva confermato che anche la mattina dell'incidente il ricorrente era sul luogo di lavoro, sin dalle ore 7.00, ed aveva dato ordini al teste medesimo. Si tratta di considerazioni che attengono al merito della vicenda e che non possono essere messe in discussione nella presente sede di legittimità, in assenza di incongruità o di evidenti vizi logici rilevabili nel percorso motivazionale della sentenza impugnata.
4. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo. Segue la condanna al pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili omissis che liquida in complessivi euro cinquemila oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.
Così deciso il 10 novembre 2020