Cassazione Penale, Sez. 4, 08 novembre 2021, n. 40002 - Infortunio durante un'operazione di manutenzione della lingottatrice: inidoneità del posizionamento del quadro comandi e responsabilità dell'institore e delegato per la sicurezza
Fatto
1. La Corte d'appello di Brescia, con sentenza resa in data 30 ottobre 2019, ha parzialmente riformato nel solo trattamento sanzionatorio la condanna emessa nei confronti di N.G. dal Tribunale bresciano il 22 maggio 2018, sostituendo la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria e, nel resto, confermando la decisione di primo grado.
Tanto in relazione al delitto di cui all'art. 590, commi 1 e 3 cod.pen., con violazione dell'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 in relazione all'art. 70 comma 1 dello stesso decreto legislativo: delitto contestato al Dossena in riferimento a un infortunio sul lavoro occorso in Brescia il 25 febbraio 2014.
L'incidente si verificava ai danni di U.R., dipendente della O.R.I. Martin s.p.a., della quale il N.G. era institore e delegato per gli aspetti della sicurezza sul lavoro dell'azienda. Il U.R. stava eseguendo la manutenzione di un macchinario denominato lingottiera, dotato di un coperchio di protezione fissato con viti; dopo avere collocato il macchinario su un ribaltatore, l'operaio iniziava a smontarlo svitando il coperchio, ma una delle otto viti cadeva in un foro della lingottiera; per fare uscire la vite inclinando il macchinario e portandolo in posizione orizzontale, il U.R. azionava, con una mano, i pulsanti collocati sul quadro comandi (a circa un metro e mezzo di distanza); con l'altra si protendeva verso il coperchio cercando di recuperare la vite. A un certo punto, però, il coperchio - estremamente voluminoso e pesante - cadeva, rovinando sul piede del U.R. e producendogli le lesioni descritte in rubrica.
Al N.G. é contestato di avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario il cui quadro comandi era situato a distanza troppo ridotta, con conseguente pericolo di caduta dei pezzi nella fase di rotazione, laddove occorreva che la distanza fosse maggiore onde impedire ai lavoratori di avvicinarsi al macchinario in movimento; ciò in violazione del combinato disposto degli artt. 71, comma 1 e 70, comma 1, del D.Lgs. 81/2008. Sebbene il Tribunale prima, la Corte d'appello poi abbiano riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa, ciò non é valso ad escludere la colpa del N.G..
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il N.G.. Il ricorso é articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla colpa ravvisata in capo all'imputato e alla prevedibilità dell'accaduto, a fronte dell'abnormità del comportamento del lavoratore: il quale - si legge nel motivo di ricorso - tenne nell'occorso una condotta dolosamente negligente, poiché, per far uscire dalla lingottatrice la vite caduta, ebbe a violare le direttive tassative impartitegli dall'azienda sull'impiego del macchinario. Del resto il U.R. era stato debitamente formato ed era un lavoratore molto esperto, tant'é che ha riconosciuto la sua responsabilità in ordine all'accaduto. In tal senso la sentenza fornisce una motivazione illogica, che non tiene conto della condotta abnorme del lavoratore, il quale ha rimosso tutte e otto le viti di fissaggio del coperchio della macchina - anziché lasciarne due, come da istruzioni ricevute - ed ha così introdotto un rischio eccentrico ed esorbitante dalla sfera di rischio governata dal garante.
2.2. Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, l'esponente si
sofferma sulla causalità della colpa, lamentando l'assenza di dimostrazione che le cautele richieste, quand'anche fossero state adottate, avrebbero evitato l'evento. Sul punto vengono richiamate le considerazioni del consulente tecnico della difesa, ing. Segni, a fronte delle quali la Corte di merito ha ritenuto che in realtà sarebbe stato salvifico lo spostamento del quadro comandi a distanza maggiore: ipotesi che il ricorrente contesta, non reputando tale soluzione decisiva. Vi si scorge, secondo il deducente, un elemento di incertezza nel cosiddetto giudizio controfattuale, tale da indurre un ragionevole dubbio circa l'efficacia preventiva della condotta doverosa.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta irrilevanza dei dati tecnici del macchinario e, in particolare, della certificazione CE: il N.G. non poteva certo sapere che, a fronte della predetta certificazione, le caratteristiche costruttive del macchinario presentassero un rischio legato al posizionamento del quadro comandi rispetto alla zona di manutenzione, rischio introdotto semmai dalla ditta costruttrice della lingottiera.
Diritto
1. Il ricorso é manifestamente infondato, risolvendosi per lo più in una sostanziale riproposizione delle lagnanze articolate in appello, cui la Corte di merito ha fornito adeguata risposta.
1.1. Quanto alla censura di cui al primo motivo, riferita alla nozione di "abnormità" del comportamento della persona offesa illustrata nel primo motivo di doglianza - che il ricorrente ritiene configurabile nella specie e tale da escludere la responsabilità datoriale -, la Corte ambrosiana ha correttamente escluso che il comportamento del U.R. potesse considerarsi abnorme e idoneo a interrompere il nesso causale fra la condotta contestata al N.G. e l'evento lesivo.
Invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza od imperizia; sicché la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.
In proposito, alla luce della ormai pacifica giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che é interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento é "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; in tempi recenti vds. tra le altre Sez. 4, Sentenza n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603).
Nella specie, il tipo di operazione in corso di svolgimento al momento dell'infortunio (un'operazione di manutenzione della lingottatrice) rientrava certamente nelle mansioni del U.R.; cosicché é di tutta evidenza che la condotta del lavoratore si inseriva comunque pienamente, e in modo tutt'altro che imprevedibile o eccentrico, nell'area di rischio affidata alla gestione del N.G., nella sua qualità, assimilabile a quella datoriale: da un lato perché questi, sul piano generale, era affidatario in base all'art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 della posizione di garanzia connessa alla messa a disposizione dei dipendenti di strumenti e macchinari corredati dei necessari dispositivi di sicurezza; dall'altro perché, come si é accennato poc'anzi, proprio il rischio di un utilizzo inidoneo del macchinario aveva formato oggetto di espressa previsione e di apposita informazione ai dipendenti, mediante l'individuazione di una procedura di sicurezza inidonea di cui fa menzione lo stesso ricorrente; dall'altro ancora, perché in esito all'incidente é stato eseguito lo spostamento del quadro comandi a distanza di sicurezza, a conferma dell'inidoneità del precedente posizionamento.
1.2. Quanto alle censure sui profili di colpa e sulla causalità della colpa, di cui al secondo motivo di lagnanza, é agevole osservare che, alla luce delle previsioni normative di cui agli articoli 70 e 71 del d.lgs. 81/2008 (e dell'allegato V al decreto, che ne costituisce attuazione di dettaglio), l'inidoneità del posizionamento del quadro comandi all'utilizzo in sicurezza della macchina era a sua volta prevedibile ed evitabile, come si ricava proprio dal fatto - ricordato nel ricorso - che l'azienda aveva ritenuto necessario impartire specifiche disposizioni per l'esecuzione delle operazioni di manutenzione in condizioni di sicurezza (dando indicazioni delle modalità di fissaggio provvisorio del coperchio con due viti, nel corso di tali operazioni). Va in proposito osservato che é lo stesso allegato V al d.lgs. 81/2008, richiamato dagli articoli 70 e 71 dello stesso decreto, a disciplinare le caratteristiche dei sistemi e dei dispositivi di comando di un'attrezzatura di lavoro che incidano sulla sicurezza, disponendo che essi - di regola - siano «ubicati al di fuori delle zone pericolose» e prescrivendo che gli stessi «non devono comportare rischi derivanti da una manovra accidentale» (vds. § 2.1): proprio in ciò sta la finalità della regola cautelare nell'ottica di un ragionamento controfattuale, dovendosi ritenere che il maggiore distanziamento del quadro comandi avrebbe - se non eliminato - quanto meno fortemente ridotto il pericolo di esecuzione di manovre di manutenzione sul macchinario in condizioni di sicurezza precaria. Il fatto che sia stato possibile, dopo l'infortunio, eliminare il problema spostando il quadro comandi in una posizione di sicurezza dimostra che l'accaduto, oltre ad essere prevedibile, era anche evitabile.
1.3. Quanto all'asserita impossibilità, per il N.G., di accorgersi del vizio costruttivo del macchinario (corredato di certificazione CE), essa non vale certo a scusare l'odierno ricorrente, essendo in proposito sufficiente ricordare che l'obbligo, di "ridurre al minimo" il rischio di infortuni sul lavoro (art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) impone al datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti (art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), non essendo bastevole, per ritenere adempiuto l'obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza (Sez. 3, Sentenza n. 46784 del 10/11/2011, Lanfredi, Rv. 251620).
4. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 ottobre 2021.