Cassazione Penale, Sez. 4, 08 giugno 2021, n. 22261 - Infortunio del socio lavoratore della Soc. Cooperativa appaltatrice. Attrezzature prive di idoneo sistema di cartellonistica e di segnalazioni luminose od acustiche
Fatto
1. Con sentenza del 12/09/2018 A.F., all'esito di giudizio dibattimentale celebratosi avanti il Tribunale di Mantova veniva condannato alla pena di 1.500 euro di multa in quanto dichiarato responsabile del delitto di cui agli artt. 113, 590 comma 1, 2, 3 cod. pen. perché, in concorso con Z.P. e con D.A., quale delegato in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro presso la COMPOSAD srl, in cooperazione colposa cagionavano lesioni personali della durata complessiva di giorni cinquantuno e consistite nella frattura diafisi 3° metatarso piede dx a S.M. socio lavoratore della Viadana Facchini Soc. Coop che, in forza di contratto di appalto, effettuava lavori presso la Composad srl a mezzo di propri dipendenti e nel caso in esame a S.M. che era addetto - il giorno dell'infortunio - all'applicazione di etichette adesive su scatole e operava sulla linea MG: colpa consistita per tutti in generica imprudenza e negligenza e più specificatamente per A.F. e Z.P. anche nella violazione delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro di cui art. 29 co. 1 D.lgs 81/08 omettendo di effettuare una valutazione del rischio nella esecuzione di operazioni nella zona lavoro in cui ha agito S.M. e nella violazione degli artt. 70 e 71 comma 4 Dlvo 81/80 mettendo a disposizione del lavoratore attrezzature non adeguate e sicure oltre che non conformi alle disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto; per D.A. nella violazione delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro di cui art. 23 comma I in relazione all'art. 57 comma 2 D.lgs 81/08 fabbricando attrezzature di lavoro non conformi alle disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto: violazioni che hanno avuto una efficacia causale nel sinistro occorso a S.M. che il giorno dell'infortunio si trovava ad operare nel reparto imballo della Composad (settore nel quale erano state installate ben sei linee tra cui la linea manuale grande (non automatizzata ma alimentata a mano) e su questa linea S.M. era impegnato ad applicare delle etichette adesive ai bancali posizionati sulla rulli era ma stante la loro profondità per eseguire queste operazioni è stato necessario che si sporgesse in avanti e per rimanere in equilibrio appoggiava il piede sx sulla rulliera mentre il piede dx lo teneva appoggiato sul pavimento vicino al bordo della linea grande quando a causa del sopraggiungere della navetta di trasporto appoggiata alla linea imballo n. 2 il piede dx rimaneva incastrato e schiacciato tra il bordo della rulliera della LMG e la navetta riportando la frattura indicata in premessa: colpa specifica consistita nella violazione di cui all'art. 70 co. 1 e 71 co. 4 D.lgs 81/08 mettendo a disposizione del lavoratore attrezzature rischiose tenuto conto che la linea grande su cui operava S.M. era stata installata troppo vicino alla linea imballo 2 (era stata mantenuta tra le due una distanza pressoché inesistente) e non erano stati per questo predisposti divieti di accesso alla zona lavoro o anche barriere finalizzate ad inibire accessi dei lavoratori tra le linee; entrambe le linee (di cui Composad è stato anche il costruttore e D.A. all'epoca dei fatti era Direttore Generale e Procuratore speciale con attribuzioni gestionali di direzione e di spesa in materia di sicurezza e con poteri di certificazione CE) sono state introdotte e immesse sul mercato in violazione alle procedure di immissione di cui al D.lgs. 27.1.2010 per cui entrambe prive e non rispettose dei requisiti essenziali di sicurezza e di tutela relativi alla progettazione e alla costruzione in sicurezza in particolare la linea imballaggio mobili 2 non era stata dotata di sistemi di comando idonei ad evitare l'insorgere di pericoli peri lavoratori e soprattutto non sono stati installati disposti di protezione efficaci infatti il sensore di prossimità PLS per rilevamento ostacoli, installato sulla navetta mobile è stato installato in maniera errata in quanto caratterizzato da alcune zone morte nel campo protette dal raggio d'azione dei sensori non in grado di rilevare la presenza di persone lungo il percorso della navetta quando questa era ai margini del campo di azione del sensore stesso; nel caso in esame se fosse stato inibito l'accesso a S.M. in quell'area di lavoro, se la navetta fosse stata dotata di un adeguato sensore in grado di rilevare la presenza di persone sul percorso di transito con conseguente arresto non si sarebbe verificato lo schiacciamento del piede con le modalità sopradescritte.
Fatto aggravato in quanto verificatosi in conseguenza delle violazioni di normative in materia di sicurezza e prevenzione. In Viadana il 24/11/2011.
Il giudice di primo grado assolveva Z.P. e D.A. dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto.
La Corte di Appello di Brescia, sull'appello proposto dal A.F., in data 7/6/2019, confermava invece la sentenza di primo grado e condannava l'appellante al pagamento delle spese processuali.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il A.F., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si deduce violazione dell'art. 40 cod. pen. e vizio motivazionale con riferimento all'individuazione della causa dell'evento.
Il ricorrente espone di avere lamentato, nei motivi di impugnazione nel me rito, che la ricostruzione fattuale operata dal primo giudice aveva tralasciato alcuni elementi emersi nel dibattimento, tra cui l'esistenza di un dispositivo di segnala zione acustica di sicurezza.
Ebbene, si lamenta che la corte di appello, investita sul punto, abbia affermato che il sensore PLS non era in grado di rilevare un ostacolo posizionato sulla linea di corsa della navetta, con ciò offrendo un'argomentazione in aperto contrasto con le risultanze probatorie oltre che travisante gli accertamenti tecnici svolti dal consulente della difesa.
Si evidenzia che la polizia giudiziaria aveva semplicemente dichiarato che nell'effettuazione di una prova empirica era emerso che il sensore non era in grado di proteggere i punti più estremi della navetta. La zona in cui non era rilevabile un ostacolo era di soli 13 centimetri, spazio fisiologico e conforme a quanto previsto dal costruttore. Pertanto, l'avvenuta installazione del dispositivo PLS in maniera conforme a quanto stabilito dal costruttore escluderebbe la violazione contestata in quanto il ricorrente aveva installato e utilizzato conformemente alle istruzioni d'uso le attrezzature di lavoro, nel rispetto dell'art. 71 comma 4 lett. a) punto 1 del D.Lgs. 81/08.
Si contesta l'omessa motivazione sul punto.
Con un secondo motivo si deduce violazione dell'art. 40 cod. pen. e vizio motivazionale con riferimento all'individuazione della causa dell'evento, nonché travisamento della prova.
Si evidenzia che, per ovviare all'ineliminabile rischio residuo, rappresentato dai 13 centimetri non coperti dal PSC, la navetta era dotata di segnalatore ottico e acustico, che avvisava del sopraggiungere della navetta.
La Corte distrettuale avrebbe escluso l'efficacia di tale strumento di sicurezza a causa del rumore presente in reparto. Ma - obietta il ricorrente - non vi è alcun dato sul livello di rumore presente, al di là della generica affermazione dell'infortunato, né risulta comparato all'intensità della segnalazione acustica.
Il convincimento dei giudici sarebbe fondato su mere congetture e, certa mente, gli stessi giudici non possono sostenere opinabili valutazioni personali avulse da conoscenze scientifiche.
Ci si duole, pertanto, del travisamento della prova, consistente nella divergenza tra l'affermazione contenuta in sentenza e il contenuto di una prova mai acquisita al processo.
Con un terzo motivo si deduce violazione degli artt. 163 D.lgs. 81/08 e 40 cod. pen. e vizio motivazionale con riferimento all'individuazione della causa dell'evento.
Si contesta che la mancata predisposizione di idonea cartellonistica per vietare lo stazionamento e lo svolgimento di attività lavorative nel corridoio di transito della navetta possa costituire violazione dell'art. 163 D.Lgs. 81/2008.
La norma - prosegue il ricorso- prevede l'obbligo della segnaletica di sicurezza solo quando vi siano rischi non evitabili o sufficientemente limitati con misure o sistemi di organizzazione del lavoro o con mezzi tecnici di protezione collettiva.
Nel caso che ci occupa il rischio sarebbe stato, secondo il ricorrente, sufficientemente limitato mediante la predisposizione: 1. di un sistema automatizzato di etichettatura; 2. di un sistema PLS; 3. di un segnalatore ottico e di uno acustico sulla navetta in movimento e una procedura lavorativa sicura soggetta alla sorveglianza di un preposto, che prevedeva nel caso di etichettatura manuale che la stessa si svolgesse o all'inizio o alla fine della linea, al di fuori della corsa della navetta.
Vengono riportate le deposizioni testimoniali attestanti l'utilizzo di tale procedura lavorativa e la presenza, in occasione dell'incidente, del capolinea dell'impianto, preposto alla sicurezza, che aveva ordinato al lavoratore di sostituire le etichette nella zona scarico alla fine della linea di scarico.
Si aggiunge, inoltre, che la presenza della segnaletica non avrebbe avuto alcuna valenza impeditiva dell'evento, dal punto di vista causale, in quanto il lavoratore, garante della propria scurezza, avrebbe disatteso un preciso ordine ed inoltre non risulta accertata alcuna prassi aziendale che tollerasse condotte pericolose dei dipendenti in violazione delle istruzioni di sicurezza impartite.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con provvedi menti consequenziali.
3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata per essersi il reato estinto per prescrizione.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile in quanto vengono riproposti gli stessi motivi, peraltro su questioni di merito inammissibili in questa sede di legittimità, sui quali la corte di appello ha ampiamente e logicamente motivato.
2. I fatti di cui è processo, per quello che rileva in questa sede e per come ricostruiti dai giudici di merito, sono relativi all'infortunio sul lavoro subito da S.M. il 24/11/2011, all'interno dello stabilimento produttivo della Composad srl. (d'ora in poi Composad). Il S.M. non era dipendente della Composad, ma socio lavoratore della "Viadana Facchini soc. coop" (d'ora in poi Viadana Facchini), che, in virtù di contratto di appalto che interessava ben duecento "soci" nella sua stessa posizione, svolgeva la propria attività lavorativa in Composad. Il reparto ove è avvenuto l'infortunio era quello ove erano posizionate le linee di imballaggio dei prodotti della Composad. La Composad produce, per conto terzi, mobiletti in legno che l'acquirente finale deve montare e pertanto le varie componenti del prodotto (pannelli, gambe di sostegno iti simili) vengono confezionate con il marchio del rivenditore finale, in scatole a formai parallelepipedo.
A seconda delle varie tipologie di prodotti, gli stessi venivano immessi in linee di imballaggio completamente automatizzate ovvero in una linea solo parzialmente automatizzata, denominata "linea manuale grande".
L'infortunio è avvenuto nella zona che intercorre fra la linea denominata "linea 2" e appunto la "linea manuale grande"; si tratta, in sostanza, di un lungo corridoio che si interpone fra le due linee all'interno del quale vi sono fra l'altro delle guide che consentono lo scorrimento di una "navetta" automatica destinata a portare i pallet recanti i pacchi del prodotto sulle linee di imballaggio.
Nella notte del 24/11/2011 S.M. era stato incaricato di posizionare manualmente delle etichette sui kit già confezionati che si trovavano sulla linea manuale grande, in quanto dovevano essere sostituite, in quanto errate, le etichette posizionate in automatico sulle confezioni in questione.
L'operaio, per eseguire l'incombente, si recava in prossimità della "linea manuale grande", nel punto evidenziato dalla foto n. 3, e, considerato il punto in cui dovevano essere posizionate le etichette sulle confezioni già pronte sui pallet, si posizionava con il corpo parzialmente a cavallo della stessa, poggiando il piede sinistro sui rulli e il piede destro sul pavimento.
Era tuttavia accaduto che la navetta, che scorreva nel corridoio centrale, si fosse messa in moto in direzione del luogo in cui si trovava il S.M. (che si era posizionato sul percorso usuale della navetta) e che la presenza dell'ostacolo dato dal corpo (piede e gamba destra) dell'infortunato non fosse rilevato dal sistema laser installato sulla navetta medesima ("Proximity Laser Scanner" o PLS), sicché l'impianto urtava l'operaio, provocandogli la frattura della diafisi del 3" metatarso del piede destro, cui era conseguita una malattia e una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 51 giorni.
3. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente mo tivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparente mente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Carialo e altri, Rv. 260608).
Va anche tenuto conto che le doglianze riguardanti l'affermazione di responsabilità e la qualificazione giuridica dei fatti accertati reiterano, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte, risultando, pertanto, prive della specificità necessaria ai sensi dell'art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (cfr. ex multis Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Rv 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, Rv. 256133), e, comunque, meramente assertive nonché manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte territoriale - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato la contestata statuizione.
Non va trascurato che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. il 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).
Nel caso dì specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.
4. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte.
Sul primo motivo, già il giudice di primo grado aveva ricordato come gli ufficiali di P.G. dell'ASL (ora ATS) di Mantova avessero individuato una falla nel dispositivo posto sulla navetta atto ad intercettare eventuali ostacoli e a fermare, di conseguenza, il movimento dell'impianto. In particolare l'U.P.G. Albertini Davide aveva evidenziato come il sensore del dispositivo PLS (Proximity Laser Scanner") di cui pure era dotata la navetta, non fosse in grado di percepire un ostacolo (in questo caso dato dalla gamba e dal piede destro dell'infortunato) che si trovasse ai margini del suo campo di azione e in prossimità (meno di venti centimetri) dalla linea manuale grande.
Erano quindi state dettate prescrizioni atte alla modifica del sensore, cui l'azienda si è attenuta.
Sempre il giudice di primo grado aveva argomentatamente risposto anche alle considerazioni del consulente tecnico della difesa, ing. Cristina Alba, che aveva contestato l'efficacia di queste prescrizioni, osservando che le modifiche apportate avevano in realtà peggiorato le condizioni di sicurezza, permanendo zone non rilevabili dal sensore. Aveva aggiunto l'ing. Alba che "i sistemi PLS (o laserscanner) sono per loro natura affetti da una serie di errori e/o mal condizionamenti (non controllabili e non determinabili a priori) che possono determinare il malfunzionamento del laser o consentire l'intrusione della persona prima che il sistema sia in grado di rilevare la presenza. Si tratta di un limite tecnologico non superabile" (così pag. 8 della relazione scritta). La constatazione era stata ribadita a pag. 14 della relazione scritta, ove la consulente afferma che "che la navetta presenta (a prescindere da qualsiasi soluzione tecnica si adotti per il rilevamento delle persone) un pericolo di investimento/schiacciamento con un rischio residuo tecnicamente ineliminabile e gestibile solo attraverso procedure comportamentali/organizzative".
Ebbene, aveva rilevato il primo giudice di merito che quanto affermato dal consulente fosse condivisibile, posto che un sistema elettronico di fermo di una macchina legato al rilevamento di una persona può sempre fallare e che pertanto, laddove possibile, è sempre opportuno. oltre all'apprestamento di sistemi elettronici, anche l'apprestamento di sistemi organizzativi atti ad eliminare il rischio residuo, definibile appunto come il rischio per la sicurezza e la salute del lavoratore che permane pur sempre dopo l'adozione di protezioni meccaniche o elettroniche. Nel caso di specie, tuttavia, era stato evidenziato come proprio queste misure organizzative fossero risultate totalmente mancanti. E ne è riprova il fatto che sia l'infortunato S.M. che la "capolinea" MI. hanno affermato che l'operaio non avrebbe dovuto eseguire la lavorazione di cui era stato incaricato (l'apposizione manuale di etichette sui pacchi) in quel punto dove è avvenuto l'infortunio, ma alla fine della "rulliera" della linea manuale grande, dove la navetta non passa. Tuttavia la zona ove il S.M. si trovava e ove è avvenuto l'infortunio, era priva, come si evince dalle fotografie in atti, di idonee segnalazioni atte a ricordare agli addetti che in quella zona era vietato sostare a causa del passaggio del navetta.
Le segnalazioni, che potevano consistere sia in cartellonistica che in segnalazioni luminose o acustiche, attivabili all'avvio e al movimento della navetta, avrebbero richiamato l'addetto (il S.M.), la "capolinea" (la MI.) ed ogni altro lavoratore sul pericolo di sostare, per qualsiasi motivo, in quella zona, ed avrebbero altresì, da una parte, reso illegittimo l'eventuale ordine impartito all'operaio di attaccare manualmente le etichette in quel punto dell'impianto produttivo in cui è avvenuto l'infortunio e, dall'altro, richiamato l'operaio sul dovere di non eseguire alcuna operazione lavorativa in quella zona.
Secondo quanto si legge nella sentenza di primo grado la mancanza di queste misure organizzative, che avrebbero potuto consistere, oltre che in una più efficace informazione, anche e soprattutto in un idoneo sistema di cartellonistica e di segnalazioni luminose od acustiche, atte a fermare l'accesso alla zona interessata dalla navetta in movimento, unitamente, come già visto, all'imperfezione del sistema PLS. così come concretamente installato, sono quindi in nesso causale con l'infortunio occorso al S.M.. Le norme di prevenzione violate sono pertanto quelle contestate di cui all'art. 71 D. L.vo 81/2008, per non aver adottato tutte le misure tecniche ed organizzative atte a prevenire la presenza di operai nella zona di movimento automatico della "navetta" e per non aver adeguato il sensore PLS installato al possibile campo di presenza (comunque vietata) di altri lavoratori sul percorso della "navetta" medesima.
5. La mancanza di chiare disposizioni impositive del suddetto divieto di accesso, in uno con le oggettive carenze del sistema elettronico di sicurezza attivato sulla navetta sono state, quindi individuate dal tribunale come elementi concorrenti di responsabilità colposa eziologicamente ricollegati alla verificazione del sinistro. Entrambe tali violazioni della normativa prevenzionale, rapportabili alla previsione di cui all'art. 71 D.Lvo 81/2008 sono da ritenersi imputabili, secondo il tribunale, al solo imputato A.F., nella su qualità di soggetto specificamente delegato all'osservanza della normativa antinfortunistica all'interno della ditta COMPOSAD.
Di fronte a tale articolata motivazione l'odierno ricorrente, aveva riproposto genericamente al giudice del gravame del merito il tema dell'idoneità del presidio di sicurezza installato, del fatto che vi fosse un segnalatore acustico conforme a quanto dispone il punto 1.4., primo capoverso, dell'allegato Vi del D.lgs. 81/08, dell'esistenza di una procedura di sicurezza conosciuta dall'infortunato e, comunque, della costante presenza, alle operazioni, di un preposto alla sicurezza (cfr. pagg 2-5 dell'atto di appello del 10/12/2018 a firma dell'Avv. Merlin).
Al giudice di gravame del merito veniva proposta la questione di un'asserita incongruità e contraddittorietà della sentenza di primo grado, laddove da un lato ritiene condivisibili le considerazioni svolte dal consulente tecnico della difesa e dall'altro addebita all'imputato l'inidoneità del dispositivo di sicurezza montato sulla navetta. Sosteneva in quella sede il A.F. che, per contro, l'attrezzatura in questione presentava un rischio residuo tecnicamente ineliminabile, che la navetta era dotata anche di segnalatore acustico oltre che da segnalatori ottici e che era stata adottata una specifica disposizione procedurale secondo cui le operazione di revisione dell'etichettatura dovevano essere eseguite all'inizio od alla fine della linea. E riteneva che nel caso in cui la disposizione di accedere alla detta zona fosse stata impartita al S.M. dal preposto signora MI., questa condotta sarebbe da considerarsi assorbente nella causazione del sinistro in quanto posta in essere in violazione dell'art. 19 del D.Lvo 81/2008. Escludeva, inoltre, la difesa del A.F. il rilievo dell'assenza di cartellonistica di divieto di accesso in quanto questa sarebbe richiesta ex ad. 163 Dlvo 81/2008 solo in caso di rischio non eliminabile, mentre nel caso concreto tale rischio sarebbe stato perfettamente governato dalle misure tecniche adottate (segnalatore acustico e segnalatore ottico) e di cui la navetta era dotata, mentre si opina la presenza di cartelli di divieto non avrebbero fornito alcuna maggiore garanzia né trattenuto il lavoratore dal comportamento imprudente.
Ebbene, la Corte bresciana ha risposto sul punto ribadendo che il sistema di sicurezza posizionato sulla navetta, PLS Proximity Laser Scanner, lasciava un rischio di investimento o schiacciamento gestibile solo attraverso corrette procedure comportamentali o organizzative che precludessero agli operai di operare nell'area di transito. Del resto la stessa difesa riconosce che vi era un tratto di ben 13 centimetri non coperto dal sistema.
Al rilievo che il sistema di rilevamento installato sulla navetta (il c.d. "PLS", acronimo da intendersi indicativo di Proximity Laser Scanner) costituiva un idoneo presidio di sicurezza installato secondo le prescrizioni del costruttore, la Corte territoriale risponde, al riguardo richiamando le valutazioni espresse dal consulente tecnico della difesa, che si tratta "di argomento che si fonda su un'analisi del tutto astratta del procedimento causale svolta su di un piano meramente ipotetico dal suddetto consulente, il quale peraltro approda ad un esito opposto a quello patrocinato dall'appellante in ordine alla idoneità del sistema a garantire l'incolumità dei lavoratori operanti in prossimità di esso".
Il consulente tecnico della difesa Ing. Alba -come si legge nella sentenza impugnata- infatti, partendo dal presupposto secondo cui "il sistema di rilevamento degli ostacoli posizionato a bordo della navetta (noto come Proximity Laser Scanner) non avrebbe rilevato correttamente la presenza del lavoratore, e non arrestando il moto della navetta, come invece avrebbe dovuto fare, ha determinato lo schiacciamento del piede destro tra il bordo della navetta e la rulliera" ha ritenuto che non sia possibile determinare in modo certo le ragioni di tale malfunzionamento, giungendo ad ipotizzare, in astratto e in maniera del tutto ipotetica, varie possibili cause di esso, quali il casuale mancato rilevamento della gamba del lavoratore da parte del laser (per ombra o abbagliamento), il margine di errore dello stesso rilevatore (pari a circa cm 13), la staratura improvvisa dell'area di intervento del PLS, l'anomalia di funzionamento del sistema di comando e controllo o l'inerzia del sistema di arresto.
Tale "zelante ma meramente ipotetica ricerca delle possibili cause" dimentica tuttavia, per i giudici di appello, di confrontarsi con quanto invece positivamente accertato nel caso concreto e con verifica sul campo nell'immediatezza del fatto dai funzionari dell'ASL intervenuti dopo il sinistro, che hanno direttamente constatato che il sensore PLS installato sulla navetta non era in grado di rilevare un ostacolo posizionato sulla linea di corsa di quest'ultima e conseguentemente non era in grado di comandare l'arresto del mezzo di trasporto automatico pur in presenza di eventuali lavoratori stazionanti in corrispondenza dei margini laterali di ingombro del veicolo.
L'impugnata sentenza ha inoltre posto nuovamente l'accento sul fatto che il dispositivo, come accertato dai funzionari ASL, non era in grado di rilevare eventuali ostacoli posti sulla linea di corsa. Pertanto, indubbio appariva il limite del dispositivo di sicurezza stesso. Così come indubbia e certamente logica appare per i giudici del gravame del merito la considerazione che inutili appaiono i segnalatori ottico e sonoro quando la navetta arriva da tergo e il luogo è rumoroso come dichiarato dal S.M.. Infondato appare quindi anche il secondo motivo di ricorso.
Per i giudici bresciani trattasi all'evidenza della constatazione di un deficit operativo non legato ad un evento improvviso od imprevedibile (ad es. abbagliamento), né a condizioni di esercizio legate a specifiche circostanze suscettive di mutevole manifestazione (ad es. staratura improvvisa, anomalia del sistema di controllo o inerzia del sistema di arresto), ma al contrario di un limite intrinseco dello specifico presidio di sicurezza montato sul veicolo o di un erronea taratura di esso, che lo rendeva altamente pericoloso per l'incolumità dei lavoratori operanti nella relativa area di ingombro, tenuto conto della conformazione della piattaforma mobile in questione e dell'esiguità degli spazi in cui la stessa transitava. E risulta dimostrata per tale via non solo la sussistenza di un difetto di taratura del sistema PLS o di una sua originaria insufficiente capacità di captazione degli ostacoli nella zona di operatività della piattaforma, ma altresì di una insidiosità insita in esso e tale da indurre un ingiustificato affidamento degli operatori nell'esistenza, efficacia e funzionalità ditale presidio.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia di secondo grado, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
6. Parimenti infondato appare il terzo motivo di ricorso con cui si contesta l'aver ritenuto insufficiente ai fini della sicurezza la disposizione organizzativa di lavoro per l'apposizione manuale delle etichette.
Il tema era stato affrontato nelle poche righe di pagg. 5-6 dell'atto di appello sopra citato e riproposto tout court nel ricorso odierno, senza un reale confronto critico con la motivazione della prima sentenza impugnata, che ha logicamente ritenuto rilevante la mancanza di idonea cartellonistica atta a vietare la sosta o lo svolgimento di lavorazioni sulla linea di transito del carrello, proprio alla luce degli ineliminabili rischi, non potendo peraltro ritenersi imprevedibile che l'operaio potesse nello svolgimento delle operazioni demandategli posizionarsi al di là della zona protetta, laddove la fine della stessa non appariva nemmeno segnalata.
Corretto appare il rilievo operato dai giudici di merito secondo cui l'ambito di responsabilità del datore di lavoro, e quindi nel caso di specie del A.F. quale soggetto da questi specificamente delegato, non possa ritenersi esaurito dalla predisposizione, dall'installazione o dal mantenimento in servizio di sistemi prevenzionali elettronici insufficienti malfunzionanti, ma si estenda altresì alla mancata adozione, comunicazione o assicurazione di prescrizioni comportamentali ed organizzative accessorie rispetto all'apprestamento di protezioni meccaniche od elettroniche.
Secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato anche la conoscenza dell'infortunato delle modalità operative in atto non esimerebbe in ogni caso il datore di lavoro da responsabilità in forza del principio di equivalenza delle cause, in ragione del fatto che il rischio di investimento risulta già in sé integrato dall'impiego del macchinario caratterizzato dalle criticità prevenzionali sopra evidenziate.
La particolarità dell'ambiente lavorativo in cui è avvenuto l'infortunio - viene ricordato nella sentenza impugnata- è plasticamente descritta e eloquentemente evidenziata dall'apparato fotografico prodotto dal Pubblico Ministero all'udienza del 2110912017 (segnatamente affogli 38, 39 e 48), in quanto trattasi di un lungo corridoio tra due vie a rulli all'interno delle quali transita su binari una navetta automatica utilizzata per il trasporto dei pacchi imballati. Il che comporta, stante l'esiguità degli spazi intercorrenti tra l'ingombro della navetta e le barriere laterali costituite dalle linee poste a fianco di tale corridoio di transito, che risulta particolarmente evidente e spiccato il pericolo di investimento di eventuali operatori presenti sulla linea, per cui a fronte di tale concreto rischio era preciso dovere del datore di lavoro ed onere certamente non inesigibile quello di vietare in maniera rigorosa e manifesta lo stazionamento ed il compimento di operazioni lavorative dentro il suddetto corridoio di transito, non accontentandosi dell'esistenza di una generica prassi virtuosa che in genere prevedeva di non operare all'interno ditale spazio. Ciò anche in quanto risulta acquisito che in circostanze particolari non era infrequente che personale comunque accedesse per il compimento di specifiche operazioni all'interno dell'area in questione, condizione che si è presentata anche in occasione dell'infortunio essendosi recato in loco il S.M. al fine di porre repentino e tempestivo rimedio ad un errore di etichettatura con necessità di sostituzione manuale delle etichette già applicate dal sistema automatico (cfr deposizione teste MI. e deposizione S.M.).
Corretta, pertanto, appare la conclusione dei giudici bresciani secondo cui, in tale ottica, risulta pienamente condivisibile l'addebito stigmatizzato dal primo giudice di non avere dato corso il A.F. all'adozione delle necessarie misure organizzative ed informative circa l'imposizione e la opportuna pubblicità del detto divieto mediante idonea cartellonistica ponendo così in atto mediante la violazione della prescrizione dettata dall'art. 163 D.lgs 81/08 un antecedente causalmente connesso con l'evento, accompagnandosi e saldandosi causalmente tale omissione con l'ulteriore rilievo già posto in evidenza delle carenze prevenzionali rilevanti ai sensi degli artt. 70 e 71 co. 4 D.lgs 81/08 dei dispositivi antinvestimento allestiti a bordo della navetta automatica, a nulla rilevando l'ipotizzata inidoneità ditali prescrizioni ad evitare la condotta pericolosa da parte del lavoratore.
7. Né può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463).
8. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cast. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma l'11 maggio 2021