Cassazione Penale, Sez. 4, 07 luglio 2021, n. 25764 - Infortunio durante il carico e lo scarico di materiali. Omessa formazione e delega di funzione
Fatto
1. Con sentenza del 3 marzo 2029 la Corte di Appello di Brescia ha parzialmente riformato, limitatamente alla pena inflitta a M.G., la sentenza del Tribunale di Brescia con cui la medesima, in qualità di titolare dell'impresa individuale GIEMME COMMERCIALE e datrice di lavoro, e D.G. nella sua qualità di preposto sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 590, comma 1, 2 e 3 cod. pen. per avere colposamente cagionato, con imprudenza, negligenza ed imperizia ed in violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, lesioni personali gravi a D.N., dipendente della GIEMME, il quale intento a provvedere al caricamento di elementi di un ponteggio sul pianale di un camion, noleggiato per l'occasione, veniva colpito dagli elementi metallici sollevati con una gru, manovrata da dipendente di altra azienda, a causa dello slegamento di un filo di ferro che li teneva uniti, procurandosi lesioni personali gravi, consistite in ampia ferita lacero contusa all'avambraccio sinistro ed infrazione stiloide radiale, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per giorni 123, e postumi permanenti nella misura del 6%.
2. Il fatto, come descritto in sentenza, può essere riassunto come segue: il Consorzio IB, proprietario di ponteggi depositati in un cantiere, a seguito della sua chiusura, si accordava con l'impresa individuale GIEMME COMMERCIALE per la vendita del materiale, pattuendo con D.G. il prezzo in relazione al numero dei pezzi prelevati, convenendo altresì che il carico ed il trasporto del materiale sarebbe stato a carico dell'acquirente. Le tavole metalliche da ponteggio erano già assemblate in pacchi legati con filo metallico. Le modalità di carico prevedevano l'utilizzo di una forca - collegata mediante un gancio al braccio telescopico di una gru montata sul camion- per la presa ed il sollevamento del carico. Le zanche della forca venivano infilate sotto ciascun pacco di tavole ed indi la forca veniva sollevata in modo da traslare il pacco in prossimità del camion, per farlo calare sul veicolo. D.N., operaio della GIEMME COMMERCIALE, con mansioni di autista si trovava sul camion per coadiuvare lo scarico del materiale, e sistemare i pacchi, una volta appoggiati sul pianale del camion, previo sfilamento dei medesimi dalla forca: G.B., dipendente dell'Autotrasporti Z.E., era addetto al sollevamento della forca: il geometra G.A. del Consorzio IB aveva il compito di contare i pacchi prelevati. Nel corso delle operazioni, verosimilmente a causa della rottura del filo di ferro che lo legava, uno dei pacchi si apriva ed alcune delle tavole cadevano verso il basso colpendo il braccio dell'operaio D.N., che stava cercando di proteggersi dall'investimento. Questi veniva soccorso e condotto in Ospedale, dove era sottoposto ad intervento chirurgico.
3. La sentenza di appello, ricostruendo il fatto in modo del tutto conforme a quella di primo grado, ha individuato la responsabilità colposa di M.G., nella sua qualità di datore di lavoro, consistita nel non avere provveduto a fornire al lavoratore, assunto da due mesi ed inquadrato come autista, adeguata formazione in relazione alle mansioni in concreto svolte nell'occasione, delle quali ignorava i rischi, escludendo la rilevanza dell'ulteriore profilo ascritto, relativo alla mancata fornitura dei mezzi di protezione individuali, in particolare del casco, non causalmente connessa con l'evento. La decisione, inoltre, prendendo in considerazione la posizione di D.G. ha ritenuto che il medesimo rivestisse la qualità di preposto di fatto, essendogli demandata l'organizzazione e l'esecuzione dell'attività di carico dei ponteggi sul camion, osservando che, peraltro, egli provvedeva non solo a coordinare i dipendenti della GIEMME, ma sinanco a concludere contratti per l'azienda. Ciò posto addebita all'imputato di avere predisposto un sistema di carico dei pacchi di tavole metalliche, legate solo con fili di ferro, di plateale pericolosità, in luogo della corretta procedura che avrebbe previsto diverse modalità di imbraco del carico, tale da assicurarne il contenimento e la stabilità in fase di traslazione, con allontanamento degli operai dall'area interessata dalla movimentazione.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono distinti ricorsi M.G. e D.G., a mezzo dei rispettivi difensori.
5. M.G. formula quattro motivi di impugnazione.
6. Con il primo si duole della violazione degli artt. 2 e 299 d.lgs 81/2008, 17 nonché del vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità e del travisamento della prova e degli atti processuali in relazione alle condotte addebitate alla ricorrente e alla sussistenza della delega di funzioni in ambito antinfortunistico, attribuita a D.G.. Sostiene che l'istruttoria dibattimentale ha accertato che l'imputata si è sempre occupata di meri aspetti amministrativi e fiscali, che ella non è mai stata presente in alcun cantiere, né ha mai impartito ordini o direttive, ciò essendo demandato ai fratelli D. e G.G., attraverso il conferimento di fatto di una delega di funzioni comprensiva di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo relativi allo svolgimento dell'attività e prevenzione e sicurezza sul lavoro. Rileva che la sussistenza della delega è stata accertata da entrambi i giudici di merito e che il residuale obbligo di vigilanza del delegante non impone un controllo continuativo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni.
7. Con il secondo motivo fa valere la violazione dell'art . 521 cod. proc. pen., lamentando il difetto di correlazione fra accusa e difesa, posto che con l'imputazione non era stato ascritto il profilo di colpa specifica dell'omessa formazione del lavoratore rispetto alle condotte poste in essere durante l'attività lavorativa nel corso della quale è intervenuto l'infortunio, sicché la condanna è intervenuta per una condotta diversa da quella contestata, con conseguente violazione del diritto di difesa.
8. Con il terzo motivo censura il vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale, pur sollecitata, tenuto in considerazione l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato, il quale si era prestato a svolgere un'attività del tutto diversa da quella per la quale era stato assunto.
9. Con il quarto motivo si duole della violazione della legge penale, in relazione all'art. 133 cod. pen., non avendo il giudice di appello tenuto nella dovuta considerazione il buon comportamento processuale dell'imputata, così finendo per infliggere una pena troppo severa. Fa, in ogni caso, osservare che nelle more della presentazione del ricorso per cassazione è maturato il termine di prescrizione del reato.
10. D.G. formula tre motivi di ricorso.
11. Con il primo motivo fa valere la violazione di legge in relazione agli artt. 2 e 299 d. lgs. 81/2008 ed il vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova, in ordine alla ritenuta qualifica di preposto attribuita al ricorrente dalle sentenze di merito. Rileva che1 contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale le dichiarazioni del teste G.A. e della parte civile D.N. non possono essere assunte come elemento da cui trarre l'assunzione delle funzioni di preposto da parte di D.G.. Egli, invero, non era che un dipendente come gli altri, mentre la responsabilità dell'infortunio va ricercata nella mancata messa a disposizione dell'infortunato dei dispositivi di protezione individuale e nella mancata formazione sui rischi delle lavorazioni svolte, non assicurata dalla datrice di lavoro M.G..
Assume che D.G. non era destinatario di alcuna delega di funzioni, neppure di fatto, e nessun significato può assumere la circostanza che egli, in quanto operaio più anziano, come mero portavoce del datore di lavoro impartisse ordini agli altri dipendenti, ciò non potendo coincidere con l'assunzione di una posizione di garanzia o della qualità di preposto, ancorché di fatto, incarico per ricoprire il quale non avrebbe avuto la competenza tecnica.
12. Con il secondo motivo fa valere il vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova dichiarativa. Nega la sussistenza di elementi probatori idonei ad affermare la posizione di garanzia in capo all'imputato, contestando la verifica di attendibilità del teste D.N., sia sotto il profilo della credibilità intrinseca, che di quella soggettiva, in quanto portatore di un interesse economico. Sostiene che, per converso, non è stata preso in considerazione dalla Corte il comportamento abnorme tenuto dalla persona offesa che al momento dell'infortunio svolgeva mansioni diverse da quelle per cui era stato assunto.
13. Con il terzo motivo si duole della violazione dell'art . 133 cod. pen., in relazione alla misura della pena inflitta, da ritenersi eccessivamente rigorosa avuto riguardo al buon comportamento processuale ed alla presenza di un solo precedente penale, risalente nel tempo. Sottolinea la meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche e della concessione dei doppi benefici. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
14. Con requisitoria scritta ai sensi dell'art. 23, comma 81d.l. 137/ 20201 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità di entrambi i ricorsi.
15. Con memoria in data 13 maggio 2021 la difesa di M.G. ha ribadito i motivi proposti, chiedendo l'accoglimento del ricorso, o, in subordine, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
Diritto
1. La prima doglianza che deve essere esaminata è quella introdotta con il secondo motivo di ricorso da M.G. con la quale si contesta la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. La ricorrente lamenta, infatti, che la sentenza gravata ascriva all'imputata una condotta - consistita nel non avere la medesima fornito al lavoratore la dovuta formazione sull'attività in concreto svolta, relativa alle operazioni di scarico e carico del materiale - che non sarebbe mai stata contestata, con evidente violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza.
2. Si tratta di una di questione certamente delicata perché involge il diritto di difesa, rispetto all'esercizio del quale viene messa in dubbio l'estensione della condotta giudicabile rispetto a quella contestata all'atto del rinvio a giudizio, in assenza di una modifica del capo di imputazione. Per affrontare il tema va richiamato, in prima battuta, l'arresto delle Sezioni Unite che hanno chiarito come "in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fatt ispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. (Fattispecie relativa a contestazione del delitto di bancarotta post-fallimentare qualificato dalla S.C. come bancarotta pre-fallimentare). (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 24805101)
3. Si tratta di un principio che è stato declinato anche in materia di reati colposi, rispetto ai quali si è ritenuta insussistente "la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giud-1ce di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori). (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro e altro, Rv. 260161; Sez. 4, Sentenza n. 19028 del 01/12/2016, dep. 20/04/2017 Rv. 269601).
2. Siffatto approccio si giustifica in ragione dalle caratteristiche intrinseche della condotta colposa che può essere identificata solo attraverso la integrazione del dato fattuale con quello normativo, tanto che la precisazione del quadro fattuale, come risultante in giudizio, nel quale si è trovato ad operare il soggetto cui viene addebitata la violazione, può sinanco determinare una modifica del quadro nomologico di riferimento. Da ciò deriva la necessità di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di quanto è emerso dagli atti processuali. Nell'elaborazione di siffatta questione, particolarmente sensibile, in relazione ai reati colposi, si è, infatti, affermato che: "ai fini della verifica del rispetto da parte del giudice del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza, è decisivo che la ricostruzione fatta propria dal giudice sia annoverabile tra le (solitamente) molteplici narrazioni emerse sul proscenio processuale (ferma restando l'estraneità al tema in esame della qualificazione giuridica del fatto). La principale implicazione di tale assunto è che, dando conto del proprio giudizio con la motivazione, il giudice è chiamato ad esplicare i dati processuali che manifestano la presenza della "narrazione" prescelta tra quelle con le quali si sono confrontate le parti, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente" (cfr. già citata Sez. 4, Sentenza n. 35943 del 07/03/2014, in motivazione). Sicché al giudice è consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perché sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa.
4. Con riferimento all'ulteriore questione posta da M.G., relativa al conferimento in via orale e comunque di fatto della delega per la sicurezza a D.G., va osservato che la Corte territoriale, prendendo atto dell'assenza di un formale conferimento ex art. 16 d. lgs. 81/2008, esclude che i poteri e gli obblighi propri, del datore di lavoro in materia di prevenzione degli infortuni possano essere trasferiti dal datore di lavoro senza l'espressione di un'inequivoca manifestazione di volontà, in forma scritta.
6. Si tratta di un'impostazione che tiene conto dei principi enunciati dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui "gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa. (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110801). La prima condizione dell'effettività della delega di funzioni in materia di prevenzione e sicurezza è, dunque, la sussistenza di un atto di conferimento che non può essere tale solo sotto il profilo formale, ma deve contenere il trasferimento sostanziale degli obblighi e dei relativi poteri posti dalla legge in capo all'obbligato. L'atto di delega, secondo l'art. 16 del d. lgs. 81/2008 T.U1 deve essere, pertanto, espresso, inequivoco e contenere il trasferimento dei poteri decisionali, di intervento e di spesa necessari allo svolgimento di tutte le attività che ne formano oggetto. La delega, inoltre, non può essere conferita che a soggetto capace dotato delle necessarie cognizioni tecniche. "La delega - come hanno definitivamente chiarito le Sezioni Unite- nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato delle responsabilità e dei poteri che sono propri del delegante medesimo. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l'altro, come l'art. 16 del T.U. ha chiarito, un obbligo di vigilanza "alta", che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato. Ma ciò che qui maggiormente rileva è che non vi è effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all'ambito delegato. In breve, la delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri.". (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn).
7. In ogni caso la delega di cui all'art. 16 d. lgs. 81/2008 deve possedere i requisiti formali che le sono propri e deve, pertanto, come stabilito dal comma 1) lett.re a) e c) essere redatta ed accettata per iscritto. In assenza di una simile formalizzazione il datore di lavoro resta diretto titolare della posizione di garanzia in relazione agli obblighi prevenzionistici. Ed invero, il principio di effettività, che informa gli obblighi prevenzionistici dettati dal d.lgs 81/2008 "se vale ad elevare a garante colui che di fatto assume e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, non vale a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge; se nonostante tale carenza il delegato verrà chiamato a rispondere del proprio operato sarà in quanto egli ha assunto di fatto i compiti propri del datore, del dirigente o del preposto, e non per la esistenza di una delega strutturalmente difforme dal modello normativo. Correlativamente, il delegante "imperfetto" manterrà su di sé tutte le funzioni prevenzionistiche che l'atto non è valso a trasferire ad altri e i suoi doveri non si ridurranno all'obbligo di vigilanza di cui all'art. 16 d.Lgs. cit .. " (Sez. 4, Sentenza n. 22246 del 28/02/2014, in motivazione).
5. Va, altresì, rilevato che, al contrario, le funzioni di preposto ben possono essere assunte anche di fatto, nessun limite essendo stato introdotto in questo senso ed anzi essendo ciò espressamente previsto dall'art. 299 d. lgs. 81/2008, che enuncia il principio dell'effettività, stabilendo che "le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lett. b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti". La norma ricalca proprio il principio dell'effettività.
6. Questa precisazione appare indispensabile per delineare i rapporti fra il datore di lavoro ed il preposto c.d. di fatto, nel caso di specie, tenendo conto che al di là del formale conferimento dell'incarico, resta in capo al datore di lavoro l'obbligo di vigilanza sull'operato del soggetto che, anche di fatto sovraintenda all'attività lavorativa con ciò assumendo gli obblighi di cui all'art. 19 d. lgs. 81/2008, posto che incombe sul datore di lavoro o sui soggetti dal medesimo delegati evitare l'instaurarsi di una prassi lavorativa foriera di pericoli per i lavoratori con il consenso del preposto o su sua espressa richiesta (cfr. Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960)
7. Fatta questa premessa, nondimeno, deve osservarsi che la sentenza pone a carico dell'imputata l'omessa formazione ed informazione del lavoratore, in relazione all'attività di carico e scarico di materiali in concreto svolta il giorno dell'infortunio, non compresa nella mansioni assegnategli, ma tuttavia occasionalmente esercitata.
8. Sotto questo profilo, tuttavia, va osservato che se l'obbligo di vigilanza di cui all'art. 16, comma 3 d. lgs. 81/2008, incombente sul datore di lavoro o sul suo delegato, non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio, nondimeno, esso comprende senz'altro la sorveglianza sulla conformità fra le mansioni assegnate e quelle effettivamente svolte, posto che proprio in relazione all'attività in concreto svolta dal lavoratore incombe sul datore di lavoro l'obbligo formativo ed informativo.
9. Ebbene, è in relazione a questo aspetto che la sentenza addebita all'imputata la condotta contestata, non essendo contestato che il lavoratore non avesse ricevuto la necessaria formazione per le attività di carico e scarico, che pure occasionalmente eseguiva.
10. Né può sostenersi, come fa la ricorrente, che il comportamento tenuto dal lavoratore fosse abnorme, e come tale interruttivo del nesso di causalità. L'incarico di attendere alle operazioni di scarico del materiale sul camion, infatti, era stato attribuito a , dal preposto. Invero, perché "la condotta del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (cfr. da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016 Ud. (dep. 27/03/2017) Rv. 269603; sulla base del principi enunciati da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione).
11. I primi tre motivi di doglianza formulati da M.G.i, dunque, non possono trovare accoglimento, e, cionondimeno, il reato deve essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, alla data del 22 ottobre 2020, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., essendo stato commesso il 13 novembre 2012.
12. Il ricorso proposto da D.G. non è parimenti meritevole di accoglimento.
13. La prima censura, inerente alla pretesa insussistenza della posizione di garanzia del ricorrente è infondata. La Corte territoriale, infatti, desume l'assunzione di fatto della qualità di preposto dall'attività in concreto svolta da D.G., il quale guidava la squadra -composta da D.N. e da M.G.- che doveva eseguire le operazioni, da lui stesso organizzate, impartendo direttive agli operai. La progettazione del lavoro ed il coordinamento degli addetti nella sua esecuzione integrano l'esercizio delle funzioni tipiche del preposto ai sensi della previsione di cui all'art. 2 lett. e) del d. lgs. 81/2008, tale essendo definito colui che "in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa".
14. Va escluso, dunque, il difetto di motivazione della decisione impugnata in relazione all'inquadramento di D.G. quale preposto di fatto della GIEMME COSTRUZIONI, posto che fu lui a decidere come effettuare il carico del materiale, assegnando a D.N. il compito di ricevere i pacchi di materiale sul camion, senza predisporre alcuna cautela specifica in ordine all'imbraco, che evitasse lo slegamento delle tavole, tenute insieme solo da un filo di ferro, e senza dare disposizioni sull'allontanamento dell'operaio addetto dall'area interessata dalla movimentazione del carico, sino al suo termine.
15. Manifestamente infondata, come si è supra rilevato, è la doglianza con cui si fa valere l'abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore. Non occorre ripetere quanto già detto, se non per condividere la motivazione della sentenza impugnata che censura la prospettazione introdotta, sottolineando che non può essere ritenuto abnorme il comportamento di un lavoratore che esegue gli specifici ordini impartitigli dal preposto, ancorché al di fuori delle mansioni assegnate.
16. Inammissibile va ritenuto il terzo motivo di ricorso relativo alla valutazione di credibilità del lavoratore D.N., in quanto costituito parte civile. La censura, invero, è del tutto generica e si limita a contestare l'attendibilità del racconto della parte offesa, in quanto portatrice di autonomo interesse economico, omettendo di specificare sinanco quali contraddittorietà sarebbero emerse nella sua narrazione, avuto riguardo al fatto che le modalità di accadimento dell'evento non sono contestate.
17. Il mancato accoglimento di tutti i motivi formulati da D.G. in ordine alla ritenuta responsabilità penale, comporta, così come per M.G. l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione, con rigetto del ricorso agli effetti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio, agli effetti penali, la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso il 20/05/2021